Regista, sceneggiatore e scrittore italiano conosciuto per aver diretto il film premio Oscar come miglior pellicola straniera La grande bellezza (2013), ma anche per aver realizzato This Must Be the Place (2011), suo primo film in lingua inglese, e il discusso Il divo (2008). È anche l'autore del romanzo "Hanno tutti ragione", classificato terzo al Premio Strega.
In un panorama cinematografico che fa solo due tipi di cinema, lui si è elevato come solo i grandi cineasti che furono. Da una parte, ci sono i film delle grandi case di produzione e di distribuzione italiane, quelli che sono sempre lo stesso film, con le stesse identiche battute, quelli che devono far ridere per forza perché mettono in primo piano il comico televisivo di moda di turno. Escono il mercoledì in 3000 copie e in un mese sono dimenticati. E poi ci sono i film indipendenti, quelli che cercano di essere unici, che vorrebbero essere un'opera d'arte, ma abusano del "dramma". Lui e pochi altri registi stanno nel mezzo, senza sentirsi parte del primo gruppo o del secondo. Realizzano pellicole che, talvolta, incontrano problemi distributivi. Pellicole che, talvolta, sono fatte con poco... ma che riescono comunque ad arrivare direttamente agli spettatori.
Questo giovane filmmaker è riuscito nell'impresa, buttando dentro le sue creazioni sogni e pensieri, odiando i cliché e amando il suo gusto personale di vedere le cose. Nemico del già fatto e già visto, curioso fino alla bulimia del diverso e del nuovo, ha conquistato Hollywood, contraddicendo un'Italia che è tutta apparenza e poca sostanza, tutta bei vestiti e sacra famiglia e che poi è squallida, mostruosa, grottesca. Raccontando le poetiche avventure dei suoi protagonisti (solitamente sfruttando la maschera di Toni Servillo che di volta in volta diventa politico, cantante, scrittore, mafioso) crea opere piene di simboli, di amore, di sesso, di morte, che sono continue metafore su tutto ciò che ci circonda: l'esistenza, il potere, l'immoralità, la coscienza, la conoscenza e la nozione del tempo... Quindi, tutto quello che riguarda l'ambigua condizione umana e declinandola verso il sublime. Senza favorire toni strappalacrime, con una propensione per la pura estetica, ha restituito a tutti gli italiani che amano veramente il cinema la voglia di sognare la nostra grandezza nella settima arte. Come ha fatto? È partito dal concetto che il cinema è una magia così armonica e totalizzante che è ovunque e, in più, fa solo cose che gli piacciono, ma soprattutto non fa niente solo per i soldi. Producendo cose buone, personali, originali, il successo è arrivato sotto la forma di un dorato zio Oscar. L'America lo ha amato per l'uso della macchina da presa, che non rimane mai immobile, perché il riquadro dell'immagine è un essere vivente potentissimo, il vero protagonista/predatore che segue gli attori che passeggiano all'interno dei suoi contorni/terreno di caccia. Alla continua ricerca sperimentale, arriva a capovolgere improvvisamente l'immagine, guidando la cinepresa a testa in giù, usa filtri artificiali, fotografie distorte o nebulose, come a sottolineare che i sogni cinematografici, le sue visioni del mondo, anche se realistiche, sono fatte di punti di vista, di dettagli che fanno la differenza. Vedere un suo film non è mai un'esperienza soltanto visiva, è un'avventura percettiva, come quando si guarda Antonioni o Bergman.
Orfano a 17 anni
Paolo Sorrentino nasce il 31 maggio 1970, nel quartiere del Vomero, a Napoli, in Campania. Rimasto orfano di entrambi i genitori a 17 anni, dopo il diploma, studia per alcuni anni alla Facoltà di Economia e Commercio, decidendo poi a 25 anni di trovare un posto nel campo cinematografico.
