francesco sentieri
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venerdì 14 giugno 2013
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viaggio memorabile dentro una roma falsa e amorale
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Il pregio maggiore de La Grande Bellezza è quello di coinvolgere fin dai primi minuti lo spettatore, che può così vivere il film dall'interno. La maestria del regista sta nel farci entrare gradualmente nella sua opera, e questo riesce grazie alle atmosfere ovattate di una Roma inizialmente sonnolenta, assopita nel nitido sole delle prime ore del giorno, e introdotta dalle musiche corali che le conferiscono una sacralità apparentemente inviolabile. Sacralità che viene però brutalmente spazzata via dal contrasto con un'altra Roma: quella notturna, sfavillante in superficie ma sudicia e vuota una volta che rivela la sua identità sommersa.
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Il pregio maggiore de La Grande Bellezza è quello di coinvolgere fin dai primi minuti lo spettatore, che può così vivere il film dall'interno. La maestria del regista sta nel farci entrare gradualmente nella sua opera, e questo riesce grazie alle atmosfere ovattate di una Roma inizialmente sonnolenta, assopita nel nitido sole delle prime ore del giorno, e introdotta dalle musiche corali che le conferiscono una sacralità apparentemente inviolabile. Sacralità che viene però brutalmente spazzata via dal contrasto con un'altra Roma: quella notturna, sfavillante in superficie ma sudicia e vuota una volta che rivela la sua identità sommersa. Jap Gambardella ne è il re: giornalista con un passato da scrittore, divenuto per sua volontà "il re dei mondani", ci guida in questo viaggio all'interno di un mondo privo di morale, popolato da ricchi borghesi, persone "che contano" e che basano le loro vite sull'apparenza, ma che in realtà vivono "sull'orlo della disperazione", senza un vero scopo da perseguire, così come "i trenini delle feste, che sono belli perché non vanno da nessuna parte". Attraverso gli occhi di Jap conosciamo questa realtà ed i suoi principali interpreti con le loro vicissitudini, tra vacuità e presunti intrecci amorosi. La festa viene interrotta solamente dagli intermezzi luttuosi, affrontati anch'essi con falsità e gesti calcolati, funzionali al mantenimento di un carattere che non può mutare all'interno di un mondo che non lo concederebbe. Nonostante ciò, Jap non riesce a non far trasparire attimi di estemporanea "umanità", commuovendosi nella perdita improvvisa della donna che aveva amato, ed in seguito nella morte di un ragazzo vittima della propria follia, assai più "umana" e viva della fatiscente realtà che ci viene narrata. Se ne va "in silenzio" anche Ramona, ultima donna della sua vita. Sono gli emblemi della solitudine interiore alla quale è condannato Jap, che deve ritrovare le sue radici per arrivare a conoscere la "Grande Bellezza", identificabile con la purezza ed il candore del suo primo amore.
L'inconfondibile tocco di Sorrentino dà "vita" ad un mondo morto ed amorale, svelando ciò che si cela al di là alle apparenze; le musiche ed il montaggio sono perfettamente funzionali alla narrazione, guidando l'alternanza tra le atmosfere oniriche delle strade di Roma e il violento impatto delle feste notturne, chiassose e ridondanti.
Encomiabile è l'interpretazione di Toni Servillo, grazie ad una recitazione meravigliosamente sotto le righe. Il suo Jap Gambardella è memorabile: vive nella piena consapevolezza di ciò che è e di ciò che il suo mondo rappresenta, e accetta lucidamente ciò che questo "vivere" comporta, pur concedendosi degli sprazzi di umanità, tra affetti del passato e del presente; fino alla rivelazione finale della "Grande Bellezza", ottenuta grazie al ritorno concreto alle origini, mai dimenticate e spesso ricordate e rivissute attraverso l'immaginazione. Un punto da cui ripartire, una realtà incontaminata appartenente al passato che funge da ancora di salvezza per il presente.
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rita branca
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venerdì 28 giugno 2013
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un must da far circolare a scuola
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La grande bellezza, film di Paolo Sorrentino(2013), con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso e molti altri noti nomi.
Straordinaria opera in cui si narra della ricerca, durata quarant'anni ed ancora in corso, della "grande bellezza" da parte di Jep Gambardella, uno scrittore, attualmente solo giornalista, che ha pubblicato un romanzo apprezzato e premiato a suo tempo, ma rimasto unico nella sua produzione artistica per mancanza d'ispirazione, della grande bellezza, appunto.
Ciò sembra sorprendente nel contesto in cui il protagonista vive, Roma, dove pure il bello si spreca, ma evidentemente egli non ha le lenti adatte per vederlo, annebbiato com'è, dall'insulsa opacità della vita solo notturna che conduce fra una festa e l'altra, dove ciò che conta è l'apparire, non importa con quali espedienti e dove il solo risultato è il tedio infinito, la disperata sensazione dell'inutilità del vivere, la mancanza di senso e di scopi sufficienti a riempire i vuoti di esistenze colme di niente.
