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brando fioravanti
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venerdì 7 marzo 2014
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la grande bellezza e la grande bruttezza
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Una lunga serie di attori bravi, ma sprecati in commeduole hanno finalmente il loro nome in un film premiato dall'Oscar. La Ferilli sempre criticata è stata tra le migliori. Per non parlare della colonna sonora e della sublime fotografia di Bigazzi che finalmente ha lo scenario che merita. Se Roma è una città bellissima nei suoi eterni monumenti e nella sua eterna storia è oggi ridotta ad degli artisti che non sono capaci di fare arte a scrittori che non hanno ispirazioni. Banalità, vuoto e squallore visti da un personaggio sensibile , ma anche freddo nel giudicare. Non mancano le metafore come le radici della pianta e come l'odore della casa dei vecchi e l'immenso piacere della nostalgia diventata ormai un rifugio.
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Una lunga serie di attori bravi, ma sprecati in commeduole hanno finalmente il loro nome in un film premiato dall'Oscar. La Ferilli sempre criticata è stata tra le migliori. Per non parlare della colonna sonora e della sublime fotografia di Bigazzi che finalmente ha lo scenario che merita. Se Roma è una città bellissima nei suoi eterni monumenti e nella sua eterna storia è oggi ridotta ad degli artisti che non sono capaci di fare arte a scrittori che non hanno ispirazioni. Banalità, vuoto e squallore visti da un personaggio sensibile , ma anche freddo nel giudicare. Non mancano le metafore come le radici della pianta e come l'odore della casa dei vecchi e l'immenso piacere della nostalgia diventata ormai un rifugio.
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seiya81
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sabato 15 marzo 2014
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la grande vibrazione
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Di solito non scrivo di cinema…lo guardo.
In primis perché non ho le competenze per poterne parlare e poi perché trovo particolarmente difficile mettere per iscritto determinate sensazioni ed emozioni provate dopo la visione di un bel film. Sarebbe riduttivo se poi, spiegando il perché un film mi sia piaciuto, non passassi a ripercorrere la carriera di un regista, il filone di appartenenza, lo stile e tutto il resto. Inoltre, per fare un’analisi di questo tipo, ci vuole concentrazione, tempo e pazienza quindi preferisco scambiare qualche opinione con qualcuno affetto come me da questa bellissima patologia. Così guardo, leggo, vado al cinema e di solito non scrivo, leggo da altri…e mi basta.
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Di solito non scrivo di cinema…lo guardo.
In primis perché non ho le competenze per poterne parlare e poi perché trovo particolarmente difficile mettere per iscritto determinate sensazioni ed emozioni provate dopo la visione di un bel film. Sarebbe riduttivo se poi, spiegando il perché un film mi sia piaciuto, non passassi a ripercorrere la carriera di un regista, il filone di appartenenza, lo stile e tutto il resto. Inoltre, per fare un’analisi di questo tipo, ci vuole concentrazione, tempo e pazienza quindi preferisco scambiare qualche opinione con qualcuno affetto come me da questa bellissima patologia. Così guardo, leggo, vado al cinema e di solito non scrivo, leggo da altri…e mi basta.
Ma l’altra sera, dopo la messa in onda in televisione de “LA GRANDE BELLEZZA” a quell’ora folle, commettendo in tutti i sensi un’azione criminale nei confronti di un’opera d’arte e leggendo sui giornali e su internet i bla bla bla negativi di tantissimi miei compatrioti furiosi e arrabbiati neri di avere vinto l’Oscar, è venuta voglia anche a me di fare bla bla bla…quindi ho preso la penna e non ho finito più di scrivere.
Il film di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero, è una profonda ed incessante ricerca di spiritualità, d’ispirazione, di arte e di bellezza all’interno di una società, di un mondo soffocato dall’apparire e dall’ingordigia, di una vita passata su una terrazza chic a ballare una macabra danza con scheletri botulinati o a fare trenini che non portano in nessun posto, in un mondo dove ci son corpi che si nutrono lussuriosamente di altri corpi, dove tutto è decadenza, tutto è lecito, tutto è vizio, tutto è…niente!
