lucaguar
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mercoledì 5 marzo 2014
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frastuono e silenzio; un film d'altri tempi
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Il cinema italiano doveva, prima o poi, destarsi dal torpore che ormai lo affligge da moltissimi anni.
"La grande bellezza" è un ottimo modo per aprire (o meglio ri-aprire) un stagione "dorata" per il nostro cinema, da troppo tempo colpito da una grave crisi espressiva e contenutistica, che vive sulla cultura stereotipata del "cinepanettone".
Esso è forse la rampa di lancio definitiva per Sorrentino, nel quale tutta l'Italia spera di ritrovare l'estro di geni del calibro di Fellini, De Sica, Rossellini, Visconti e Bertolucci, che in passato hanno portato il nostro paese nell'elite mondiale della settima arte.
Questo film, personalmente, specialmente nella prima mezz'ora, mi ha letteralmente entusiasmato, e il primo pensiero che mi è balzato alla mente è stato:"ma possibile che sia un film italiano?" Infatti, dopo Fellini, non ho mai ritrovato, neanche lontanamente, un film italiano tanto caratteristico sia nella fotografia sia nel movimento di macchina.
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Il cinema italiano doveva, prima o poi, destarsi dal torpore che ormai lo affligge da moltissimi anni.
"La grande bellezza" è un ottimo modo per aprire (o meglio ri-aprire) un stagione "dorata" per il nostro cinema, da troppo tempo colpito da una grave crisi espressiva e contenutistica, che vive sulla cultura stereotipata del "cinepanettone".
Esso è forse la rampa di lancio definitiva per Sorrentino, nel quale tutta l'Italia spera di ritrovare l'estro di geni del calibro di Fellini, De Sica, Rossellini, Visconti e Bertolucci, che in passato hanno portato il nostro paese nell'elite mondiale della settima arte.
Questo film, personalmente, specialmente nella prima mezz'ora, mi ha letteralmente entusiasmato, e il primo pensiero che mi è balzato alla mente è stato:"ma possibile che sia un film italiano?" Infatti, dopo Fellini, non ho mai ritrovato, neanche lontanamente, un film italiano tanto caratteristico sia nella fotografia sia nel movimento di macchina.
Ci vuole coraggio a presentare un proprio stile in questi tempi così votati o al cinema "di massa" (specie nel Belpaese), o allo sperimentalismo che in realtà non è che conformismo. In questo Sorrentino mi ha sorpreso positivamente: il suo stile particolare si allontana anni luce e si eleva rispetto alla moltitudine, spesso indistinguibile (fatte pochissime eccezioni) del cinema odierno.
Un film, a mio parere non può essere un grande film senza che sia unico e irripetibile: solamente in questo modo può rimanere indelebilmente nell'anima dello spettatore e raggiungere i suoi scopi più alti: far riflettere e suscitare emozioni; "La grande bellezza", almeno in me, ce l'ha fatta.
Jep Gambardella, un ex scrittore che ha dato alla luce un solo romanzo e che vive la propria vita interamente immerso nella mondanità romana, ci porta a scoprire una Roma particolare, quasi sconosciuta ai più, attraverso due vie spazio-temporali parallele ma sempre in costante relazione tra loro: da una parte la mondanità, la confusione, la volgarità del presente e dall'altra i silenzi, la maestosità, la sacralità provenienti dal passato ma che "ospitano" anche la vita di oggi, esattamente come il presente "ospita" il passato.
A fare da "collante" di questa doppia e quasi contraddittoria via, ci sono le vicende umane di un uomo (Gambardella appunto) anche lui caratterizzato da una doppia realtà di vita: una vena mondana, ai limiti della moralità, da una parte, ma anche da una personalità colta, acuta e ricca di fascino dall'altra. Esattamente come Roma.
Sorrentino riesce a trasportarci in una città quasi surreale, esteticamente magnifica, un po' barocca e un po' decadente, sospesa tra presente e passato nella quale si alternano la futilità e la sacralità che una vita può accogliere.
In questo contesto Jep Gambardella, un esteta quasi dannunziano, ormai giunto ai sessantacinque anni, si rende conto del nulla che la sua vita ha prodotto, pur avendo vissuto un'esistenza lontana dalla fatica e dai problemi, in una sorta di realtà parallela che "annulla il tempo" e che viene a galla quando tramonta il sole, (esattamente come in una scena di straordinario piglio inventivo, in cui si vede Jep da vecchio immergersi nel mare davanti ai suoi amici dell'adolescenza e riaffiorare giovane, in un idealistico salto temporale) ed è fatta di estetismo, volgarità, e di una felicità ricercata in modo innaturale e falso.
Ben presto però si rende conto che questa è sempre stata e forse sempre sarà la sua vita, di cui in fondo prova un doppio sentimento, di disgusto ed insieme di piacere, nonostante sia colpito dal dolore per la morte di Ramona (Sabrina Ferilli), una spogliarellsta malata di un male incurabile.
Il finale del film è forse la parte meno "appariscente" ma più decisiva per comprendere, almeno un po', ciò che Sorrentino vuole esprimere.
