Titolo originale | The Whale |
Anno | 2022 |
Genere | Drammatico, |
Produzione | USA |
Durata | 117 minuti |
Regia di | Darren Aronofsky |
Attori | Brendan Fraser, Sadie Sink, Hong Chau, Ty Simpkins, Samantha Morton Sathya Sridharan. |
Uscita | giovedì 23 febbraio 2023 |
Tag | Da vedere 2022 |
Distribuzione | I Wonder Pictures |
Rating | Consigli per la visione di bambini e ragazzi: |
MYmonetro | 3,11 su 40 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento venerdì 17 febbraio 2023
Tratto dall'opera teatrale di Samuel D. Hunter, la storia di un professore d'inglese che soffre di grave obesità e tenta di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente per cercare un'ultima possibilità di riscatto. Il film ha ottenuto 3 candidature e vinto 2 Premi Oscar, 1 candidatura a Golden Globes, 4 candidature a BAFTA, 4 candidature e vinto un premio ai Critics Choice Award, 2 candidature e vinto un premio ai SAG Awards, 1 candidatura a Producers Guild, In Italia al Box Office The Whale ha incassato 3,5 milioni di euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Charlie è un uomo obeso di una cinquantina d'anni. Vive solo, passa le giornate seduto sul divano tenendo corsi di scrittura online, guardando la tv e mangiando compulsivamente. Nella sua vita ci sono Liz, amica infermiera che si prende cura del suo stato di salute sempre più precario, e la figlia Ellie, diciassettenne che ha abbandonato quando era bambina per seguire l'amore della sua vita, Adam, il cui successivo suicidio è alla causa della sua obesità. Sentendo la morte avvicinarsi Charlie decide di spendere il tempo che gli resta per riconciliarsi con Ellie, la quale non gli ha mai perdonato la sua scelta...
A 14 anni di distanza dal Leone d'oro per The Wrestler e dopo i passaggi di Il cigno nero e Madre!, Aronofsky torna in competizione a Venezia con la trasposizione di una pièce teatrale di Samuel D. Hunter, scritta e messinscena nel 2012.
Tra la Bibbia e "Moby Dick", attraverso il lavoro del commediografo Hunter (che firma la sceneggiatura), in The Whale Aronofsky riprende il tema per lui abituale della deriva fisica come tramite dell'ascensione e della redenzione spirituale. In questo nuovo film, interamente ambientato (a parte una breve sequenza onirica) nell'appartamento ingombro d'oggetti e di cibo del protagonista - un luogo anche al cinema predisposto come un vero e proprio palcoscenico - tutto ruota attorno al corpo fuori scala di Charlie, qui interpretato da Brendan Frazer: ingombrante, osceno, "disgustoso", come si sente dire più volte nel film. Nascosto agli occhi dei suoi studenti, ai quali fa lezione senza videocamera, l'ex professore universitario che ha perso l'amore (del suo compagno, della sua famiglia, di sé stesso) e si è abbandonato a una fame insaziabile e a una morte certa, negli ultimi giorni di vita accetta che di mostrare la sua figura e aprire la sua casa alle persone che ancora gli restano: Liz, l'unica a stargli vicino dopo la morte di Adam (di cui era la sorella), Ellie, l'ex moglie Mary e anche Thomas, un giovane missionario entrato per caso nell'abitazione in un giorno di pioggia. È lui, Charlie, come suggeriscono i continui richiami del testo a "Moby Dick", la balena bianca, l'espressione, cioè, di un male inesplicabile, la parte oscura di sé stessi in questo caso finita spiaggiata su un divano, a masturbarsi guardando film porno, a mangiare pizza consegnata sul pianerottolo, con l'ipertensione e il cuore vicino al collasso. Ed è lui, ancora, come dice Thomas allo stesso Charlie, l'uomo della Bibbia che ha fatto della sua libertà un'occasione per vivere secondo la carne, rinunciando apparentemente all'amore. Eppure, tra questi due testi alla base della cultura americana, Charlie sa di aver generato il suo corpo deforme (interamente realizzato con trucchi prostetici applicati al fisico possente di Frazer) proprio per amore - o meglio, per mancanza d'amore - e che dunque in lui c'è una contrapposta spinta al bene e alla redenzione; un'anima divisa in due che conferma la natura intimamente religiosa (se non propriamente cristologica) dei personaggi di Aronofsky.
Le due ore di The Whale - film pensato e realizzato durante le restrizioni per la pandemia, come dimostra la sostanziale unità di spazio - raccontano dunque l'ultima settimana di passione di un uomo finito, il suo tentativo di compiere finalmente del bene. E lo fanno in maniera concitata, iper-dialogata, eccessiva a livello di recitazione (soprattutto da parte della giovane Sadie Sink di Stranger Things, mentre Frazer è inevitabilmente più trattenuto) e più scontata a livello di messinscena. Aronofsky sceglie infatti il formato semi-quadrato per costringere il corpo di Charlie nelle inquadrature, ma muove spesso la macchina da presa con morbide carrellate togliendo perciò rigore al suo film. E l'inevitabile accelerazione drammatica del finale, con una conclusione dai toni decisamente eccessivi, sgancia il film dalla tradizione letteraria e culturale americana, privando Charlie della sua unica forza, vale a dire la consapevolezza del suo corpo anche nei momenti d'abbandono, e consegnandolo finalmente libero a un destino in realtà posticcio.
THE WHALE disponibile in DVD o BluRay |
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Charlie è un uomo obeso, che ha deciso di lasciarsi andare dopo il suicidio del suo compagno, Adam. Per il quale aveva lasciato la moglie e la figlia, Ellie, quando aveva solo 8 anni. Ad accudirlo solo Liz, una infermiera premurosa con lui. Non vuole farsi vedere da nessuno, né dagli studenti universitari con cui tiene un corso di scrittura in conference call con la webcam spenta, né dal ragazzo delle [...] Vai alla recensione »
Il film si apre con l’immagine di alcuni studenti online durante una lezione di scrittura creativa, il riquadro centrale è nero perchè non c'è telecamera, si ode la voce pacata e gradevole del professore, appassionata a ciò che sta spiegando. Terminata la lezione ,vediamo il corpo in cui dimora quella voce, una massa di oltre 250 kg di strati di grasso sovrapposti [...] Vai alla recensione »
The Whale conserva alcuni dei tratti di scrittura archetipici di Aronofsky, ma ci fa un regalo immenso: lasciare spazio alle storia. A quella di Charlie, prima di tutto, di purezza e redenzione, a quella delle famiglie e del loro potere salvifico, e a quella di un regista che si avvicina allo spettatore come mai aveva fatto prima. The Whale è un film ricchissimo di stratificazioni, pessimista, [...] Vai alla recensione »
The whale è un film talmente intenso da essere impossibile da raccontare. Dopo dieci minuti di visione avevo pensato di abbandonare la sala cinematografica, il senso di angoscia reso da questo uomo obeso mi aveva messo in difficoltà. Il giorno dopo, durante un lungo viaggio in macchina, non riuscivo a non pensare a questo film, all’intenso finale, ai continui richiami al capolavoro [...] Vai alla recensione »
Film che lascia un velo di pesantezza sul cuore, dovuto all'apparente immobilità degli accadimenti e alla rinuncia dello spirito del protagonista Charlie. Tutto questo è reso bene dalla scenografia lenta e ambientata tutta nell'appartamento di quest'ultimo, dalla fotografia cupa, dai dialoghi prolissi e profondi, dai costumi spenti.