Nella città eterna si consuma l’eterno conflitto tra spiritualità e peccato, nella Roma che fu ed è eterna, nell’Italia che fu ed è di Leonardo, Michelangelo, Dante, Mastroianni, Leopardi, Raffaello, Verga, Brunelleschi, Gassman, Verdi, De Sica, Magnani, Pirandello, Pasolini, Caruso, Manfredi, Rossellini, Sciascia, Manzoni, Totò, Pavarotti e Fellini assistiamo ad un allucinante, irrefrenabile ricerca dell’ispirazione persa, dell’antica purezza, della Bellezza…e nel Bel Paese questa, purtroppo, non la si trova più!
Tutto è diroccato come Pompei, guastato come la Chiesa, marcio come la politica, omertoso come la mafia, finto come la televisione, fatiscente come la cultura, agghiacciante come la Concordia, decadente come Roma…che nel film assume le sembianze di una diva morta.
Il film si apre con un preludio criptico che ha come assoluta protagonista la morte. È una calda mattina d’estate a Roma e, nell’aria, riecheggia straziante un canto funebre sospirato da alcune donne vestite di nero che con un’enfasi da tragedia greca ci conducono dritti dritti alla vita. Ed eccola qui la vita, la Dolce Vita, sbattuta in faccia da un urlo alla Munch, magistralmente eseguito da una donna ripresa in primo piano che, particolarmente presa dalla megafesta a cui sta partecipando, fa da sipario allo spettacolo sonoro e visivo che ci si para davanti.
Ed eccolo qui l’Amarcord glamour e post-moderno di Sorrentino. Sulle note di una bombata, remixata, modernizzata, orgasmatica “Ah…Ah…a far l’amore comincia tu!”, motivetto di una brillante Carrà di altri tempi e oggi innalzato ad inno nazionale di una tribù “arrapata”, la borghesia chic, il ceto ricco, la gente che conta, la bella società snob della “Roma da bere” sta facendo festa.
La potenza visiva di quest’orgia di corpi in movimento, le visioni surreali, la percezione grottesca e decadente dell’insieme e qualcosa che coinvolge totalmente lo spettatore. Sorrentino vede e sente tutto: cosce, culi, cocktail, sudore, risate sguaiate, tacchi, panze, cubiste, una donna incinta, gemiti, urla, cocaina, maschere, alcol, messicani, un chihuahua, e dopo aver visto anche la ex soubrette in pieno disfacimento psico-fisico (una coraggiosa Serena Grandi attrice di se stessa) per la prima volta appare lui, l’anfitrione, il festeggiato, che si gira ballando verso di noi.
Che faccia signori! Servillo in questa scena è magnifico. Il modo in cui balla, il modo in cui addenta la sigaretta, il modo in cui ride… lo si capisce subito che è il Re dei Mondani, e si rimane spiazzati quando subito dopo, mentre tutti attorno a lui muovono la “colita”, in una moviola che lo porta lentamente a ricoprire tutto lo schermo, lui e la sua coscienza c’informano che da piccolo, alla domanda: “Che cosa ti piace di più veramente nella vita?” la sua risposta era semplicemente: “L’odore delle case dei vecchi”. Quest’uomo era destinato alla Sensibilità…evidentemente qualcosa è andato storto!
Abbiamo appena fatto conoscenza con Jep Gambardella, re dei mondani e famoso scrittore che non scrive più da trent’anni!