La visita della suora missionaria infatti, che ha fatto voto di povertà, stona volutamente con la ricca ed altezzosa realtà mondana che via via si dirama durante il film.
Infatti, nel futile ed assordante frastuono del mondo (tutto si risolve in un bla, bla, bla dirà alla fine del film Gambardella), la vecchia suora pronuncia forse le parole più semplici ma profonde di tutto il film: "Io ho sposato la povertà, e la povertà non si racconta, ma si vive", richiamando all'esigenza di tornare alla semplicità e all'umiltà come fonte vera di felicità. E' qui che forse Jep trova la speranza di una nuova vita, più sobria e più semplice, e forse anche più intima e serena, e decide di riprendere il suo lavoro di scrittore.
Insomma, sinceramente non mi sarei mai aspettato da un regista italiano un film di tale spessore, sia estetico che morale, che cade, secondo me, solamente nell'eccessiva lentezza di qualche sequenza prima della fine.
Certo, se pur molto "chiacchierato", non è certo un film per tutti, anzi, forse tutti questi proclami e il suo dirompente ingresso nell'opinione pubblica ne hanno impoverito il valore che, a parer mio è indiscutibile, soprattutto presa in esame la media dei film italiani degli ultimi anni.
Davvero un film d'altri tempi, nel vero senso della parola.
Bravo Sorretino,continua così.
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aria2014
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venerdì 7 marzo 2014
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il viaggio della vita
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Qual è il significato de "La grande bellezza?" Il viaggio, quello della vita, ma non quella scandita dai ritmi di un tempo sempre uguale a se stesso, o uguale a quello dettato da schemi di vita omologati alla massa, non è quella condizionata da pregiudizi o dalle apparenze, né quella di un treno che gira e rigira senza meta. È il viaggio della vita, quella vissuta nella pienezza delle emozioni, dei sentimenti, quella che si sente nello stare semplicemente insieme, anche in un'umile ma "calda" dimora. È la vita, quella del sacrificio, di un sogno da coronare, di un obiettivo da raggiungere, è quella del perdersi nell'immensità del cielo o di un prato, del contemplare la natura in tutti i suoi aspetti, è quella dell'amore, dell'amicizia, è quella del coltivare una passione, è quella della dignità nella miseria, è quella della purezza preservata nonostante le ingiustizie del tempo, è quella del conoscere l'arte ereditata dal passato, è quella della missione che ognuno di noi è destinato a compiere su questa terra, è il viaggio della vita, quella "lunga", quella della scoperta del suo vero senso, quella che a 65, 70, 80, 90, 100 anni, fa voltare indietro e dire: "Ho vissuto! Ora mi attende l'altrove, ma grazie vita, sei stata bella, anche nei momenti peggiori, perché anche allora ero vivo!".
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Qual è il significato de "La grande bellezza?" Il viaggio, quello della vita, ma non quella scandita dai ritmi di un tempo sempre uguale a se stesso, o uguale a quello dettato da schemi di vita omologati alla massa, non è quella condizionata da pregiudizi o dalle apparenze, né quella di un treno che gira e rigira senza meta. È il viaggio della vita, quella vissuta nella pienezza delle emozioni, dei sentimenti, quella che si sente nello stare semplicemente insieme, anche in un'umile ma "calda" dimora. È la vita, quella del sacrificio, di un sogno da coronare, di un obiettivo da raggiungere, è quella del perdersi nell'immensità del cielo o di un prato, del contemplare la natura in tutti i suoi aspetti, è quella dell'amore, dell'amicizia, è quella del coltivare una passione, è quella della dignità nella miseria, è quella della purezza preservata nonostante le ingiustizie del tempo, è quella del conoscere l'arte ereditata dal passato, è quella della missione che ognuno di noi è destinato a compiere su questa terra, è il viaggio della vita, quella "lunga", quella della scoperta del suo vero senso, quella che a 65, 70, 80, 90, 100 anni, fa voltare indietro e dire: "Ho vissuto! Ora mi attende l'altrove, ma grazie vita, sei stata bella, anche nei momenti peggiori, perché anche allora ero vivo!". La grande bellezza è il viaggio del tempo di vita che ci è donata, quella da cogliere in ogni istante, è il cercare, è il costruire, è quella della scoperta di ogni piccola grande bellezza. La grande bellezza è un trucco, quello che al momento dell'altrove come tale si rivelerà a chi si sta apprestando ad andare, ma che non sbiadirà se chi andrà avrà lasciato di sé qualcosa che per sempre lo ricorderà. La grande bellezza è la vita così come ognuno di noi dovrebbe viverla perché sia tale: UNA GRANDE BELLEZZA!
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alex62
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venerdì 14 marzo 2014
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bentornata, sig.a morte!
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Probabilmente nessuno se n'è accorto! Forse nessuno, o quasi, ha afferrato il tema di questo film.
