La grande bellezza |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Pamela Villoresi, Franco Graziosi, Pasquale Petrolo, Serena Grandi, Maria Laura Rondanini.
continua»
Drammatico,
durata 150 min.
- Italia, Francia 2013.
- Medusa
uscita martedì 21 maggio 2013.
MYMONETRO
La grande bellezza
valutazione media:
3,36
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La storia del fallimento di un idealedi Lilith1989Feedback: 100 |
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domenica 17 gennaio 2016 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
I. L’assente Se mi si chiedesse di individuare l’oggetto del film, direi che l’oggetto è senza dubbio un’assenza. Non un’assenza momentanea, però, come una specie di vuoto destinato a colmarsi, ma un’assenza direi costitutiva, assoluta. La bellezza che ricorre nel titolo è una bellezza assente. Manca, ma non nel senso che è stata o che sarà, semplicemente nel senso che non è. Non è rappresentata, non è nascosta, non è realizzata, non è oggetto di ricerca perseguibile. Ogni volta che credi di averla intravista, in una scena – in un rapporto umano autentico, nelle forme gloriose di un palazzo, in un silenzio mattutino, in un paesaggio sul Lungo Tevere – realizzi di esserti sbagliato, che sei caduto nel tranello, che ti sei lasciato ingannare dalla percezione e dalla tua inconscia aspettativa. Di volta in volta, l’ideale che credevi di aver percepito, di aver visto finalmente realizzato, si spezza – e la realtà, come strisciando, si insinua. Il rapporto umano non è autentico, il palazzo è profanato, il silenzio ha qualcosa di inquietante, il paesaggio sul Lungo Tevere è rovinato dal transitare inaspettato di una coppia di anzianotti dai calzini bianchi tirati fino alle ginocchia che parlano a gran voce del più e del meno mentre fanno jogging. II. La frammentazione Non c’è trama. Non c’è un punto di inizio e manca il punto di arrivo. Non c’è evoluzione, non cè dramma e non c’è soluzione. Le scene si stratificano l’una sull’altra, come frammenti sconnessi di un flusso percettivo labirintico in cui non si è in grado di individuare unità o continuità alcune. Lo sguardo è quasi sempre quello del protagonista (un viveur scrittore mancato della Roma bene) – che guarda se stesso, gli altri, le cose minute, i grandi monumenti romani vantando profonda capacità interpretativa ma in realtà appiattendo e in qualche modo contaminando di negatività tutto quello che entra nel campo della sua percezione. III. La finzione I personaggi sono maschere, caricature. Recitano male, con enfasi esagerata, ma volutamente, come a voler mettere in scena l’elemento finzionale della rappresentazione. La finzione, insomma, è oggetto costante di rappresentazione. Non ci sono personaggi autentici (tranne un paio, forse), che siano convinti di essere quello che sono. Ogni personaggio ha un che di eccessivo e inautentico, e come tale è uno strumento di rimando ad un versante oscuro, sconosciuto di sè, che cela agli altri e allo spettatore. L’effetto è profondamente straniante – ci si chiede chi sia a tenere le fila dei discorsi e dei gesti, che cosa ci sarebbe di diverso se d’improvviso si scremasse l’elemento caricaturale, se si riempisse lo scarto tra ciò che è e ciò che si dà a vedere. IV. Roma Roma è molto poco in questo film, se non lo sfondo costante, ma talmente usurato da passare quasi non visto, della percezione e degli eventi. Non è grandiosa, non è imponente, non si impone a chi la guarda. E’ pura oggettualità, completamente spogliata del complesso di significati e di storia di cui è portatrice, nella migliore delle ipotesi ridotta a strumento di un vago e svogliato godimento estetico..
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