L'amico della mia amica

Film 1987 | Commedia 102 min.

Titolo originaleL'ami de mon amie
Anno1987
GenereCommedia
ProduzioneFrancia
Durata102 minuti
Regia diEric Rohmer
AttoriEmmanuelle Chaulet, Sophie Renoir, François-Eric Gendron, Anne Laure Meury, Eric Viellard .
MYmonetro 3,05 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

Regia di Eric Rohmer. Un film con Emmanuelle Chaulet, Sophie Renoir, François-Eric Gendron, Anne Laure Meury, Eric Viellard. Titolo originale: L'ami de mon amie. Genere Commedia - Francia, 1987, durata 102 minuti. - MYmonetro 3,05 su 6 recensioni tra critica, pubblico e dizionari.

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Ultimo aggiornamento lunedì 28 novembre 2016

Due ragazze molto diverse tra di loro, Blanche e Lea, diventano amiche. La prima è timida e riservata, mentre la seconda è disinvolta e brillante.

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Consigliato sì!
3,05/5
MYMOVIES 3,00
CRITICA
PUBBLICO 3,09
CONSIGLIATO SÌ
In una delle sue opere più strettamente programmatiche Rohmer cura qui più che mai i dettagli.
Recensione di Giancarlo Zappoli
Recensione di Giancarlo Zappoli

Due ragazze molto diverse tra di loro, Blanche e Lea, diventano amiche. La prima è timida e riservata, mentre la seconda è disinvolta e brillante. Lea è fidanzata con un giovane, Fabien, che nel carattere assomiglia a Blanche. È con lei che questi finisce infatti per mettersi, durante una lunga vacanza di Lea, che tuttavia ben presto si consola con un giovane fatuo e affascinante quanto lei, del quale era innamorata Blanche prima di conoscere Fabien.
Sui titoli di testa Blanche dice: "Ho sentito che quella che amavo non era una persona, era un'immagine. Avevo un'immagine di uomo che mi perseguitava come un sogno infantile che si protrae un po' troppo a lungo". Questo film segna la fine delle "Commedie e proverbi" e la frase di Blanche (insieme alle immagini che la accompagnano) ne costituisce l'esplicito excipit. In una delle sue opere più strettamente programmatiche Rohmer tenta una sintesi del percorso effettuato, sia sul versante dello spazio che su quello della 'moralità' dei personaggi. Il suo sguardo, dopo l'immersione speranzosa in quelli di Reinette e Mirabelle, torna a guidare la narrazione togliendo agli attori gran parte di quello spazio di improvvisazione che era stato concesso ad esempio ne Il raggio verde.
Sembra ormai sempre più difficile fare 'commedie' in una società che tende all'implosione. La protagonista di quest'ultima "Commedia" esprime verbalmente ciò che anche chi l'aveva preceduta sullo schermo sentiva interiormente. La sua però, più che un'acquisizione di coscienza foriera di sviluppi, è solo una presa d'atto che non conduce a un mutamento interiore, per quanto doloroso esso possa essere. In questo "marivaudage" asettico la circolarità strutturale di fondo non contrassegna più la casualità ma l'accomodamento, il 'lasciarsi vivere', una sorta di impermeabilità alla ricerca interiore e alla sofferenza che non può che approdare a una vacuità indistinta che oltrepassa la cultura e la professione dei personaggi.
Rohmer cura qui più che mai i dettagli. Ecco allora che vediamo Blanche indossare un top di seta blu su una gonna bianca e Léa, specularmente, una casacchina bianca su una gonna lunga di raso blu. Sono donne che si vestono come la città in cui vivono. Sono diventate un tutt'uno con gli spazi in cui si muovono ma che non hanno contribuito a creare. Sono interiormente vuote e questo consente un'assenza di sofferenza. Perché in questo film nessuno sembra essere più in grado di soffrire nel senso pieno del termine.