Ma questo sarebbe più che comprensibile, poiché LA MORTE è l'unico autentico tabù che ci è rimasto. Non se ne può parlare, i nostri bambini non ne devono sapere nulla; al limite non devono neanche stare a contatto coi nonni, come se avessero una malattia contagiosa che si chiama semplicemente “decrepitezza”. Non devono accorgersi che essi stanno semplicemente, lentamente morendo. Naturalmente. E qui nasce il problema, l'uomo contemporaneo, tecnologico, padrone della tecnica per manipolare tutto, perfino la vita, conoscitore raffinato di tutte le leggi che governano e che gli permettono di possedere il mondo, non può accettare l'esistenza della morte.
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Probabilmente nessuno se n'è accorto! Forse nessuno, o quasi, ha afferrato il tema di questo film.
Ma questo sarebbe più che comprensibile, poiché LA MORTE è l'unico autentico tabù che ci è rimasto. Non se ne può parlare, i nostri bambini non ne devono sapere nulla; al limite non devono neanche stare a contatto coi nonni, come se avessero una malattia contagiosa che si chiama semplicemente “decrepitezza”. Non devono accorgersi che essi stanno semplicemente, lentamente morendo. Naturalmente. E qui nasce il problema, l'uomo contemporaneo, tecnologico, padrone della tecnica per manipolare tutto, perfino la vita, conoscitore raffinato di tutte le leggi che governano e che gli permettono di possedere il mondo, non può accettare l'esistenza della morte. La degenerazione cellulare, l'entropia mettono a rischio il suo sterminato potere... Il meccanismo di negazione ci consente d'illuderci che essa non esista. Sorrentino, con il suo lento, aristocratico, indolente stile da aristocratico napoletano, declina alcuni aspetti di questa negazione. È magistrale nell'offrire alcuni tra i migliori personaggi del cinema recente. E su tutti svetta Sabrina Ferilli che disegna la migliore interpretazione della sua carriera, non ostentando mai, neanche in una singola inquadratura, le sue innegabili doti attoriali ed estetiche. Non c'è il minimo autocompiacimento, è rigorosa e onesta nel costruire in poche scene un personaggio di sapore pirandelliano. E tutti noi, alla fine, ci commuoviamo insieme con Gep Gambardella, laddove è immorale piangere perché significa rubare lo spettacolo del dolore ai parenti stretti. Ci commuove il lutto di un'attrice perfettamente calata nel ruolo che avrebbe meritato, forse più del film, il premio Oscar.
Un altissimo rispetto per la fede autentica, la spiritualità vissuta, attualizzata, la fede che non è evanescente ma concreta che significa servizio ai poveri. È l'altro personaggio cardine del film, “la santa”, che, vi prego, non è ricalcata su Teressa di Calcutta, è altro, tanto altro.
E alla fine dello spettacolo siamo tutti intuitivamente consapevoli che non si tratta di un trucco!
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[+] non è proprio così!!
(di 31100 treviso)
[ - ] non è proprio così!!
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blufont
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giovedì 30 maggio 2013
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che spreco, la bellezza.
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Se La Grande Bellezza voleva essere un film sul niente, allora il film è ben riuscito. Sorrentino si cimenta, come il più volte citato Balzac, nella titanica impresa di descrivere il niente, il vuoto di una vita, quella di Jep e dei suoi amici (o meglio, conoscenti), di una città millenaria della cui potenza è rimasto solo un meraviglioso guscio di marmo, di una società priva di interessi, di ideali, di idee, di estetica. Vuoti sono i discorsi, vuote sono le relazioni, buone appena a farsi compagnia nelle calde notti romane, vuoti sono i palazzi, abitati solo dai fantasmi di una nobiltà di cui non è rimasto che il nome, da affittare ad ore per una cena mondana.
In questo niente, a volte ci resta solo la Grande Bellezza, a Roma così sfacciatamente manifesta in ogni scorcio eppur difficile da cogliere come l’ago in un pagliaio.
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Se La Grande Bellezza voleva essere un film sul niente, allora il film è ben riuscito. Sorrentino si cimenta, come il più volte citato Balzac, nella titanica impresa di descrivere il niente, il vuoto di una vita, quella di Jep e dei suoi amici (o meglio, conoscenti), di una città millenaria della cui potenza è rimasto solo un meraviglioso guscio di marmo, di una società priva di interessi, di ideali, di idee, di estetica. Vuoti sono i discorsi, vuote sono le relazioni, buone appena a farsi compagnia nelle calde notti romane, vuoti sono i palazzi, abitati solo dai fantasmi di una nobiltà di cui non è rimasto che il nome, da affittare ad ore per una cena mondana.