Da questo momento in poi assieme a lui faremo un viaggio intimo dentro “l’apparato umano”, (per citare il titolo del suo primo e unico libro) che ci porterà in luoghi surreali e dissacranti come il supermarket del botulino dove all’interno di una scena d’ispirazione lynchiana incontriamo una vera e propria guida “corporale” che elargisce consigli e giudizi e che vuole essere chiamato amico o amore; ma anche in luoghi onirici e incantevoli alla scoperta dell’arte, delle radici, della purezza, dell’ispirazione, ed appunto della vera Bellezza. Ed ecco, quindi, i fenicotteri dinanzi ad un’alba romana, scena profonda e delicata che prende vita nella terrazza di Jep, teatro di tante feste mondane; o la giraffa durante una passeggiata solitaria notturna che l’illusionista fa sparire affermando che in fondo è solo un trucco…come lo è il cinema penso io. Incontriamo personaggi emblematici come la bella e rassegnata Ramona (secondo me figura allegorica di Roma peraltro interpretato da una Ferilli eccezionale) che nasconde al bizzarro padre la sua malattia che la porterà inevitabilmente alla morte.
Nel film c’è anche un senso di rimpianto di un qualcosa che è andato perduto, che non c’è più, che poteva essere ma che non è stato. E in tutto questo c’è il conforto di un ricordo, a quando si era puri e incontaminati. Ecco, quindi, che il ricordo in alcune esistenze reiette diventa rifugio e conforto, o forse prigione, come visivamente sottolineato dall’enorme peluche bianco dentro l’ufficio di Dadina in netto contrasto con la minuscola proprietaria, la figura o il ritorno al paese d’origine dell’affranto e deluso personaggio interpretato da Carlo Verdone o, ancora, la contessa che rivive la storia della sua illustre famiglia, ormai in decadenza, ascoltandola da una voce registrata di una guida museale.
Il film è tutto questo ma anche dell’altro, come spiegare il monologo di Jep sul Funerale, (la faccia della Ferilli che lo guarda fingere di piangere spiega tutto), o la bambina ostaggio delle follie psico-artistiche-snob dei galleristi che s’imbratta di colori per poi assumere la tonalità del grigio, il colore della sua infanzia, o la vita che ci passa davanti come un’opera d’arte attaccata alle pareti di un museo all’aperto, o la scena della “Santa” che dorme in camera di Jep. Sono scene che fanno vibrare, che lasciano dentro spunti di riflessione infiniti.
Il film finisce con l’intimo ricordo del protagonista: su una scalinata in pietra di una scogliera all’imbrunire incontriamo la sua Musa, il suo primo amore, e qui la percezione del tutto diventa personale, ognuno può scegliere la sua fine e Jep ci lascia col suo privato commiato: “Finisce sempre così, con la morte, prima però c’è stata la vita, nascosta sotto il bla, bla, bla, bla, bla…E’ tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato: è l’uomo miserabile.”
Infine dopo tutto questo mio bla,bla,bla volevo solo dire che gli americani ci hanno visto giusto a premiare il film con l’Oscar e sono sinceramente orgoglioso che Paolo Sorrentino sia un talento italiano.
Cercavo la Grande Bellezza in questo film…e l’ho trovata.
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(di di_amante007)
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des esseintes
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sabato 8 marzo 2014
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rivisto ieri
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Rivisto ieri, stessa impressione della prima volta salvo che per la parte finale con la Santa.
Alla prima visione avevo avuto l'impressione che la figura della vecchissima suora fosse la rappresentazione di una spiritualità ridotta a pura apparenza, una povertà di maniera vissuta comodamente all'hotel Hassler e in mezzo alla buona società, una venerazione generale che mi sembrava significasse la disperata ricerca di trascendenza senza avere il coraggio di uscire dal proprio privilegiato ambito autoreferenziale (etc)...
Invece ieri mi è sembrato che la Santa secondo il regista sia un personaggio portatore di (raggiunti) valori autentici: la scena dei fenicotteri, la frase sulle radici, la salita della scala che avevo inteso come una ascensione fallita e che invece potrebbe essere l'immagine dell'unico modo autentico di "ascendere", ossia soffrendo con coraggio e amore per la vita e per il prossimo.
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Rivisto ieri, stessa impressione della prima volta salvo che per la parte finale con la Santa.