All’inizio sembra un episodio di Vite al limite questo The Whale di Aronofsky girato claustrofobicamente tutto in un anonimo appartamento di una piccola cittadina dell’Idaho. La cinepresa ruota intorno all’enorme massa centripeta del corpo del protagonista, un Brendam Fraser trasformato prosteticamente in un professore di letteratura online super obeso divoratore di pizze della catena Gambino.
Quest'anno molti degli Oscar (ben 7!) sono stati dati a vanvera e senza alcun criterio a un film idiota come "Everything everywhere all at once", meritatissimo invece l'Oscar come miglior attore protagonista a Brendan Fraser per questo "The whale". La storia è quella di un professore di letteratura gravemente obeso che impartisce lezioni on line ai suoi studenti senza [...] Vai alla recensione »
La balena umana di Brendan Fraser, vincitore come migliore attore agli ultimi Oscar è imponente, maestosa, invade lo schermo delle due ore della pellicola col suo quintale e mezzo di flaccida carne materica. Maschera umana di reclusione forzata, cristologicamente avvinto a una visione di martirio, a cui si lascia andare dentro una stanza buia e polverosa, Charlie, vive in casa recluso, [...] Vai alla recensione »
Un film straziante e anti- conformista: il regista usa come pretesto la sofferenza del protagonista per mettere in scena un'opera mondo sull'esistenza. Aronosfky aveva già diretto film in cui la storia passava in secondo piano e qui firma il suo capolavoro. Ci sarebbero un'infinità di chiavi di lettura da analizzare; il martire che incarna i mali della società, il ruolo egemone del capitalismo negli [...] Vai alla recensione »
The Whale è un film del 2022 scritto e ideato da Samuel D. Hunter e diretto da Darren Aronofsky. Il film esplora le vicende di un uomo che soffre di obesità, tanto da non potersi muovere di casa e passa il suo tempo facendo corsi di scrittura online e aspettando il rifornimento di cibo dalla sua amica infermiera finchè scopre che gli rimangono pochi giorni di vita.
Quanso il carico di aspettative è molto alto, spesso il risultato lascia l'amaro in bocca. Con The Whale ha funzionato proprio così. Il film non delude in sé, sia chiaro, è una trasposizione di piece teatrale ben costruita, ottimamente recitata, ma....il risultato finale è un dramma che non scuote, non commuove, non angoscia.
E' spiegato da addetti al lavoro di commentatori cinematografici che Aronofsky voleva da 10 anni trasporre in film l'opera teatrale di Samuel D. Hunter (la cosa l'ho letta ma la mia personale incultura è enorme) o che sarebbe una rielaborazione del rapporto padre-figlia di The Wrestler (famoso ma non visto, di lui conobbi solo Il Cigno Nero).
Come ho scritto nel titolo, avevo troppe aspettative prima della visione di questo film, e sono consapevole del fatto che la mia recensione va controcorrente rispetto a quelle pubblicate finora. I motivi per cui il film non mi è piaciuto, presi singolarmente sono banali, forse un pò stupidi, dettati dalla mia pignoleria, ma sommati tutti insieme hanno contribuito al giudizio negativo, [...] Vai alla recensione »
Sono rimasta incollata alla televisione per quasi due ore, con il cuore in preda alle emozioni più profonde. Il protagonista è eccellente, ma l'intero film lo è e permette allo spettatore di toccare i più svariati temi dell'esistenza. Sono una donna che soffre di disturbi alimentari e, per la prima volta, ho visto, riflesso su uno schermo, la dignità della [...] Vai alla recensione »
Ottima interpretazione dell'attore protagonista indubbiamente, cosí come della figlia malvagia, ma qualcosa in questo film non mi convince. Direi che dall'arrivo della moglie nella casa prigione viene messa troppa carne al fuoco. Sembra ridursi tutto a una questione di soldi. L'ultima inquadratura con il finale surreale poi non mi è piaciuta affatto. Per me un film non perfetto
L'elegia della deresponsabilizzazione totale. L'intelletto usato ai soli fini dell'ego e dei bassi istinti più miserabili. Il tutto ben mascherato da difesa dei "diritti", dal sovvertimento vomitevole del concetto di "amore", e dal puntuale attacco alla religione (che poi non è altro che la stessa schifezza qui rappresenta).Perché la colpa è della religione, non certo della propria condotta ostinatamente [...] Vai alla recensione »
Aronofsky riesce sempre a far emozionare. Questo è il cinema
Charlie ha abbandonato la moglie e la figlia di 8 anni, per coronare il suo amore con un nuovo compagno. Il suicidio di quest'ultimo lo fa sprofondare in una spirale dolorosa di autodistuzione. Arrivato alla fine dei suoi giorni, cerca la riconciliazione con la figlia, giustamente incazzata con lui. Tra poesiole di Withman, citazioni del Moby Dick, ha la pretesa di insegnare agli altri cosa sia [...] Vai alla recensione »
E’ un gran film, interpretato in modo straordinario da tutti gli attori, a cominciare da Brendan Frazer, che fa uscire l’anima di un personaggio che ti entra nel cuore, sebbene faccia di tutto per rendersi sgradevole. C’è tantissimo in questo film, amore, religione, letteratura, sensi di colpa, solidarietà, riscatto…. Pur svolgendosi interamente in un appartamento mi ha tenuto attaccato alla poltrona [...] Vai alla recensione »
C’è una porta che divide la casa di Charlie con l’esterno. È quella da dove entrano ed escono i personaggi nella vita di Charlie: l’infermiera Liz, la figlia Ellie, il giovane missionario della New Life Church e l’ex moglie Mary. C’è invece una finestra sul pc che separa Charlie dai suoi studenti. Si sente solo la sua voce ma il suo volto non si vede mai perché tiene sempre la webcam spenta.
