
Titolo originale | Yin'ad 'Aliku |
Anno | 2024 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Qatar, Palestina |
Durata | 120 minuti |
Regia di | Scandar Copti |
Attori | Kousi Orfahli, Manar Shehab, Wafaa Aoun, Merav Mamorsky, Toufic Danial Eyal Boers, Anuar Jour. |
Uscita | giovedì 3 luglio 2025 |
Tag | Da vedere 2024 |
Distribuzione | Fandango |
MYmonetro | Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 3 recensioni. |
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Ultimo aggiornamento lunedì 16 giugno 2025
Il secondo lungometraggio del regista palestinese candidato all'Oscar Scandar Copti.
CONSIGLIATO SÌ
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Haifa, Israele. Rami è un arabo-israeliano innamorato della compagna ebrea Shirley, ma la gravidanza di lei rischia di diventare un grosso problema per le famiglie di entrambi. La sorella di Rami, Frida detta Fifi, viene coinvolta in un incidente d'auto e i suoi genitori cercano di lucrare sull'accaduto, non per avidità ma per fare fronte a un grave problema economico, ma rischiano di scoprire la vita parallela che la figlia conduce fuori dalle regole restrittive della famiglia. Fifi intraprende una relazione con Walid, un amico del fratello, ma anche fra loro ci saranno dei non-detti importanti. E Miri, la sorella di Shirley, viene messa sotto pressione dalla madre affinché si arruoli nell'esercito israeliano.
Il complesso intreccio di relazioni si svolge sullo sfondo di un'Israele precedente agli eventi del 7 ottobre 2024, ma dove le tensioni fra arabi ed ebrei sono evidenti e minano la convivenza delle due comunità, nonché quella fra singoli individui. In più c'è il carico da novanta di un patriarcato che impedisce alle donne, tanto arabe quano ebree, di disporre liberamente del proprio destino.
Happy Holidays, il cui titolo ironico fa riferimento al fatto che la narrazione si svolge a ridosso di festività religiose, è l'opera seconda del regista palestinese residente in Israele Scanad Copti.
Il regista aveva esordito con successo insieme al regista ebreo Yaron Shani con Ajami, vincitore della Camera d'Or a Cannes e candidato agli Oscar, anch'esso incentrato sulla complessità delle relazioni fra gli abitanti di Israele appartenenti a diverse etnie e religioni. La forza di quel film, come di questo, è una sceneggiatura stratificata (non a caso vincitrice alla Mostra del cinema di Venezia 2024 nella sezione Orizzonti) divisa in capitoli, ognuno dei quali mostra un punto di vista diverso, spesso sugli stessi eventi che abbiamo visto in precedenza da un'altra angolazione. È un modo di riprodurre le sfaccettature caleidoscopiche di una convivenza difficile, in cui la verità di uno non è mai quella degli altri, e anche le attrazioni più spontanee e i legami più profondi sono contaminati dal contesto nel quale hanno luogo.
Copti non fa mai facile propaganda politica, non cerca colpevoli né divide il mondo in buoni e cattivi, ma cerca di dipanare a poco a poco una matassa così aggrovigliata che ad un certo punto il pubblico stesso fatica ad individuarne il bandolo. Questa difficoltà appare in tutta la sua dolorosa (e attualissima) essenza, anche se la messinscena trova anche momenti di leggerezza e di erotismo. Il cast di non professionisti è sorprendentemente intenso e credibile, oltre che estremamente attraente: in particolare Manar Shehab nei panni di Fifi è di una sensualità irresistibile.
Al centro della storia c'è il corpo femminile sul quale le protagoniste non possono esercitare pieno diritto, per cui una gravidanza può diventare oggetto di contesa e una sessaulità libera oggetto di riprovazione. Sono le donne l'anello più debole di una catena che rischia comunque di strangolare tutti, in un groviglio di responsabilità e restrizioni culturali, economiche e sociali. Il copione firmato dallo stesso Copti si muove con agilità attraverso queste complessità labirintiche, secondo uno stile di racconto che ricorda il meglio delle sceneggiature iraniane, più ancora che la lucidità di quelle israeliane. E gli individui in scena si stagliano su uno sfondo continuamente marcato da simboli che delineano un quadro politico limitante e oppressivo.
Il convitato di pietra in questa storia è infatti la libertà individuale, cui tutti implicitamente rinunciano in qualche misura, in nome di una sopravvivenza fatta di parziali (o totali) rinunce personali. Copti e i suoi attori si muovono fra queste strettoie come acrobati sul filo, sempre a rischio di soccombere alle pressioni cui sono sottoposti, sempre costretti a cedere una parte dei loro diritti di esseri umani.
Le vicende e le scelte di vita di quattro personaggi creano una fitta rete di eventi interconnessi che mettono in gioco una donna ebrea rimasta incinta di un arabo, una madre borghese che non accetta il disastro finanziario della sua famiglia, il senso di colpa di sua figlia - promessa a un giovane medico - per un segreto che mette a repentaglio la sua reputazione.
Con Happy Holidays, presentato in concorso Orizzonti a Venezia 81 il regista palestinese Scandar Copti porta al Lido uno spaccato della vita familiare in Israele attraverso le vicende di quattro personaggi interconnessi tra loro. Rami, palestinese di Haifa, è costretto a fare i conti con le conseguenze della decisione di non abortire da parte della sua compagna ebrea Shirley.