Alla prima visione avevo avuto l'impressione che la figura della vecchissima suora fosse la rappresentazione di una spiritualità ridotta a pura apparenza, una povertà di maniera vissuta comodamente all'hotel Hassler e in mezzo alla buona società, una venerazione generale che mi sembrava significasse la disperata ricerca di trascendenza senza avere il coraggio di uscire dal proprio privilegiato ambito autoreferenziale (etc)...
Invece ieri mi è sembrato che la Santa secondo il regista sia un personaggio portatore di (raggiunti) valori autentici: la scena dei fenicotteri, la frase sulle radici, la salita della scala che avevo inteso come una ascensione fallita e che invece potrebbe essere l'immagine dell'unico modo autentico di "ascendere", ossia soffrendo con coraggio e amore per la vita e per il prossimo. Insomma non so più bene cosa pensare delle intenzioni del regista su questo personaggio chiave; diciamo che personalmente penso che nel caso la Santa, nell'idea di Sorrentino, fosse davvero portatrice e dimostratrice di "valore", certi passaggi didascalici e addirittura ingenui del film non potrebbero più essere considerati come delle semplici sbavature sostanzialmente inevitabili in un grande lavoro "fatto a mano".
Rimane comunque un film eccellente, meno bello o sublime della Dolce Vita ma più umano, non quasi compiaciutamente disperato come il film di Fellini.
Più umano ma non al punto di essere coraggioso, generoso e proprio da questa mancanza, a mio avviso, vengono certi atteggiamenti didascalici che impediscono a questo bel film di essere un grande capolavoro.
P.S: Più umano Sorrentino di Fellini, dicevo; in Sorrentino una speranza, un modo di esistere e di amare il mondo in qualche modo viene indicato (la "nana"); però La Grande Bellezza è meno capolavoro di La Dolce Vita. E la cosa interessante è che forse se ne deve dedurre che per fare un film veramente splendido è più importante avere il genio, fosse anche distaccato al limite del crudele (Fellini), che l'intelligenza e il calore umano (Sorrentino).
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(di des esseintes)
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alex62
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sabato 15 marzo 2014
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questo film parla di dio?
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Amo il cinema che parla di Dio. Il “Gesù” di Zeffirelli mi fa orrore, un pò mi convince “Passion” di Mel Gibson, ma non sono questi i film che parlano di Dio, secondo me... Io intendo come appartenenti a questa particolare categoria quei film che illustrano una trasformazione improvvisa e clamorosa di un personaggio, che altrimenti non potrebbe mai cambiare con le sue sole forze. Solo un intervento dall'alto, che cada su di lui come pioggia dal cielo, senza vento, può ottenere l'evoluzione che noi vediamo accadere sotto i nostri occhi!
È proprio questo che succede a Gep Gambardella, il protagonista de “La grande bellezza”.
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Amo il cinema che parla di Dio. Il “Gesù” di Zeffirelli mi fa orrore, un pò mi convince “Passion” di Mel Gibson, ma non sono questi i film che parlano di Dio, secondo me... Io intendo come appartenenti a questa particolare categoria quei film che illustrano una trasformazione improvvisa e clamorosa di un personaggio, che altrimenti non potrebbe mai cambiare con le sue sole forze. Solo un intervento dall'alto, che cada su di lui come pioggia dal cielo, senza vento, può ottenere l'evoluzione che noi vediamo accadere sotto i nostri occhi!
È proprio questo che succede a Gep Gambardella, il protagonista de “La grande bellezza”. Il compimento del suo 65esimo compleanno, la fuga da Roma del suo unico, sincero, estimatore, alcune morti inaccettabili...è troppo per Gep, che apparentemente continua a “galleggiare” sulla mondanità, come una chiatta sul Tevere (come nella splendida soggettiva sui titoli di coda), ma infine l'incontro, tanto a lungo dilazionato con la sua interiorità, col suo autentico sé, gli rende impossibile andare avanti come prima.