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La grande bellezza, film di Paolo Sorrentino(2013), con Toni Servillo, Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Carlo Buccirosso e molti altri noti nomi.
Straordinaria opera in cui si narra della ricerca, durata quarant'anni ed ancora in corso, della "grande bellezza" da parte di Jep Gambardella, uno scrittore, attualmente solo giornalista, che ha pubblicato un romanzo apprezzato e premiato a suo tempo, ma rimasto unico nella sua produzione artistica per mancanza d'ispirazione, della grande bellezza, appunto.
Ciò sembra sorprendente nel contesto in cui il protagonista vive, Roma, dove pure il bello si spreca, ma evidentemente egli non ha le lenti adatte per vederlo, annebbiato com'è, dall'insulsa opacità della vita solo notturna che conduce fra una festa e l'altra, dove ciò che conta è l'apparire, non importa con quali espedienti e dove il solo risultato è il tedio infinito, la disperata sensazione dell'inutilità del vivere, la mancanza di senso e di scopi sufficienti a riempire i vuoti di esistenze colme di niente.
La vita della Roma odierna dell'alta borghesia è presentata in ogni sfaccettatura: si affanna a vivere passando da feste kitsch in cui si consuma di tutto, a riunioni pseudo intellettuali in cui di fatto si pettegola sull'effimero; non mancano stilettate a certo alto clero mondano assai lontano dalla spiritualità che dovrebbe contraddistinguerlo; tutto va in scena, perfino la morte, ogni gesto è falso e solo mirato ad attrarre un' audience, perfino la presenza di una santa, limite estremo di grande bruttezza esteriore, è utilizzato per "fare teatro", con la sua intervista, nel corso di una cena mondana, per la quale sono "noleggiati" due nobili dell'aristocrazia cittadina.
In tale contesto arido la grande bellezza compare per brevissimi istanti nei flashback della prima giovinezza ed il ricordo di un amore acerbo e negli istanti in cui Jep osserva alcuni bambini che si rincorrono in un giardino, o quando confronta i ritmi della sua giornata a quelli normali di una coppia anziana che si ama.
Gli unici che sembrano riuscire a reagire davanti a questo spreco sono un giovane che soffre di depressione ed una spogliarellista quarantenne affetta da una malattia imprecisata, un attore che decide di tornare al suo paese d'origine, oltre al protagonista naturalmente che vorrebbe scomparire come in un gioco di prestigio.
Film stimolante, ricchissimo di spunti sullo stile di vita di certi ambienti, altamente pedagogico e da far circolare nelle scuole!
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(di maria f.)
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(di irishman)
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zummone
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mercoledì 29 maggio 2013
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la ricerca della bellezza, al termine della notte
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"... è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile... ” Così commenta il protagonista del film di Paolo Sorrentino, "La grande bellezza" e così si potrebbe sintetizzare la storia: Jep Gambardella, infatti, è un giornalista di costume e critico teatrale, che ha compiuto 65 anni, elegantissimo e un po' dandy nei suoi abiti pastello, e che non ha più voglia di perdere tempo.
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"... è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile... ” Così commenta il protagonista del film di Paolo Sorrentino, "La grande bellezza" e così si potrebbe sintetizzare la storia: Jep Gambardella, infatti, è un giornalista di costume e critico teatrale, che ha compiuto 65 anni, elegantissimo e un po' dandy nei suoi abiti pastello, e che non ha più voglia di perdere tempo. Ha scritto un romanzo di successo, quando ero un giovane promettente, e poi non ha pubblicato più nulla. Da allora, a Roma, ha voluto diventare il "re dei mondani", capace di "far fallire una festa". E i party nella sua casa, di fronte al Colosseo, sono la cornice abituale delle sue notti: un'umanità stanca, triste, squallida eppure vorticosa nel suo vitalismo feroce e forse ridicolo. Intorno a Jep, una galleria di personaggi grotteschi e fascinosi, di quel fascino da perdente: un cardinale con la passione per la cucina, una dolente spogliarellista quarantenne e suo padre proprietario di un locale di streap-tease, la direttrice nana del giornale di Jep, l'amico venditore di giocattoli e logorroico, la suora santa e centenaria, l'amico drammaturgo mancato e malinconico, l'uomo con le chiavi dei palazzi più belli di Roma... E tutti, e Jep in particolare su tutti, in un circo surreale, che danzano senza sosta e senza meta, corrosi dai dubbi e dalle frustrazioni, non volendosi prendere troppo sul serio, perchè consapevoli delle proprie miserie e dei propri fallimenti. Roma appare bellissima nascosta, spiata dal protagonista, alla ricerca di quella bellezza perduta, che forse il suo unico romanzo conteneva: Roma all'alba sul Tevere, o la notte deserta, o negli angoli luminosi fotografati dai giapponesi, o nei giardini segreti popolati da suore.