I primi lavori in campo cinematografico
Fin dall'inizio, esordisce come regista, accanto a Stefano Russo, con il cortometraggio Un paradiso (1994), successivamente, lavorerà come ispettore di produzione al film di Stefano Incerti Il verificatore. Sarà un'esperienza così negativa che deciderà di non farla mai più. Continua intanto a stare più vicino alla macchina da presa, diventando l'aiuto regista di Maurizio Fiume nel corto Drogheria, poi scrive con Silvestro Sentiero la sceneggiatura del lungometraggio Napoletani (mai realizzato), che vince il Premio Solinas. Nel 1998, è di nuovo sceneggiatore, collaborando con Antonio Capuano alla stesura dello script di Polvere di Napoli e scrivendo alcuni episodi della serie tv La squadra. Parallelamente, dirige un nuovo corto L'amore non ha confini (1998), finanziato dalla Indigo Film, con la quale collaborerà anche in futuro. La casa di produzione, infatti, rimane folgorata dalla storia di un boss sopranominato Mahatma, che nascosto in un rifugio segreto, fa chiamare un sicario per trovare un amore giovanile. L'anno successivo, scrive con Umberto Contarello La voce dell'amore, sulla musica neomelodica (che doveva essere diretto da Michele Placido, ma che rimarrà sulla carta). A seguire, arriverà La lunga notte (2001), sulle vicende e gli incontri lunghi una notte di un parrucchiere delle dive.
L'uomo in più
Il debutto come autore di lungometraggi avviene invece con il coraggioso e stimolante L'uomo in più, da lui anche scritto e che avrà come protagonista Toni Servillo (che diventerà il suo attore feticcio). Cominciano ad arrivare i riconoscimenti. La decadente parabola in discesa del cantante di musica leggera, Tony Pisapia e del suo omonimo calciatore, attira la curiosità della critica cinematografica italiana, che rimane affascinata dall'estro e dalla durezza con la quale Sorrentino intesse, visivamente e sulla carta, una serie di casuali incontri e deboli relazioni attorno ai due protagonisti che conducono vite parallele, fino a un epilogo nel quale uno dei due perdenti diventa vincente. È il miglior esordio che potesse sperare per se stesso.
Le conseguenze dell'amore
Nel 2002, partecipa al documentario collettivo La primavera, ma due anni più tardi dirige nuovamente Servillo in Le conseguenze dell'amore (2004), presentato a Cannes. Stavolta, l'attore napoletano veste i distinti ed eleganti panni di un misterioso uomo che vive da otto anni in un albergo svizzero e che vede la sua oscura vita minacciata da un improvviso innamoramento. Anche stavolta, la critica italiana (e non solo quella) è unanime. Nella visione di questa esistenza bloccata nella routine, nell'insonnia, nella freddezza nera di una bianchissima e lussuosa Svizzera italiana, Sorrentino fa trapelare tutto il suo gusto per i personaggi grotteschi (chiama al suo servizio Raffaele Pisu, Angela Goodwin e addirittura Olivia Magnani, nipote dell'attrice Premio Oscar Anna Magnani), per il gusto del paradosso, nonché per l'amore per la scrittura che diventa vincolo di descrizione di una moralità, di un'epoca e di un paese sbagliati. Si elogia il suo stile magistrale nella costruzione di caratteri, di atmosfere, nell'uso del silenzio come dettaglio di sofisticata comprensione e si delinea così uno stile composto principalmente da lunghe e sinuose carrellate, prospettive rovesciate, stacchi imperiosi, un'altalenante ritmo dell'azione che rallenta e poi accelera, fino al surrealismo dei dialoghi.
L'amico di famiglia
Nel 2006, arriva il graffiante e mostruoso L'amico di famiglia, primo film nel quale non dirige Servillo, ma il caratterista Giacomo Rizzo e l'attore impegnato Fabrizio Bentivoglio, dando al primo la veste di un usurario, che usa il potere del debito per insinuarsi nelle famiglie usurate, e al secondo proprio il ruolo di una delle sue vittime. E di nuovo si ritorna a un'Italia deforme che non ha più alcun legame culturale e morale, ma si appropria di modi di vivere altrui, rendendosi ancora più deforme, cellulitica, intossicata, paralitica, strapaesana. Chiaramente, da uno Stato del genere, non potevano che nascere, crescere e muoversi vistosi freaks sociali, bizzarri e taglienti personaggi che hanno, nel loro status di "brutti, sporchi e cattivi", l'affascinante invadenza del cinema (ben fotografato da Luca Bigazzi) all'interno della mente dello spettatore.
