C'era una volta... a Hollywood |
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Un film di Quentin Tarantino.
Con Leonardo DiCaprio, Brad Pitt, Margot Robbie, Emile Hirsch.
continua»
Titolo originale Once Upon a Time in Hollywood.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 161 min.
- USA 2019.
- Warner Bros Italia
uscita mercoledì 18 settembre 2019.
MYMONETRO
C'era una volta... a Hollywood
valutazione media:
3,74
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Tarantino narratore lineare? Non del tutto...di frank bernardiFeedback: 121 | altri commenti e recensioni di frank bernardi |
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martedì 24 settembre 2019 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
E' evidente, da alcuni commenti, come si pretenda da un autore noto sempre lo stesso film all'infinito. Così la "tarantinità", quando sembra emergere di meno, è l'elemento di cui si inizia a sentire la mancanza. E invece il grende regista spiazza un po' tutti, mixando in questa sorta di novella per immagini, reperti del passato e citazioni, ma anche prendendosi la libertà di abbandonare le solite scatole cinesi che vanno indietro e magari avanti nel tempo. Dunque, gli appossionati del flashback alla Tarantino rimarranno vagamente delusi: qualche rapido spostamento di tempi e luoghi ogni tanto si percepisce, ma la trama è fondamentalmente lineare, collocata - fatto salvo l'inserto di Di Caprio che va a fare lo spaghetti western in Italia - in tempi dilatatissimi. Si narrano due - tre giorni di vita sul set e fuori da esso, ove apparentemente nulla accade, se non la messinscena delle depressioni di Di Caprio, la descrizione non scevra da ambiguità - vedi flashback - della sua controfigura/badante, lo straordinario Brad Pitt, che gareggia in bravura con tutti in un cast comunque stellare e sapientemente graduato: c'è un Al Pacino ridotto a caratterista di lusso, il grande Bruce Dern, che fa la parte di un cieco soggiogato dalla banda di hippies sanguinari di Manson, e tanti altri visi tarantiniani e non, più o meno sfruttati dal regista secondo le sue esigenze. Nulla, in questo film che è un'opera d'autore e non un pastone commerciale dalla indistinguibile regia, sfugge all'occhio unico del suo sceneggiatore e regista: ripeto, quasi un racconto lungo, fondamentalmente giocato su due tronconi irregolari che alla fine si saldano. La Hollywwod anni Sessanta, di feste, piscine, gente famosa e gente sfigata, che è la veste esterna, ovviamente strepitosamente offerta al nostro occhio. Al di sotto l'idea che qualche emozione possa anche avere spazio: una Sharon Tate che pretende di essere riconosciuta come diva da una cassiera, entra al cinema senza pagare e si gode la proiezioni di un film di cui è interprete (con arti marziali orientali incluse, maestro Bruce Lee, quello stesso che la controfigura Pitt scaraventa contro una macchina rimettendoci il posto). Poi cala la notte, si giunge al finale splatter, dove le citazioni si sprecano. Il Dario Argento di Profondo Rosso e quello di Suspiria nel descrivere l'orrida fine dei mansoniani (qui dei veri balordi dilettanti un poco invasati) dilaniati da un cane, massacrati contro un muro o bruciati dal lanciafiamme di Di Caprio (doppia citazione, dal film stesso e da Bastardi senza gloria). Tutto a posto, dunque? Si fa per dire: la storia è rovesciata e riscritta, e la pace riconquistata ha qualcosa di metacinematografico, in quanto Pitt, l'eroe perdente e generoso (sotto acido) rimanda agli uomini tutti d'un pezzo della propaganda Usa più classica. Quasi limpida la lettura, parrebbe, allora: c'è chi si impegna senza ricompensa a salvare il benessere lussuoso di divi grandi e piccoli, ma anche, ed è certo peggio, chi viene sbattuto in una guerra lontanissima e ci rimette la vita per mantenere grandi gli Usa. Ma niente retorica: Tarantino è troppo sottile per mettersi a fare il moralista con mezzo secolo di ritardo; alla fine il Di Caprio in crisi forse soggiacerà all'illusione di avere una parte migliore tramite Sharon Tate, salvata dalla morte grazie alla riscrittura della storia. I cancelli delle ville di lusso (in realtà assai penetrabili) si chiudono al mondo di fuori e un nuovo party avrà inzio. Tutti gli altri stanno lì a immaginare: compreso il regista - che spegne il film celandoci la sorte di Di Caprio - e noi spettatori, tratti in salvo da questo lavoro di eccellenza visiva assoluta e mai omologato alla moda hollywoodiana odiena. Appunto, C'era una volta Hollywood.
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