In questo niente, a volte ci resta solo la Grande Bellezza, a Roma così sfacciatamente manifesta in ogni scorcio eppur difficile da cogliere come l’ago in un pagliaio. La bellezza che spesso ci circonda, ci inonda dall’alba al tramonto ed oltre, ma che in pochi sanno trovare, e si spreca giorno dopo giorno, senza però consumarsi mai. L’alba sul Gianicolo, con cui si apre il film (la cui magia mi fa pensare a Respighi), è uno spettacolo talmente mozzafiato da uccidere un turista giapponese, ma l’élite romana non l’ha mai vista, perché preferisce sballarsi tutta la notte tra musica assordante, alcool, sesso e droga. Nella città del Rinascimento, oggi passa per arte la tela imbrattata da una ragazzina isterica e viziata, per intellettuale chi ha scritto un unico romanzetto giovanile, per attore impegnato chi prende a testate un muro. Nella città di San Pietro persino la religione non ha più un posto: i cardinali si sottraggono al loro ruolo di guida spirituale, le suore ammiccano a nerissimi capi tribali in perizoma, i santoni sono personaggi di carta velina raggrinzita. Nè si salva la bellezza del corpo: la venere plastica del Dio botulino, propinata in serie in una catena di montaggio, svuota le tasche e annulla l’identità; e anche chi è dotato da madre natura (Sabrina Ferilli, Isabella Ferrari) non è immune dalla solitudine, dalla malattia, dall’infelicità e dall’abbandono. Per ironia della sorte, la donna più serena del film sembra proprio quella cui la bellezza è stata negata: la direttrice del giornale per cui lavora Jep. La bellezza, allora, è più sorbire un brodino con lei, deforme ma buona amica, piuttosto che una serata vuota con bella donna di mezza età. La bellezza volgare delle centinaia di donne che animano le feste svanisce di fronte all’incontro fugace con Fanny Ardant per via Veneto, che presta la sua eleganza per uno splendido cameo. Servillo incarna egregiamente il dandy stanco che si trascina nelle notti romane sotto i cui occhi scorre la felliniana carrellata di personaggi (a volte eccessivamente caricaturali). Sorrentino sfrutta al massimo le risorse della scenografia più bella del mondo, accarezzando Roma in tutti i momenti del giorno e della notte, giocando con luci ombre e suoni (dall’acqua delle fontane alle lingue straniere delle badanti) e creando momenti di vera poesia, per poi riversare nelle sue strade lucide e sulle terrazze l’élite cafona che non merita una tale eredità dal passato. Qualche minuto in meno di vacue conversazioni, e una mezzoretta in meno di “niente”, avrebbero forse giovato alla fruizione globale dell’opera, senza peraltro nulla toglierle. Per il resto, un bel film che ci ricorda che il cinema italiano non è solo commedia.
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catullo
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sabato 8 marzo 2014
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e bravo sorrentino!
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Resto stupito dal genere di critiche che leggo un pò dappertutto ad un film Italiano che finalmente ha il pregio di muovere le acque putride della palude culturale in cui il paese rimane intrappolato da decenni....altro che spot del ministero del turismo come ha detto il mio caro Daverio...oppure sbaglia chi sostiene che Sorrentino ha voluto emulare Fellini...se mai ha seguito le sue tracce su di una via Veneto tristemente deserta in contrasto con quella affollatissima che Fellini ricostruì a Cinecittà. Altri tempi quelli della "Dolce vita"...anche se Sorrentino in qualche modo attraverso le giacche colorate del suo alter ego lo splendido Servillo ci conferma che le terrazze di Roma sono ancora frequentate dagli stessi intellettuali borghesi beffeggiati da Flaiano o gli stessi che Pasolini definì la classe borghese Italiana.
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Resto stupito dal genere di critiche che leggo un pò dappertutto ad un film Italiano che finalmente ha il pregio di muovere le acque putride della palude culturale in cui il paese rimane intrappolato da decenni....altro che spot del ministero del turismo come ha detto il mio caro Daverio...oppure sbaglia chi sostiene che Sorrentino ha voluto emulare Fellini...se mai ha seguito le sue tracce su di una via Veneto tristemente deserta in contrasto con quella affollatissima che Fellini ricostruì a Cinecittà. Altri tempi quelli della "Dolce vita"...anche se Sorrentino in qualche modo attraverso le giacche colorate del suo alter ego lo splendido Servillo ci conferma che le terrazze di Roma sono ancora frequentate dagli stessi intellettuali borghesi beffeggiati da Flaiano o gli stessi che Pasolini definì la classe borghese Italiana... la più ignorante dell'occidente. Perchè trascurare o abbandonare la grande bellezza in cui ci è toccato vivere è da barbari e noi Italiani di oggi lo siamo ricambiati dal disprezzo dell'occidente intero! Comunque...erano decenni che un film non mi aveva dato tante emozioni...un intreccio di immagini oniriche e musica bellissima che mi ha finalmente stupito e fatto sognare! Ieri il "Divo"...oggi questo gioiello....che non è solo un'ottimo film ma che come tutti i capolavori lascia il segno dentro di noi! Grazie Sorrentino! grazie!
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alesalas1987
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giovedì 27 marzo 2014
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il decadente affresco della postmodernità
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A fianco di molti elogi giustamente spesi nei confronti de “la grande bellezza”, molte sono state anche le critiche arrivate, per lo più, diciamolo, dal pubblico italiano. Fra tutte, la più comune riguarda lo scarso ritmo della piccola, giudizio questo sintetizzato da un tanto lapidario quanto sbrigativo: “è un film noioso”. La realtà, se vogliamo dirla tutta, è che la grande bellezza non è né un film noioso, né tantomeno un film. O almeno, non nel modo “tradizionale” in cui tutti noi intendiamo il concetto di film: ossia un potente costrutto narrativo con uno o più protagonisti che, passando per alcuni avvenimenti particolari, procedono da un punto di partenza “A” verso un punto di arrivo “B”.
