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Ultimo aggiornamento mercoledì 20 maggio 2020
Quentin Tarantino si esercita su uno dei casi criminali più celebri di fine anni Sessanta. Il film ha ottenuto 10 candidature e vinto 2 Premi Oscar, 1 candidatura a David di Donatello, 5 candidature e vinto 3 Golden Globes, 10 candidature e vinto un premio ai BAFTA, 1 candidatura a Cesar, 12 candidature e vinto 4 Critics Choice Award, 4 candidature e vinto un premio ai SAG Awards, 1 candidatura a Directors Guild, 1 candidatura a CDG Awards, 1 candidatura a Producers Guild, Il film è stato premiato a AFI Awards, ha vinto un premio ai ADG Awards, 4 candidature e vinto un premio ai NSFC Awards, In Italia al Box Office C'era una volta... a Hollywood ha incassato 12 milioni di euro .
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Los Angeles, 1969. Sharon Tate, promettente attrice americana e sposa di Roman Polanski, è la nuova vicina di Rick Dalton, star della televisione in declino. Dalton condivide la scena con Cliff Booth, stuntman che si è fatto (e rotto) le ossa nei western girati a Spahn Ranch. Controfigura e chauffeur di Dalton, Cliff vive in una roulotte con una cane disciplinato e fedele proprio come lui che da anni ammortizza le cadute e i rovesci dell'amico. E l'ultimo scacco costringe Rick e il suo doppio a traslocare dall'altra parte dell'oceano per girare un pugno di spaghetti-western. Sei mesi e una moglie (italiana) dopo, Rick e Cliff tornano a Los Angeles dove li attende la notte più calda del 1969.
Il cinema può salvare il mondo? Quentin Tarantino crede in ogni caso che possa vendicare gli ebrei (Bastardi senza gloria), affrancare dalla schiavitù (Django Unchained), cambiare il passato e offrire la chance ai vinti di regolare i conti coi propri carnefici.
In risonanza con Django Unchained e Bastardi senza gloria, che offrivano un'alternativa alla Storia facendo un falò dei gerarchi nazisti e dei bianchi schiavisti dell'America alla vigilia della Guerra Civile, C'era una volta...a Hollywood segue lo schema appropriandosi della storia del cinema, di una storia del cinema. La vendetta, sempre. Sempre più catartica, sempre più selvaggia, sempre più appassionante e sadica sul piano della rappresentazione. A compierla è un altro irresistibile tandem, due naufraghi della sottocultura hollywoodiana, un attore di serie B e la sua controfigura, che sembrano sognare ciascuno la vita dell'altro mentre le rispettive carriere colano a picco sotto il peso dei fallimenti e delle frustrazioni. Ma la vendetta questa volta non è quella dei personaggi, inconsapevoli 'dei fatti reali', ma è quella di un autore romantico che crede nell'immenso potere del cinema, che crede che tutto sia ancora possibile, come se la finzione potesse deflagrare la realtà. Agli spettatori Tarantino offre un'esperienza differente, imbarcandoli nella sua nostalgia e nella deambulazione urbana piuttosto che costruire daccapo intrighi esplosivi. Per la prima volta rinuncia alla cavalleria, evocando con riguardo e pudore il soggetto che gli sta più a cuore: il suo amore per il cinema. C'era una volta...a Hollywood è un film intimo e contemplativo, lisergico e (incredibilmente) lineare su un'età dimenticata, perduta, sul cinema della sua infanzia, quello che lo ha innamorato perdutamente mentre il colore diventava la norma e Hollywood perdeva la sua innocenza sotto i colpi di coltello di Charles Manson e dei suoi adepti. Il cinema di Steve McQueen e di Bruce Lee, quello dei vecchi western di seri B e delle produzioni televisive poliziesche degli anni Sessanta.
