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Le registe del cinema italiano

Autrici di opere prime, veterane e maestre. Ecco le donne più influenti della cinematografia contemporanea.
di Ilaria Ravarino

martedì 18 maggio 2021 - Longform

Sono registe di opere prime, veterane e maestre del cinema italiano. Sono autrici: documentariste, pedinatrici, visionarie o solide voci di genere, dall’horror alla commedia, dall’erotismo al fantastico. Sono state candidate e spesso hanno vinto i più importanti premi del cinema italiano - David di Donatello e Nastri d’argento - partecipando con le loro opere ai più grandi festival internazionali. Le registe del cinema italiano, frettolosamente considerate una minoranza e troppo spesso relegate alla nicchia del “femminile”, incidono oggi in maniera importante, sia a livello espressivo che numerico, sugli orizzonti della cinematografia contemporanea. MYmovies ha provato qui a offrire una panoramica il più possibile completa delle autrici attive oggi, includendo nell’elenco registe che abbiano realizzato almeno un’opera prima di lungometraggio negli ultimi dieci anni, autrici selezionate nei circuiti festivalieri, le votanti ai David di Donatello e le riconosciute maestre del nostro cinema.

Ecco la mappa per orientarsi:
LE GRANDI MADRI
LE DONNE DEL DRAMMA, TRA IDENTITÀ ED EMANCIPAZIONE
DONNE DA RIDERE: LA COMMEDIA
IL GENERE: HORROR, THRILLER, MUSICAL, FANTASY ED EROTICO
DOCUMENTARISTE, LE INDAGATRICI DEL REALE
LA TV: IL PICCOLO SCHERMO É DONNA 
 

LE GRANDI MADRI


In foto, da sinistra, Lina Wertmüller, Francesca Archibugi, Cristina Comencini e Roberta Torre.