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A fianco di molti elogi giustamente spesi nei confronti de “la grande bellezza”, molte sono state anche le critiche arrivate, per lo più, diciamolo, dal pubblico italiano. Fra tutte, la più comune riguarda lo scarso ritmo della piccola, giudizio questo sintetizzato da un tanto lapidario quanto sbrigativo: “è un film noioso”. La realtà, se vogliamo dirla tutta, è che la grande bellezza non è né un film noioso, né tantomeno un film. O almeno, non nel modo “tradizionale” in cui tutti noi intendiamo il concetto di film: ossia un potente costrutto narrativo con uno o più protagonisti che, passando per alcuni avvenimenti particolari, procedono da un punto di partenza “A” verso un punto di arrivo “B”.
Ne “la grande bellezza”, tanto per essere chiari, non vi è niente di tutto ciò: non c’è una precisa costruzione narrativa, non c’è un punto di partenza, non c’è un punto di arrivo, non c’è una chiara conclusione e soprattutto non c’è alla base del film una molteplicità di sfortune contro le quali il protagonista si imbatte per giungere felicemente al tanto agognato obiettivo. O meglio, le sfortune ci sono, ma vengono qui rappresentate più come limiti della natura umana da metabolizzare piuttosto che come insormontabili ostacoli da superare. Se vogliamo dirla tutta, la grande Bellezza è un film che non è piaciuto a molti proprio perché, con un cinismo un po’ sfrontato e dal sapore fortemente nostalgico, spalanca gli occhi di fronte alla naturalezza e alla insensatezza della vita; vita stessa che viene qui rappresentata più come un frammentato e incoerente flusso circolare di istanti a sé stanti che come un preciso e lineare continuum diretto a un obiettivo. E, malgrado quanto detto dai media nazionali, la grande bellezza non parla dell’Italia: o almeno, non solo. Sorrentino ha l’obiettivo ben più ambizioso di rappresentare la vita stessa, filtrandola con lo sguardo narcisistico proprio dell’era postmoderna nella quale stiamo vivendo. E, a mio avviso, riesce in questa impresa soprattutto grazie a due principali fattori.
Prima di tutto, Sorrentino esprime al meglio la trasformazione di quadro concettuale avvenuta nell’ultimo secolo: dissolti i miti neopositivisti fiduciosi nel rappresentare vita e società come coerenti narrazioni che la scienza è in grado di spiegare, la vita è ora ridotta a un tanto confuso quanto incoerente susseguirsi di frammenti isolati fra di loro, con la dimensione temporale che passa da verità apodittica a sensazione meramente soggettiva, prodotta interamente dall’esperienza singola dell’individuo. Tradotto: la sicurezza di un mondo coerente e sotto controllo diventa incertezza riguardo una realtà che non per forza è come sembra. Jep non ha un ruolo nella società, né un fine nella vita: vive per esistere, alla stregua di tutta la gente che lo circonda. E lo fa passando attraverso una serie di momenti a cui cerca, neanche troppo convintamente, di dare un senso, di trovarne, in qualche modo, “la grande bellezza”. Grande Bellezza che alla fine, di fronte allo sguardo impietosito ma anche velatamente accusatorio della suora, accetta di non essere riuscito a cogliere; il senso globale del tutto si sgretola miseramente di fronte alle risposte non date, e l’uomo soffre in solitudine questa perdita di certezza.
In secondo luogo, ma non per questo meno in modo meno convincente, la grande bellezza esprime in toto la trasformazione sociale di cui tutti negli ultimi decenni siamo stati contemporaneamente attori e vittime. Privi ormai di qualsiasi punto di riferimento sociale, persi fra una chiesa che partorisce cardinali senza fede e una politica che viene rappresentata da latitanti che si vantano di mandare avanti l’economia, i personaggi della grande bellezza, così come gli individui del mondo post-moderno, si aggirano infatti per la vita non solo senza modelli comportamentali da seguire, ma anche senza ideali propri da perseguire. Scrittori che non scrivono, malati che non si curano, preti che non pregano, soubrette che non ballano più, intellettuali che si pensano superiori pur non avendo nulla in più della gente comune: tutti partecipano al carrozzone decadente della postmodernità, dove si preferisce perdersi in una vorticosa spirale di mondanità votata interamente al raggiungimento del piacere nell’istante presente piuttosto che fermarsi a riflettere e a ricercare un senso più profondo della loro esistenza. Eppure la riflessione, o il tentativo di riflettere, non manca, né nella vita, né in questo film: ma il sapore dei pensieri di Jep e di molti di noi è alla fine una sorta di reminiscenza malinconica con un retrogusto amaro: comprendere che ci sia qualcosa che non va, ma non riuscire (o non volere) afferrarne il senso completo. E non perché sia impossibile, ma, cosa se vogliamo ben più grave, perché manca la costanza e la voglia di credere nelle proprie potenzialità. Jep è nello stesso tempo specchio e sintomo di una società senza guida, che ha prodotto una generazione priva della capacità di concentrarsi non solo sulle proprie potenzialità, inserendole in un percorso di crescita individuale a lungo termine, ma neanche sugli avvenimenti circostanti. L’unico obiettivo della vita postmoderna diventa quindi una distrazione disillusa fine a se stessa, che allontana, o quantomeno non avvicina, alla verità della vita: un mero divertissment che non solo non aiuta a rispondere alle domande, ma non contribuisce neanche più a porsene di nuove.