E' uno stordimento continuo, senza una vera trama, guidati da Jep e dalla sua caustica ironia, ma anche dal suo dolente distacco dallo squallore, della vita intorno a sè e dal ricordo del suo primo amore, oltre quarant'anni fa. Sorrentino spiazza tutti e se la ride, con una storia che inizia citando Celine e, in certi passaggi, evoca caroselli macabri degni di Lynch o trovate visionarie (che ricordano e parafrasano un po' Anderson, un po' Kubrick, un po' Wilder): lo stormo di gru sul balcone, il medico taylorista del botulino e la partita a carte delle principesse.
Certo, se siete puristi delle storie, forse rimarrete delusi. Ma non si possono negare i pregi notevoli come lafotografia (Luca Bigazzi), la scelta delle musiche, il montaggio frenetico di alcune sequenze (la prima festa in terrazza di Jep è straordinaria, per potenza evocativa e sincopata, di immagini e suoni) e la direzione degli attori: intorno al solito magnifico Servillo (ormai superfluo spendere elogi per lui), girano Sabrina Ferilli e Carlo Verdone (bravissimi in ruoli drammatici), Roberto Herlitzka e Massimo de Francovich, Massimo Popolizio, Iaia Forte e Claudio Buccirosso.
Sorrentino si dimostra un regista visionario e dotatissimo, capace di reinventare il cinema italiano.
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(di max.antignano)
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(di cifalino)
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carlosantoni
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venerdì 31 maggio 2013
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la bellezza dopo la notte
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Mi pare quantomeno riduttivo il paragone da molti esplicitato con “La dolce vita” di Fellini: ne “La grande bellezza”, Sorrentino mi pare si doti di uno sguardo più ampio e complesso di quello di Fellini: non ci parla solo di Roma, ma della nostra condizione esistenziale. Roma è “solo” la cornice teatrale prescelta, una Roma barocca e inutilmente splendida nelle sue forme, per meglio illustrare, quasi secondo una specie di legge del contrappasso, un viaggio barocco all’interno della nostra vita corrotta e disgraziata.
Numerose le prospettive simmetriche di chiese e palazzi o le carrellate lente che accompagnano orizzontalmente l’ incedere solitario del protagonista: una linearità che confligge con la spregevole complessità del verminaio umano che brulica attorno a Jep Gambardella.
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Mi pare quantomeno riduttivo il paragone da molti esplicitato con “La dolce vita” di Fellini: ne “La grande bellezza”, Sorrentino mi pare si doti di uno sguardo più ampio e complesso di quello di Fellini: non ci parla solo di Roma, ma della nostra condizione esistenziale. Roma è “solo” la cornice teatrale prescelta, una Roma barocca e inutilmente splendida nelle sue forme, per meglio illustrare, quasi secondo una specie di legge del contrappasso, un viaggio barocco all’interno della nostra vita corrotta e disgraziata.
Numerose le prospettive simmetriche di chiese e palazzi o le carrellate lente che accompagnano orizzontalmente l’ incedere solitario del protagonista: una linearità che confligge con la spregevole complessità del verminaio umano che brulica attorno a Jep Gambardella. Il quale non credo si possa dire che goda esteticamente delle feste ricche e pacchiane che organizza, e forse neppure delle bellezze architettoniche della Città Eterna. Tutto sembra scorrere intorno a lui senza lasciare un segno. Anche il dolore diventa rappresentazione, e il lutto non si sottrae per niente alla logica di un’ipocrisia universale, anzi a suo stesso dire ne è la più limpida esplicitazione: un funerale ha le sue regole rigorose, che sono essenzialmente quelle dell’apparire.
Jep Gambardella cammina lentamente, si muove lentamente e, perfino, parla sempre molto lentamente: come se recitasse: non mi riferisco a Tony Servillo, lui è ovvio che reciti, mi riferisco al suo personaggio, che parla con la lentezza e la grevità di chi stia recitando versi. Sembra quasi che stia parlando a se stesso. Che rifletta sulla natura della natura umana. Lui, che organizza le feste rumorosissime e sguaiate sulla sua splendida terrazza romana, dice che aveva una sola vera ambizione: le feste le voleva far fallire. La contraddizione è solo apparente: al contrario di quasi tutti i suoi frequentatori (Ramona fa parte a sé, così come la sua colf), lui sa leggere nell’animo umano e non finge con se stesso o con gli altri, ma li guarda con occhio irrimediabilmente disincantato.
La morte. Entra tre volte nel film, e ci entra senza preavviso, come a fulminare ogni illusione circa la durata di una qualsiasi illusione. Solo nel caso di Ramona Sorrentino ce ne preannuncia la fine, con grande finezza: è quando una mattina Jep si avvicina a lei, distesa bocconi sul letto, e noi spettatori ne cogliamo con lui le membra e gli occhi immobili, lo sguardo vitreo: ci aspettiamo che Jep scopra che è morta. No, non lo è, ma lo sarà pochissimo dopo, apparentemente senza una ragione.