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Giancarlo Zappoli
venerdì 19 settembre 2003

Seconda parte
L'amico della mia amica mette fine alle "Commedie e proverbi" e l'incipit e la frase di Blanche ne costituiscono il suggello definitivo. Rohmer, in questo che è uno dei suoi film più rigidamente programmatici, cerca una sintesi del percorso sviluppato, sia sul piano spaziale che su quello della moralità" dei personaggi. Il suo sguardo, dopo l'immersione tutto sommato speranzosa in quelli di Reinette e della sua amica Mirabelle, torna anche tecnicamente al "cinema". Utilizza nuovamente il 35 mm e dirige in modo molto preciso i propri attori, lasciando alla loro improvvisazione ben poco spazio. Non è un ritorno indietro rispetto alle felici sperimentazioni dei suoi due ultimi film (il 16 mm tornerà con ottimi esiti in un futuro non troppo lontano) ma è quasi un'autoforzatura per far sì che tutto sia aderente all'edonismo vuoto della seconda metà degli anni Ottanta. I segnali erano già emersi in Il raggio verde dove però Delphine, tra tentativi ed errori, cercava di porre una barriera tra sé e l'invasione di un mondo che tendeva a inglobarla. La frase di Bianche riportata all'inizio ci conferma che è ormai difficile fare "commedie" su un mondo che sta implodendo. La protagonista dell'ultima "Commedia" esplicita verbalmente ciò che anche chi l'aveva preceduta sentiva interiormente. Ma la sua, più che una presa di coscienza foriera di sviluppi, è solo una presa d'atto che non porta a un mutamento interiore, per quanto doloroso esso possa essere. In questo marivaudage asettico la circolarità strutturale di fondo non contrassegna più la casualità, ma l'accomodamento, il "lasciarsi vivere", una sorta di impermeabilità alla ricerca interiore e alla sofferenza che non può che approdare a una vacuità indistinta che va al di là della cultura e della professione dei personaggi. Non è un caso che in questo film il cerchio si chiuda attorno ai cinque protagonisti (del sesto "in prova" con Léa si parla ma non lo si vede) e che non ci sia alcun ritorno, neppure con un cammeo, degli attori che avevano partecipato ai precedenti film della serie. Rohmer, che sembra tornare alle tematiche amorose, le svuota dal di dentro, mostrando in pratica come ci siano parole "piene" e parole "vuote" e come i personaggi di L'amico della mia amica abbiano studiato sul secondo dizionario. Ma Bianche, Léa, Alexandre, Fabien e Adrienne (i cui nomi vengono sovrimpressi al comparire delle loro immagini) sono figli della società in cui sono cresciuti. Una società che invece di costruire ville in campagna, come già Rohmer lamentava nel 1965, ipertrofizza le banlieue o, in quest'epoca di yuppismo trionfante, edifica cittadine modello come Cergy-Pontoise.
Come si può rilevare dall'alternarsi delle immagini dei titoli di testa, ogni personaggio è anticipato dall'inquadratura che racchiude io spazio in cui egli opera. Nessuno di loro è lì per scelta, tutti hanno seguito il loro lavoro e tutti, al contempo, inseguono sogni di vacanze, di amori, di sport. L'acqua (elemento tra i più frequentati del cinema rohmeriano) non è più quella dei mare, del lago o della Senna. Ci si riduce alla miniaturizzazione e imitazione di quegli spazi e li si trasforma in piscine e laghetti artificiali ai cui bordi si tenta di celebrare qualche simulacro di rito sociale. Per le vie della città nelle inquadrature citate passa pochissima gente. È una città in cui si lavora e si vive per lavorare e, magari, fare carriera. È un microcosmo adulto in cui anche la creazione artistica sembra doversi limitare a far coesistere parallelepipedi. Se la macchina da presa va "a cercare", Bianche, Léa e Fabien si volgono verso di lei mettendosi in favore di ripresa. Solo Alexandre, motore immobile di infatuazioni di poco conto, viene ~ lasciato nella posizione in cui si trova. La natura non è assente in questi spazi, ma è come se fosse stata immessa a forza, quasi come le belve in uno zoo-safari. Cinguettano gli uccellini in questi luoghi vetrocementificati e la critica si è data da fare nel segnalare i rapporti e i legami che sussistono tra il blu e il verde nella scena finale en plein air. Ma è nel legame che esiste tra l'iscrizione dell'Hòtel de Ville della città (bianca su blu) e la scena del party nella villa moderna a Viroflay che si può trovare un altro segno della lucida ironia che Rohmer esercita sui suoi personaggi. Bianche ha un top di seta blu su una gonna bianca e Léa, a specchio, una casacchina bianca su una gonna lunga di raso blu. Sono donne che si vestono così come la città in cui vivono. Sono ormai diventate un tutt'uno con gli spazi che abitano, ma non hanno contribuito, come almeno la Louise di Le notti della luna piena riusciva a fare, alloro farsi. Sono interiormente vuote e forse, sembra dire Rohmer, non potrebbe essere altrimenti. Il sipario si chiude su una ricomposizione illusoria che non fa soffrire nessuno perché nessuno sembra essere più in grado di soffrire. In fondo la catena di relazioni può continuare all'infinito e senza scosse. Gli amici dei miei amici sono miei amici. Quindi...