La recita di Jep, che alterna quotidianamente maschere pirandelliane per sopravvivere al senso di decadenza interiore, coinvolge quindi tutta la capitale italiana in un’orbita gravitazionale costantemente lontana dal centro, metaforicamente rappresentato benissimo dalla città di Roma, che, non a caso, viene sempre sfiorata ma mai vissuta veramente. Roma che è poi in senso stretto quella grande bellezza, emblema di una ricchezza interiore e di un senso di vita che è solamente visto da lontano ma anch’esso mai raggiunto a fondo.
C’è tutta la natura umana contemporanea nel film di Sorrentino, in un mondo diviso fra chi ne è tuttavia consapevole, pur senza fare sforzi per uscirne, e chi affannosamente pensa di potersi elevare al di sopra degli altri, salvo poi essere riportato bruscamente a terra durante una conversazione sul magico terrazzo con vista colosseo. Alla fine, però, devono tutti fare i conti con la natura della vita stessa, e facendo cadere tutte le maschere, quello che rimane è semplicemente un incoerente alternarsi fra brutti momenti di decadenza e sparuti cenni di grande bellezza. Come la suora, come Roma: ci passano a fianco senza che ce ne accorgiamo.
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[+] la visione del tempo
(di stella85)
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federica b. 94
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martedì 8 aprile 2014
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crepuscolare
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Ho visto questo film una sola volta , ma mi è stato sufficiente a comprendere il suo significato. Ho riflettuto molto a lungo sui dialoghi , sulle immagini , sulle espressioni degli attori e sull' atmosfera nel quale si aggirano i personaggi. Non voglio confinare la comprensione di questo film ad un pubblico "elitario" , ma è evidente che chi non possiede spirito critico o capacità di rielaborare il contenuto di un film superando il velo di maya apparente , non potrà mai carpire la sua essenza. Ho ascoltato e letto molte opinioni di dissenso. La maggior parte lo considerano un' accozzaglia di fotografie al fine di apparire un dépliant di vacanze , altri un insieme di citazioni di letterati e filosofi altri il capolavoro dell' ultimo secolo.
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Ho visto questo film una sola volta , ma mi è stato sufficiente a comprendere il suo significato. Ho riflettuto molto a lungo sui dialoghi , sulle immagini , sulle espressioni degli attori e sull' atmosfera nel quale si aggirano i personaggi. Non voglio confinare la comprensione di questo film ad un pubblico "elitario" , ma è evidente che chi non possiede spirito critico o capacità di rielaborare il contenuto di un film superando il velo di maya apparente , non potrà mai carpire la sua essenza. Ho ascoltato e letto molte opinioni di dissenso. La maggior parte lo considerano un' accozzaglia di fotografie al fine di apparire un dépliant di vacanze , altri un insieme di citazioni di letterati e filosofi altri il capolavoro dell' ultimo secolo. Io sono arrivata ad una conclusione . Il regista pone come aspetto principale la bellezza di una città in cui ormai imperano corruzione , mondanità sfrenata , false amicizie e nello sfondo protagonisti logorati dall' egocentrismo , dal narcisismo e dall' ossessiva voglia di possedere un ' individualità di alto spicco sociale. Tra questa masnada di maschere esce fuori l' unico uomo che ha il coraggio di ammettere la sua vera essenza. Ecco chi è Gep Gambardella ; colui che vive con distacco ma al contempo da protagonista ( ecco dove sta il paradosso e l' ossimoro ) la romana vita mondana. Egli è il Didimo Chierico dei nostri giorni , l alter - ego di Andrea Sperelli , protagonista del "Piacere" di D' Annunzio. Un uomo come Gambardella è abituato a vivere una statica vita sfrenata , alla ricerca di istinti voluttuosi . Stanco della vita quotidiana cerca la bellezza anche nelle peggiori depravazioni , ma ciò che trova è tristezza , debolezza e vacuità. La sua vocazione ad essere scrittore si mette a tacere nel momento in cui la vita non riesce più a stupirlo a meravigliarlo. L' apice e il declino , il suo decadimento e la decadenza della città eterna denunciano la crisi dei valori e degli ideali di un giovane ragazzo che non è a conoscenza della meschinità del finto mondo elitario. La bellezza di Roma , le sue lunghe passeggiate di notte e all' alba sono gli unici sparuti sprazzi di bellezza nel grigio emisfero reale. Le feste , lo sfarzo , l amore , tutto è visto in modo fortemente edonistico. L' incontro con la spogliarellista Ramona , risveglierà in Gep una umanità ormai perduta. La genuinità e la semplicità della donna stupisce lo scrittore , proprio come la sua prematura scomparsa che fa ricadere il protagonista in un vortice buio e senza uscita. L' amico Romano , l' unico a cui Gep era legato da un sentimento disinteressato , lascia Roma , ormai incapace di sorprenderlo anzi è proprio la causa del suo fallimento quanto artista quanto uomo. Sarà l' incontro con una santa grazie ad un' intervista che farà rinascere in Gambardella la voglia di scrivere. La donna risveglia in lui la meraviglia e la curiosità a cui non si era mai avvicinato ossia la mera umanità. Il protagonista è una sorta di eroe in una società basata sull' apparenza e priva di autenticità. La continua ricerca di una bellezza è la rincorsa ad un falso mito o sogno che ricorda l' ormai perduta età dell' oro. La vera bellezza sta nell' affine conoscenza di se stessi e il raggiungimento di certezze e consapevolezza ad un' età più che matura come quella del protagonista. Un film da vedere assolutamente , a mio parere la pellicola è molto significativa anche se non da oscar.