Il divo
Ritornerà poi alla dimensione televisiva (e a Servillo) con la versione per il piccolo schermo della commedia di Eduardo De Filippo "Sabato, domenica e lunedì", allestito per la serie "Palcoscenico", appuntamento che Rai Due dedica al teatro italiano. Nel 2008, è ancora una volta il cinema a farla da padrone con il controverso Il divo, surreale biopic su Giulio Andreotti. Un film che non è un film, ma una sindone sulla quale si traccia la sagoma della classe politica italiana, traspirando male e potere. Definito "la più violenta accusa alla casta politica nostrana dai tempi di Todo Modo", Il divo, che si avvale di un cast di prim'ordine (Servillo, Piera Degli Esposti, Anna Bonaiuto, Flavio Bucci, Carlo Buccirosso, Fanny Ardant), racconta la storia dell'incarnazione dell'ambizione, sospendendola fra il pubblico e il privato dell'uomo politico, sulla cui gobba scorreva il sangue dei tanti cadaveri eccellenti degli Anni Settanta e Ottanta, il sudore di BR, P2 e DC e gli sguardi spazientiti e attenti delle donne della sua vita e di tutti i suoi adepti (Ciarrapico, Cirino Pomicino). Con un mix audiovisivo che miscela i Ricchi e Poveri a Vivaldi, giocando con scenografie maestose e ben ricreate, Sorrentino dirige il suo vero primo film cattivo seguendo note di sarcasmo e ironia, grand'angoli, inquadrature espressioniste sghembe e sbilenche e dilatando le immagini in modo che tutto appaia ancora più cinico, ancora più spietato (anche grazie al montaggio di Cristiano Travaglioli), ancora più rituale, greco e, per questo, ancora più teatrale, quindi meritevole del Premio della Giuria a Cannes.
This Must Be the Place
Partecipa al progetto perFiducia, una serie di corti sul tema della fiducia, dove ha l'occasione di lavorare con Ermanno Olmi e Gabriele Salvatores. Suo il corto La partita lenta. Poi partecipa a un altro film collettivo, Napoli 24 con l'episodio La principessa di Napoli. Arriva nel 2011 il suo primo film in lingua inglese This Must Be the Place con Sean Penn come protagonista nel ruolo di un ricco e annoiato ex divo del rock (del tutto somigliante al grandissimo Robert Smith, leader dei Cure) che conduce una vita ritirata e che si mette improvvisamente sulle tracce di un criminale nazista che suo padre aveva ossessivamente tentato di rintracciare. Anche qui ci troviamo di fronte a un puro spettacolo per gli occhi, visivamente stimolante e giocato ripetutamente sull'arte del levare e del puro minimalismo, seppur ecceda lì dove meno lo spettatore se lo aspetti. La macchina da presa di Sorrentino è leggera e profonda allo stesso tempo, a tratti quasi disturbante, ma sempre di sostanza e fluida. Omaggiando Wenders, Milius, Cox, dirige una sarabanda di volti come quelli di David Byrne (anche autore delle musiche), il premio Oscar Frances McDormand e Harry Dean Stanton in un inquietante e commovente road movie che gli fa ottenere il Premio Ecumenico della Giuria al Festival di Cannes.