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Giancarlo Zappoli
venerdì 19 settembre 2003

Bianche si è da poco trasferita a Cergy-Pontoise, città satellite di Parigi, dove lavora come addetta culturale della Prefettura. Mentre sta pranzando da sola sopraggiunge l'estroversa Léa, studentessa di informatica, che chiede di unirsi a lei. Tra le due nasce rapidamente un rapporto d'amicizia anche se sono molto diverse come carattere e gusti. Bianche non ha alcuna amicizia in loco mentre Léa vive sia con i parenti che con Fabien, il suo ragazzo del momento con il quale ha un relazione basata su un "presunto amore". Bianche si offre di insegnarle a nuotare visto che Fabien che "manca d'autorità" non è riuscito a farlo. La ragazza accetta volentieri la proposta.
Un giorno, mentre si trovano in piscina, sopraggiunge Alexandre, un giovane ingegnere dongiovanni e narcisista. Bianche ne viene attratta e chiede informazioni a Léa che glielo descrive come un tipo molto lontano dai suoi gusti e, comunque, al momento impegnato con Adrienne, una studentessa di arte. Il loro rapporto, per quanto conflittuale, continua a sussistere. Bianche interpreta i consigli dell'amica come un'ulteriore prova della propria inadeguatezza nei confronti delle persone che la interessano. Un nuovo incontro con il ragazzo alla presenza di Léa si risolve in una brutta figura.
Le vacanze sono in arrivo. Léa ha deciso di partire prima del previsto, lasciando a casa Fabien. Non partirà sola: si tratta di una sorta di prova generale per l'avvio di una storia con un altro uomo. Lascia a Bianche un biglietto per andare ad assistere a un incontro di tennis al Roland-Garros. Ci sarà anche Fabien che sta per diventare libero. I due scoprono di avere numerose affinità e progressivamente il loro si trasforma in un rapporto affettivo che entrambi considerano però passeggero. Al ritorno di Léa tutto sembra tornare come prima: Fabien torna con lei e Bianche continua a desiderare Alexandre che ha rotto con Adrienne. Léa, dandosi da fare per aiutare l'amica, scopre l'attrazione che l'ingegnere ha sempre provato per lei.
Fabien e Léa si lasciano e la ragazza è così libera di dedicarsi ad Alexandre. Fabien intanto scopre di amare veramente Bianche che si rende conto che Aiexandre rappresentava per lei soltanto un tipo di uomo a cui piacere.
L'amicizia tra le due ragazze sembra in pericolo. Léa teme di rivelare a Bianche di averle "soffiato" Alexandre, mentre Bianche ritiene di aver indebitamente sottratto Fabien all'amore di Léa. Del tutto casualmente le due si ritrovano allo stesso bar dove hanno dato appuntamento ai due ragazzi. Bianche, che pensa che Fabien debba incontrarsi con Léa, paria male di lui con l'amica. Quest'ultima equivoca e ritiene che le recriminazioni siano invece rivolte ad Alexandre. Dopo qualche momento di incomprensione la situazione si risolve grazie anche all'arrivo di Fabien e Alexandre. Le coppie si rivelano per come realmente sono e tutti sono felici.