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stefano bruzzone
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mercoledì 5 marzo 2014
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un fiasco
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Esprimere la propria opinione su un film come questo non è facile. Dopo che ha vinto l'oscar direi che è ancora tutto più difficile anche se, si sa, non sempre chi vince l'oscar fa un film decente. Partiamo dalla fine. Ringraziamo di cuore l'accademy per averci regalato un oscar peccato che con l'esibizione di sorrentino a los angeles non siamo stati gentili e riconoscenti abbastanza. Il regista italiano è l'unico che si è espresso con un inglese da seconda elementare con un intervento spiccio, supponenete e quasi infastidito dal trovarsi li.
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Esprimere la propria opinione su un film come questo non è facile. Dopo che ha vinto l'oscar direi che è ancora tutto più difficile anche se, si sa, non sempre chi vince l'oscar fa un film decente. Partiamo dalla fine. Ringraziamo di cuore l'accademy per averci regalato un oscar peccato che con l'esibizione di sorrentino a los angeles non siamo stati gentili e riconoscenti abbastanza. Il regista italiano è l'unico che si è espresso con un inglese da seconda elementare con un intervento spiccio, supponenete e quasi infastidito dal trovarsi li. Non ha sprecato 2 parole sul cast e sul resto dei collaboratori come fanno tutti, per perdersi in grotteschi saluti e ringraziamenti ad improbabili personaggi che l'avrebbero ispirato (infatti i risultati si vedono) tipo maradona...non mi era mai capitato di sentire un premio oscar sul palco dire tante, o poche, sciocchezze come sorrentino e Servillo sghignazzante alle spalle completava l'atmosfera grottesca e circense che ha accompagnato la nostra esperienza agli oscar. Deplorevole anche non aver portato almeno Verdone e la Ferilli che, a mio avviso, sono state le uniche 2 note liete del film.
Veniamo al film. Dice bene sorrentino di essersi ispirato a fellini anche se io direi che più che un'ispirazione è stato un maldestro tentativo di scopiazzare la dolce vita visto con usi e costumi dei giorni nostri però Fellini girava capolavori ma capolavori “a modo suo”, non per tutti e il risultato erano films di una noia mortale, pesanti, lunghi, difficili da comprendere. Sorrentino volendolo scimmiottare partorisce 150 minuti noiosissimi con dialoghi incomprensibili, senza senso e con un overdose di Servillo che adesso farebbe bene a starsene buono per qualche anno onde evitare di stufare il pubblico con la sua presenza. Unica nota lieta un'ottima fotografia (roma, bella come sempre, ci ha messo del suo....) ma tutto qui, ed è poco per un oscar. Anche le musiche sono in linea con il film, noiose, incomprensibili e fuori tema...qui , se avesse copiato meglio,fellini insegnava di brutto. Una nota di merito a Verdone per aver accettato un ruolo secondario onorando l'impegno da vero professionista e ad una sorprendente Ferilli che a quasi 50 anni si mette a nudo esibendo una forma fisica invidiabile ed una bellezza nostrana che sul palco degli oscar non avrebbe sfigurato davanti a nessuna star del cinema ma anche qui sorrentino ha preferito onorare scorsese e i talking heads (chissà perchè poi...) che i suoi attori.
Concludendo, 150 minuti di vuoto assoluto, noiosi e incomprensibili. Insomma già la dolce vita a suo tempo fu un film difficile da comprendere e vedere, fare un tentativo di replica oggi è impresa assai difficile per non dire impossibile. Sorrentino ce l'ha messa tutta ma il risultato è un fiasco pazzesco. Peccato perchè qualche buon film sorrentino l'ha fatto tipo Il Divo e l'amico di famiglia ma qui, a mio avviso, ha voluto strafare ed ha toppato in pieno...poi i misteri della vita regalano un oscar ma può essere che la concorrenza quest'anno sia stata ben peggiore di questo.
Voto: 4
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[+] perfettamente d'accordo
(di rillo mauro)
[ - ] perfettamente d'accordo
[+] fellini c'è e si vede (un elemento di marketing ?)