La “giraffa”-Gep, che ha il cuore lontanissimo dalla testa («la giraffa ha il cuore lontano dai pensieri: si è innamorata ieri e ancora non lo sa»), scompare come per un fantastico gioco di prestigio, e al suo posto rimane Gep, da solo... Il cuore di Gep finalmente cede, dopo 40 anni si rompe, si frattura: l'unico amore della sua vita, il suo primo amore, è morto e lui ha scoperto che nel diario personale di quella donna c'era scritto che anche per lei era lo stesso. Perde anche l'ultima amica vera, una Sabrina Ferilli perfetta in un ruolo da antologia, dopo aver svelato il suo mistero, il mistero della condivisione gratuita, del vivere accanto senza chiedere nulla in cambio. Ora Gep è pronto per l'incontro decisivo, con “la Santa”: una persona che è capace di chiamare per nome ogni creatura e che a Gep dice solo: «Le radici sono importanti...». E qui si alza un forte, irresistibile vento, scaturito dal soffio delle labbra della santa, che lo riporta a casa, al luogo da dove partì. E Gep, finalmente, smette di galleggiare, ritorna nella sua isola dove ritroverà i fili spezzati di un romanzo ancora da scrivere.
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(di des esseintes)
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pensierocivile
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venerdì 31 maggio 2013
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cielo e polvere
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A mio modesto avviso, il peggior film di Paolo Sorrentino. Con questo non intendo sostenere si tratti di un film inguardabile, scadente o malriuscito, anzi, è fin troppo importante per il cinema italiano un’opera simile; coraggiosa, ambiziosa, che profuma e si impregna della grandezza “classica” del nostro cinema, ma che nella filmografia di Sorrentino rappresenta l’opera con più problemi, con vette altissime e altrettanti inciampi. L’incipit contiene una sinossi dell’intero racconto: l’abbagliante bellezza di Roma che si offre come scenografia al canto, come soggetto per foto indimenticabili, come una miniera da prosciugare distrattamente, come un’opera che tramortisce. Poi la terrazza, la festa per il compleanno del protagonista e l’avvio di un cammino di conoscenza, rammarico, delusione, amarezza e rimpianto.
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A mio modesto avviso, il peggior film di Paolo Sorrentino. Con questo non intendo sostenere si tratti di un film inguardabile, scadente o malriuscito, anzi, è fin troppo importante per il cinema italiano un’opera simile; coraggiosa, ambiziosa, che profuma e si impregna della grandezza “classica” del nostro cinema, ma che nella filmografia di Sorrentino rappresenta l’opera con più problemi, con vette altissime e altrettanti inciampi. L’incipit contiene una sinossi dell’intero racconto: l’abbagliante bellezza di Roma che si offre come scenografia al canto, come soggetto per foto indimenticabili, come una miniera da prosciugare distrattamente, come un’opera che tramortisce. Poi la terrazza, la festa per il compleanno del protagonista e l’avvio di un cammino di conoscenza, rammarico, delusione, amarezza e rimpianto. Nella presentazione della varia umanità che comporrà il suo mosaico, Sorrentino mostra tutto il meglio, la sua crudeltà, la sua spietatezza e raggiunge l’apice nella descrizione del personaggio della Ferilli, nella lezione sulla “recita” di un funerale, nella solitudine delle mura glaciali dell’appartamento di Isabella Ferrari, nelle passeggiate riflessive di un indispensabile Servillo, negli scorci della “fauna” dell’odierna Roma tra Via Veneto e i suoi arabi o orientali e lungo il Tevere coi suoi podisti, nella noia degli incontri sulle terrazze per il chiacchiericcio perfido, negli occhi di una Serena Grandi “mostruosa” che fissa in cielo le “piste” degli aerei, nelle lacrime della Contessa Colonna di Reggio nobile decaduta a noleggio che non riesce ad astrarsi dal glorioso passato. Verdone resta un po’ fuori dal gioco, coinvolto nel suo solito personaggio da macchietta malinconica, il “dottor” Popolizio si lascia travolgere da una scenetta banalotta piuttosto facile (BRAZIL all’amatriciana), ma ciò che davvero appesantisce il racconto è la parte finale, il momento riguardante la “santa”. Un momento forse necessario, un barlume di speranza, purtroppo visivamente troppo finto per essere coinvolgente o necessario a condurre in porto la nave (a proposito di nave: meraviglioso lo sguardo di Jep all’isola del Giglio), così il film si impantana, cede il passo alla lezione, all’allucinazione, alla visionarietà, perdendo il senso del racconto autoriale e prestando il fianco al dominio estetico (neppure ben riuscito) e alla “dimostrazione” di bravura. Cielo e polvere nella sceneggiatura, cielo e polvere nel cast: Servillo, Ferilli, Ranzi, Herliztka, splendenti nelle loro storie, al contrario dei vari Lillo e Popolizio, l’uno inadeguato e impacciato, l’altro troppo gigione nel solito personaggio “sorrentiniano”. Nel bene e nel male, un film da preservare gelosamente.
