alnick
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mercoledì 5 marzo 2014
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capolavoro?
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Capolavoro? Avrò canoni antichi, ma credo che i capolavori del cinema siano altri. Fellini? Non scomodatelo, con tutto il rispetto per Sorrentino aveva cultura e capacità cinematografiche diverse. L'Oscar? A Kubrick non l'hanno mai dato, quindi lascia il tempo che trova...
A mio giudizio è un'opera discreta - fotografata benissimo e con una colonna sonora azzeccata - troppo lunga e talvolta ripetitiva. Nessuna trama, poca storia. Un po' troppo impegnata ad essere intellettuale per diventarlo veramente. Bravi gli attori (Servillo sopra gli altri, ma non lo scopriamo oggi). Un film da vedere, senza dubbio, ma di cui credo mi dimenticherò ben presto, a differenza di molti altri.
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dante soldi
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sabato 22 marzo 2014
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un palinsesto che è (quasi) un capolavoro
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"La grande bellezza" è un palinsesto, non ha molto senso distinguere crocianamente la poesia e la non poesia.
A me ha ricordato...Moby Dick di Melville.Anche lì ci sono parti tediose, soprattutto ci sono diversi livelli di lettura.In superficie è la storia di una crisi di ispirazione, che diventa presto esistenziale, si allarga a contemplare la vita inautentica che conduciamo, ma anche il sostanziale scacco di ogni creatura di fronte alla fine.E, come Acab che cova vendetta per la natura che l'ha punito, ma è al contempo dittatore di una ciurma di schiavi nell'epoca dei mass media (prima dei mass media), manager occhiuto del Capitalismo trionfante, e idealista tendente all'Assoluto, così Gambardella vive su diversi piani inconciliabili.
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"La grande bellezza" è un palinsesto, non ha molto senso distinguere crocianamente la poesia e la non poesia.
A me ha ricordato...Moby Dick di Melville.Anche lì ci sono parti tediose, soprattutto ci sono diversi livelli di lettura.In superficie è la storia di una crisi di ispirazione, che diventa presto esistenziale, si allarga a contemplare la vita inautentica che conduciamo, ma anche il sostanziale scacco di ogni creatura di fronte alla fine.E, come Acab che cova vendetta per la natura che l'ha punito, ma è al contempo dittatore di una ciurma di schiavi nell'epoca dei mass media (prima dei mass media), manager occhiuto del Capitalismo trionfante, e idealista tendente all'Assoluto, così Gambardella vive su diversi piani inconciliabili.
E' inevitabile che un'altra chiave di lettura sia quella della decadenza italiana, che si acutizza proprio nel contrasto con una grandezza e bellezza passata che è quasi prepotente.
Sorrentino è un Fellini che "ha visto" come la "Dolce vita" andava a finire, ha sanzionato la fine di un'epoca, un pò come il "Sorpasso" ha sanzionato la fine del boom economico degli anni Sessanta prima che finisse.
Nel finale Gambardella ricomincia a scrivere.Probabilmente non ha illusioni, però la sua rinuncia all'Assoluto ha il sapore dell'umiltà e della vita vera.
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gabriella grande
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giovedì 28 agosto 2014
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la grande bellezza: e' solo un rimpianto?
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La grande bellezza....l'abbiamo perduta? No - sembra dirci Sorrentino in questo capolavoro - è solo nascosta, come è nascosta la zampa delle gru, sul terrazzo di Jep Gambardella, all'alba. Trampolieri meravigliosi le gru: quando si riposano si reggono su una sola zampa,ma ne possiedono due.Sembra che l'altra non ci sia ma è solo nascosta.Come per la giraffa che l'illusionista fa sparire tra le rovine delle Terme di Caracalla,ma ”è solo un trucco”.Così è la bellezza, devi reimparare a guardarla, a cercarla in profondità, non abita la superficie delle cose. Emblematica,a riguardo, la scena della bambina (simbolo della bellezza innocente e pura) che si nasconde nel Chiostro di San Pietro in Montorio e la madre non riesce a trovarla perché si limita a cercarla solo in superficie.
