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The Whale e i fantasmi di Hollywood degli anni ’40 e 50’

Nel film di Aronofsky quasi ogni dialogo è un confronto serrato, una scena madre, un’accentuazione o una possibile risoluzione di un conflitto e non c’è più distanza tra teatro e cinema, proprio come accadeva nel cinema di William Wyler e Joseph L Mankiewicz. Vincitore di 2 premi Oscar e ora disponibile in sala.
di Simone Emiliani

Sadie Sink (Sadie Elizabeth Sink) (22 anni) 16 aprile 2002, Brenham (Texas - USA) - Ariete. Interpreta Ellie nel film di Darren Aronofsky The Whale.
sabato 11 marzo 2023 - Focus

C’è una porta che divide la casa di Charlie con l’esterno. È quella da dove entrano ed escono i personaggi nella vita di Charlie: l’infermiera Liz, la figlia Ellie, il giovane missionario della New Life Church e l’ex moglie Mary. C’è invece una finestra sul pc che separa Charlie dai suoi studenti. Si sente solo la sua voce ma il suo volto non si vede mai perché tiene sempre la webcam spenta.

Forse The Whale è un film di fantasmi. Ci sono quelli che segnano la vita dei protagonisti del cinema di Aronofsky, dal wrestler professionista che si è ritirato dalle scene di The Wrestler alla ballerina di Il cigno nero. Perché anche The Whale è un film sul corpo, quello obeso di Charlie dove l’incredibile performance di Brendan Fraser lascia emergere tutta la sua fatica fisica nel movimento (non riesce spesso ad alzarsi) ma mette soprattutto a fuoco le cicatrici che lo hanno segnato così profondamente. Come nel caso di Mickey Rourke in The Wrestler, viene avvolto dai fantasmi del passato. Ma a differenza di quel film, Aronofsky accentua un cinema di parola che deriva dall’omonima opera teatrale di Samuel D. Hunter del 2012.

Lo spazio dell’appartamento è chiuso e diventa ancora più claustrofobico nel rapporto con Charlie che non solo è confinato lì ma è diventato quasi prigioniero del luogo dove vive. Dall’esterno si sente spesso il rumore della pioggia, che segna il ritmo di un’attesa incombente simile a quella dei film terminali. La fotografia di Matthew Libatique sottolinea continuamente questo stato di sospensione da parte del protagonista.

La luce è sempre la stessa. Nulla sembra cambiare più nella vita di Charlie. Ma quasi ogni dialogo è un confronto serrato, una scena madre, un’accentuazione o una possibile risoluzione di un conflitto. Sì, c’è sempre quella porta da cui i personaggi entrano ed escono. Ma lo spazio di Aronofsky è impermeabile. Sotto questo aspetto The Whale è il film che forse guarda più da vicino l’Hollywood degli anni ’40 e ‘50 dove non c’è più separazione, distanza, tra teatro e cinema.

Il cineasta prende la strada tracciata nel passato, per esempio, da William Wyler o Joseph L. Mankiewicz. Come loro, punta sulle performance dei suoi protagonisti. Fraser è una possibile reincarnazione dal passato, in versione maschile, di Bette Davis (Piccole volpi, Eva contro Eva) o Katharine Hepburn (Improvvisamente l’estate scorsa). I movimenti nell’appartamento seguono l’itinerario del palcoscenico. È solo una casa? È solo lo spazio teatrale? Sono entrambe le cose? Ma è attraverso i dialoghi, sempre più incalzanti, che si ha l’illusione di vedere il passato dei protagonisti attraverso flashback immaginari: la figlia piccola di Charlie che è dovuta crescere senza il padre; il lutto che ha segnato il protagonista.

The Whale lascia esplodere tutta la potenza verbale del testo d’origine. In un film così apparentemente geometrico, lo fa invece in modo istintivo e si può già vedere dal modo in cui Fraser domina la pesante protesi attorno al suo corpo per accentuare la sua obesità. E trasforma i personaggi, le loro storie private e fa tornare progressivamente a galla la loro memoria personale. Apparentemente più controllato, il ‘cinema classico’ di Aronofsky si sgretola invece sotto i nostri occhi. Proprio come accadeva a Wyler e Mankiewicz


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