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jackmalone
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giovedì 23 gennaio 2014
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la bellezza grande di roma
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Nell'Inferno della Divina Commedia Dante descrive i dannati più famosi del suo tempo senza provare evidente pietà o meraviglia per la loro condizione e ciò che impressiona il lettore è la superba descrizione deiluoghi del viaggio dantesco , così qui è Roma la vera protagonista e i personaggi fanno solo da cornice. Il contrasto è evidente tra le bellezze della città che lasciano senza fiato : i palazzi , gli interni , i giardini , il paesaggio naturale paragonate alle esistenze inutili di una folla di personaggi che si agitano sullo sfondo e le cui vicende non ispirano neanche pietà cristiana ,persino la morte di un giovane non suscita emozione. Pur con le loro evidenti debolezze e sofferenze questa folla non rappresenta l'umanità ma, più i personaggi sono meschini , pigri e corrotti, maggiormente si esalta la grande bellezza di Roma: altissima, superba , irraggiungibile che solo i turisti possono apprezzare e sono degni di godere.
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Nell'Inferno della Divina Commedia Dante descrive i dannati più famosi del suo tempo senza provare evidente pietà o meraviglia per la loro condizione e ciò che impressiona il lettore è la superba descrizione deiluoghi del viaggio dantesco , così qui è Roma la vera protagonista e i personaggi fanno solo da cornice. Il contrasto è evidente tra le bellezze della città che lasciano senza fiato : i palazzi , gli interni , i giardini , il paesaggio naturale paragonate alle esistenze inutili di una folla di personaggi che si agitano sullo sfondo e le cui vicende non ispirano neanche pietà cristiana ,persino la morte di un giovane non suscita emozione. Pur con le loro evidenti debolezze e sofferenze questa folla non rappresenta l'umanità ma, più i personaggi sono meschini , pigri e corrotti, maggiormente si esalta la grande bellezza di Roma: altissima, superba , irraggiungibile che solo i turisti possono apprezzare e sono degni di godere.Dice una scrittrice fallita che a Roma nessuno si può sentire superiore ad un altro per molto tempo ma è perchè il privilegio di vivere in un luogo così incantevole rende tutti superiori . L'individualismo é destinato a soccombere; chi sono i comuni mortali davanti a tanto? Nessuno si salva neanche la chiesa, la santità, la carità o semplicemente le buone intenzioni dei rari personaggi di buon senso. Il Paradiso sarebbe alla portata di tutti ma si preferisce rimanere all'Inferno perchè nessuno se ne accorge.
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fargo?
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giovedì 30 gennaio 2014
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alla ricerca...della "grande bellezza"
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Cos’è la “grande bellezza”? In fondo neanche Jep Gambardella lo ha ben capito. La sua vita, a 65 anni, è all’insegna della ricerca della “grande bellezza”, che forse ha toccato con il suo primo ed unico romanzo giovanile: anzi no, lui stesso lo definisce un romanzo di poca rilevanza; anzi si, lui stesso afferma di aver perso la grande bellezza, che un tempo però fu sua. Così è proprio il tempo che passa tra ieri e domani che viene ritratto magistralmente da Sorrentino attraverso gli occhi di Jep, giornalista d’alto borgo: una vita passata nelle trame di Roma, tra eccessi e relax, tra critici ed adulatori, tra notti mondane e passeggiate riflessive. Il “niente”, così lo definisce Jep: non c’è niente, nulla che possa toccarlo così a fondo, così intensamente da staccarlo da quell'ambiente che guarda con sprezzante distacco ma al quale sente di appartenere, spesso suo malgrado.