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La grande bellezza....l'abbiamo perduta? No - sembra dirci Sorrentino in questo capolavoro - è solo nascosta, come è nascosta la zampa delle gru, sul terrazzo di Jep Gambardella, all'alba. Trampolieri meravigliosi le gru: quando si riposano si reggono su una sola zampa,ma ne possiedono due.Sembra che l'altra non ci sia ma è solo nascosta.Come per la giraffa che l'illusionista fa sparire tra le rovine delle Terme di Caracalla,ma ”è solo un trucco”.Così è la bellezza, devi reimparare a guardarla, a cercarla in profondità, non abita la superficie delle cose. Emblematica,a riguardo, la scena della bambina (simbolo della bellezza innocente e pura) che si nasconde nel Chiostro di San Pietro in Montorio e la madre non riesce a trovarla perché si limita a cercarla solo in superficie. Jep la trova, le parla attraverso una grata, ma non fa lo sforzo di raggiungerla, perché dovrebbe scendere in profondità e non vuole.La bellezza (attraverso la bambina) lo interroga: “Chi sei?” Tentenna Jep: “Io sono..” ma lei, spiazzante: “Tu non sei nessuno” e lui se ne va, indifferente e pigro sulla superficie e non legge in profondità il messaggio che la bellezza ci chiama a codificare: “Vai oltre te,supera il tuo narcisismo,e scendi a trovarmi, non avere paura di scoprire la bellezza, la grande bellezza che si nasconde in attesa di essere trovata, riconosciuta, riportata alla luce”.Va via Jep, non scende in profondità (questo implicherebbe fatica, attenzione) ma resta in superficie.Una domanda si insinua ed ha le parole dell'incipit del romanzo “Nadja” di Breton: “Chi sono io?”.Noi siamo (anche se ormai del tutto inconsapevoli) cercatori di bellezza.Bellezza di cui Sorrentino sembra tracciare alcune caratteristiche nei personaggi della direttrice nana del giornale, e della cameriera,forse volutamente le donne meno belle del film. Bellezza nascosta in queste donne rassicuranti,materne,che nutrono, che consolano. La bellezza è così, madre che nutre e consola.Cercala,perché della bellezza sei figlio, davanti a lei sei bambino. Protagonista assoluta è la città di Roma,desolata e decadente, come simbolo dell'Italia del nostro tempo,un Paese in cui la bellezza è prigioniera del passato, in cui il presente brulica di vuoto,di insoddisfazione,di stanchezza,di un reiterato “bla, bla, bla” e di una vuota, perversa mondanità. A più riprese, il cielo azzurro e terso di Roma è solcato da bianche scie di aerei: forse un'immagine che vuole dirci lo spasmodico bisogno dell'uomo di tentare egoisticamente di lasciare una traccia di sé. Ma tutto resta in superficie, sono tracce deboli che si dissolvono proprio come quei fugaci segni nel cielo. Per asciugare le lacrime del vedovo di Elisa (il primo perduto amore del protagonista), Jep porge un fazzoletto...nero,forse un modo per indicare che non vi può essere più conforto, ma solo buio, assenza di risposte, notte di senso. Si chiede ragione della speranza in una Bellezza di cui la Chiesa parla da secoli, ma nessuno, neanche i religiosi, hanno più risposte da dare.“E' uno stillicidio” dice Jep. Goccia a goccia l'uomo si consuma e la bellezza viene maltrattata e sporcata, come la bambina che, costretta dal padre (gallerista d'arte), dipinge la tela con rabbiose secchiate di vernice, e intanto piange, imbrattandosi tutta con il colore, fino a nascondere i tratti del proprio volto.Cosa dire di questo capolavoro? E' stata una vibrazione.“Cos'è una vibrazione?”....Jep! E' la grande bellezza che ti sfiora dai suoi nascondigli.
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nino pell.