La grande bellezza e l'Oscar
Nel 2013, dirige quello che sarà il suo più grande successo, ma anche il suo film più controverso: La grande bellezza. Sfruttando le atmosfere della Roma Bene simil intellettualoide e simil parvenu-burino, muove il suo protagonista, uno scrittore e giornalista che non riesce più a scrivere nulla, come il fantasma di se stesso, fra vacue presenze e brutture sociali. Felliniano, profondamente letterario, Sorrentino riesce a denudare l'Italia che non vorremo vedere neppure vestita. L'Italia del frenetico presenzialismo, l'Italia che è fatta dei suoi faticosi riti, facile alla conversazione, alla battuta, al pettegolezzo, ai trenini. Una babele oscura, schifosa ed eppure invidiata, che il regista napoletano ci mostra con virtuosismi visivi, implacabili e stordenti. Il suo film più crudele piace a tutte le nazioni (Regno Unito, Norvegia, Tailandia, Danimarca, Argentina, Portogallo, Brasile, Filippine, Germania, Irlanda, Spagna, Romania), ma soprattutto gli americani che rimangono con gli occhi fuori dalle orbite per un paradiso perduto di peccati, indifferenze, corruzioni, volgarità. Riesce così a ottenere l'Oscar per il miglior film straniero, ma anche il BAFTA, svariati David di Donatello (premi che aveva collezionato in diverse categorie anche per film precedenti), European Film Awards. Attraverso una sceneggiatura triste, segnata da un'irreparabile perdita del "senso della vita", La grande bellezza esprime la mancanza e il nulla, celati sotto un velo di mondanità assordante e sotto i volti infernali di un grandissimo e inaspettato cast che prende l'alto e il basso del panorama cinematografico italiano (Servillo, Isabella Ferrari, Sabrina Ferilli, Carlo Verdone, Carlo Buccirosso, Luca Marinelli, Galatea Ranzi, Pamela Villoresi, Roberto Herlitzka, Iaia Forte, Franco Graziosi, Giorgio Pasotti, Massimo Popolizio, Serena Grandi, Sonia Gessner, Aldo Ralli). Non tutti apprezzano. Per molti, è un film senza anima. Pura estetica senza un filo di trama, dimenticando che il cinema non è solo intrattenimento, ma anche e soprattutto un'opera d'arte audio-visiva.
Youth - La giovinezza e le ultime opere
Dopo questo risultato, dirige anche la versione teatrale di "Le voci di dentro" con Toni e Peppe Servillo, che poi verrà trasmessa in televisione. Nel 2015, arriva il suo secondo film in lingua inglese Youth - La giovinezza, storia di due anziani amici di vecchia data che si ritrovano in un elegante albergo ai piedi delle Alpi.
Nel 2016 scrive e dirige la sua prima serie tv The Young Pope, con Jude Law, Diane Keaton e Silvio Orlando protagonisti, rinnovata per una seconda stagione, dal titolo The New Pope (2018).
Il 2018 è anche l'anno di Loro, il controverso film ispirato alla figura di Silvio Berlusconi, ancora una volta interpretato dall'attore feticcio di Sorrentino Toni Servillo. Il film si aggiudicherà 2 David di Donatello e 4 Nastri d'argento.
Dopo il progetto americano con Jennifer Lawrence Mob Girl (2020), torna a Napoli per girare E' stata la mano di Dio (2021), film grazie al quale vince il Gran Premio della Giuria alla 78. Mostra del Cinema di Venezia e diversi David di Donatello (tra cui quello come miglior film, miglior regia e miglior fotografia).
Nel 2024 presenta al Festival di Cannes il nuovo film Parthenope.
Spot
Anche autore di spot, ha diretto Jeremy Irons in una pubblicità per la Fiat Croma e Isabella Ferrari in un chiacchierato annuncio promozionale per Yamamay.
Attore
Il regista appare nelle vesti di attore in Il caimano di Nanni Moretti, ma anche in Questione di cuore di Francesca Archibugi e Tre occhi di Marco Risi.
Romanzi
Nel 2010, firma il suo primo romanzo "Hanno tutti ragione", con il quale ottiene una candidatura al Premio Strega. Inoltre ha pubblicato "Gli aspetti irrilevanti" (2016) e "Il peso di Dio. Il Vangelo di Lenny Belardo" (2017).
Vita privata
Paolo Sorrentino è sposato con la giornalista Daniela D'Antonio, dalla quale ha avuto due figli, Anna e Carlo.
Un giorno dovremo deciderci a ragionare sulle epifanie di Paolo Sorrentino. Si tratta della dimensione più lacerante del suo cinema, quella destinata - in passato come in futuro - a dividere nettamente gli schieramenti dei sostenitori e dei detrattori. Se il termine "visionario" non fosse così abusato, il regista italiano lo meriterebbe a pieno titolo. Al tempo stesso, però, il ricorso incessante a forme di anti-realismo e a onirismi di ogni genere sembra costringerlo a un ruolo (assai contestato) di generatore automatico di metafore