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Cos’è la “grande bellezza”? In fondo neanche Jep Gambardella lo ha ben capito. La sua vita, a 65 anni, è all’insegna della ricerca della “grande bellezza”, che forse ha toccato con il suo primo ed unico romanzo giovanile: anzi no, lui stesso lo definisce un romanzo di poca rilevanza; anzi si, lui stesso afferma di aver perso la grande bellezza, che un tempo però fu sua. Così è proprio il tempo che passa tra ieri e domani che viene ritratto magistralmente da Sorrentino attraverso gli occhi di Jep, giornalista d’alto borgo: una vita passata nelle trame di Roma, tra eccessi e relax, tra critici ed adulatori, tra notti mondane e passeggiate riflessive. Il “niente”, così lo definisce Jep: non c’è niente, nulla che possa toccarlo così a fondo, così intensamente da staccarlo da quell'ambiente che guarda con sprezzante distacco ma al quale sente di appartenere, spesso suo malgrado. Il suo unico pensiero ritorna al passato, al mare, al suo primo amore, alle immagini che lo ritraggono ragazzo. Eppure Sorrentino ha scelto di proporci quel frangente di vita mediano che separa i ricordi dal futuro: ha scelto quell'oggi in cui Jep non trova nulla. Perché? Forse perché è proprio dal niente che Jep ed ognuno di noi intravede quanto cerca, la grande bellezza, l’ispirazione per un altro romanzo, un nuovo inizio, un nuovo ciclo: perché tutto scorre e noi non possiamo fare null’altro che vivere, bla bla bla.
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antrace
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lunedì 15 luglio 2013
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raccontare il vuoto
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Quando ho visto la folla lasciare la sala senza brusii, dopo un tiepido cenno di applauso, ho capito che eravamo rimasti tutti sospesi nel vuoto del film , dubbiosi fra l'encomio ed il rigetto impulsivo . Sorrentino si conferma un regista cupo ,che scrive con stile, esprimendo ombre e paure .Qui dà voce ad un intellettuale della sua terra, che si dedica anima e corpo alla vita mondana ed effimera della capitale, mentore e critico severo di una cerchia di amici danarosi ma spiantati , giunti senza gioie ad un'età considerevole .Gambardella vive quotidianamente con le battute rassegnate, e le vane aspirazioni artistiche di un ambiente corroso dal tempo e dalle delusioni .
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Quando ho visto la folla lasciare la sala senza brusii, dopo un tiepido cenno di applauso, ho capito che eravamo rimasti tutti sospesi nel vuoto del film , dubbiosi fra l'encomio ed il rigetto impulsivo . Sorrentino si conferma un regista cupo ,che scrive con stile, esprimendo ombre e paure .Qui dà voce ad un intellettuale della sua terra, che si dedica anima e corpo alla vita mondana ed effimera della capitale, mentore e critico severo di una cerchia di amici danarosi ma spiantati , giunti senza gioie ad un'età considerevole .Gambardella vive quotidianamente con le battute rassegnate, e le vane aspirazioni artistiche di un ambiente corroso dal tempo e dalle delusioni . Egli stesso è uno scrittore mancato ,che ha deciso di trascorrere il resto dei suoi giorni con signore vogliose e compagni bohemien . Se pone delle domande a se stesso, tenta di nascondere dietro il sorriso beffardo ed ironico lo smarrimento interiore . Il film ,in sintesi, è una digressione speculativa, un testo letterario esposto con immagini e suoni, un 'elegia amara del vuoto e della crisi del nostro tempo . Non mi pare che Sorrentino suggerisca risposte , nè che volutamente sottragga il suo personaggio alla descrizione desolata, quasi piatta della decadente realtà urbana romana . L'unico barlume di speranza, forse , proviene dal lontano richiamo ascetico di una suora centenaria , che fa fatica a raccogliere idee e parole , ma nel monito gutturale , torvo alle radici ed alla povertà , sembra dare un colpo mortale al tempio del nulla . E negli incontri estemporanei, improvvisati con le donne che raccoglie per strada ,Gambardella ha modo di apprezzare la sincerità di una spogliarellista , interpretata con misura e sagagcia da Sabrina Ferilli . Sapiente la recitazione di Servillo, a suo agio con i toni sapidi e dissacranti del nobile partenopeo .