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martedì 28 maggio 2013
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tra mondanità, sesso e castità
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"La grande bellezza" del regista Sorrentino non necessita di troppe spiegazioni sul lato razionale. Il film è la descrizione quasi fedele (forse a tratti decisamente ridondante) dei vizi e difetti di certi strati sociali dell'alta borghesia romana. Jep Gambardella, ex scrittore in crisi di ispirazione, si trasferisce nella città eterna da giovanissimo e psicologicamente si lascia sedurre dalla cosiddetta vita notturna delle balere, fino a diventare uno dei principali fautori, conducendo nel corso di tutta la sua futura esistenza una vita dissoluta e senza legami affettivi stabili. In lui si manifesta una sorta di autocompiaciuta dipendenza da un certo tenore di vita viziosa ed assolutamente vuota.
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"La grande bellezza" del regista Sorrentino non necessita di troppe spiegazioni sul lato razionale. Il film è la descrizione quasi fedele (forse a tratti decisamente ridondante) dei vizi e difetti di certi strati sociali dell'alta borghesia romana. Jep Gambardella, ex scrittore in crisi di ispirazione, si trasferisce nella città eterna da giovanissimo e psicologicamente si lascia sedurre dalla cosiddetta vita notturna delle balere, fino a diventare uno dei principali fautori, conducendo nel corso di tutta la sua futura esistenza una vita dissoluta e senza legami affettivi stabili. In lui si manifesta una sorta di autocompiaciuta dipendenza da un certo tenore di vita viziosa ed assolutamente vuota. Attorno a Jep Gambardella si avvicendano tutta una serie di personaggi che svolgono un analogo tenore di vita notturna all'insegna della dissolutezza e del divertimento. Il film, lo dico subito e senza peli sulla lingua, a me non è piaciuto e questo non tanto per la presenza di certe scene trasgressive e diseducative (soprattutto queste ultime a tratti monotamente ridondanti). Diciamo che il film di Sorrentino è volutamente e sarcasticamente provocatorio (fare il puntigioso moralista significherebbe non aver capito il senso del film) Il problema semmai è un altro: che cosa aggiunge questa pellicola nei riguardi di tematiche già trattate in passato? L'innovazione è praticamente zero (la rivoluzione sessuale si ebbe nel '68; di film erotici trash ce ne sono stati a migliaia e fino alla noia) Ma soprattutto ciò che ho notato è l'assoluta mancanza di sfumature particolari e genialmente originali (l'uso dei lifting per la paura di invecchiare, la depravazione estesa anche a certi ambienti ecclesiastici, le avventure amorose di una botta e via sono decisamente già storia vecchia). Lode naturalmente alla magnificenza della scenografia, di certa regia di altissimo livello e soprattutto per la presenza di attori di grande rispetto, elementi questi che comunque distanziano di parecchio "La grande bellezza" dagli scialbi filmetti trash di natale. Ma in conclusione nell'insieme mi sarei aspettato un percorso narrativo più originale. Al film do comunque 3 stelle perché Sorrentino ha provocatoriamente fatto intendere di non essere un regista commerciale e che merita di essere seguito attentamente in quanto spassosamente atipico nel panorama cinematografico.
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martedì 31 marzo 2015
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la grande esagerazione
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Prima o poi sarei finito a parlare de "La grande bellezza": era inevitabile. Così a secco, senza tanti fronzoli, e lo ammetto senza mezzi termini, amo i film di Sorrentino: non si contano sulle dita le volte che ho visto "Il divo"; ammetto senza alcuna vergogna la mia commozione di fronte a "L'amico di famiglia" e "Le conseguenze dell'amore", anch'essi rivisti in un numero imprecisato di volte. Eppure, "La grande bellezza" non mi piace e non riesco a farmelo piacere. Mi dispiace davvero tanto giudicarlo male, saprò benissimo di essere vittima di qualche linciaggio, soprattutto quando sostengo la mia tesi che si è voluto ricreare un cocktail in chiave moderna che mescolasse "Roma" e "La dolce vita".
