Anno | 2014 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 30 minuti |
Regia di | Rä Di Martino |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 17 marzo 2020
Roma, Piazza Vittorio, 2014. Nell'enorme varietà di negozi che costellano il porticato spiccano i MAS. Nati a inizio '900, chiusi nel 1946, riaperti nel 1954 come Magazzini allo Statuto.
CONSIGLIATO SÌ
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Roma, Piazza Vittorio, 2014. Nell'enorme varietà di negozi che costellano il porticato spiccano i MAS. Nati a inizio '900, chiusi nel 1946, riaperti nel 1954 come Magazzini allo Statuto. Richiusi nel '59, riaperti finalmente nel '74 dal commerciante Gianni Pezone, che imprime loro una politica di prezzi bassi e stoccaggi enormi, ha fatto di MAS il posto preferito di chi non può spendere molto, dei curiosi - e anche dei costumisti.
The Show MAS Go On dettaglia in apertura (tramite la voce over di Filippo Timi) un microcosmo ben definito nello spazio e nel tempo, in cui coesistono ceti e razze diverse, senza escludersi. Concentrandosi su un luogo preciso, da filmare prima di una vera o presunta chiusura definitiva, sceglie di non scegliere tra i generi ma di praticarne diversi: in questo mediometraggio, che definire documentario sarebbe improprio, convivono infatti l'ambientazione ai MAS di un episodio della serie tv fantastica Ai confini della realtà (Sandra Ceccarelli che da manichino minaccioso dell'emporio s'incarna in donna); Iaia Forte che in lip-sync con la reale testimonianza registrata di Chiara Pezone, figlia del manager, produce insieme straniamento ed effetto verità; il teatro canzone di Timi, che cita Winnie di Giorni felici di Beckett e riadatta Perfect Day di Lou Reed, nascosto in un rassicurante cestone di pancere da donna. Più le riprese con suono in presa diretta nei magazzini, a intercettare le storie dei commessi e i desideri della clientela più varia. In ossequio alla natura pop dei MAS, alle sue merci non glamour ma ugualmente bramate, anche la colonna sonora, mimetico rivestimento alla flanerie dei clienti: non c'è connessione diretta con l'omonimo pezzo decadente dei Queen ma viene citato con fuggevole compiacimento trash il pezzo di Milva che porta quello stesso titolo, così come la disco minore delle Baccara o la bachata da balera.
Una visione che incuriosisce per creatività e per come rovescia l'idea per cui, in un luogo in cui si vende, la merce non è solo fattore di alienazione ma talvolta addirittura di felicità. Se non altro, di socialità, inclusione. L'invito alla regista è che lo spettacolo continui.