Forse The Whale è un film di fantasmi. Ci sono quelli che segnano la vita dei protagonisti del cinema di Aronofsky, dal wrestler professionista che si è ritirato dalle scene di The Wrestler alla ballerina di Il cigno nero. Perché anche The Whale è un film sul corpo, quello obeso di Charlie dove l’incredibile performance di Brendan Fraser lascia emergere tutta la sua fatica fisica nel movimento (non riesce spesso ad alzarsi) ma mette soprattutto a fuoco le cicatrici che lo hanno segnato così profondamente. Come nel caso di Mickey Rourke in The Wrestler, viene avvolto dai fantasmi del passato. Ma a differenza di quel film, Aronofsky accentua un cinema di parola che deriva dall’omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter del 2012.
Lo spazio dell’appartamento è chiuso e diventa ancora più claustrofobico nel rapporto con Charlie che non solo è confinato lì ma è diventato quasi prigioniero del luogo dove vive. Dall’esterno si sente spesso il rumore della pioggia, che segna il ritmo di un’attesa incombente simile a quella dei film terminali. La fotografia di Matthew Libatique sottolinea continuamente questo stato di sospensione da parte del protagonista.
La luce è sempre la stessa. Nulla sembra cambiare più nella vita di Charlie. Ma quasi ogni dialogo è un confronto serrato, una scena madre, un’accentuazione o una possibile risoluzione di un conflitto. Sì, c’è sempre quella porta da cui i personaggi entrano ed escono. Ma lo spazio di Aronofsky è impermeabile. Sotto questo aspetto The Whale è il film che forse guarda più da vicino l’Hollywood degli anni ’40 e ‘50 dove non c’è più separazione, distanza, tra teatro e cinema.
Il cineasta prende la strada tracciata nel passato, per esempio, da William Wyler o Joseph L. Mankiewicz. Come loro, punta sulle performance dei suoi protagonisti. Fraser è una possibile reincarnazione dal passato, in versione maschile, di Bette Davis (Piccole volpi, Eva contro Eva) o Katharine Hepburn (Improvvisamente l’estate scorsa). I movimenti nell’appartamento seguono l’itinerario del palcoscenico. È solo una casa? È solo lo spazio teatrale? Sono entrambe le cose? Ma è attraverso i dialoghi, sempre più incalzanti, che si ha l’illusione di vedere il passato dei protagonisti attraverso flashback immaginari: la figlia piccola di Charlie che è dovuta crescere senza il padre; il lutto che ha segnato il protagonista.
The Whale lascia esplodere tutta la potenza verbale del testo d’origine. In un film così apparentemente geometrico, lo fa invece in modo istintivo e si può già vedere dal modo in cui Fraser domina la pesante protesi attorno al suo corpo per accentuare la sua obesità. E trasforma i personaggi, le loro storie private e fa tornare progressivamente a galla la loro memoria personale. Apparentemente più controllato, il ‘cinema classico’ di Aronofsky si sgretola invece sotto i nostri occhi. Proprio come accadeva a Wyler e Mankiewicz.
Nel 2011 a presiedere la Giuria del Concorso Venezia 68 della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografico fu chiamato Darren Aronofsky. Reduce dal successo ottenuto da Il cigno nero, concorrente l’anno precedente, e ancora prima dalla vittoria del Leone d’oro da parte di The Wrestler (2008), il regista newyorkese rappresentava un polo d’attrazione fatale e di irresistibile carisma per i frequentatori del Lido. La domanda era ovvia: su quale concorrente potranno orientarsi i gusti di Aronofsky? Che in sintesi più perentoria si traduce con: “Cosa mai piacerà a quel genio pazzoide di Aronofsky?”
In coerenza alla propria indole ribelle, il primo passo che Darren fece da presidente fu quello di iniziare a frequentare le “notti” organizzate dall’allora Teatro Valle Occupato presso una struttura abbandonata non lontana dalla zona festivaliera. Trascurando magari le feste ufficiali. Il secondo passo - decisamente più trasgressivo - fu quello di parlare dei film in concorso che man mano vedeva proiettati e di cui avrebbe decretato le sorti.
Chi scrive fu casualmente “oggetto” di alcune confidenze dell’allora presidente di Giuria veneziana proprio in alcune delle “notti” d’intrattenimento culturale off festival organizzate dal Valle Occupato.
A 12 anni di distanza da quelle serate di fine estate, la notizia ha perso ogni suo valore di gossip (posto ne avesse), ma il ricordo più indelebile e oggi pertinente tra quelle parole segrete fu questo: Aronofsky era rimasto letteralmente sconvolto e profondamente turbato dalla visione di Shame di Steve McQueen, che concorreva e avrebbe vinto il Leone d’argento per la straordinaria interpretazione di Michael Fassbender. Al punto da associarlo e metterlo in parallelo, financo a confronto, con il proprio Requiem For a Dream (2000). Difficile - impossibile, visto il contesto - mi fu rispondere alla domanda “Ti ha sconvolto di più Shame o il mio Requiem?”.
Lasciando i ricordi ed entrando nel merito della poetica tematico/formale del regista di cui oggi celebriamo The Whale, quell’episodio risuona da elemento rafforzativo di una convinzione: Darren Aronofsky è letteralmente ossessionato dal corpo, il cerchio magico entro e attorno a cui ruota la sua Visione-di-mondo. Tra simbologie, metafore, allegorie, sacralità, e variegate pluralità funzionali e semantiche di cui si può rivestire il “segno” somatico, è indubbio che per il cineasta nato nel febbraio del 1969 la corporalità rappresenti la metonimia dell’esistenza problematica, il microcosmo cui afferiscono le criticità (e tossicità) della vita, anche qualora siano rivestite da sacralità e conoscenza.
L’immensità corporea del protagonista di The Whale ne è la versione extra-large, ma di fatto non differisce da quelle esibite nell’intera filmografia del cineasta, una opus indubbiamente nutrita da eccezionale coerenza interna.