Tutto il ricco e volgare luccichio che circonda Jep, tutta la corrotta società che si trascina dietro e che si ciba di idoli e di narcisismo, completamente alienata e triste, niente di tutto questo sembra davvero interessarlo. Lo interessa invece una domanda cui non sa e non potrà mai darsi risposta, e che riguarda una ragazza amata nella prima gioventù. In quell’ansia di sapere, di capire, senza tirare morali e perciò anche senza fare sconti, Sorrentino sembra indicare quale sia la grande bellezza cui aspiriamo, pur in mezzo a tanto squallore.
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mericol
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venerdì 5 luglio 2013
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bellezza e illusioni
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All’inizio(ma proprio all’inizio) resti perplesso. Balli scatenati, svenimenti,esibizioni. Ti chiedi:dove vuole arrivare Sorrentino?possibile che presenti una storia senza un senso,almeno apparente?
Poi la storia gradualmente si amplia,lentamente, ma progressivamente,con un crescendo che si può definire “rossiniano”.
La prima svolta è con la comparsa del protagonista,Jepp Gambardella(T. Servillo) scrittore e giornalista .Ha scritto solo un libro a 20 anni e poi non più.
Poi il dialogo con Stefane, durante il quale il cinico,ironico ,freddo Jepp esprime il suo pensiero, la differenza tra l’apparire e l’essere.
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All’inizio(ma proprio all’inizio) resti perplesso. Balli scatenati, svenimenti,esibizioni. Ti chiedi:dove vuole arrivare Sorrentino?possibile che presenti una storia senza un senso,almeno apparente?
Poi la storia gradualmente si amplia,lentamente, ma progressivamente,con un crescendo che si può definire “rossiniano”.
La prima svolta è con la comparsa del protagonista,Jepp Gambardella(T. Servillo) scrittore e giornalista .Ha scritto solo un libro a 20 anni e poi non più.
Poi il dialogo con Stefane, durante il quale il cinico,ironico ,freddo Jepp esprime il suo pensiero, la differenza tra l’apparire e l’essere.
Per proseguire,scena cruciale nell’approfondimento delle storia e del significato del film,con la descrizione e lo svolgimento di un funerale, con un rituale ripetitivo, con scene da rappresentazione teatrale che riducono la cerimonia a mera forma,a discapito del sentimento.
In una splendida città,Roma,dove si cerca la grande bellezza, ma la bellezza non si trova. L’ambiente medio=borghese romano,quello intellettuale(o pseudo),quello ecclesiastico. Tutti coinvolti in una atmosfera del vivere in superficie.
In questo senso e verso questo significato va il magnifico finale. Jepp Gambardella non ha scritto nessun libro dopo il primo e unico, perché sperava in una grande bellezza(della vita, non di Roma) che non ha trovato. Gioie,dolori,illusioni,speranze,tutte coperte da un continuo interminabile bla-bla-bla, come aveva suggerito l’inizio del film,senza che in quel momento iniziale si potesse intuire. Memorabile,come al solito,l’interpretazione di T. Servillo.
(mericol venerdì 5/7/2013)
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[+] la grande bellezza e la dolce vita
(di camiglia)
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[+] quando la condivisione scaturisce la sintesi....
(di maopar)
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daf_ma
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lunedì 1 luglio 2013
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anime nude difronte alla grande bellezza
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Anime nude, quelle raccontate sul grande schermo ne “La grande bellezza”. Sentimenti ed emozioni che riecheggiano, con tutta loro potenza, negli occhi, sul volto e nelle movenze corporee di chi dà voce e vita all’ultimo film di Paolo Sorrentino. “Bellezze” esibite, festose danze, in un tripudio di eccessi che dominano i salotti della Roma “bene” di cui Jep Gambardella, interpretato egregiamente da Toni Servillo, è il miglior rappresentante, per sua ambizione e per collettiva attribuzione. Giornalista e critico teatrale, scrittore di un’ unica opera prima, “L’apparato umano”, Jep osserva cinicamente gli artefatti, le “costruzioni” rappresentate in natura, l’artista che si scaglia con la testa contro un muro, ispirata da una “vibrazione” , la scrittrice intellettuale comunista, sua amica, che esibisce con vanto le sue conquiste professionali e private, frutto però di menzogne, ipocrisie e favoritismi.
