C'era una volta... a Hollywood |
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Un film di Quentin Tarantino.
Con Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch.
continua»
Titolo originale Once Upon a Time in Hollywood.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 161 min.
- USA 2019.
- Warner Bros Italia
uscita mercoledì 18 settembre 2019.
MYMONETRO
C'era una volta... a Hollywood
valutazione media:
3,74
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un’altro tassello verso il mitodi Lucio Di LoretoFeedback: 2938 | altri commenti e recensioni di Lucio Di Loreto |
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venerdì 4 ottobre 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Epoca 1969. Rick Dalton e Cliff Booth, attore spesso cattivo coprotagonista e stuntman nonché suo portaborse, sono amici inseparabili nella vecchia Hollywood. Due facce della stessa medaglia, pure se l’uno vive nelle colline di lusso e l’altro imboscato un po' ovunque; entrambi quasi accantonati dal mainstream cinematografico e vicini al baratro e all’affondo comune. Nessuna simulazione di forza dunque per il nuovo Tarantino, ma solo depressione, frustrazione e desolazione, da sfogare in pianti e alcool per il primo, allorquando gli comunicano che per riemergere e stare a galla deve emigrare nei B movie italiani o in momenti confidenziali durante i numerosi set, anche al cospetto di colleghe bambine. Il secondo lo scarrozza ovunque sistemandogli casa, antenna e macchina, al prezzo della sopravvivenza. Sullo sfondo le vicissitudini di allora, le feste, la droga e di contorno la “famiglia” Charles Manson, insieme al nuovo vicino e regista polacco con la sua bella moglie novella attrice. Tutto qua il nuovo film di Tarantino, che però ambisce all’elite grazie alla storica abilità di girovagare attorno ad un semplice soggetto, miscugliando tutto e di più: generi diversi, montaggio azzeccato, lunghe frasi e climax, primi piani, rivisitazione degli eventi e tanti colpi ad effetto che ne hanno fatto un’icona. Anche qui, come in passato, c’è una scrittura che fa discutere puristi e bigotti, in particolare sulla durata e il cambio degli accadimenti reali. Il voler però allungare il brodo della pellicola è il risultato costante di tutta la filmografia di Tarantino, nella quale i dialoghi la fanno da padrone. E anche qui non deludono, pure se facilitati da un tris d’assi al maschile ai quali il regista concede tre ruoli simili al passato che li hanno spinti nell’olimpo cinematografico. Di Caprio non ha rivali nell’urlare la sua recitazione, così come Pitt nell’ergersi a bello e misterioso, mentre il vecchio Al mantiene ghigno e grinta dei bei tempi. Chi risalta maggiormente è la Sharon Tate di Margot Robbie, alla quale Quentin cede per la prima volta una velatura romantica, apprezzata di rado in passato, incarnando la giovane voglia di esistere a chi invece il destino ha riservato un futuro terribile, impegnandola perciò più in sorrisi ed espressioni gioviali che in monologhi alla Uma Thurman! L’attrice dimostra ancor di più le enormi peculiarità che ne progrediscono a dismisura l’alone da stella, passando così dalla donna oggetto di “Wolf of Walt Street” alla diabolica Harley Quinn, dalla Tonya pronta a tutto per emergere fino alla spensieratezza di una ragazza che sbarca il lunario. I vecchi trucchi che lo hanno reso celebre sono tuttora presenti ed ognuno degli attori che passa sullo schermo ha così la sua occasione (Kurt Russel, Emile Hirsch, Timothy Olyphant o i camei di Michael Madsen e Damien Lewis/Steve McQueen), come aprire delle parentesi durante le scene, utilizzando frame ad hoc, oppure effettuare eccezionali doppi piani sequenza montati ad arte per unire due contesti differenti, tipo il rientro a casa dalle colline e l’istantanea uscita da una porta secondaria, o ancora il fotogramma di un manifesto usato come punto di inizio, svolgimento e conclusione di un periodo. Inoltre, girare vorticosamente la realtà dei fatti è da sempre il desiderio del regista, per chi non lo avesse ancora capito. Il suo scopo è ambire o ancor di più sognare di controbattere la violenza degli stolti e ottusi, di coloro che uccidono o compiono eccidi a ordinazione, con una veemenza e brutalità splatter addirittura superiore, tramite il proprio antieroe. Anche per costui Tarantino apporta una novità rispetto alle sceneggiature passate. Si va infatti dall’onesto infiltrato Mister Orange a caccia di rapinatori, dal killer misantropo schizzofrenico Richard Gecko ammazza vampiri, dalla vendicatrice Black Mamba tutta spade e kung fu, dall’istrionico anti nazista tenente Raine e da Django, prigioniero pronto a rivedere il concetto di schiavitù a Cliff Booth, underdog di professione e un ultimo della vita se ce ne è uno! E’ suo qui il ruolo predominante, il giustiziere che riscrive la storia della notte più calda di Hollywood, in modo simile ai suoi predecessori per impeto e durezza, ma diverso a livello caratteriale. Lo stuntman di Bradd Pitt, dal passato oscuro, obbedisce difatti al suo capo e implora piccole parti nei set, è silenzioso all’ennesima potenza, è psicologicamente chiuso e imperscrutabile e vive di stenti in una roulotte, con l’unico affetto in Brandy, femmina di pitbull, ma nei momenti del bisogno, tira fuori una tempra che cambia le carte in tavola e permette al regista di ottenere ancora una volta la sua soddisfazione: liberarsi dell’accaduto fantasticando ad occhi aperti! D’altronde è la bellezza del cinema o di alcuni suoi generi e aspetti, quello da parte del direttore e scrittore di rivedere a modo proprio il copione di una storia avvenuta in modo opposto, tanto da far divenire ebrei, schiavi e oppressi vendicatori di se stessi. Non importa cosa abbia fatto il cattivo per essere tale, diventa semplicemente il nemico su cui Tarantino esplode tutta la sua ira. L’odio di Quentin su chi compie stragi in maniera non personale e autonoma, senza un briciolo di auto convinzione ma obbedendo semplicemente a chi in alto è una colpa da punire a tutti i costi. Questo è lui, violento e veemente come non mai, amante quasi morboso e malato nel trasformare in via truculenta la vittima in carnefice: prendere o lasciare. E se andare contro il nazismo, la schiavitù, i ladri o il parricidio è ideale comune, stavolta saranno gli hippie a patire la sua furia; prendendo spunto dalla setta di Manson, subiranno infatti ogni epiteto e verranno raffigurati come movimento composto solo da sbandati, sporchi e drogati, privi di cultura sociale, minorenni dai facili costumi, senza intelletto nonché ladri di proprietà. La lunghezza della pellicola, perciò, rispecchia tutti i mantra che hanno fatto di Tarantino un punto di riferimento del cinema, differenziandolo dagli altri grandi del passato o contemporanei. Il tutto aiutato da una magnifica fotografia accesa, che fa così splendere un’epoca alla quale egli è evidentemente attratto. Il film potrà anche aver fatto qualche passo indietro, con maggiori conferme e poche novità, ma è stato utile per avvicinare ancor di più Quentin verso l’immortalità!
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