Come gli altri “corpi” messi in scena nel suo cinema, The Whale è il soma ferito, “intossicato” dalla distorta conoscenza gnoseologica, ovvero - per semplificazione - che partecipa all’atto esperienziale del conoscere stesso, nel bene e nel male. Diversamente, ma pur sempre danneggiato e “corrotto”, è il corpo delirante di Max ne π - Il teorema del delirio (1998), così come i corpi “guasti” e amputati di Sara, Harry e Marion di Requiem For a Dream, quello rovinato di The Wrestler, il corpo maniacale de Il cigno nero. E problematici, a loro modo, sono anche i corpi “sacralizzati” di Madre in Mother! (guarda la video recensione) (2017) e dell’eponimo Noah (2014), impossibilitati dall’uscire dal proprio ruolo, che partecipa fisicamente alle conoscenze, sorti e sofferenze del genere umano e animale. The Whale è morente anche perché rifiuta ogni salvezza dal proprio autolesionismo, un’altra delle caratteristiche di diversi corpi aronofskyani.
Non v’è alcuno stupore, dunque, nel turbamento provato da Aronofsky davanti al film Shame del collega britannico: quel corpo sessuomane, imprigionato in una sofferenza tossica, poteva appartenere a pieno titolo a un suo personaggio, poteva essere il protagonista di un suo dramma, il vibrante tassello di un mosaico liturgico-ossessivo sospeso tra la vita e la morte, che negli anni ha contagiato di irresistibile dipendenza anche il pubblico cinematografico.
Il cinema di Darren Aronofsky può essere descritto e aggettivato in vario modo, tuttavia se c’è una costante in tutte le sue opere, diverse tra loro, è l’attenzione maniacale al corpo dei protagonisti. Si potrebbe anche dire che ogni suo film è di fatto un corpo a corpo, con la carne dei suoi personaggi, con il tormento delle loro anime, con la carta della letteratura.
Lo è di sicuro il potente e memorabile The Whale, ritratto titanico di un uomo-pachiderma, malato di obesità fino al punto di essere terminale. Un processo di autodistruzione lo ha logorato giorno dopo giorno, a seguito di un trauma che lo ha segnato in modo indelebile. È anche un professore di letteratura, di quelli appassionati alla L’attimo fuggente, capace di motivare i suoi studenti come pochi al mondo. Il corpo del testo può salvare, là dove la carne cede al logorio del tempo, pare voler dire Aronofsky, specie nelle scene in cui il suo protagonista – un eccezionale Brendan Fraser, per cui ogni superlativo è addirittura limitativo – sta per esalare l’ultimo respiro e ogni volta a salvarlo è la ripetizione a memoria di un elaborato su Moby Dick di Melville.
Le parole, quelle sincere, che vengono dall’anima, hanno il potere di salvare. Non è la prima volta che Aronofsky si concentra sul binomio malattia – letteratura, corpo sofferente da una parte e catarsi tramite scrittura dall’altra: già L'albero dela vita (The Fountain) si giocava tutto su questo. Certo, i toni del film, visionario e mal compreso dai più, erano ben diversi, ma anche lì c’era una malattia terminale che solo la letteratura aveva il potere di salvare.
Nessuna salvezza è prevista invece per il corpo dei protagonisti della cinematografia di Aronofsky: sofferenti, torturati dall’interno, sono corpi maltrattati quelli che svettano al centro dei suoi film. Lo è certamente quello della ballerina malata di perfezionismo Natalie Portman in Il cigno nero, con i piedi squassati e pieni di ferite. Lo è ancor di più quello di Mickey Rourke in The Wrestler, con il cuore pervaso di fitte doloranti e la pelle attraversata da cuciture da sparapunti, ferita da uno scatto di rabbia consumato sulla lama di un’affettatrice.
Entrambi hanno in comune, oltre alla passione esagerata per quello che fanno, l’ostinazione ad arrivare fino in fondo. Malgrado i limiti del proprio corpo. Sono anzi i primi a massacrarlo, a distruggerlo, a piegarlo ai loro scopi tormentati. Per questo il loro gran finale non può che essere un lancio nel vuoto: Il cigno nero in quello che sarà il suo ultimo volo “perfetto”, The Wrestler nel lancio in quella che sarà la sua ultima mossa sul ring, The Whale in un salto in piedi, impossibile per un uomo di 300 chili, che è anche un salto nella memoria per ripercorrere l’attimo più bello di un’intera esistenza.
Un’altra costante narrativa per Aronofsky sin dal suo primo film è l’inesorabilità del destino dei protagonisti, unita a un’onestà estrema nel raccontarli che sfiora a volta il sadismo visivo: non risparmia mai nessun dettaglio ripugnante al suo pubblico, nessuna ferita, nessun sangue, nessuna conseguenza devastante di condotte poco ortodosse (il junk food, come la droga) sui corpi dei suoi protagonisti. Risale al 2000 Requiem for a dream, tra i film più fisicamente dolorosi mai stati girati: impossibile dimenticare l’infezione al braccio incancrenito del tossicodipendente interpretato da Jared Leto, così come l’ossessione per il cibo di Ellen Burstyn, che cade nella trappola di una dieta veloce a base di anfetamine.
Ventitré anni dopo, Aronofsky mette in scena un altro personaggio ossessionato dal cibo, che è doloroso seguire nella sua estrema difficoltà di movimento, nel respiro affannato, soffocato da tutti quei chili addosso. Lui però non ha alcuna intenzione di dimagrire, né di prendersi cura di sé: per The Whale mangiare serve a sanare una ferita impossibile da rimarginare e riempire un vuoto impossibile da colmare.
Malgrado lui divori pizza, sandwich, pollo fritto e qualunque cosa gli capiti a tiro, la mancanza che sente della persona che ama (il compagno, come sua figlia) sarà impossibile da superare. Come puntualmente accade con i personaggi dei film di Aronofsky, saranno proprio i corpi, testimoni di scelte sbagliate portate all’estremo, ad avere la meglio sulle anime tormentate che li hanno maltrattati per tutta la vita.
Il regista americano Darren Aronofsky ama i perdenti. E non deve necessariamente trasformarli in vincenti: gli è sufficiente offrire loro una possibilità di redenzione. Il paragone più immediato in questo senso è quello fra due suoi film, The Wrestler, Leone d’oro alla 65esima Mostra del cinema di Venezia nel 2008, e The Whale, in Concorso alla 75esima edizione della Mostra nel 2022.
Il primo era la storia di un wrestler professionista, Randy “The Ram” Robinson, molto malridotto, che dopo il successo anni Ottanta si è ritrovato ai margini dello sport e a vivacchiare prestandosi a spettacolini di provincia e raduni di nostalgici. Randy si è separato dalla moglie e ha interrotto i rapporti con la figlia Stephanie, e ora, dopo un infarto, non può più neanche combattere e fa il commesso nel reparto salumi di un supermercato.