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Anime nude, quelle raccontate sul grande schermo ne “La grande bellezza”. Sentimenti ed emozioni che riecheggiano, con tutta loro potenza, negli occhi, sul volto e nelle movenze corporee di chi dà voce e vita all’ultimo film di Paolo Sorrentino. “Bellezze” esibite, festose danze, in un tripudio di eccessi che dominano i salotti della Roma “bene” di cui Jep Gambardella, interpretato egregiamente da Toni Servillo, è il miglior rappresentante, per sua ambizione e per collettiva attribuzione. Giornalista e critico teatrale, scrittore di un’ unica opera prima, “L’apparato umano”, Jep osserva cinicamente gli artefatti, le “costruzioni” rappresentate in natura, l’artista che si scaglia con la testa contro un muro, ispirata da una “vibrazione” , la scrittrice intellettuale comunista, sua amica, che esibisce con vanto le sue conquiste professionali e private, frutto però di menzogne, ipocrisie e favoritismi. Jep guarda la vita con cinismo e disincanto, con malinconia e profonda nostalgia. La sua vita, come quella degli amici che lo circondano, è fatta di tanti stupidi e inutili orpelli e di ricercata superficialità. La “grande bellezza” però è ancora capace di emozionare gli animi sensibili. Accade a Jep, dinanzi a un muro di foto, messe in sequenza, rappresentanti l’evoluzione naturale delle cose, il ciclo della vita ed un’immagine chiara che si legge in ogni minima parte del volto di Toni Servillo, stupito, incantato, straordinariamente emozionato e, al tempo stesso, devastato. La “grande bellezza” è nella genuinità di una spogliarellista, interpretata da Sabrina Ferilli, per la quale è in serbo un triste destino ed è nella santa centenaria che, più di ogni altro, simboleggia l’essenza della vita. La sua forza spirituale e la sua grande vocazione rendono possibile la sua stessa esistenza nel mondo, i suoi sacrifici, resi ancora più espliciti dalla sua scalata fatta in ginocchio in segno di penitenza dinanzi a Dio, riportano parallelamente all’incontro di Jep con il suo primo grande amore, la prima bellezza, pura e travolgente dopo la quale ogni sogno, compreso quello di scrivere un altro romanzo, è rimasto fermo, statico, senza movimento, senza ambizione. Jep ritrova con l’annuncio della morte del suo primo amore, la perdita delle persone a lui vicine, i piccoli sprazzi di luce e umana bellezza, la voglia di tornare ad emozionarsi e guardare con stupore le meraviglie che lo circondano, le piccole cose, che rendono uniche, indimenticabili e straordinariamente intense ed emozionanti le esperienze della vita umana. Nonostante viga una figura femminile stereotipata e tutta italiana, per cui la donna è o una santa da venerare o è una prostituta o è una donna intelligente ma frigida, e per questo condannata al tradimento, il film ha una grande forza espressiva, dovuta ai dialoghi pungenti, alla scelta proverbiale delle riprese che fanno del tutto una vera opera d’arte, e al cast di attori di grande livello, ognuno calato nel ruolo che più gli compete. Ogni scena è curata nei minimi dettagli e sulla forza delle parole e delle emozioni.
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ilariadisevo
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giovedì 23 maggio 2013
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“gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza"
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“La grande bellezza” racconta la storia di uno scrittore di sessantacinque anni, autore di un solo romanzo. La sua vita si muove alla ricerca di “una grande bellezza” che lo riconduca a scrivere nuovamente che gli dia nuova linfa e nuova ispirazione. Ma la “grande bellezza” è irraggiungibile. La bellezza, il protagonista la trova solo nei palazzi romani, nelle chiese barocche, e nel volto di una donna amata in età giovanile. La grande bellezza è eterna ma eterea e sfuggevole, la si può contemplare durante le passeggiate alla luce dell'alba lungo il Tevere ma per poco tempo. Poi si ritorna alla mondanità, alle feste sfarzose e inutili.
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“La grande bellezza” racconta la storia di uno scrittore di sessantacinque anni, autore di un solo romanzo. La sua vita si muove alla ricerca di “una grande bellezza” che lo riconduca a scrivere nuovamente che gli dia nuova linfa e nuova ispirazione. Ma la “grande bellezza” è irraggiungibile. La bellezza, il protagonista la trova solo nei palazzi romani, nelle chiese barocche, e nel volto di una donna amata in età giovanile. La grande bellezza è eterna ma eterea e sfuggevole, la si può contemplare durante le passeggiate alla luce dell'alba lungo il Tevere ma per poco tempo. Poi si ritorna alla mondanità, alle feste sfarzose e inutili. Il protagonista si crogiola nella vuotezza di una vita trascorsa di notte. La notte nasconde la bellezza del giorno e mostra una bruttezza abbellita con un trucco come quello del mago che cerca di far sparire la giraffa. Le persone sono brutte fuori e dentro, vanno da un chirurgo santone alla ricerca del silicone benedetto, l'unica cosa che li fa sentire in pace con lo specchio ma non con se stessi e la propria anima. Il corpo è mostrato e usato. La nudità è dominio di tutti consumata fino a fondo, basta poi un bagno in piscina che pulisce via lo sporco. I loro corpi danno un senso di mortalità al contrario delle statue che conservano la loro eterna bellezza e armonia.