Si sono affermate in Italia in un momento in cui le donne in posizioni di comando, nel cinema e non solo, erano una rarità. Sono riuscite a esordire, hanno superato lo scoglio dell’opera seconda, hanno costruito carriere, preso applausi e fischi, vinto premi, lanciato star e innescato dibattiti. Sono pioniere e maestre i cui film hanno lasciato un segno nella cinematografia nazionale e spesso internazionale, ispirazione e specchio per le registe che sono venute dopo di loro.
Prima donna nella storia candidata all'Oscar come migliore regista con il film Pasqualino Settebellezze, e infine Oscar onorario nel 2020, Lina Wertmüller è la prima delle grandi madri del cinema italiano, famosa per il suo spirito corrosivo e per le commedie stravaganti e grottesche, ironiche e barocche (Mimì metallurgico ferito nell'onoreFilm d'amore e d'anarchiaTravolti da un insolito destino nell'azzurro mare d'agostoSotto... sotto... strapazzato da anomala passione).
Candidata all’Oscar nel 2006 con il dramma La bestia nel cuoreCristina Comencini – una famiglia nel cinema: il padre regista Luigi, le sorelle Francesca, regista, e Paola, scenografa - alterna alla commedia elegante, leggera e d’ambientazione borghese (MatrimoniLiberate i pesciLatin LoverQualcosa di nuovo) storie familiari intense, spesso venate di nero (La fine è notaQuando la notteTornare). Pratica soprattutto la commedia, divertendosi a contaminarla con il genere, anche Roberta Torre, spirito libero del cinema italiano, autrice nel 1997 del grande successo Tano da morire e poi di Sud Side Stori, commedie musicali che ironizzano su mafia e sfruttamento dell’immigrazione. Sperimenta il dramma (Angela), il noir (Mare nero), si dedica al teatro e poi torna alla musica, dirigendo nel 2017 il lisergico Riccardo va all'inferno (guarda la video recensione), prima di tentare la nuova avventura in tv con Extravergine.
La famiglia, i figli, l’adolescenza, le relazioni: sono i grandi temi sui quali si interroga il cinema di Francesca Archibugi, regista e fine sceneggiatrice, un esordio folgorante nel 1988 con Mignon è partita, che indirizza la sua indagine sul mondo dell’infanzia (Il grande cocomeroVerso sera), dell’adolescenza (Gli sdraiati (guarda la video recensione), L’albero delle pere), con la famiglia come campo privilegiato per osservare la natura umana (VivereIl nome del figlio). Non ha mai avuto paura delle sfide Liliana Cavani, tra le più internazionali delle nostre registe, autrice di drammi impegnati sui grandi temi dell’essere: il conflitto tra pietà e legge ne I cannibali, quello tra follia e normalità ne L’ospite, e ancora la religione (Francesco) o la tensione tra fede e ragione (Galileo). Il suo più grande successo arriva nel 2002, con John Malkovich ne Il gioco di Ripley, dopo aver già diretto Dirk Bogarde e Charlotte Rampling in Il portiere di notte e Burt Lancaster ne La pelle. Da sempre nel solco del cinema del reale, il percorso di Francesca Comencini si muove tra l’interesse per il documentario di forte presa sociale (Carlo Giuliani, ragazzoIn fabbrica).e quello per la finzione, sempre molto radicata nella realtà (Mi piace lavorare – MobbingUn giorno specialeLo spazio bianco), anche quando la regista sperimenta in tv il genere (il thriller con Gomorra - La serie, il fantasy con Luna Nera). Una sensibilità militante che è propria anche di Wilma Labate, candidata nel 1996 all’Oscar con La mia generazione, uno dei quattro film di finzione da lei girati (gli altri sono AmbrogioDomenica SignorinaEffe), in una carriera votata al documentario inteso come forma d’espressione completa (Lavorare stancaGenova. Per noiLettere dalla PalestinaMaledetta Mia). E se svetta, prima tra le grandi madri del documentario, la ribelle Cecilia Mangini prima documentarista d’Italia (scomparsa lo scorso gennaio, il suo cinema ha raccontato senza sconti la condizione femminile e la vita delle periferie, da Essere Donne a La canta delle Marane), è infine nel segno della sperimentazione che si muove la carriera di Antonietta De Lillo, regista di film partecipati (Oggi insieme domani anche), video ritratti (Angelo Novi fotografo di scenaPromessi Sposi, Fulci Talks), documentari (Ogni sedia ha il suo rumore, La pazza della porta accanto) e cinema di finzione (Non è giustoUna casa in bilicoIl resto di niente), sempre alla ricerca di nuove forme di linguaggio, codici e deviazioni dal percorso tradizionale.

 

LE DONNE DEL DRAMMA, TRA IDENTITÀ ED EMANCIPAZIONE


In foto, da sinistra, Valeria Golino, Sara Colangelo, Emma Dante e Alice Rohrwacher.

