El ladrón de perros (Ladro di cani)

La Paz, Bolivia. Martín è un orfano di tredici anni che ha vissuto gran parte della sua vita per strada e gira con un passamontagna per nascondere il suo volto. A scuola è preso in giro dai suoi compagni e durante le giornate cerca di guadagnare qualche soldo come lustrascarpe. Assieme all'amico Sombras, è ospitato di nascosto a casa di una signora aristocratica grazie alla complicità della domestica che si occupa di lui. Dopo aver perso la madre da bambino, pensa ancora di poter ritrovare il padre che non ha mai visto. Sospetta che possa essere il signor Novoa, uno dei suoi clienti migliori, un sarto solitario legatissimo al suo pastore tedesco Astor che ha cresciuto come un figlio. Sua madre infatti, in passato, aveva lavorato nel suo negozio. Così Martín escogita un piano: gli rapisce il cane e poi si offre di aiutarlo per ritrovarlo, per poter passare così più tempo con lui.

Lo spazio come un labirinto. C'è un rapporto stretto tra Martín e La Paz che viene mostrata anche in un campo totale, con le sue luci ma anche i rumori indistinti nelle strade che alimentano il senso di solitudine del protagonista.

La città è uno sfondo ricorrente e la storia di El ladron de perros sembra costruirsi dal vivo sotto gli occhi dello spettatore. Il cineasta boliviano Vinko Tomicic Salinas, al suo secondo lungometraggio dopo El fumigador codiretto con Francesco Hevia, pedina il suo protagonista, lo segue nei suoi movimenti riprendendo quel modello zavattiniano che coglie la vita del protagonista nella sua durata. Il cinema neorealista, per il regista, è infatti un punto di riferimento. Ha ammesso che il suo film è un omaggio al cinema di De Sica anche se Ladri di biciclette lo ha visto solo in fase di montaggio. In realtà, l'immediato accostamento di El ladron de perros è con Sciuscià soprattutto nel modo in cui mostra la strada. Poi, come i due lustrascarpe romani di quel film, anche Martín si ritrova coinvolto in un furto.

Lo sguardo di Salinas segue il suo protagonista. Lo inquadra di spalle. Lo mostra seduto sulle carcasse delle automobili. Riesce a cogliere la verità del suo personaggio anche perché il protagonista Franklin Aro Huasco, per la prima volta sullo schermo, è stato scelto nella comunità dei lustrascarpe. Inoltre, sempre con un metodo probabilmente ancora ispirato al Neorealismo, lascia interagire gli attori non professionisti con quelli professionisti. Decisiva in questo caso la presenza di Alfredo Castro nei panni del sarto che l'attore caratterizza con una prova tutta in sottrazione, in cui è più attento a mostrare quello che prova. Sotto questo aspetto i suoi silenzi, i suoi turbamenti richiamano la figura di un altro sarto portato sullo schermo da Michel Blanc in L'insolito caso di Mr. Hire. Se il film di Leconte sottolineava soprattutto i desideri nascosti del suo protagonista, in El ladron de perros il regista boliviano mantiene sospesa l'ambiguità sulla sua figura e sul suo passato.

Sicuramente ci si trova davanti a un film ispirato ma che fa ancora fatica a mettere a fuoco una precisa identità, soprattutto perché la scrittura rischia di essere troppo marcata quando si tratta di raccontare e non solo di mostrare. Questo si vede soprattutto quando lo sguardo si allontana troppo da Martín, come se rischiasse di perdere l'orientamento. Non trova così la giusta tensione soprattutto nella parte sul rapimento di Astor e nel modo in cui fa avvertire l'assenza del pastore tedesco nella vita del sarto e il peso di questo segreto per il protagonista. In questi momenti il film non scorre più fluido ma a tratti s'inceppa. Poi ritrova una sua vitalità, anche se a corrente alternata. Ma non si prende il tempo necessario, ancora per citare Zavattini, per far sì che gli eventi accadono senza cercare di trovare subito delle soluzioni. La strada intrapresa da Salinas è comunque promettente soprattutto nel rapporto tra personaggio e ambiente. Se il suo cinema riesce a depurarsi da una scrittura troppo accentuata, può raggiungere gli obiettivi che si è prefissato. 