"Allo stesso modo altri diviene misantropo e ha avversione e antipatia per i suoi simili. Oh! davvero, non c’è sventura più grande di questa antipatia per ogni discussione. E l’uno e l’altro morbo, misologia e misantropia, sorgono in noi dalla medesima fonte. La misantropia si infiltra in noi [...] quando le delusioni si rinnovano frequenti, e proprio per opera di chi vorremmo amico intimo e fedele, si finisce, dopo tante delusioni, con un odio generale, ritenendo che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di buono. [...] Chi tratta una medesima questione con argomenti in favore e con argomenti contrari finisce per esser convinto d’una sua straordinaria sapienza. Crede d’aver osservato lui solo che nessun fatto è sincero e stabile, che nessun ragionamento nemmeno, nulla di nulla; ma che tutte le cose, precisamente come nell’Euripo, in su e in già si volgono, e giammai in nessun istante, in nessuna occasione, hanno posa".
La misantropia, socraticamente parlando, è un vero e proprio morbo che ti porta all'odio e all'infelicità perpetua nel rapporto con altri, con tuoi simili, uomini. Ed è proprio questo il motivo di debosciaggine di Jep Gambardella, padre di una decaduta e degenerata mondanità romana, il quale, con una raffinata risposta in seguito a un rimprovero di misoginia, dice "Io non sono misogino. Sono misantropo". È vero. Il personaggio del film di Sorrentino è un uomo estremamente solo, non fiducioso nella gente di cui si circonda ogni sera per riempire il vuoto della sua vita.
"La grande bellezza" è un glorioso affresco della città eterna, della Roma Caput Mundi, colta in una mondanità degradata, ormai lontana dalla raffinatezza e splendore che un tempo ne caratterizzavano l'essenza. Il film, come dichiarato dal regista stesso, segue le orme dello strepitoso La dolce vita di Fellini, attuando, però, un processo del tutto opposto rispetto a quello felliniano. Infatti, mentre ne La dolce vita vengono esaltati i valori e la grandiosità della Roma anni '60, qui a essere messa in luce è la decadenza della moderna mondanità romana, che si affida interamente al possesso di successo, potere, fama e gloria, deludente, meschina e ingannatrice , a discapito di profondità spirituale e morale. E l'emblema del film in merito a ciò è rappresentato dalla figura fisicamente sformata di Serena Grandi, come sottolineato anche nel film.
Ma la vera grande bellezza de "La grande bellezza" sono le favolose immagini e fotografie barocche, che ne rievocano la magica atmosfera. Il tutto è condito da un'ottima scelta sonora, che spazia da musica house e contemporanea (usata per le futili e false feste) a quella classico-corale (utilizzata invece per accompagnare le magnificenti sculture, architetture,strutture di Roma).
La regia di Paolo Sorrentino è magistrale, grazie a inquadrature e riprese mozzafiato e incredibile analisi visivo-introspettiva dei vari personaggi. Dopo, a mio giudizio, il bellissimo This must be the place, il talentuoso regista italiano realizza un altro grande film, molto profondo e particolare, unico nella sua specialità e speciale nella sua unicità.
Anche i personaggi sono singolari. Oltre al misantropo Jep, affascinato ma al tempo stesso disgustato da questa sua eccessiva vita mondana, ci sono il deluso e fallito Romano, interpretato da un Carlo Verdone più drammatico del solito, la nuda e sexy spogliarellista Ramona (Sabrina Ferilli), il "sofista" Lello Cava (Carlo Buccirosso), la nana filosofa Dadina (Giovanna Vignola), l'egocentrico e privo di risposte cardinal Bellucci (Roberto Herlitzka) e infine La Santa, ultracentenaria totalmente devota a Dio, povera nella vita e non nelle vane parole con cui tutti cercano di ostentare freneticamente il proprio ego insoddisfabile.
La filosofia del film è tanto evidente quanto profonda: la vita è un trucco, e quello che conta non è l'apparire, o una qualsiasi altra futile illusione materiale, ma la grande bellezza è da ricercarsi dentro di noi, nella nostra anima, immortale ma imprigionata dal corpo.
"La grande bellezza" è uno splendido dipinto barocco, ricco di colori e fotografie geniali, impreziosite da colonne sonore multiformi ed interpretazioni sublimi, in particolare quella di Toni Servillo, perfetto come sempre. Sicuramente uno dei migliori film dell'anno, per intensità, forza comunicativa e spirituale moralità. Ringraziamo e applaudiamo Paolo Sorrentino, unico regista, assieme a Matteo Garrone, in grado di valorizzare l'industria del cinema d'autore italiano, altrimenti affossato da infantili scemenze.
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