Identità di genere, emancipazione, riflessioni sul corpo e sulla maternità. Sono questi i temi maggiori (ma non gli unici) a interessare le registe italiane impegnate nel cinema drammatico. L’identità di genere è al centro del lavoro di Laura Bispuri, che dall’esordio con Vergine giurata, fino al secondo film Figlia mia (guarda la video recensione), riflette sui confini e le frontiere della sessualità e dell’identità. Un argomento caro anche a Margherita Ferri, che nel suo esordio del 2018 Zen - Sul ghiaccio sottile ha affrontato la sessualità liquida e inquieta di un’adolescente di provincia, bullizzata dai compagni di scuola. Toccano da vicino i temi dell’emancipazione Giorgia Cecere – sia con l’esordio Il primo Incarico, sul “risveglio” di una maestra nella Puglia anni ’50, che con l’opera seconda In un posto bellissimo, racconto intimista di una presa di coscienza attraverso l’amore – ma anche Michela Occhipinti, documentarista all’esordio nella finzione con Il corpo della sposa - Flesh Out, su una giovane donna della Mauritania moderna stretta tra volontà individuale e tradizione sociale. La quotidianità di una coppia di donne omosessuali è raccontata nell’ultimo film di Maria Sole Tognazzi Io e lei, che coniuga idealmente l’interesse della regista per le relazioni (Passato prossimoL’uomo che ama) con i grandi caratteri femminili (Viaggio sola).
La maternità è il cuore dell’opera prima di finzione di Maura Delpero, che in Maternal (guarda la video recensione) mette a confronto una madre minorenne che rifiuta le sue responsabilità e una giovane suora che nasconde e reprime il desiderio di maternità. E la maternità come diritto è il tema di Mamma + Mamma di Karole Di Tommaso, in cui due ragazze innamorate e conviventi si imbarcano nell’impresa di coronare il proprio sogno: dare alla luce e crescere un bambino.
Il corpo, la malattia, il lutto e l’accudimento sono grandi temi intorno ai quali ruotano i primi due film da regista dell’attrice Valeria GolinoMiele ed Euforia (guarda la video recensione), ma che tornano anche nell’opera prima di finzione Non lo so ancora, della documentarista Fabiana Sargentini, sull’incontro in ospedale tra una quarantenne e un ottantenne entrambi in attesa del risultato dei propri esami, e ancora nell’esordio di Katja Colja con Rosa, storia di una coppia di sessantenni divisa dalla morte del figlio. E se il rapporto con la diversità e la malattia è un tema forte di Lontano da qui (guarda la video recensione), secondo film dell’italiana all’estero Sara Colangelo – da tempo trasferita a New York – la riflessione sul corpo femminile, come oggetto dello sguardo maschile e strumento di desiderio, è il filo rosso che tiene insieme Cam Girl di Mirca Viola, ex Miss Italia passata alla regia nel 2011 con il dramma romantico L’amore fa male. Scoperta invece da Nanni Moretti, dopo l’esordio con Cosmonauta, personale e fantastica riflessione sull’adolescenza, e il fantascientifico La scoperta dell’albaSusanna Nicchiarelli ha trovato una valida chiave espressiva nelle grandi biografie di donne, sempre affrontate con taglio ironico e rock, da Nico, 1988 a Miss Marx.
Età estrema per eccellenza, l’adolescenza è spesso oggetto dell’indagine dei registi, esplorata secondo chiavi personali e autoriali, come accade in Diciottanni - Il mondo ai miei piedi dell’attrice e regista Elisabetta Rocchetti, passata poi ad affrontare altri temi, nel 2015, con Il velo di Maya, o sottesa all’opera personalissima di Elisa Fuksas (anche documentarista, con Il coraggio di osareAlbe e iSola) nel suo film d’esordio Nina, cui seguirà nel 2019 The App. L’età di mezzo fra infanzia ed età adulta è il campo in cui si muove la ricerca di Laura Luchetti, che dopo l’esordio con Feisbum e il malinconico Febbre da fieno è tornata nel 2018 a raccontare i ragazzi con Fiore gemello (guarda la video recensione), storia di fuga e amicizia tra i giovani Anna e Basim. Una fuga che ritorna, associata alla giovane età, anche ne La fuga, opera prima della regista pistoiese Sandra Vannucchi, romanzo di formazione di una ragazzina che per ribellione parte da sola in treno per Roma. Da segnalare, nella chiave di un approccio realistico alla cronaca minuta del paese, l’esordio nella finzione della documentarista Chiara Bellosi (Checosamanca, 2006) con Palazzo di Giustizia, storia di una giornata di ordinaria giustizia in un grande tribunale italiano e quello di Irene Dionisio, autrice de Le ultime cose, tre storie di umanità fragile che si intrecciano al banco dei pegni di Torino.
Debole l’interesse delle registe italiane per il racconto di finzione della realtà storica del paese, con due soli nomi impegnati sul campo: quello di Annarita Zambrano con Dopo la guerra, storia di un ex militante di estrema sinistra italiano in fuga per sfuggire all’estradizione, e quello di Emma Moriconi con Sangue sparso, sui militanti neofascisti durante gli anni di piombo e la strage di Acca Larentia a Roma. Più nutrita la pattuglia di registe interessate a una lettura “magica” o poetica della realtà, con Alice Rohrwacher a fare da capofila con il trittico d’autore Corpo CelesteLe meraviglie e Lazzaro felice (guarda la video recensione), Alessia Scarso al cinema con la fiaba malinconica Italo, e l’estro di Emma Dante, attrice, regista e drammaturga, che per il cinema ha adattato le sue opere – estreme e palpitanti di vita - Via Castellana Bandiera e Le sorelle Macaluso. L’arte, infine, è il tema conduttore del lavoro di due registe, Lucilla Mininno, con il suo esordio Solo no, sull’ostinazione folle e assoluta di un’attrice teatrale, e Ilaria Paganelli, che con Per Sofia firma una dichiarazione d’amore alla musica, attraverso la storia del contatto impossibile tra un compositore in crisi e una pianista vissuta quarant’anni prima di lui.