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Prima o poi sarei finito a parlare de "La grande bellezza": era inevitabile. Così a secco, senza tanti fronzoli, e lo ammetto senza mezzi termini, amo i film di Sorrentino: non si contano sulle dita le volte che ho visto "Il divo"; ammetto senza alcuna vergogna la mia commozione di fronte a "L'amico di famiglia" e "Le conseguenze dell'amore", anch'essi rivisti in un numero imprecisato di volte. Eppure, "La grande bellezza" non mi piace e non riesco a farmelo piacere. Mi dispiace davvero tanto giudicarlo male, saprò benissimo di essere vittima di qualche linciaggio, soprattutto quando sostengo la mia tesi che si è voluto ricreare un cocktail in chiave moderna che mescolasse "Roma" e "La dolce vita". Ma il mio voto si ferma a due stelle: una stella per la fotografia, una stella per la sceneggiatura. Gliene darei già tre, ma la trama piatta in un marasma di idee non giova, perché nonostante l'obiettivo di dover dipingere con freddezza e ironia la tristezza e lo squallore contemporaneo della mondanità altolocata, questo film per me rimane solo pura fotografia. E fa fatica a decollare. Troppi punti inutili, troppi scene e dialoghi che si sarebbero potuti evitare perfettamente. Mi dispiace, ma dilungarsi su minuzie come queste suscita solo noia nello stesso spettatore, oltre il fatto che due ore e mezzo di film non è roba da poco.
A dire il vero mi correggo: se dobbiamo cercare "La grande bellezza", c'è, ed è la sua scenografia mozzafiato, le scenografia di quella Roma metafisica, che per chi come me ci è nato e vissuto resta solo nei sogni: e su questo punto di vista non posso dire nulla. Non mi permetto di criticare il fulcro del film che emerge dalla confusione di idee: la ricerca della bellezza umana, una bellezza di una Roma alla ricerca della propria, strozzata dalle bruttezze. Talmente tanto che se la città stessa deve fare da cornice al film, finisce invece per essere essa stessa la protagonista. E lei la "bellezza". E mi gioco me stesso che anche il più scettico sia rimasto incantato dalle riprese.
Veniamo invece "alla bruttezza": al di là di uno scoglionato e impeccabile Servillo, ritagliare un piccolo spazio a gente come Buccirosso e Ferilli lo trovo patetico. Un po' come lo è stato sull'amico di famiglia per Laura Chiatti, anch'essa attrice di scarso spessore. Ma non è da meno Verdone, se dobbiamo essere sinceri, il leone di "Borotalco" e "Gallo Cedrone" ormai relegato anche lui alla macchietta del personaggio timido e insicuro, che se almeno negli ultimi suoi film, di minore spessore, una risata te la lascia scappare, qui trasmette solo apatia. E anche qui provo un profondo dispiacere, essendo anche lui tra i miei attori italiani preferiti.
Parliamoci chiaro: se non ci fosse stato l'hype sollevato dagli Oscar, di questo film non gliene sarebbe fregato a nessuno. E non si può negare che in mezzo al polverone sollevato si è mescolato anche un po' di orgoglio italiano. Giudicando questo film mi sembra di essere Fantozzi sul palco che critica "La corazzata Potemkin", magari finirò nel girone dell'inferno di coloro che sostengono "Fast & Furious" o "The Canyons" siano bei film.
Per come la vedo io, il premio se lo sarebbero meritato i prima sopraccitati film di Sorrentino.
