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Paolo Sorrentino: «Non mi piace fare cinema, preferisco guardarlo e pensarlo»

Il regista sarà in concorso al Festival di Cannes col nuovo film Parthenope. Al Salone del libro di Torino ha dialogato con Francesco Piccolo.
di Archimede Favini

domenica 12 maggio 2024 - Incontri

L’incontro con Sorrentino al Salone del libro di Torino è stato uno degli eventi più partecipati della giornata. 
La chiacchierata di Francesco Piccolo con Paolo Sorrentino inizia quasi in sordina, un po’ come la carriera di Paolo: qualche sceneggiatura per la televisione, senza troppe pretese, poi la vittoria del premio Solinas, con un film mai realizzato, fino ad arrivare a L'uomo In più.
Non può che cominciare tutto dalla scrittura quindi...
“A me il cinema non piace quindi cerco di fare tutto il più velocemente possibile” scherza Paolo Sorrentino, e poi spiega: “mi piace molto guardare il cinema, e forse ancora di più pensarlo. Penso molto ai miei prossimi film, anzi ininterrottamente, quindi quando arrivo alla scrittura ho già tutto chiaro”.
Sentir parlare Paolo Sorrentino è sempre un’esperienza, o una non-esperienza talvolta, come rievoca Francesco Piccolo, in occasione della presentazione di un suo libro a Napoli Sorrentino fu in grado di dire una sola parola in tutta la conferenza. 
E anche stavolta perle di questo tenore non sono mancate.
A me dispiace, perché voi siete venuti qui perché siete interessati a me, ma il problema è che io non sono interessato a me.”
Questa frase così apparentemente naif, o che potrebbe addirittura sembrare supponente a qualcuno che non conoscesse il personaggio, è in realtà estremamente esegetica riguardo alla personalità artistica di Sorrentino. Il punto di partenza del suo cinema è infatti l’esigenza del tutto vitale di evasione, di porre una cesura con la realtà, di fuggire in un mondo altro. La vita di Paolo Sorrentino, così come quella dei suoi personaggi, sembra degna di essere vissuta solo in quei magici momenti sospesi, dilatati all’infinito e al tempo stesso effimeri, che possono animarsi soltanto tra un ciak e l’altro e davanti a una cinepresa. 
Perché la realtà è deludente, e dunque come può essere un’intervista reale a un regista che per vivere continua a scappare da un mondo immaginario all’altro? Inevitabilmente deludente.
Ma ecco che, quando il discorso si sposta sugli altri, e più precisamente sulla finzione e sul cinema, Paolo Sorrentino si rianima e inizia a parla fittamente, con sguardo sognante, come rapito dalle immagini che gli scorrono in testa nel momento stesso in cui proferisce parola.
Nabokov disse che se avessimo letto tutti 5 libri saremmo tutti più colti, analogamente io ho visto pochi film, ma da questi ho imparato molto”.


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Cita con amore viscerale i due film che l’hanno portato a fare cinema: Nuovo Cinema Paradiso di Tornatore e Libera di Pappi Corsicato. Il primo gli ha mostrato la necessità di guardare alla realtà con occhi diversi e da una posizione privilegiata: dietro alla macchina da presa; mentre il secondo gli ha dimostrato che è possibile fare cinema in maniera assolutamente libera, anarchica, partendo con poco, ma mettendo in scena così tanto.
Si sposta poi a parlare di Fellini: “Guardare Fellini mi ha fatto capire cosa volessi raccontare: uomini e donne a cui manca il terreno sotto i piedi. e La Dolce Vita in questo senso sono emblematici, direi che se vuoi raggiungere un equilibrio La Dolce Vita è proprio un film pericoloso”.
Ascoltare un discorso di Sorrentino è un’esperienza anche nella misura in cui non riesce mai a essere serio fino in fondo, il filtro ironico è una sua caratteristica costitutiva e questo ha influenzato inevitabilmente il suo cinema.

Paolo Sorrentino parla, scrive, scrive, gira, mette in scena, ma poi si ferma e mette tutto in discussione, riesamina ogni parola pronunciata, ogni dialogo scritto, ogni piccola inflessione corporea, attraverso una sistematica operazione di auto straniamento, come se l’evasione e la finzione non fossero abbastanza.
C’è nel suo modo di vivere l’esigenza chiara di mettere la realtà alla berlina, di porre una barriera ironica per osservare da più lontano, come se ogni sbaglio, dolore o emozione non potessero essere vissute davvero se non attraverso questo continuo processo auto ironizzante.
E dunque non può esistere, tra i mille esempi possibili, nel Sorrentino cinematic universe, un Fabietto Schisa che non si metta a ridere come un ossesso prendendo in giro un bambino paffutello, dopo essere uscito dalla camera mortuaria che l’ha appena decretato orfano.
Paolo Sorrentino in carne ed ossa è semplicemente il fuoricampo del suo cinema, escluso ai margini dell’inquadratura, guarda in faccia il pubblico con aria confusa e interrogativa, mentre elude ogni possibile risposta alle domande che gli vengono poste, perché è troppo impegnato, con quel cuore grande, buttato mille volte oltre l’ostacolo, e quei pensieri inafferrabili, a mettere in piedi un nuovo e impronosticabile film, che non potremo fare a meno di vedere.


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