 

DONNE DA RIDERE: LA COMMEDIA


In foto, da sinistra, Michela Andreozzi, Maria Di Biase, Giorgia Farina e Alice Filippi.

Amano giocare con il genere, prendono di mira stereotipi e cliché e sanno essere taglienti e assai efficaci nel raccontare le contraddizioni della società. Molte delle registe italiane di commedia sono anche attrici, passate dall’altra parte della macchina da presa dopo aver recitato nei film dei colleghi. È il caso di Michela Andreozzi, comica, sceneggiatrice e conduttrice, autrice di tre commedie - Nove lune e mezzaBrave ragazze (guarda la video recensione) e Genitori vs influencer – tutte giocate su caratteri femminili forti, dall’anima ribelle, legati tra loro da un forte rapporto di sorellanza. È un’attrice anche Maria Di Biase, celebre in coppia con il compagno Corrado Nuzzo, dal 2004 nei programmi della Gialappa’s Band e nei film di tanti colleghi (Ficarra e Picone, Edoardo Leo, Francesco Mandelli), dal 2018 regista esordiente, insieme al partner, con la commedia on the road Vengo anch’io. Dal teatro viene Eleonora Danco, regista, attrice e apprezzata performer, al cinema tra gli altri per Nanni Moretti, Marco Bellocchio e Michele Placido, all’esordio nel 2014 con la surreale docu-commedia N-Capace, mentre al cinema appartiene il talento di Giulia Steigerwalt, attrice lanciata da Gabriele Muccino, apprezzata sceneggiatrice e pronta per esordire con il dramedy agrodolce Settembre. Ha iniziato come attrice, per dedicarsi quasi subito alla regia, la napoletana Nina Di Majo, che dopo aver iniziato come assistente di Mario Martone ha diretto e interpretato nel 1999 il suo primo lungometraggio, Autunno, seguito da L'inverno e Matrimoni e altri disastri, sulla scia della migliore commedia europea raffinata e borghese.
In linea con la tradizione del realismo del cinema italiano non sorprende che alcune delle registe di commedia si siano formate nel campo del documentario, riflettendo nei loro film un’attenzione particolare a caratteri, paesaggi e contesti. È il caso di Caterina Carone, autrice della favola delicata Fräulein - Una fiaba d'inverno, ambientata nell’altopiano del Renon, di Simona De Simone (conosciuta con lo pseudonimo di Nuanda Sheridan), regista nel 2019 della commedia romantica Forse è solo mal di mare, girata nella pittoresca isola di Linosa, o di Anna Di Francisca, all’esordio nel 1997 con La bruttina stagionata e tornata nel 2012 al cinema di finzione con Due uomini, quattro donne e una mucca depressa.
Guarda alla realtà contemporanea con molta ironia Manuela Tempesta, anche lei con una lunga carriera da documentarista alle spalle e la collaborazione da sceneggiatrice a molte fiction tv, autrice, insieme all’amica e sodale Michela Andreozzi, della commedia corale Pane e burlesque suo esordio al cinema nel 2014.
Ruvida, al confine con la satira, l’opera prima di Stefania Capobianco, regista con Francesco Gagliardi della commedia Mò Vi Mento - Lira di Achille, in cui un potente politico locale decide di fondare un proprio partito per favorire l’uscita dell'Italia dall'euro. Ferma al suo primo film del 2014, Io rom romantica, la torinese Laura Halilovic ha infine portato su grande schermo le difficoltà e le situazioni grottesche vissute dalle minoranze in Italia, con un Grosso Grasso Matrimonio Greco in chiave sinti.
Ma è il genere la cornice in cui le autrici di commedia italiana si muovono con maggiore autonomia, divertendosi a manipolarne temi, situazioni e personaggi. Gioca con il genere dal suo primo lungometraggio anche Giorgia Farina, cresciuta al fianco dei fratelli Marco e Antonio Manetti come aiuto regista de L'ispettore Coliandro, autrice della commedia noir Amiche da morire, del grottesco Ho ucciso Napoleone e dell’on the road in commedia Guida romantica a posti perduti. Crime e fantascienza sono materiale per Paola Randi, esordio con il surreale Into Paradiso e poi successo di pubblico e critica con Tito e gli alieni (guarda la video recensione), scelta di recente per dirigere il prequel La Befana vien di notte 2 - Le origini. Guarda alla musica, forte di una laurea al conservatorio, la regista Letizia Lamartire (ma anche al calcio con la regia del film Il divin codino sulla biografia di Roberto Baggio), che con l’esordio Saremo giovani e bellissimi ha firmato una storia di rapporti generazionali, madri “sbagliate” e tanto rock, mentre al fumetto e alla fiaba pop si rivolge Alice Filippi, che dopo una fortunata carriera internazionale da aiuto regista (tra gli altri con Ron Howard, Sam Mendes e Clint Eastwood) ha diretto nel 2020 la commedia per ragazzi Sul più bello. Sfugge a tutte le categorie infine Maria Erica Pacileo, regista teatrale e autrice di video arte e video danza, esordio alla regia nel 2014 con Sexy Shop, carosello pop provocatorio e sopra le righe.