The Whale è la storia di un professore universitario, Charlie, che interagisce con i suoi studenti solo online e a telecamera spenta perché non vuole che vedano la sua situazione deprimente: è infatti un grande obeso che riesce a stento ad alzarsi dal divano e ingurgita quantità enormi di cibo spazzatura, in preda ad un furore autodistruttivo che ha le sue radici nella scelta passata di abbandonare la moglie per un nuovo amore.
Con l’allontanamento dalla casa coniugale, Charlie ha perso anche il rapporto con la figlia adolescente Ellie, e ora che sente di essere vicino alla fine a causa dei suoi problemi di cuore legati al sovrappeso vorrebbe riavvicinarsi a lei, ma incontra solo ostilità da parte della ragazza.
Randy e Charlie sono due perdenti, due uomini fabbri della propria sfortuna e infelicità, ma che non hanno abbandonato una natura profonda empatica e gentile, e manifestano un enorme bisogno di amore, da dare e da ricevere. Aronofsky non prepara per loro una rinascita gioiosa e un futuro da vincenti, modello Rocky per capirci, e tuttavia presenta loro un modo per riscattarsi, soprattutto agli occhi di quelle figlie abbandonate e ora rancorose che non si fidano più dei propri padri.
La redenzione di Randy e Charlie avviene proprio attraverso il loro amore paterno, che non cambia le circostanze fallimentari delle rispettive vite, ma apre la porta ad una possibilità di riscatto, e forse ad una dignitosa uscita di scena.
La tenerezza con cui Aronofsky racconta questi perdenti, che fanno tornare alla mente il Terry Malloy di Fronte del porto, è la stessa con cui Mickey Rourke, ex pugile (oltre che attore) suonato dalla vita e quasi scomparso dalle scene cinematografiche, e Brendan Fraser, realmente sovrappeso (anche se ben lontano dal gigantismo con cui appare in The Whale grazie a protesi e trucco) e altrettanto reduce da un progressivo declino di popolarità e presenza cinematografica, interpretano i ruoli di Randy e di Charlie, consentendoci di immedesimarci nel loro smarrimento esistenziale e nella loro straziante ricerca di perdono.
Ed entrambi i film appaiono come un antidoto all’ottimismo yankee e alla regola dell’happy ending, conservando il coraggio di raccontare la vita come è, non come la vorrebbero i suoi antieroi.
Quando vedemmo il film per la prima volta, alla Mostra del cinema di Venezia, lo scorso settembre, lo capimmo subito. Capimmo subito che si era di fronte a un film potente, squassante, sconvolgente. Che poteva dividere. Ma che per quanto riguarda chi scrive – cerco di andarci piano – è uno dei film più belli visti negli ultimi dieci anni.
The Whale, la balena. Un insegnante di Letteratura, che ha la voce profonda, che dice cose argute e interessanti. Ma che vive spiaggiato su un divano. Prigioniero di un corpo che si è gonfiato a dismisura, dopo un dolore personale fortissimo e lacerante. È come se quell’uomo fosse malato di un tumore: ma non in un organo preciso: il tumore è il suo stesso corpo, tutto intero. E alla lezioni online, la sua finestra di Zoom è un rettangolo nero. Dentro quel nero, nel fondo del fondo del pozzo, c’è lui.
Lui che al fondo di tutto, ai suoi allievi, chiede – intima, implora forse – “scrivete qualcosa di vero”. Non importa che cosa, non importa che sia in una forma elegante. Importa che sia qualcosa di vero. E io in questo film su un inguardabile grassone sudato di trecento chili ci trovo molto di vero.
Quanti di noi, anche senza pesare trecento chili come il protagonista di The Whale, sono spiaggiati in qualche modo, bloccati sopra un divano da cinghie invisibili. Quanti di noi hanno oscurato la propria finestra di Zoom o quella che ci permette di affacciarci al mondo. Quanti di noi sono incapaci di alzarsi, di presentarsi al mondo, di fare qualcosa di veramente grande, per colpa di una vergogna. Quanti di noi muoiono dentro, sperando di fare nella vita almeno una cosa buona. Quanti sono prigionieri del proprio sfascio: ma su Zoom, o su Facebook, o su Instagram, cercano di esibire una versione di sé accettabile, divertente, diversa dalla verità.
Prigioniero del suo sfascio, quest’uomo sa che cosa gli fa male: mangiare. Ma lo fa lo stesso. Come tutti noi, che ripetiamo mille volte gli stessi sbagli, che perseveriamo nelle stesse perversioni, nel cibarci o negli approcci sbagliati con gli altri.
Ma la nota rivoluzionaria di questo film è la vergogna che prova quest’uomo per la propria miseria umana. Un uomo intelligente, divertente, profondo, che ama il linguaggio e la creatività, e che tuttavia è diventato un corpo perso nel mare della sua stanza. Un corpo che si nutre di ricordi e di cibo, mentre la vita è qualcosa andata via, non c’è più, ma c’era. Charlie alimenta la sua malinconia – mostro vorace – ingurgitando cibo fino all’inverosimile, in una deriva inarrestabile. In un modo che ricorda il personaggio di Bonnie, la madre di Johnny Depp e Leonardo DiCaprio in Buon compleanno Mr. Grape di Lasse Hallström, obesa da quando il marito si era suicidato, diciassette anni prima, e arenata sul divano.
Charlie è un uomo obeso di una cinquantina d'anni. Vive solo, passa le giornate seduto sul divano tenendo corsi di scrittura online, guardando la tv e mangiando compulsivamente. Nella sua vita ci sono Liz, amica infermiera che si prende cura del suo stato di salute sempre più precario, e la figlia Ellie, diciassettenne che ha abbandonato quando era bambina per seguire l'amore della sua vita, Adam, il cui successivo suicidio è alla causa della sua obesità. Sentendo la morte avvicinarsi Charlie decide di spendere il tempo che gli resta per riconciliarsi con Ellie, la quale non gli ha mai perdonato la sua scelta...
Presentato in concorso all'ultima Mostra del Cinema di Venezia e acclamato con oltre sei minuti di applausi per la straordinaria performance del protagonista Brendan Fraser, il film The Whale, diretto da Darren Aronofsky, è candidato a 3 Premi Oscar. Nell'intervista realizzata a cura di Sonia Serafini, incontriamo il protagonista Brendan Fraser e lo sceneggiatore Samuel D. Hunter che ha scritto anche l'opera teatrale da cui è tratto il lungometraggio.