Dopo essersi preso una vacanza realizzando un video-clip per la canzone Bois ton café, il va en être froid di Rosette (la Louisette di Pauline alla spiaggia), Rohmer torna a un film di cui una frase e le immagini che accompagnano i titoli di testa ci forniscono elementi per individuarne la chiave di lettura.
La frase (che traduciamo dall'originale francese) è pronunciata da Blanche: «Ho sentito che quella che amavo non era una persona, era un'immagine. Avevo un'immagine di uomo che mi perseguitava, come un sogno infantile che si protrae un po' troppo a lungo».
Le immagini sono scandite come segue:
1) Grande piazza attraversata da poche persone, con palazzo moderno e imponente sullo sfondo.
2) Persone che si muovono in prossimità dell'Hòtel de Ville di Cergy-Pontoise (scritta bianca su fondo blu).
3) Blanche, che sta telefonando nel suo ufficio e sta parlando di fondi del Ministero della Cultura, passa da un piano americano a una mezza figura con un leggero carrello in avanti.
4) Palazzo moderno ripreso in campo lungo. Nello spazio antistante poche persone.
5) Léa, in mezza figura, toglie un dischetto dal computer e lo ripone in un raccoglitore.
6) Palazzi e grattacielo con spazio antistante deserto.
7) Alexandre in piano americano sta chiamando dall'Azienda Elettrica la Direzione Impianti della Prefettura.
8) Via con edifici moderni e con pochissimi passanti.
9) Fabien si stacca da una macchina di laboratorio e avanza verso la macchina da presa in piano americano per prendere note in una cartella.
10) L'ingresso dell'Ecole National d'Art.
11) Cortile interno di un edificio moderno che sembra in fase di sistemazione.
12) Adrienne, in mezza figura, cerca di sovrapporre artisticamente due parallelepipedi.
13) Via della città attraversata da due passanti con cinguettio di uccelli.
14) Spazio con edifici moderni. Alcune persone lo stanno percorrendo.

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L'amicizia tra donne.
Recensione di Giancarlo Zappoli

Due ragazze molto diverse tra di loro, Blanche e Lea, diventano amiche. La prima è timida e riservata, mentre la seconda è disinvolta e brillante. Lea è fidanzata con un giovane, Fabien, che nel carattere assomiglia a Blanche. È con lei che questi finisce infatti per mettersi, durante una lunga vacanza di Lea, che tuttavia ben presto si consola con un giovane fatuo e affascinante quanto lei, del quale era innamorata Blanche prima di conoscere Fabien. Lo scambio dei partner avviene senza rimpianti né imbarazzi, al punto che le due coppie trascorreranno le vacanze insieme.