 

IL GENERE: HORROR, THRILLER, MUSICAL, FANTASY ED EROTICO


In foto, da sinistra, Michela Cescon, Milena Cocozza, Valentina Bertuzzi e Emanuela Rossi.

Cuore di tenebra del cinema di genere, l’horror è uno dei campi più frequentati dalle registe italiane. Dallo splatter all’horror politico, dalle storie di fantasmi alle possessioni demoniache, il cinema del terrore femminile tratta di frequente il tema della maternità con un approccio fortemente critico sulla posizione subalterna delle donne nella società italiana.
Cresciuta “sul campo” come aiuto regista dei fratelli Manetti, dopo un’importante carriera come aiuto regista, Milena Cocozza è passata alla regia nel 2019, con una storia di maternità ambientata in un manicomio infantile, Letto numero 6, ed è attualmente al lavoro su un film di serial killer nel west. È di taglio politico, con molti riferimenti alla realtà del paese, l’horror praticato dalla foggiana Luna Gualano, regista e montatrice, autrice nel 2013 del lungometraggio Psychomentary e nel 2018 del film Go Home - A casa loro, storia di un attacco zombi in un centro di accoglienza. Co-regista della serie tv Non uccidere, cinefila e amante del genere distopico e catastrofista, Emanuela Rossi ha ricevuto il plauso della critica esordendo nel lungometraggio nel 2020, con la fiaba dark Buio, in cui tre sorelle vivono rinchiuse in una casa al riparo dalla luce del sole. Sposano la causa dei fantasmi, delle apparizioni e dell’horror d’atmosfera Rossella De Venuto, regista di Controra, film horror-antropologico che affonda le radici nelle credenze pagane mediterranee, e la regista e montatrice Laura Girolami, che nel 2014 ha esordito insieme al collega Federico Patrizi alla regia della ghost story Surrounded, 24 ore nella vita di un’insegnante perseguitata da invisibili presenze. L’horror si fa metafisico per Valentina Bertuzzi, che dopo i corti Delitto naturale e Weekend è all’esordio con L’occhio del coniglio, storia di una famiglia che trova un’inaspettata fortuna dopo che una misteriosa voragine si è aperta sotto il letto della figlia maggiore. Ama invece lo splatter Cinzia Bomoll, numerosi corti truculenti alle spalle e due lungometraggi in preparazione, This man, che gioca con il tema degli incubi, e il thriller orrorifico Lei che nelle foto non sorrideva, con Pier Giorgio Bellocchio e Denise Tantucci. Partita per New York dopo la maturità, e attiva oggi fra Stati Uniti e Italia, Mitzi Peirone, ex modella e regista, ha esordito nel 2018 con Chimera, film rivelazione del Tribeca Film Festival, in cui due rapinatrici tentano il colpo della vita assaltando la casa di una donna disturbata mentalmente: tra i suoi prossimi lavori il cyberpunk Ultramundus – Higher World con Bella Thorne. Strizza l’occhio all’horror anche il lavoro di Giulia Brazzale, sempre in coppia con Luca Immesi, nel trittico composto dal film “psico magico” Ritual, dai serial killer di Holiday e dalla favola nera antimilitarista e grottesca de Le guerre horrende.
Sono vicine alla tenebra dell’orrore, ma giocano un passo indietro sul confine tra realtà e fantasia, le registe italiane di noir come la milanese Nicole Toscano, artista e atleta, autrice di cortometraggi di moda e nel 2015 dietro alla macchina da presa con il thriller Camelia, indagine sui segreti nascosti dietro alla morte di una cantante lirica. Noir anche l’esordio alla regia dell’attrice Michela Cescon, che con il suo Occhi blu mette Valeria Golino al centro di una storia ambientata in una Roma metropolitana, notturna e violenta. Aiuto regista di Enrico Oldoini negli anni Novanta e Duemila, Francesca Marra ha esordito alla regia nel 2006 con la serie tv Capri, per dirigere nel 2015 il thriller Soundtrack, in cui un tecnico del suono e un’attrice sono al centro di un rapporto di coppia ambiguo e morboso. Lavora sui temi del poliziesco infine Annamaria Panzera, scrittrice casertana autrice di undici gialli, uno dei quali, L’Affare Bonnard, è diventato nel 2009 il suo esordio alla regia, ambientato tra Capri e Istanbul intorno a una storia di formule chimiche e rapimenti di scienziati.
Attive in campi diversi, ma sempre nell’arena del genere, anche la cantante e attrice Elena Bonelli, regista nel 2010 del musical-commedia A sud Di New York, la produttrice Micol Pallucca, pioniera nel 2013 del cinema fantastico per ragazzi con Grotto, sorta di Goonies nelle grotte di Frasassi, e la milanese Monica Stambrini, documentarista passata alla finzione con l’on the road Benzina, transitata nel 2016 anche attraverso il cinema erotico d’autore, con il fantasy Queen Kong.
Un posto a parte merita infine Anne Riitta Ciccone, italo-finlandese all’esordio nel 2000 con la commedia Le sciamane (seguito da L'amore di Marja e Il prossimo tuo) che nel 2017 ha segnato un vero e proprio record: il primo lungometraggio in 3D girato da una regista, il visionario I'm - Infinita come lo spazio.


 

DOCUMENTARISTE, LE INDAGATRICI DEL REALE


In foto, da sinistra, Francesca Mazzoleni, Tizza Covi, Elisa Amoruso e Alina Marazzi.