Distribuito da I Wonder Pictures, The Whale uscirà al cinema giovedì 23 febbraio.
Alla vigilia del millennio, Brendan Fraser è una star. Nel 1999, La mummia lancia in orbita la sua carriera. L’attore ha trent’anni e un ruolo intrepido: una sorta di Indiana Jones, più ludico, che vince due sequel (La mummia - Il ritorno, La mummia - La tomba dell’imperatore Dragone) e il cuore degli spettatori. Questa trilogia esplosiva e generosa diventa il culmine di una professione iniziata anni prima al college e approdata a Hollywood al fianco di due debuttanti de luxe, Matt Damon e Ben Affleck (Scuola d’onore).
L’esordio è ‘drammatico’ ma il fisico cartoonesco, dominato da due occhi rotondi come biglie che brillano per una lacrima trattenuta o per una qualunque gioia, lo avvia naturalmente verso un cinema burlesco (Il mio amico scongelato, Looney Tunes: Back in Action). Se Christophe Lambert, una generazione avanti, aveva incarnato un Tarzan romantico e diviso tra due civiltà, ugualmente feroci, Brendan Fraser è un grande enfant sauvage, scarmigliato e maldestro, lontano insomma dall’aristo-primate di Hugh Hudson (Greystoke - La leggenda di Tarzan signore delle scimmie).
Parodia della creatura di Edgar Rice Burroughs, George re della giungla è un altro passo rocambolesco verso il successo che arriva dentro un Egitto misterioso e condiviso con Rachel Weisz, il testimone rosa passerà poi a Maria Bello. L’attore assume con nonchalance il piacere old school della trilogia di Stephen Sommers, una risorsa di piacere inestinguibile tra putrefazioni e resurrezioni. Con il suo imponente corpo da blockbuster e un misto di sicurezza e candore passa alla grossa commedia, perfettamente a suo agio nel costume di pagliaccio gaffeur, come nei panni del salvatore del mondo.
Sullo schermo e nella vita le cose vanno a gonfie vele. Davanti a un barbecue ‘acceso’ da Winona Ryder, incontra la futura consorte, Afton Smith. L’amore è servito con l’hamburger, seguono tre figli e due sequel. Tre mummie dopo, la felicità è totale. E poi più niente, o quasi. Improvvisamente tutto crolla come un castello di carta. Senza smettere di lavorare, l’attore scompare nelle pieghe di Hollywood.
«Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne, per vivere secondo la carne; poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete» (Romani, 8:12). Quando Thomas, un ragazzo in fuga dai genitori che finge di essere in missione per conto della New Life Church, si avvicina a Charlie con in mano una Bibbia rossa [...] Vai alla recensione »
Di cosa parla The Whale, il film per cui Brendan Fraser è tra i possibili candidati agli Oscar nella migliore interpretazione maschile? Di un uomo chiuso in casa che ha deciso di abbandonare il mondo ammazzandosi un po' alla volta di cibo. Il suo corpo è grasso, sfatto, malato, distrutto da questa ostinata ossessione di obesità mortale. Fine consapevole, perseguita, cercata come calvario, e non come [...] Vai alla recensione »
Musa di Aronofsky è da sempre la dismisura, l'eccesso, l'accumulo. A volte gli ispira opere struggenti come "The wrestler", a volte baracconate pretenziose come "Mother! ". Stavolta il risultato è una via di mezzo, perché tutto è caricato sulle spalle mostruose di quel mostro di bravura che è un Brendan Fraser da Oscar, la "balena" del titolo: un obeso di 250 chili spiaggiato sul divano a tenere lezioni [...] Vai alla recensione »
Non è una casa, quella in cui vive Charlie. È una caverna, una tana, un covo. Poca luce, aria pesante, odore di secrezioni corporali. Obeso in modo inverosimile, quasi incapace di muoversi e di spostare i suoi 300 Kg nello spazio angusto del suo bilocale, Charlie vive sprofondato in poltrona, si muove a fatica su una sedia a rotelle e comunica con il mondo esterno solo con il computer.
Un cetaceo umano sfatto, flaccido, strisciante tra divani e poltrone. Nella perenne penombra di una casa/caverna la voce del professor Charlie impartisce corsi di scrittura online a telecamera (giocoforza) spenta. Recluso volontario, nessuno deve vederlo: i suoi 266 chili disgustano prima di tutto sé stesso, ma l'autodistruzione procede implacabile tra cartoni, barattoli, stoviglie sporche e altri [...] Vai alla recensione »
Charlie è un professore universitario le cui lezioni si svolgono esclusivamente online. Pesa oltre 250 chili ed è ormai recluso in casa chiuso a ogni rapporto con il mondo esterno, a eccezione di Liz, amica infermiera che gli tiene compagnia e lo supporta con le poche medicine che accetta di prendere. The Whale, in italiano La balena, rimanda in modo evidente a Moby Dick, famoso romanzo di Herman Melville, [...] Vai alla recensione »
Lezione di scrittura via Zoom, sullo schermo del pc i volti degli studenti, il prof tiene la webcam spenta. Charlie non vuole essere visto perché pesa quasi 300 kg. Vive solo, una donna va a trovarlo ogni giorno, il cuore lo sta mollando ma non intende farsi ricoverare, morire gli va bene. L'unico desiderio rimasto: riconciliarsi con la figlia adolescente, furiosa con lui e col mondo, aveva 8 anni [...] Vai alla recensione »
Fatto apposta per togliere le parole dalla penna del critico. E del comune spettatore. "Grasso" non si può scrivere nei racconti di Roald Dahl, che ha incantato i bambini con gli sporcelli e una bambina super- intelligente che se si annoia tira fuori i superpoteri. Figuriamoci se si può scrivere in una recensione. Ma se il protagonista pesa oltre 200 chili e non riesce a fare un passo? Un recensore [...] Vai alla recensione »
Charlie è un insegnante affetto da una grave forma di obesità che impartisce lezioni a distanza a un gruppo di studenti universitari. Le sue giornate trascorrono monotone fino a quando non deciderà di provare a ristabilire un rapporto con la figlia adolescente, che non vede da anni, per tentare di scontare le sue colpe e redimersi definitivamente. A distanza di cinque anni dal precedente e non completamente [...] Vai alla recensione »
È toccante e conflittuale «The Whale», il nuovo film di Darren Aronofsky, che porta sullo schermo l'omonima piéce teatrale di Samuel D. Hunter, confronto onesto e spietato tra padre e figlia, prima ancora di essere un film sull'orrore della carne, sulla sopraffazione del corpo, carcere deambulante di un'anima in pena. E' un personaggio estremo, in guerra con sé stesso e con qualcosa da farsi perdonare, [...] Vai alla recensione »
In questo film, a tratti repellente, su Charlie, Un uomo gravemente obeso che vive completamente isolato e cerca in ritardo di recuperare il rapporto con la figlia, Darren Aronofsky g1Oca con lo spettatore. Da una parte ci sfida sul terreno del pregiudizio e dei preconcetti per farci trovare qualcosa di bello in Charlie. Dall'altra lo riprende in modo da accentuare quanto puð essere umiliante la sua [...] Vai alla recensione »
Una ventata di poesia arriva sullo schermo con le fattezze di un professore obeso e beffato dalla vita interpretato da Brendan Fraser: la storia (scritta per il palcoscenico da Samuel D. Hunter qui autore della sceneggiatura) si svolge tutta in una stanza biblioteca dove Charlie tiene lezioni a distanza di scrittura. "Ulisse e la balena bianca" è il libro che ha ispirato "The whale".