(di tiberiano)
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alel33
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venerdì 7 marzo 2014
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un capolavoro difficilmente ripetibile
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Tramite immagini intrise di una decadenza maestosa affiorano la turbolenza e l'angoscia della vita,che racchiude in sè stessa una inspiegabile meraviglia.Una storia che porta con sè tante storie,che assieme partecipano a comporre un quadro che rappresenta tutte le sfumature dell'esistenza.Uno spezzato di vita che altro non è se non il rapporto imperfetto tra interiorità ed esteriorità,superficialità e spiritualità,tra la grandezza della mente e la potenza del corpo.Il film fornisce un estremo approccio alla fugacità della vita e allo stesso tempo all'eternità del mondo che ci avvolge e ci trascina.Quello che rimane è la consapevolezza che tutto ciò che ci circonda non è altro che l'insieme di confuse alterità che convivono e caratterizzano lo scorrere lento dei nostri giorni,tagliati a metà dal turbinio del caos.
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Tramite immagini intrise di una decadenza maestosa affiorano la turbolenza e l'angoscia della vita,che racchiude in sè stessa una inspiegabile meraviglia.Una storia che porta con sè tante storie,che assieme partecipano a comporre un quadro che rappresenta tutte le sfumature dell'esistenza.Uno spezzato di vita che altro non è se non il rapporto imperfetto tra interiorità ed esteriorità,superficialità e spiritualità,tra la grandezza della mente e la potenza del corpo.Il film fornisce un estremo approccio alla fugacità della vita e allo stesso tempo all'eternità del mondo che ci avvolge e ci trascina.Quello che rimane è la consapevolezza che tutto ciò che ci circonda non è altro che l'insieme di confuse alterità che convivono e caratterizzano lo scorrere lento dei nostri giorni,tagliati a metà dal turbinio del caos.
Sicuramente un grande capolavoro,sofisticato e complesso,proprio per questo non capito da tutti.Il fatto stesso che il pubblico risulti essere diviso a metà è un'altra conferma della potenza mastodontica di una grande storia.
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giugiã¹
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venerdì 14 marzo 2014
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cogito ergo sum
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Lo sapeva Sorrentino, quando ha girato “La Grande Bellezza”, di avere omologato il testamento di un Italia soffocata dal suo stesso processo di sviluppo? Secondo me no! Voleva dare un messaggio, sancire un passaggio o filmare una disfatta, ma la portata di questo messaggio è stata sicuramente di gran lunga superiore alle sue aspettative , poiché va ben oltre i confini in cui lo stesso regista l’aveva forse circoscritto.
“La Grande Bellezza” è un testamento olografo, la parte depositata supera oltremisura le intenzioni del lascito, l’immenso patrimonio umano e sociale si nasconde nell’attonito incanto suscitato da opere e monumenti, nel radioso immobilismo dei paesaggi, nella lentezza delle riprese che lasciano lunghi spazi al silenzio ed alle pause, ai discorsi abbozzati e sospesi, ai passaggi senza continuità ma concludenti, al non detto pensato o compiutosi.
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Lo sapeva Sorrentino, quando ha girato “La Grande Bellezza”, di avere omologato il testamento di un Italia soffocata dal suo stesso processo di sviluppo? Secondo me no! Voleva dare un messaggio, sancire un passaggio o filmare una disfatta, ma la portata di questo messaggio è stata sicuramente di gran lunga superiore alle sue aspettative , poiché va ben oltre i confini in cui lo stesso regista l’aveva forse circoscritto.
“La Grande Bellezza” è un testamento olografo, la parte depositata supera oltremisura le intenzioni del lascito, l’immenso patrimonio umano e sociale si nasconde nell’attonito incanto suscitato da opere e monumenti, nel radioso immobilismo dei paesaggi, nella lentezza delle riprese che lasciano lunghi spazi al silenzio ed alle pause, ai discorsi abbozzati e sospesi, ai passaggi senza continuità ma concludenti, al non detto pensato o compiutosi. Lentezza come consunzione e agonia verso l’unica meta certa e nota all’essere umano fin dalla nascita: la morte, l’annullamento nichilistico del sé, inconscio o volontario, ma inesorabilmente concreto.
“La Grande Bellezza” è l’annullarsi di una Società cresciuta sulle sue stesse contraddizioni, che gioca a “mosca cieca” con se stessa e sta andando dritta sparata verso un dirupo, senza afferrare nulla di tutto ciò che ha intorno. Il precipitare quindi non è casuale - un “capitato” – è piuttosto un “annunciato” conclamato in corso d’opera. Eppure questa morte è terapeutica: è la “condicio sine qua non ” per la rinascita: il ritorno alle radici, alla povertà del vivere, intesa come superamento del superfluo diventato essenziale, che ha corroso come cancrena tutto ciò che di positivo è dell’uomo: sentimenti, spiritualità, valori. La grande bellezza di una Società che non ha nulla da dire, che si disgrega nella falsità illusoria degli stereotipi - “i trenini che facciamo alle nostre feste sono i più belli di tutta Roma” - sono le vestigia solitarie del passato, muti testimoni di tempi andati o i ricordi di incontaminata purezza di un vissuto lontano, in cui vivere e morire aveva un senso.
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