La macchina da presa infila, come il documentario del debutto, le quinte dell'industria dei sogni con Leonardo DiCaprio che assume su di sé l'afflizione degli attori che conoscono la gloria per preparare meglio il proprio tramonto, Brad Pitt che gioca sfacciato e disinvolto le ombre del cinema e Margot Robbie che risorge Sharon Tate dalla finzione per allacciare il film alla realtà storica. Realtà di cui crediamo di sapere tutto, di comprendere tutto, dimenticando che siamo in una sala buia e che il 'proiezionista' è Quentin Tarantino. L'autore che come nessuno è capace di reinventare il cinema, di reinventare la violenza al cinema, trasgredendo le regole della Storia, immaginando una soluzione o un'uscita di emergenza. In C'era una volta...a Hollywood gli eventi non si svolgono come nella realtà, la loro declinazione rivela una sorpresa, una svolta imprevedibile. Ancora una volta la finzione viene in soccorso della realtà, abbracciando la crudeltà assassina del mondo per riscattarla. L'espediente, che altrove funzionava da gag metaforica, in C'era una volta...a Hollywood si eleva a professione di fede (estetica), trasformando il film in un canto melanconico che nessuno slancio irridente può incidere. Perché l'effervescenza dei sermoni ai quali Tarantino ci ha educati lasciano il passo allo spleen e invitano lo spettatore a perdersi. E i primi a smarrirsi sono i suoi protagonisti dopo otto whisky e troppi margarita. Nella Los Angeles del 1969, anno cerniera di una rivoluzione culturale e cinematografica (usciva in sala Easy Rider, primizia e simbolo della New Hollywood), Tarantino incontra la 'famiglia' di Charles Manson e quella di Sharon Tate, Roman Polanski e Sergio Corbucci, l'aristocrazia hollywoodiana (Sharon Tate e Roman Polanski) e l'attore al declino a cui fa eco la base della piramide sociale del cinema, lo stuntman Cliff Booth. La passione e la volontà di preservare il cinema sono al centro del film come il desiderio di salvarne la musa. Per Sharon Tate, Tarantino inventa due cavalieri erranti, uno per l'acrobazia e uno per la ribalta, ruba 'c'era una volta' a Sergio Leone e restituisce alla locuzione la sua aura infantile. Un'espressione di candore incarnata da un'attrice appena sbocciata che il film 'tocca' da lontano, con grazia e in una sequenza spettacolare in cui Sharon Tate va al cinema per (am)mirarsi nel film che condivide con Dean Martin (Missione compiuta stop. Bacioni Matt Helm). Sullo schermo Margot Robbie osserva solare ed estatica la performance dell'artista che interpreta perché è la vera Sharon Tate che appare nel buio della sala. Con l'omaggio, la sequenza rivela allo spettatore la 'distanza' riverente con la quale Tarantino ha deciso di trattare il soggetto. Ed è in quella intenzione che abita la più bella idea del film: sognare in pieno giorno, in pieno sole di ritardare la caduta dal cielo (drive), provando a afferrare un istante temporale nella sua infinita brevità.
1969: la star di un'ormai conclusa serie western televisiva, Rick Dalton, non se la passa bene, è ridotto a ruoli occasionali e non è ancora riuscito a sfondare nel cinema, tanto che pensa di partire per l'Italia dove il western da vivendo una nuova età dell'oro. Insieme al suo migliore amico e stunt double, Cliff Booth, si giocherà le sue ultime chance a Hollywood, incontrando tutto e tutti, come Bruce Lee e Steve McQueen senza dimenticare i vicini di casa Sharon Tate e Roman Polanski, il cui destino sta per incrociare quello della Manson Family.
«Io sono di Los Angeles, sono cresciuto qui, avevo 7 anni nel 1969 e questo è davvero un film di Los Angeles, dove ho già ambientato Jackie Brown e Pulp Fiction. È il film più vicino a Pulp Fiction che ho fatto, perché racconta di una coppia di protagonisti e dei moltissimi altri personaggi che incontrano, disegnando un grande arazzo di tutta la città».