Mai sazio di speranza, di dar voce alle fragilità umane, provando a far riconciliare i suoi personaggi con loro stessi e gli altri. Darren Aronofsky, in questo senso, è uno dei registi che davvero investono nelle storie che raccontano, trasformandole poi in lezioni universali, nelle quali convivono temi, drammi personali, redenzioni, finali a sorpresa.
Uno dei film più discussi e attesi dell'ultima Mostra del Cinema di Venezia è protagonista del weekend in sala: stiamo parlando di "The Whale", nuovo lavoro di Darren Aronofsky con protagonista Brendan Fraser. L'attore interpreta un solitario insegnante, affetto da una grave forma di obesità`, che, negli ultimi giorni della sua vita, cerca di riallacciare i rapporti con la figlia adolescente, con [...] Vai alla recensione »
Con Tàr, starring Cate Blanchett, è l'altra occasione di queste settimane per fare i conti con il film-show, l'esibizione di intense prove d'attore, sovrastanti, forse il vero "racconto": il film sfodera ragione d'essere dalla egemonia della performance. Il ruolo, il personaggio, vengono dopo. Vera arte? Pesante obeso "disgustoso", come dice, perduto il compagno suicida, quasi immobilizzato da un cuore [...] Vai alla recensione »
Chi conosce il cinema di Darren da non si aspetterebbe mai da lui un "feel good movie", un film per stare bene: il cineasta newyorkese ci ha abituati a storie su gente con problemi di dipendenza, di vecchiaia, di solitudine; e neppure questa volta si smentisce. Tutto l'opposto per il protagonista di The Whale, Brendan Fraser, eroe di film sciocchi e infantili come la trilogia La mummia che non avremmo [...] Vai alla recensione »
Charlie è un uomo solo. Insegna inglese in video collegamento sul pc ma l'unico a oscurarsi è lui, il primo a dover invece apparire. Charlie, in sostanza, è una voce. A tenerlo nascosto è la vergogna per un'obesità debordante che lo sta portando per mano all'altro mondo. La fine annunciata e l'isolamento sono la cifra di un uomo che in realtà ha paura a mostrare sé stesso.
C'è sempre il corpo al centro dei film di Darren Aronofski. Dal fisico dolente del lottatore di "The Wrestler" (Leone d'oro a Venezia nel 2008) alla mutazione della ballerina di danza classica nel torbido "Il cigno nero". Nel suo nuovo film - "The Whale" - il corpo è quello mastodontico e debordante di Brendan Fraser che interpreta Charlie, un professore ingrassato a dismisura, dopo la traumatica [...] Vai alla recensione »
Enorme, infelicissimo, solitario, il corpo deformato dall'obesità, la mente dilaniata dai sensi di colpa, Charlie (Brendan Fraser) è un uomo in bilico sul baratro. Professore di letteratura costretto a insegnare online, si nasconde anche agli occhi dei suoi studenti, tenendo la videocamera spenta e riducendosi a poco a poco in una condizione di quasi totale immobilità.
Se n'è parlato a lungo a ridosso della presentazione veneziana. Un po' perché il passaggio in Laguna della stellina Max, al secolo Sadie Sink, alla prima vera uscita dopo gli sfarzi di «Stranger Things», ha inevitabilmente attirato gli sguardi di un pubblico molto diverso da quello che di solito frequenta i festival comandati; e un po' perché l'interpretazione di Brendan Fraser è stata salutata subito [...] Vai alla recensione »
Non è assolutamente un regista che passa inosservato, Darren Aronofsky. Già, perché, fin dagli inizi della sua carriera, egli non ha fatto altro che sorprendere, sconvolgere, stupire pubblico e critica grazie alle sue storie "estreme", spesso rese ancora più incisive da raffinati effetti visivi. Persino la Mostra del Cinema di Venezia (dove il regista, nel 2008, si è aggiudicato il Leone d'Oro per [...] Vai alla recensione »
Solo in una stanza in penombra, indistinguibile tra divani e poltrone, un fumetto disegnato da Robert Crumb, sproporzionato, pizze oversize, barattoli, stoviglie, il professor Charlie si masturba davanti a un video porno. La scena sovraccarica sa anche di spazzatura Pop art. Tra le cose inanimate, il corpo di Brendan Fraser, l'atletico esploratore di La mummia, si muove appena, insaccato nella sua [...] Vai alla recensione »
Darren Aronofsky non è mai stato un regista prolifico con la smania di fare film a tutti i costi e con una certa continuità. Questo perché probabilmente alla quantità ha sempre preferito la qualità e, salvo un paio di passi falsi come quelli registrati con Noah o The Fountain, i risultati gli hanno dato ragione. Lo dimostra una filmografia che ad oggi può contare su soli otto titoli distribuiti produttivame [...] Vai alla recensione »
Charlie è un solitario insegnante di inglese che soffre di obesità grave e il cui tempo sta per volgere al termine. Per questo in cinque giorni di passione, armato solo di un cuore pieno di sentimento e di un intelletto fiero, l'uomo deve confrontarsi con traumi sepolti da tempo e un amore mai rivelato che lo tormentano da anni, riavvicinandosi a una figlia diciassettenne, quasi un'estranea per lui, [...] Vai alla recensione »
Aronofsky è cineasta più interessante di quanto comunemente non gli si dia atto. Gli si rimprovera il gusto sperimentale e provocatorio; il suo avventurarsi lungo sentieri di difficile accesso con il conforto dei mezzi di Hollywood. Dopo Mother!, senz'altro uno dei suoi film più interessanti, The Whale ci offre l'Aronofsky più seventies, in grado di evocare magnifiche prestazioni dai suoi attori, senza [...] Vai alla recensione »
Un film tanto atteso e tanto discusso quello del regista Darren Aronofsky, che già ha diretto capolavori come Madre! con Jennifer Lawrence nel 2017, Il cigno nero con Natalie Portman nel 2010 e Requiem for a dream nel 2000. Questa volta ha deciso di adattare per il grande schermo l'omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter del 2012, trasformandola in un dramma intimo e toccante.
