Anno | 2024 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | Gran Bretagna |
Durata | 215 minuti |
Regia di | Brady Corbet |
Attori | Adrien Brody, Felicity Jones, Guy Pearce, Joe Alwyn, Raffey Cassidy Isaach De Bankolé, Jonathan Hyde, Emma Laird, Stacy Martin, Alessandro Nivola, Peter Polycarpou, Michael Epp, Jaymes Butler, Nick Wittman, Natalie Shinnick, Jeremy Wheeler, Matt Devere, Stephen Saracco, Peter Linka, Rudolf Molnár, Zephan Hanson Amissah. |
Uscita | giovedì 23 gennaio 2025 |
Tag | Da vedere 2024 |
Distribuzione | Universal Pictures |
MYmonetro | 3,73 su 12 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento mercoledì 23 ottobre 2024
Una famiglia fugge dall'Europa per costruirsi una nuova vita in America. I loro sogni vegnono però ostacolati. Il film è stato premiato al Festival di Venezia, In Italia al Box Office The Brutalist ha incassato 4,4 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Tre decenni di vita dell'architetto ebreo László Tóth, emigrato dall'Ungheria negli Stati Uniti nel 1947, dopo essere stato detenuto nei campi di concentramento tedeschi. Gli inizi in America sono difficili, per le necessità economiche e l'impossibilità di poter portare con sé la moglie Erzsébet e la nipote Zsofia, ma grazie al cugino Attila, a László viene commissionata la ristrutturazione di una libreria dal milionario mecenate Harrison Lee Van Buren. Il lavoro di Tóth porta prestigio a Van Buren, che decide di affidargli un progetto mastodontico: la costruzione di un centro culturale e luogo di aggregazione, destinato a ospitare nello stesso edificio biblioteca pubblica, palestra e cappella. Durante il lavoro Tóth incontra molte difficoltà, per le diffidenze verso gli stranieri e per i continui tentativi di alterare il suo progetto originario, ma pur di difendere strenuamente il suo lavoro, arriva a investirvi parte dei propri profitti.
Girato in 70mm per 215 minuti di durata (con un intervallo di un quarto d'ora), The Brutalist è un'opera-monstre per proporzioni e ambizioni, che ha richiesto dieci anni di lavorazione prima di essere portata a termine dal suo autore, Brady Corbet (Vox Lux).
Un inizio frenetico ci introduce ai personaggi principali, riassumendo quanto avvenuto in Ungheria
durante e dopo la Seconda guerra mondiale, per lasciare poi spazio a un rallentamento
del ritmo e dello svolgimento cronologico della biografia di Tóth. Lo spettatore
approfondisce la conoscenza del protagonista e comprende il suo rapporto di speranza e
disillusione, amore e odio, con gi Stati Uniti d'America, luogo dell'accoglienza e terra degli
uomini liberi secondo la vulgata e la retorica comune, ma tempio del profitto e dell'ipocrisia
nella dolente realtà.
L'impatto con il continente rivela ben presto un retrogusto acre sotto
l'illusione del luogo dove tutto è possibile: Corbet sembra prefigurarlo inquadrando solo
con un'immagine ruotata di 90 gradi la Statua della Libertà, simbolo dell'accoglienza verso
gli stranieri approdati a New York. In Van Buren, László sembra aver finalmente trovato il
perfetto mecenate, un animo sensibile all'arte e disposto a lasciare la massima libertà
creativa all'artista magiaro. Dopo aver creduto alla generosità e alle belle parole spese da
Van Buren nei suoi confronti, però, Laszlo scoprirà il rovescio della medaglia: tra i due si
instaura una dinamica ambigua e altalenante, che simboleggia la relazione tra Usa e
Europa.
I primi ribadiscono con fierezza il proprio primato economico e di potere e la
capacità di ricavare un plusvalore da ogni cosa, ma lottano contro un atavico complesso di
inferiorità culturale verso la vecchia Europa (e in particolare quella giudaica e
mitteleuropea che farà fiorire tutte le arti statuintensi, a partire dal cinema). La dinamica di
potere e di abuso, personale e professionale, che si instaura tra i Van Buren e i Tóth si
nutre di queste tensioni insopprimibili, canalizzandole attraverso un progetto architettonico
irrealizzabile e per lungo tempo irrealizzato, che diventerà quintessenza dello stile
dell'ungherese. Lo spettatore scopre solo grazie all'epilogo molte ragioni, politiche e
personali, delle fissazioni dell'architetto, punti fermi su cui Tóth non è disposto a scendere
a compromessi.
La rivoluzione del Bauhaus e il cemento del brutalismo si impongono,
come in una rivoluzione copernicana, anche in Usa, sostituendo materiali più costosi e
rimuovendo l'intermediazione del ricorso al simbolico. Lo stile brutalista rappresenta la
realtà nuda, per come è, senza intermediazioni né ricorsi al simbolico. Questo non
impedisce di anelare verso il misticismo dell'assoluto, ma al contempo ricorda sempre di
cosa siamo fatti e quali limiti e tragici errori - come l'aberrazione dei campi di
concentramento, che influenza direttamente lil capolavoro di Tóth - caratterizzano il
percorso dell'uomo.
