Anno | 2024 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia, Senegal, Benin |
Durata | 67 minuti |
Regia di | Mati Diop |
Tag | Da vedere 2024 |
MYmonetro | 3,80 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
|
Ultimo aggiornamento lunedì 19 febbraio 2024
Un film che segue il processo di restituzione da parte dello stato francese di opere d'arte provenienti da quello che è oggi lo stato del Benin. Il film è stato premiato al Festival di Berlino,
CONSIGLIATO SÌ
|
Nel novembre del 2021 si concretizza la decisione storica da parte del governo francese di rimpatriare 26 artefatti storici del Regno di Dahomey, in quello che è oggi lo stato del Benin, acquisiti nel diciannovesimo secolo durante l'occupazione coloniale francese. Attraverso la voce di una delle statue, si segue il viaggio da Parigi fino all'arrivo a Cotonou, con tanto di inaugurazione della mostra celebrativa e di un dibattito universitario in cui diversi giovani si confrontano sulle difficoltà di come considerare il periodo coloniale e la valenza di questa restituzione.
Lucido e compatto nell'esecuzione, Dahomey conferma l'enorme talento di Mati Diop affrontando lo spinoso tema delle relazioni postcoloniali e in particolare la restituzione delle opere d'arte trafugate nel corso dei secoli dai paesi e dalle culture originali.
In poco più di un'ora di durata, Diop filma un diario del processo di riconsegna delle 26 opere che scende nel dettaglio - dalla classificazione e imballaggio delle statue a una carrellata sulle persone che sono ad accoglierle all'arrivo - e al tempo stesso eleva il dibattito verso questioni più ampie. La aiuta quella capacità di scovare il mondo interiore dietro all'inquadratura di ogni volto, che già aveva fatto la sua fortuna nell'evocativo Atlantique del 2019, suo esordio nel lungometraggio. Stavolta le tracce più narrative ed esoteriche sono confinate alla voce e alla prospettiva delle statue, che si interrogano sul loro posto nel mondo e nella storia mentre vengono trasportate da un paese all'altro. Un residuo di quello che sarebbe stato forse un film di finzione, se la restituzione promessa da Macron non fosse arrivata effettivamente nei tempi previsti. Così diventa cronaca e poi dibattito, grazie agli inserti filmati all'università di Abomey-Calavi; perché il ritorno è una celebrazione, ma il numero ventisei impallidisce di fronte alla stima di oltre settemila opere trafugate in totale. E sono i giovani stessi a prodursi in una conversazione dalle tante prospettive, sulla necessità di accogliere il progresso ma di non potersi ritenere soddisfatti. Lieve e ricco di sensibilità come ogni parte del cinema di Mati Diop, il documentario illumina il problema senza limitarsi al didatticismo: un'opera essenziale per tutte le culture impegnate nella formulazione di un'identità postcoloniale, e anche per quelle che il processo non lo hanno ancora avviato.
All'interno di una selezione ricca e variegata come quella di un festival del calibro della Berlinale, capita sovente di imbattersi in vere e proprie chicche di rara bellezza e maestria. E quando questo capita, certe immagini sembrano non volerci lasciare mai. Volendo restare nell'ambito di questa 74° edizione del Festival di Berlino, ad esempio, una vera e propria perla in corsa per l'Orso d'Oro è [...] Vai alla recensione »
Ritorno in Africa. Mati Diop, nipote di uno dei padri del cinema africano Djibril Diop Mambety e rappresentante di un cinema della diaspora che già con Atlantics (Grand Prix di Cannes 2019) s'era interrogata sul rapporto tra le due sponde della rotta Africa/Europa attraverso il filtro del fantastico, segue il viaggio a ritroso di ventisei sculture del Regno di Dahomey portate in Francia dalle truppe [...] Vai alla recensione »
Oltre seimila chilometri, centoventotto anni, sessantotto minuti: le dimensioni in cui si muove Dahomey, il documentario di Mati Diop che ha ricevuto l'Orso d'Oro alla Berlinale74, dicono di un rapporto impari con lo spazio e col tempo, una articolazione che parte dalla cronologia spirituale e identitaria di un popolo, attraversa le difformità della Storia e ritorna a un tempo dei viventi che si confronta [...] Vai alla recensione »
Un'altra volta il cinema si occupa di un prezioso carico che dal parigino Musée de l'Homme prende la strada di ritorno verso un paese africano. Il calco del corpo della donna ottentotta, esibita nell'Ottocento come attrazione, come raccontato in Venere nera, e ora 26 opere d'arte, tra statue, manufatti, il trono, le porte, e ornamenti del Palazzo Reale di Abomey, capitale del Regno del Dahomey, ora [...] Vai alla recensione »
Nel novembre del 2021, ventisei opere del tesoro del regno di Dahomey lasciano Parigi per ritornare nel loro paese d'origine, in Benin. Statue che raffigurano gli antichi sovrani in aspetto teriomorfo, con evidenti finalità di culto, troni di legno che propugnano un'ideologia di dominio, testimonianza storica e propaganda che si mescolano al vudù...