Militanti, viaggiatrici, mediatrici dell’altro e grandi esploratrici di tematiche di genere, le documentariste italiane sono un nutrito gruppo di cineaste accomunate da un interesse: il cinema del reale.
Il territorio d’elezione, per la maggio parte di loro, è l’Italia con le sue storie e i suoi caratteri. Due le direttrici principali: la grande storia contemporanea del paese, come quella su cui si muove la ricerca di Claudia Cipriani, autrice di Pino – Vita accidentale di un anarchico e L’ora d’acqua sul recupero della Costa Concordia, o la piccola grande storia locale, come quella raccontata da Francesca Mazzoleni (all’attivo anche un film di finzione, Succede (guarda la video recensione)) nel suo Punta Sacra, sulla lotta di una borgata di Ostia a rischio sgombero. Dalla ricerca sul territorio nasce il lavoro di Francesca Olivieri, che con Arberia ha raccontato le tradizioni della minoranza Arbëreshë in Calabria, e quello di Federica Di Giacomo, autrice de Il lato grottesco della vita, girato tra la gente dei Sassi di Matera, Housing sulle case popolari di Bari e Liberami, un documentario sul ritorno dell’esorcismo. È documentario civile, spesso addosso alla cronaca più scomoda del paese, quello praticato da Costanza Quatriglio, regista - da poco all’esordio in tv con La bambina che non voleva cantare - di TerramattaCon il fiato sospesoTriangle e 87 ore
Hanno invece concentrato i loro interessi all’estero Giulia Amati, regista italo francese di This Is My Land… HebronShashamane e Kristos, l'ultimo bambino, girati tra Palestina, Africa, Siria, Giamaica e Grecia, e Giuliana Gamba (passata alla finzione nel 2020 con Burraco fatale), con il film collettivo Lettere dalla PalestinaIn Kurdistan è difficile e Sound of Morocco e Isabella Sandri, attiva fin dai primi anni Novanta nell’esplorazione dell’altro, dal genocidio dei tutsi in Ruanda raccontato ne Gli spiriti delle Mille Colline a La Zattera di sabbia sulle ultime tribù Tuareg del Mali, ma attiva anche nel campo della finzione (Un confine incerto, 2019). Da citare in questo contesto il percorso “inverso” della filmaker francese Chloé Barreau (La colpa di mio padre), in Italia da anni e attiva nel racconto del nostro paese con film intimi come Stardust Memories.
L’attenzione per il genere e i suoi confini è al centro di Normal, esordio di Adele Tulli dedicato ai gesti e ai ruoli che condizionano la nostra identità in Italia, e di Io sono Sofia di Silvia Luzi, storia di una donna nata maschio che sceglie di rendere pubblico il proprio tormento (di Luzi anche La minaccia su Hugo ChavezDell'arte della guerra sulle proteste operaie a Milano, oltre all’esordio di finzione Il cratere). Un tema analogo plasma l’ingresso nel documentario di Elisa Amoruso, che esordisce con Fuoristrada – il racconto di un meccanico romano con la passione per il travestitismo – e prosegue nella sua indagine su corpo, immagine e percezione dell’altra con Strane StraniereChiara Ferragni - Unposted (guarda la video recensione) e Bellissime (guarda la video recensione). Centrato sulla libertà di essere ciò che vogliamo, al di là dei ruoli stereotipati, è Linfa di Carlotta Cerquetti, già autrice di Harry’s Bar, dedicato alla scena underground femminile di Roma Est. Un anelito alla libertà che si declina in chiave storica nel film di Alina Marazzi (già autrice del personalissimo Un’ora sola ti vorrei, e regista del lungo di finzione Tutto parla di teVogliamo anche le rose, sui quindici anni di lotte per l'emancipazione femminile raccontati con filmati di repertorio e frammenti di diari. Sempre sul corpo femminile infine, ma come oggetto di abuso, si concentra il lavoro di Elisabetta Lodoli, che con Ma l’amore c’entra? mette in scena la violenza contro le donne dal punto di vista di tre uomini e quello dell’attrice Maruska Albertazzi, passata di recente alla regia con il racconto semiautobiografico del trauma dell’anoressia in Hangry Butterfly.
Piccole grandi storie di donne tornano nei lavori di Tizza Covi, che nel documentario puro Babooska racconta la vita di un’artista di circo, per poi passare al genere del film verità con La Pivellina, ambientato tra le donne di una borgata romana. Prima del successo internazionale con Faith, girato all’interno di un isolato monastero di Kung Fu, Valentina Pedicini (scomparsa nel 2020 e autrice anche del film di finzione Dove cadono le ombre) aveva raccontato con il suo Dal profondo l’impresa dell'unica e ultima minatrice italiana, capace di scendere 500 metri sotto terra da sola e al buio. Una storia di donne, e di emigrazione, è al centro di Via della felicità della pugliese Martina Di Tommaso (scomparsa nel 2021), documentario d’esordio che “pedina” una giovane madre che da un quartiere dormitorio nel barese si trasferisce in Germania.
All’arte cinematografica è dedicata la ricerca di Anselma Dell'Olio, che firma La lucida follia di Marco Ferreri e Fellini degli Spiriti, documentario che indaga la passione di Federico Fellini per l’esoterismo. Nel campo del documentario di ricerca, artistico e poetico, si muove Martina Parenti, co-autrice con Massimo D’Anolfi della quadrilogia Spira Mirabilis – sul concetto di immortalità attraverso gli elementi della natura – e, tra gli altri film, L’estate di una fontanellaAnimolI Promessi Sposi e Materia Oscura, ambientato nel Poligono Sperimentale del Salto di Quirra in Sardegna. A cavallo tra realtà e finzione, arte e cronaca, si colloca il lavoro dell’artista visiva Rä Di Martino, avvicinatasi al cinema in due occasioni: nel 2014 con il documentario The Show MAS Go On e nel 2017 con il film di finzione Controfigura. Prolifica ed eclettica, Elisabetta Sgarbi ha all’attivo numerosi documentari dedicati ai suoi temi d’elezione: la scienza (Vaccini, 9 lezioni di scienza), la musica (Extraliscio - Punk da balera), il territorio (L’altrove più vicino), la storia del paese (Quando i tedeschi non sapevano nuotare).