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ethan
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giovedì 6 marzo 2014
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grande film...
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Ringrazio: Paolo Sorrentino per aver descritto con grande maestria ed abilità, il disfacimento
etico e morale di Roma, nonostante, la stupenda grandezza e bellezza che da secoli la rende
unica in tutto il mondo. La scena, tra le altre, che rende di più l'idea di questa terribile decadenza, è una della ultime, nella quale una sfatta Serena Grandi (Roma) sniffa cocaina, davanti ad una attonita donna di servizio sud americana. Credo che questo film, secondo il mio
personalissimo parere, non sia stato evidenziato l'aspetto politico e tutto il suo apparato che lo
circonda, nutrendosi di esso come parassita insaziabile.
Comunque, una bellissima pellicola, e chi vuol capire... capisca!
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gertrude
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domenica 6 aprile 2014
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una questione di empatia
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Su questo film ho sentito i più stravaganti dei commenti, anche se quelli più sentiti sono quelli che ne parlano in maniera negativa. Non c'è un giusto o sbagliato, c'è il fatto che nel bene e nel male fa parlare e fa pensare. A mio parere nonostante le scene molto ermetiche e apparentemente distaccate le une dalle altre, penso che sia un bel film. Un film che non cerca di trasmettere un concetto ma piuttosto delle sensazioni, delle emozioni che anche solo da spiegare sono difficili. E' una questione di empatia che lo spettatore prova soprattutto nei confronti dei personaggi principali verso i quali il regista Paolo Sorrentino si è mostrato molto compassionevole.
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Su questo film ho sentito i più stravaganti dei commenti, anche se quelli più sentiti sono quelli che ne parlano in maniera negativa. Non c'è un giusto o sbagliato, c'è il fatto che nel bene e nel male fa parlare e fa pensare. A mio parere nonostante le scene molto ermetiche e apparentemente distaccate le une dalle altre, penso che sia un bel film. Un film che non cerca di trasmettere un concetto ma piuttosto delle sensazioni, delle emozioni che anche solo da spiegare sono difficili. E' una questione di empatia che lo spettatore prova soprattutto nei confronti dei personaggi principali verso i quali il regista Paolo Sorrentino si è mostrato molto compassionevole. E una sensazione di affetto la troviamo anche nei confronti di Roma, in particolare durante le passeggiate mattutine del protagonista che ci ricodano le passeggiate dell'antesignano Marcello Mastroianni nella Dolce Vita. La città senza tempo, nella quale Jep in gioventù ha deciso di trasferirsi e che lo ha distratto dalla ricerca della grande bellezza. Una ricerca che coinvolge tutti, ma è resa difficile perchè la vita "è nascosta dietro al bla bla bla, è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura..". Sostanzialmente sono pochi i momenti in cui siamo spettatori della grande bellezza, degli avvenimenti che rendono la vita degna di essere vissuta, veramente piena di significato, e per Jep il più pregno di questi "sparuti incostanti sprazzi di bellezza" si identifica nel fascino e nell'incanto del suo amore giovanile. Questo film non vuole essere morale, l'unico messaggio che ci lascia è chiederci che cos'è per noi la grande bellezza, una riflessione che anche solo chi sente il titolo del film è incosciamente portato a fare.
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