Un uomo nella sua poltrona si masturba. Cerca di eccitarsi vedendo un video porno con due uomini che fanno sesso. È una scena malinconica, più che grottesca o volgare. Si nota la solitudine, il buio, le difficoltà respiratorie e, soprattutto, la spropositata obesità del protagonista che denuncia uno stato di salute abbastanza precario. Bussano alla porta.
Charlie vuole morire. Incapace di superare un lutto, severamente obeso, attende solo che il suo corpo ceda. Ma la vita bussa alla sua porta: l'amica infermiera, un giovane predicatore, la figlia arrabbiata, la ex moglie. Adattando l'omonimo testo teatrale e mantenendone rigorosamente l'impianto, Aronofsky firma il suo film più addomesticato e commovente, sguardo pungente e disilluso sulle possibilità [...] Vai alla recensione »
L'immagine al nero, webcam disattivata e microfono acceso, solo una voce, profonda e suadente, a dettare la linea inversa di una presenza che visivamente, e ancor più in presenza, sarebbe importante: The Whale di Darren Aronofsky (in concorso a Venezia79) è un film che strutturalmente appartiene a quel corpo bigger than life che contiene Charlie, insegnante di inglese e tutor di scrittura per un corso [...] Vai alla recensione »
Il cinema di Darren Aronofsky ha sempre avuto come fulcro centrale il corpo, in tutte le sue forme variegate e in tutti i suoi limiti. L'annichilimento dei corpi e l'esaltazione della fisicità dei protagonisti di The Wrestler e de Il cigno nero rappresentano forse l'esempio più lampante in questo senso; ma anche le immagini del cranio trapanato sul finale di p - Il teorema del delirio o i corpi devastati [...] Vai alla recensione »
Un appartamento, un divano, un uomo malato che ha deciso di andare incontro al suo destino. In sintesi, The Whale, il nuovo film di Darren Aronofsky, presentato in anteprima mondiale in concorso a Venezia 79. Aronofski è un affezionato frequentatore del festival, vinto una volta con The Wrestler, e questo film tratto dalla intensa piece teatrale di Samuel D.
Tratto dall'omonimo testo teatrale di Samuel D. Hunter, autore anche della sceneggiatura, The Whale sembra sconfinare verso il piccolo schermo, verso la sitcom. Dall'unico spazio esterno, ovviamente invalicabile, al piccolo gruppo di persone che gravitano nell'appartamento di Charlie, passando per le entrate in scena - teatrali, ma anche irrinunciabile patrimonio comico e\o drammatico delle sitcom [...] Vai alla recensione »
È materia profondamente americana, ma dal respiro universale, quella che Darren Aronofsky ha attinto da una pièce teatrale del giovane drammaturgo Samuel D. Hunter. In «The Whale», nel rispetto dell'unità di spazio - un angusto appartamento in una cittadina dell'Idaho - domina la scena Charlie, docente che tiene corsi di scrittura online dal divano di casa, sul quale è deposto come una balena spiaggiata, [...] Vai alla recensione »
A risollevare il livello arriva per fortuna "The whale", ultima fatica di Darren Aronofsky. Dominato dalla figura di Brendan Fraser (da premio), ingrassato oltre modo, che dà corpo a Charlie, professore costretto a una quasi immobilità domestica per via della sua spaventosa obesità, ha la stessa vena malinconica e desolata di "The wrestler" (Leone d'oro 2008) e una unità di luogo come "Madre!" (una [...] Vai alla recensione »
Se l'applausometro conta qualcosa, "The Whale di Darren Aronofsky è il film finora più apprezzato dai festivalieri, per alcuni dei quali sarebbe già un indiscutibile Leone d'oro. Vedremo. Del resto, Aronofsky è un habitué qui al Lido, prima con Müller e ora con Barbera; nel 2008 il suo "The Wrestler" vinse pure il massimo premio. Stavolta il regista newyorkese s'è rivolto a una pièce teatrale di Samuel [...] Vai alla recensione »
Tra gli argomenti più dibattuti nei giorni immediatamente precedenti all'inizio della 79esima edizione del festival veneziano c'erano sicuramente le interpretazioni di Cate Blanchett in TÁR e Brendan Fraser in The whale, già in odore di oscar e forse anche di coppa Volpi, secondo divinatori e veggenti della stampa specializzata. Quantomeno l'hype era già da subito altissimo, e ragionevolmente giustificato [...] Vai alla recensione »
Il pazzoide ma sempre vitale Aronofsky, reduce dai fischi veneziani del coraggioso Madre! (2017), torna alla formula vincente The Wrestler (2008): attore in declino da rilanciare, protagonista mostruoso, finale strappalacrime. Eccolo allora in concorso con The Whale dove Brendan Fraser è un insegnante a distanza di 272 chili che ricorda Jabba the Hutt di Guerre stellari.
Nella prima sequenza assistiamo a una lezione di scrittura creativa su una piattaforma online. L'inquadratura stringe su un desktop che è un mosaico di schermi. Vediamo il volto di tutti gli studenti tranne uno, quello al centro occupato dall'insegnante. Solo una voce a occupare quel quadrante nero. Una voce che detta le regole per una buona scrittura: "Siate sinceri!" L'inquadratura si stringe nella [...] Vai alla recensione »
The Whale si regge su un'immagine forte, che si incarna nel corpo attoriale di Brendan Fraser, naturalmente alle prese con il ruolo della vita e principale candidato (annunciato) alla Coppa Volpi a Venezia 79 in procinto della probabilissima volata verso gli Oscar. Nel dare vita - o quel che resta - a un obeso insegnante di corsi online (che non accende mai la telecamera e delega tutto a una voce [...] Vai alla recensione »