 

LA TV: IL PICCOLO SCHERMO È DONNA


In foto, da sinistra, Cinzia TH Torrini, Anna Negri, Lyda Patitucci e Laura Muscardin.

Se la tv è spesso una palestra in cui formarsi prima di mettersi alla prova sul grande schermo, per alcune registe tuttavia il piccolo schermo è qualcosa di più: l’arena in cui cimentarsi con storie e durate, formati e pubblici diversi, ciascuna con la propria sensibilità.
In questo campo la pioniera è Cinzia TH Torrini, che comincia negli anni Ottanta girando documentari per la Rai e film tv come Dalla notte all’alba o L’ombra della sera, storie dure che catturano il pubblico senza rincorrerlo o compiacerlo. Sperimenta generi e formati, film collettivi e miniserie, spot e cortometraggi, dividendosi tra tv italiana, tedesca e francese e frequentando saltuariamente anche il cinema (la prima volta nel 1982 con Giocare d'azzardo): dirige la miniserie thriller Ombre, il film di denuncia Iqbal, è la regista dietro al successo di Elisa di Rivombrosa, e autrice – tra i tanti progetti – delle recenti serie Un’altra vita e Pezzi unici.
Dopo aver iniziato nel cinema, come assistente di Pappi Corsicato e Marco Risi, la romana Laura Muscardin ha lavorato con continuità in televisione, legando il suo nome soprattutto alla fortunata serie di Rai 1 Tutti pazzi per amore, 78 episodi ideati e scritti da Ivan Cotroneo e girati da Muscardin e Riccardo Milani. Sua anche la regia di Matrimoni e altre follie, serie in 24 episodi di Mediaset, liberamente ispirata al format spagnolo La que se avicina. Attiva nel documentario e nel cinema di finzione con tre film, il suo più recente lavoro per il grande schermo è la favola eco-apocalittica La guerra di Cam.
Due volte al cinema, con In principio erano le mutande e RiprendimiAnna Negri è una regista molto amata dalla tv: formatasi sul set dirigendo alcune puntate della soap Un posto al sole, firma i film tv L'altra donna nel 2002, La doppia vita di Natalia Blum nel 2010 e nel 2012 A fari spenti nella notte. Scelta da Netflix per dirigere, in tandem con Andrea De Sica, la serie Baby, Negri tornerà sulla stessa piattaforma come regista del nuovo original Luna Park, insieme a Leonardo D’Agostini. Arriva infine dalla nuova guardia di autori e produttori la ferrarese Lyda Patitucci: aiuto regista di Matteo Rovere in Veloce come il vento (guarda la video recensione) e Il primo re (guarda la video recensione), e di Sydney Sibilia in Smetto quando voglio - Ad honorem (guarda la video recensione) e Masterclass, Patitucci ha esordito sul piccolo schermo come regista di Curon, serie Netflix dai toni thriller, alternandosi alla regia con il collega Fabio Mollo.
 


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