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Stefano Lo Verme

Blanche, una giovane impiegata che si è da poco trasferita nella cittadina di Cergy-Pontoise, nella periferia di Parigi, fa amiciza con Léa, una vivace studentessa di informatica. Mentre Léa è fidanzata con il coetaneo Fabien, Blanche si prende una cotta per Alexandre, un ingegnere dongiovanni conosciuto per caso in piscina, che però non sembra interessato a lei. Nel frattempo, Léa parte per le vacanze...
Sesto ed ultimo capitolo della serie Commedie e proverbi, L'amico della mia amica è il film che chiude un ciclo nella produzione del regista francese Eric Rohmer. Lo spunto narrativo della trama, in questo caso, deriva dal proverbio "Gli amici dei miei amici sono miei amici"; e la storia raccontata da Rohmer è costruita infatti sugli intrecci amorosi fra due coppie che hanno come perno le due protagoniste della pellicola: Blanche (Emmanuelle Chaulet), una ragazza timida e un po' impacciata, e Léa (Sophie Renoir), studentessa frivola ed estroversa, fidanzata con il giovane disegnatore Fabien (Eric Viellard). Intorno alle due amiche, Rohmer mette in scena un vero e proprio gioco delle coppie che si tramuterà in un'imprevedibile balletto di sentimenti, fra colpi di fulmine, infedeltà ed equivoci. Come gli altri protagonisti delle Commedie e proverbi, anche i personaggi di questo film sono giovani, confusi, alla ricerca di un difficile equilibrio affettivo lungo le strade impervie della passione. Blanche, in particolare, ricorda da vicino la Delphine de Il raggio verde: terribilmente insicura negli affari amorosi, prigioniera di un incessante senso di inadeguatezza, incapace di decifrare i moti del proprio cuore. Si sente attratta dallo yuppie Alexandre (François Gendron), ma intanto non si accorge che si sta innamorando di Fabien, il fidanzato della sua migliore amica; la quale, dal canto suo, è indecisa se restare con Fabien oppure lasciarlo. Sullo sfondo, per una volta, non troviamo Parigi, consueto scenario di tanti film rohmeriani, ma Gergy-Pontoise, moderna città-satellite costruita in vetro e acciaio, che costituisce il microcosmo nel quale si muovono, lavorano, vivono (e si identificano) i "giovani adulti" appartenenti alla nuova generazione.
Sintesi ideale dei precedenti capitoli delle Commedie e proverbi, L'amico della mia amica è una graziosissima commedia romantica che, dietro una superficie di apparente leggerezza, scava in profondità nell'universo dei sentimenti (soprattutto femminili). Il risultato è un film ironico e delizioso, che riesce a divertire e commuovere al tempo stesso, grazie anche all'incantevole interpretazione della protagonista (l'esordiente Emmanuelle Chaulet) e a dialoghi che hanno il sapore della realtà. In assoluto, una delle opere più felici nell'itinerario di Eric Rohmer.

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PUBBLICO
RECENSIONI DALLA PARTE DEL PUBBLICO
mercoledì 16 marzo 2011
fedeleto

Dopo essersi preso una pausa dal ciclo commedie e proverbi con reintte e mirabelle,rohmer torna a lavorare al ciclo.Stvolta la storia racconta l'amicizia e l'intrigo che ne nasce in maniera inaspettata.Blanche e lea si incontrano cosi per caso e incominciano a frequentarsi con amici,non appena blanche si innamora di alexandre ,lea tentera' di aiutarla,peccato che in realta' non tutto [...] Vai alla recensione »

mercoledì 19 giugno 2019
stefano capasso

Blanche e Lea sono due ragazze che vivono nella provincia di Parigi. Si incontrano casualmente e diventano amiche pur essendo molto diverse. Lea è fidanzata con Fabien mentre Blanche si innamora di un amico di Lea, Alexandre. La precarietà di queste relazioni affettive capovolgerà la situazione. Un film sulle relazioni di coppia questo di Eric Rohmer, sulla complessità [...] Vai alla recensione »

STAMPA
RECENSIONI DELLA CRITICA
Roberto Escobar
Il Sole-24 Ore

Un giovanissimo autore ha aperto la scorsa settimana la mostra di Venezia, e già il suo film è nelle nostre sale. Il giovane autore si chiama Eric Rohmer e ha sessantasette anni. L’amico della mia amica può non piacere a tutti, come in genere il cinema di Rohmer che forse molti rifiutano proprio per la sua giovinezza: e infatti è tenero e crudele, semplice e complesso, innamorato della superficie e [...] Vai alla recensione »

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