Il personaggio principale è alla ricerca di un puro godimento estetico che sembra un'utopia che lo sleghi dalle vite frivole delle persone che frequenta. Il film appare come un agghiacciante e grottesco studio dei comportamenti umani. La loro comunicazione e relazione è falsa, cinica e retorica. L'inconsistenza dei rapporti umani porta i personaggi a essere tremendamente soli e incompresi. Sorrentino non può avere pietà di questi uomini imbruttiti e decaduti anche se ad alcuni personaggi sembra essere più vicino che ad altri come a quello che interpreta Verdone un attore e regista teatrale innamorato perdutamente ad una brutta e altezzosa attricetta, alla fine però abbandona la gara e se ne va da Roma è come se scegliesse l'esilio e quindi la morte. L'unico personaggio vero e positivo sembra essere Ramona interpretata dalla Ferilli che nella sua ignoranza e goffaggine rispetto a un mondo ricco e borghese sembra l'unica a riuscire a scorgere la cattiveria e l'immoralità intellettuale del protagonista. I personaggi sono giustamente giudicati, perché la pietà non esiste più nel mondo di oggi. Se Enea il fondatore di Roma era l'eroe della pietas, qui non c'è spazio per questo sentimento perché di eroi non ne esistono più e la pietà non è un sentimento dell'uomo moderno. Il protagonista si rifiuta giustamente di compatire una società frivola, imbruttita dove la morale è ribaltata come quando il protagonista guarda la Concordia in mare, esplicita metafora dell'Italia.
La morte è narrata da Sorrentino mai in modo troppo drammatico, essa è repentina fredda e senza alcuna spiegazione. La morte viene subito messa in scena all'inizio del film quando un turista muore d'infarto mentre fotografa Roma la grande bellezza. Il godimento estetico sta solo nell'istante di uno scatto fotografico e poi la morte la decadenza di cotanta bellezza che rimana lì eterea come un sogno. Per questo Sorrentino riprende Roma solo di notte e all'alba perché la bellezza è un sogno, un'utopia.
“Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile." Il significato del film sta in questa frase che dice nel monologo finale Jep Gambardella. Il film mostra in alcune scene sprazzi di bellezza e in altre lo squallore disgraziato di epoca decaduta. Sorrentino compie una grande indagine estetica del ventunesimo secolo dimostrandosi più che all'altezza, superando perfino i personaggi della Dolce Vita troppo belli e utopoci molto lontani dalla sfarzoso abruttimento della borghesia contemporanea.
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[+] 5 stelle anche per me
(di valentina s.)
[ - ] 5 stelle anche per me
[+] hai ragione
(di c.v.b.)
[ - ] hai ragione
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lolligno69
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giovedì 13 giugno 2013
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il miglior regista italiano (con bellocchio)
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La Grande Bellezza ****
Tra le matasse più difficili da sbrogliare va messa la recensione di questo filmone. Urticante quindi apprezzato.
Senza scomodare Fellini : il mondo di Sorrentino e' popolato di ossessioni e di maschere come quello del Maestro ma - diverso- si nutre di un osservazione parzialissima della realtà quotidiana mentre l'altro prendeva forma da sogni, bugie e desideri del Genio. Questo punto di vista così ludico,tipico della commedia all'italiana, incolla i miei occhi infantili allo schermo in attesa del sorriso,della lacrima ,del colpo di teatro. La dissacrazione delle suore,della sinistra finto-impegnata,della chirurgia estetica(tremenda)dei salotti buoni,della citta,dei bambini prodigio(tremendissima),dell'arte,dei preti e del giornalismo valgono più di dieci anni di cinema italiano mucciniano.
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La Grande Bellezza ****
Tra le matasse più difficili da sbrogliare va messa la recensione di questo filmone. Urticante quindi apprezzato.
Senza scomodare Fellini : il mondo di Sorrentino e' popolato di ossessioni e di maschere come quello del Maestro ma - diverso- si nutre di un osservazione parzialissima della realtà quotidiana mentre l'altro prendeva forma da sogni, bugie e desideri del Genio. Questo punto di vista così ludico,tipico della commedia all'italiana, incolla i miei occhi infantili allo schermo in attesa del sorriso,della lacrima ,del colpo di teatro. La dissacrazione delle suore,della sinistra finto-impegnata,della chirurgia estetica(tremenda)dei salotti buoni,della citta,dei bambini prodigio(tremendissima),dell'arte,dei preti e del giornalismo valgono più di dieci anni di cinema italiano mucciniano. Manca totalmente l'impegno sociale (quello trito e serioso) e questo mi piace anche di più. Protagonista del film la città di Roma : micidiale potenza capace dopo 3000 anni di annientare ogni velleità artistica dei suoi sudditi. Con la sete di potere(il divo,film sulla romanità),con la misera ambizione(l'amico di famiglia) e con la routine del vacuum. Riciclando la battuta di De Niro/Proust : ' sono andato a letto presto negli ultimi 20 anni 'Jep va a letto tardi ma regala chicche come 'un amico ha il dovere di farti sentire almeno ancora una volta bambino' e altre , almeno 5/6. Il cast e' un'invenzione pirotecnica : alcuni sembrano presenziare come presenziano alle serate ,sgomitando per esserci. Il monologo stronca-radicalchic :Tu esci anche il lunedì sera ...che neanche gli spacciatori di Popper. È stato quello il (mio)momento in cui si sente di essere sorrentiniani : il monologo sulla madre pseudoimpegnata che per riprendersi non si butta dal terrazzo ma in piscina. Acqua purificatrice. Come se nulla fosse nel finale si concedono un ballo insieme :Non siamo stati mai insieme io e te ? Vedi che ci resta ancora qualcosa di bello da fare ? E qui si potrebbe scomodare l'alta letteratura...