Quentin Tarantino
La vicinanza a Pulp Fiction ritorna anche nelle dichiarazioni di Leonardo DiCaprio, che definisce quella di C'era una volta a... Hollywood come la miglior sceneggiatura di Tarantino. Nonostante il regista sia riuscito a radunare un cast a dir poco impressionante, il progetto non ha però avuto vita facile, perché l'abituale producer di Tarantino, Harvey Weinstein, è stato travolto dalla scandalo del #metoo e dalle sue conseguenze legali. Dopo una combattuta asta è stata Sony Pictures a ottenere la distribuzione e per farlo ha dovuto fare enormi concessioni al regista: un budget di 95 milioni di dollari, l'ultima parola sul montaggio (il cosiddetto "final cut") e uno straordinario controllo creativo durante l'intera realizzazione, oltre al 25% dell'incasso lordo e al ritorno dei diritti sul film allo stesso Tarantino nel giro di 10 o 20 anni.
Se Margot Robbie ha detto che avrebbe ucciso per lavorare con il regista, per cui interpreta il ruolo di Sharon Tate (ma né lui né lei si sono consultati con Roman Polanski, che a Hollywood è più che mai persona non grata), sono invece alla seconda esperienza i due protagonisti: Leonardo DiCaprio che era stato il villain di Django Unchained e Brad Pitt che già aveva partecipato a Bastardi senza gloria, cui si può aggiungere il ruolo da giovanissimo in Una vita al massimo di Tony Scott, da una brillante sceneggiatura di Tarantino.
Se il personaggio di Pitt è ispirato allo stuntman e regista Hal Needham, quello di DiCaprio si riferisce invece a Burt Reynolds, che infatti era tra gli attori chiamati per una piccola parte, poi purtroppo la sorte avversa ha colpito prima dell'inizio delle riprese e, in seguito alla sua scomparsa, il personaggio è stato interpretato da Bruce Dern. Costellato di star, C'era una volta a... Hollywood vedrà in ruoli secondari i fidatissimi Tim Roth, Kurt Russell e Michael Madsen, inoltre tra i membri della Manson family troveremo Dakota Fanning, Lena Dunham e Damon Herriman nei panni di Charles Manson in persona, che curiosamente incarnerà anche nella seconda stagione di Mindhunter di David Fincher.
Inoltre ci saranno Al Pacino, Emile Hirsch, Damian Lewis nei panni di Steve McQueen, Scoot McNairy, Timothy Olyphant, la stunt woman Zoë Bell e Luke Perry nella sua ultima interpretazione prima della scomparsa. Molta curiosità poi per il finora misconosciuto Mike Moh, che già nel trailer veste i panni del mitico Bruce Lee con impressionante mimetismo. Dal cast è rimasto comprensibilmente impressionato anche il direttore della fotografia Robert Richardson, sodale del regista da Kill Bill in poi: «Lavorare con Brad e Leo insieme è stato come una sorta di versione contemporanea di Butch Cassidy con Redford e Newman. Anche Margot è fenomenale ed è un piacere averla sul set, inoltre ci sono molti attori coinvolti che hanno avuto poca visibilità ma che sono straordinari. Dakota Fanning per esempio è una bomba e poi c'è Al Pacino».
Proprio Richardson è il solo che ha parlato anche del tono del film: «Oscilla tra lo humour, il drammatico e il thriller, è giocoso e difficile da descrivere ma è molto tipico di Quentin. Ci sono grandi monologhi e scene elaborate, c'è la sua passione per il cinema di allora, con film importanti come 2001 e Romeo e Giulietta di Zeffirelli, che lui al tempo ha visto in un Cinerama e ha ricreato con successo quel tipo di esperienza di visione».
Ovviamente il direttore della fotografia ha fornito anche dati sulle riprese: «Abbiamo girato in 35mm. anamorfico, perché il 70mm. era troppo costoso. Ci sono moltissimi set e quindi abbiamo dovuto risparmiare su qualcosa, inoltre con il 70mm. non si può zoomare e per Quentin era importante che ci fosse lo zoom in questo film». C'era una volta a... Hollywood si prospetta quindi, fin dal titolo leoniano, come un atto d'amore per il cinema, che Tarantino ha sempre saputo caricare di una passione contagiosa, superando la nicchia della cinefilia con il suo estro e il suo puro e incontenibile entusiasmo.