Il quinto capitolo della saga di Indiana Jones ancora una volta interpretato da Harrison Ford. Espandi ▽
Avevamo davvero bisogno di ritrovare Indiana Jones, eroe nato al cinema più di quarant’anni fa, in un’epoca in cui invenzione e innovazione erano ancora i valori cardini del blockbuster americano? La leggenda aveva ancora sufficiente appeal per giustificare il quinto colpo di frusta? La risposta è felicemente affermativa, nessuna riserva. James Mangold, abile a insinuare l’emozione nella meccanica dei suoi blockbuster, prelude un elogio alla fatica e alla chance fuori tempo massimo, l’ultima corsa per questo eroe in pensione che vedremo due sequenze dopo cavalcare (nelle gallerie della metropolitana), sparare, prendere a pugni i nazisti, fuggire, inseguire, decifrare antichi codici e attraversare tutti i confini, compresi quelli temporali. Perché
Indiana Jones e il quadrante del destino è un film di epoche al plurale, al quadrato, al cubo (1944, 1969, 415 A.C. …) che rinnova i legami con l’Indy che abbiamo sempre amato. Mai ‘parco a tema’,
Indiana Jones e il quadrante del destino trova la sua nota più commovente in Harrison Ford, immerso in un bagno di digitale giovinezza e poi lanciato all’inseguimento di tutte le età della sua vita. È lui l’inestimabile reliquia di questo atto finale, la quadratura del cerchio, il ‘quadrante’ di un destino comune, custodito nel cuore e negli occhi perché non passi. La spinta archimedea è pari alle lacrime che versiamo.