E c'entra pure Scola ma incidentalmente : la terrazza e'sfoggio di romanità , grandissimi attori , alcuni inarrivabili, schiavi della fama e stanchi. Anche il regista se ne compiace e il film e' autoreferenziale. Qui invece è il mulinare della nullità , la spinta artificiale (coca) e artefatta (botulino) di questo attuale mix di cocciuti presenzialisti di cattivo gusto. Il distacco del regista e'spietato,freddo,lucido.
Semmai ho trovato come elemento di novità una certa eco cappelliana, di parenti lucani etc...chissà che dal personaggio di Verdone non nasca una collaborazione futura...
Sulla fotografia e la perizia del McEnroe della macchina da presa mi pare superfluo dire. Toni Servillo crea un'intimita' stile Paul Auster e prima di dormire te lo senti ancora vicino. Rimane nelle membra un film possente,barocco,quasi indigeribile. Cosa volere di più ? Un po' di meno forse. Ma ormai abbiamo capito che Sorrentino e' questo : un vulcano in eruzione schiavo dell'eleganza che lo rallenta. A me piace così. Si attendono derive, speriamo in senso monicelliano e non formale.
La folle corsa deve essere senza tregua ma Jep la tregua, la pausa , la riflessione ce l'ha nel sangue; ama confidarsi con l'asiatica colf e guarda il mare(che non c'è'); adora l'odore delle case dei vecchi e piange ,maturo,al funerale. Chiede conforto ad un cardinale ma per risposta otterrà la ricetta del coniglio alla ligure. Italia 2013. La Grande Bellezza fa molto male.
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giulio gentile
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domenica 2 giugno 2013
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recensione profana de "la grande bellezza"
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La vita di Jep Gambardella è immersa in quello che lui stesso definisce "il vortice della mondanità". Benchè venga considerato uno scrittore talentuoso e affermato, ha scritto un solo fortunatissimo libro, congedandosi inspiegabilmente con quell'unica opera dal mondo della letteratura. Sembra che questa vita non turbi più di tanto l'animo di Jep, anzi sembra che sia questo il suo habitat ideale. Ma la realtà è ben diversa: Jep è profondamente insoddisfatto della povertà di contenuti e dalla superficialità da cui è circondato. Il compimento dei suoi 65 anni, suonano per lui come un campanello d'allarme.
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La vita di Jep Gambardella è immersa in quello che lui stesso definisce "il vortice della mondanità". Benchè venga considerato uno scrittore talentuoso e affermato, ha scritto un solo fortunatissimo libro, congedandosi inspiegabilmente con quell'unica opera dal mondo della letteratura. Sembra che questa vita non turbi più di tanto l'animo di Jep, anzi sembra che sia questo il suo habitat ideale. Ma la realtà è ben diversa: Jep è profondamente insoddisfatto della povertà di contenuti e dalla superficialità da cui è circondato. Il compimento dei suoi 65 anni, suonano per lui come un campanello d'allarme. Inizia così un viaggio profondamente allegorico alla ricerca del suo io più profondo, attraverso una Roma così immersa nella ricchezza e bellezza del passato, quanto distrutta dallo squallore e dalla povertà del presente. Sono stati sprecati infiniti paragoni con "La dolce vita" di Fellini. Le analogie con Fellini sono senza dubbio potentissime, ma de "La dolce vita" ha davvero ben poco. È molto più "Otto e mezzo". Roma infatti, la città, i luoghi, non sono assolutamente protagonisti, ma semplice contorno, un palcoscenico dei dissidi interiori del protagonista, occhi che osservano e si specchiano in una società alla deriva. Una società che vive d'immagine a discapito dei contenuti, dove "apparire" è l'unico imperativo valido. Mai come in questo film Sorrentino ha fatto ergere la figura del perdente a protagonista: Jep è un grande perdente, a dispetto dell'aspetto fiero e altezzoso. La sua è una vita fatta di rimpianti e rimorsi, di tedio e noia, di sensibilità repressa, di artificiosa superficialità. In assonanza con la città di Roma, dipinta con una costante assonanza di bellezza e brutalità, Jep rimpiange il passato, rimugina sul suo presente, e guarda con meraviglia e incanto a un futuro che non ha più. Un futuro sacrificato ai "bla bla bla" senza capo nè coda con stuorli di "viveur" che, paradossalmente, disdegna e compatisce. Un futuro sacrificato "all'imbarazzo dello stare al mondo", alla ricerca di una Grande Bellezza che gli rendesse indietro il tempo perduto. Sparuta, incostante, una Bellezza che si può manifestare solo a sprazzi, soffocata da un mondo miserabile che nè la conosce, nè tantomeno la cerca. Tra una trentina d'anni verrà considerato come un capolavoro e una pietra miliare. Chi scrive, con un pizzico di arroganza, ignoranza, presunzione e tanto altro, si azzarda a farlo già da adesso.