Tra le molte sottotrame, una parentesi girata a Carrara e in parte in
lingua italiana, e l'entusiasmo della comunità ebraica della Pennsylvania per la nascita
dello Stato di Israele, dove approderà Zsofia. Quella di Israele si prefigura come una
nuova Terra Promessa, come già era stata l'America per i migranti mitteleuropei: ancora
una volta illusoria e deludente rispetto alle aspettative, nel suo lascito per la posterità.
Notevole il cast, guidato da un Adrien Brody che torna ai fasti che gli permisero di vincere
un Oscar ai tempi di Il pianista.
Chi conosce Brady Corbet sa che è un giovane autore, mortalmente serio ed eurocentrico in modo quasi feticistico, affascinato dalla relazione ciclica tra cultura e trauma. Dopo un prologo frenetico in cui arriva negli Stati Uniti, sopravvissuto ai campi di concentramento, l'architetto ebreo ungherese László Tóth (Adrien Brody) incontra Harrison Lee Van Buren (Guy Pearce), mecenate e aguzzino personale [...] Vai alla recensione »
Nell'anno di Megalopolis, e ispirandosi a La fonte meravigliosa di King Vidor, la biografia immaginata di un architetto: László Tóth (Adrien Brody), ebreo emigrato da Budapest e sopravvissuto all'Olocausto, in patria star Bauhaus, negli States ultimo, accolto, tollerato, usato e abusato. Al centro, il rapporto con un milionario che gli propone un progetto smisurato.
Presentato in concorso alla 81ma Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, The Brutalist di Brady Corbet ha vinto il Leone d'argento per la Miglior regia. Lungometraggio in costume, il film racconta l'epopea, dal 1947 fino agli anni'90, dell'architetto ebreo László Tóth emigrato dall'Ungheria negli Stati Uniti e vede protagonista Adrien Brody al fianco di Felicity Jones e Guy Pearce.
The Brutalist è diventato subito quel che si dice «il film del festival» almeno nella bolla del Lido che si è divisa come accade sull'ambizioso progetto a cui Brady Corbet, il trentaseienne regista dell'Arizona, da piccolo attore in sit-com e opere d'autore - per esempio Mysterious Skin di Gregg Araki - lanciato dalla Mostra di Venezia con l'esordio L'infanzia di un capo (2015, Leone del futuro) ha [...] Vai alla recensione »
Materia grezza, questione di volumetrie che esprimono la loro nudità: The Brutalist di Brady Corbet (in Concorso a Venezia81) è uno di quei progetti che cercano se stessi nelle proprie dimensioni, si nutrono delle architetture che li sorreggono e in qualche modo rischiano di surclassare il loro stesso portato. Dieci anni di preparazione, girato in VistaVision 70mm (formato in cui è stato proiettato [...] Vai alla recensione »
Come Faust di Sokurov o The Tree of Life di Malick, ci sono film che hanno un effetto dirompente all'interno di un concorso, anche quando si tratta di Venezia o Cannes. Opere-mondo che colmano di senso lo schermo, la sala, la visione. Tra queste, non numerosissime, ci sembra di poter annoverare senza troppi ripensamenti anche la terza fragorosa regia di Brady Corbet, The Brutalist, pellicola dalla [...] Vai alla recensione »
Una montagna di cemento armato partorisce un topolino. Questo è The Brutalist di Brady Corbet, atteso in concorso. Tre ore e mezza di progetti architettonici e litigate nei cantieri da parte dell'amante del calcestruzzo László Tóth, architetto ungherese ebreo sopravvissuto a Buchenwald emigrato in Usa nel 1947. Costruirà edifici avveniristici col suo amato cemento in un'America gretta.
In un Concorso che finora zoppica, arriva un film che riaccende l'entusiasmo cinefilo, fin qui assopito, già in odor di premio ancora prima di iniziare e per il quale lo stesso Barbera a sorpresa si era sbilanciato. Di Brady Corbet, regista statunitense, proprio qui a Venezia abbiamo visto i suoi due primi film: il premiatissimo "L'infanzia di un capo" e il più divisivo "Vox Lux", ma lasciando comunque [...] Vai alla recensione »
Se c'erano ancora dubbi sulla smodata dose di talento, arroganza, ambizione dell'americano Brady Corbet, The Brutalist serve proprio a stagliarsi davanti ai nostri occhi senza mezze misure, in 70mm Vistavision, imponente e levigato come un tempio. Al suo terzo film da regista, l'autore di Vox Lux triplica le dimensioni e la magniloquenza, firmando un'opera - nel vero senso della parola - strutturata [...] Vai alla recensione »
VistaVision 70mm, 3 ore e 35 minuti di durata, un intervallo di 15 minuti con fotografia d'epoca (diegetica) utilizzata come sfondo per il countdown della pausa: The Brutalist è l'ambiziosa opera terza di Brady Corbet, di nuovo in gara a Venezia sei anni dopo Vox Lux, scritta come di consueto (fu così anche per l'esordio L'infanzia di un capo) con la moglie Mona Fastvold, sceneggiatrice e regista che [...] Vai alla recensione »
Il nuovo film dell'ambiziosa coppia formata dal regista ed ex attore Brady Corbet e dalla sceneggiatrice Mona Fastvold, nonostante nei crediti non venga mai dichiarato, è una libera reinterpretazione di La fonte meravigliosa, il romanzo del 1943 della scrittrice Ayn Rand (controversa ideologa del libertarismo americano), poi diventato un film diretto da King Vidor e interpretato da Gary Cooper.