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flyanto
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mercoledì 22 maggio 2013
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una sorta di "dolce vita" 50 anni dopo
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Film in cui si narra di un giornalista di costume di nome Jep Gambardella (interpretato da Toni Servillo), ora profondamente in crisi ed allontanatosi dalla sua primaria attività di scrittore, che trascorre le proprie giornate o, meglio, nottate, frequentando i salotti "bene" e "culturali" della buona società romana. Tutto l'ambiente con cui egli via via si trova a contatto lo disgusta ma, conoscendolo in maniera approfondita, non lo stupisce ormai nemmeno più di tanto. Diciamo, che egli vi convive, se non rassegnato, sicuramente distaccato e disincantato rimpiangendo un'epoca ancora intatta e ricca di fermenti, per lui ormai troppo lontana e irrecuperabile, con cui però egli, prima di approdare a Roma in cerca di fortuna e di affermazione, non ha e non avrà purtroppo mai più nulla a che fare.
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Film in cui si narra di un giornalista di costume di nome Jep Gambardella (interpretato da Toni Servillo), ora profondamente in crisi ed allontanatosi dalla sua primaria attività di scrittore, che trascorre le proprie giornate o, meglio, nottate, frequentando i salotti "bene" e "culturali" della buona società romana. Tutto l'ambiente con cui egli via via si trova a contatto lo disgusta ma, conoscendolo in maniera approfondita, non lo stupisce ormai nemmeno più di tanto. Diciamo, che egli vi convive, se non rassegnato, sicuramente distaccato e disincantato rimpiangendo un'epoca ancora intatta e ricca di fermenti, per lui ormai troppo lontana e irrecuperabile, con cui però egli, prima di approdare a Roma in cerca di fortuna e di affermazione, non ha e non avrà purtroppo mai più nulla a che fare. Consapevole di questo distacco definitivo col suo passato Jep accetta di convivere con una realtà popolata da individui grotteschi, falsi, opportunisti e nemmeno tanto intellettuali o colti, perchè alla mancanza generale di valori ed alla decadenza morale ed esistenziale dell'intera società contemporanea, clero incluso, si unisce una pochezza ed una scarsità di interessi e di preparazione culturale tali da fare raccapricciare. Questo film, presentato in concorso al Festival di Cannes come unica opera italiana, senza dubbio concorre o, deve concorrere ed aspirare, alla Palma d'Oro. Paolo Sorrentino, prendendo un pò spunto dal precedente "La Dolce Vita" di Federico Fellini, rappresenta il disgusto rassegnato ed apparentemente accettato dal giornalista protagonista per la decadenza morale e culturale che investe l'intera società contemporanea. Nessuno si salva, nemmeno l'ambiente ecclesiastico che dovrebbe invece perseguire ideali più spirituali. Impera solo la mancanza ormai totale di ciò che si definisce come "Grande bellezza", e cioè la mancanza dell'ispirazione, della spinta più pura che nutre la mente degli individui inducendoli a creare prodotti di qualità, certi che verranno sicuramente compresi ed apprezzati. Pare che all' interno della pellicola alcune ed importanti scene siano state misteriosamente tagliate dal regista o dalla produzione e trovo che sia un vero peccato non vederla per intero nella sua versione originale. In ogni caso, il suo valore non viene assolutamente meno ed anzi, grazie anche alla straordinaria, come sempre, interpretazione di Toni Servillo si acuisce sempre di più. Da menzionare vi sono, inoltre, anche gli altri attori: Carlo Verdone e Sabrina Ferrilli sugli altri, qui quasi irriconoscibile per la sua bravura. Stupende poi sono le inquadrature di molti scorci della Roma antica, sebbene purtroppo un pò in decadenza e, direi, perfetta e calibrata è la sceneggiatura che è ricca di dialoghi essenziali e pungenti e perfettamente calati nel contesto. Bisogna a questo proposito assolutamente menzionare e lodare i circa tre minuti di dialogo o monologo che Toni Servillo tiene ad una festa contro una partecipante pseudo-intellettuale ed impegnata politicamente (interpretata da Galatea Ranzi) che, a mio parere, valgono da soli tutto il valore di quest'opera. Cosa aggiungere in più a questo punto? La speranza e l'augurio che questa pellicola di Sorrentino venga giustamente premiata con la Palma d'Oro al Festival perchè se lo merita ampiamente! Sebbene, forse, non sia definibile come un capo
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