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onufrio
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venerdì 27 dicembre 2013
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la dolce vita 2.0
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Dalle angeliche voci mattutine di un coro di donne, si passa alla sera sotto le note di una Carrà remixata in una festa di compleanno per il 65esimo anno dello scrittore Jap Gambardella, in cui gli ospiti sono una macedonia, un miscuglio di gente da giovani a vecchi, in cui trionfa il grottesco, la provocazione, il frivolo. Passano così le giornate di Jap, impegnato nelle sue feste mondane e nei salotti in discussioni con falsi intellettuali, andando a dormire quando gli altri si alzano. Sorrentino ci descrive la Roma del nuovo millennio, che ha ormai dimenticato la Dolce Vita felliniana, che parla parla ma non ascolta, e sopratutto non capisce e non risponde ai problemi della nostra umanità, come il cardinale che alla fede preferisce la cucina, genitori che non capiscono i propri figli ignorando il più delle volte la serietà della questione, una classe sociale che non vede gli evidenti problemi che ha davanti ai propri occhi, passandoci sopra con aria stralunata; e se nello sguardo della bambina di Fellini sul finale della Dolce Vita, c'era uno spiraglio di speranza nel futuro, ebbene quella stessa bambina la potremmo ritrovare già donna matura in questo ambiente Sorrentiniano, mescolata tra quella gente quasi a testimoniare un fallimento di una intera generazione.
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Dalle angeliche voci mattutine di un coro di donne, si passa alla sera sotto le note di una Carrà remixata in una festa di compleanno per il 65esimo anno dello scrittore Jap Gambardella, in cui gli ospiti sono una macedonia, un miscuglio di gente da giovani a vecchi, in cui trionfa il grottesco, la provocazione, il frivolo. Passano così le giornate di Jap, impegnato nelle sue feste mondane e nei salotti in discussioni con falsi intellettuali, andando a dormire quando gli altri si alzano. Sorrentino ci descrive la Roma del nuovo millennio, che ha ormai dimenticato la Dolce Vita felliniana, che parla parla ma non ascolta, e sopratutto non capisce e non risponde ai problemi della nostra umanità, come il cardinale che alla fede preferisce la cucina, genitori che non capiscono i propri figli ignorando il più delle volte la serietà della questione, una classe sociale che non vede gli evidenti problemi che ha davanti ai propri occhi, passandoci sopra con aria stralunata; e se nello sguardo della bambina di Fellini sul finale della Dolce Vita, c'era uno spiraglio di speranza nel futuro, ebbene quella stessa bambina la potremmo ritrovare già donna matura in questo ambiente Sorrentiniano, mescolata tra quella gente quasi a testimoniare un fallimento di una intera generazione. Non c'è dubbio, il film è da Oscar.
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ultimoboyscout
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martedì 31 dicembre 2013
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il disfacimento sociale secondo sorrentino.
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La dolce vita di oggi, cinquant'anni dopo Fellini, film attesissimo in cui dame dell'alta società, politici, super criminali, altissimi prelati, giornalisti, attori, nobili decaduti, artisti o presunti tali e intellettuali veri o fasulli tessono trame e rapporti inconsistenti fagocitati da una città tentacolare in una babilonia più che disperata che (soprav)vive tra palazzi antichi che hanno visto tempi migliori, villoni e terrazze mozzafiato. Jep Gambardella ne è il protagonista assoluto, il re della mondanità, giornalista e scrittore dolente e disincantato, lui che assiste a questa triste sfilata vacua di umanità disfatta e deprimente. Sullo sfondo Roma, calda, bellissima ma del tutto indifferente.
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La dolce vita di oggi, cinquant'anni dopo Fellini, film attesissimo in cui dame dell'alta società, politici, super criminali, altissimi prelati, giornalisti, attori, nobili decaduti, artisti o presunti tali e intellettuali veri o fasulli tessono trame e rapporti inconsistenti fagocitati da una città tentacolare in una babilonia più che disperata che (soprav)vive tra palazzi antichi che hanno visto tempi migliori, villoni e terrazze mozzafiato. Jep Gambardella ne è il protagonista assoluto, il re della mondanità, giornalista e scrittore dolente e disincantato, lui che assiste a questa triste sfilata vacua di umanità disfatta e deprimente. Sullo sfondo Roma, calda, bellissima ma del tutto indifferente. Scritto da Sorrentino e Contarello, fotografato da Bigazzi, accanto ad un monumentale Toni Servillo un cast straordinario, da Verdone alla Ferilli (meravigliosi!) passando per Buccirosso, Herlitkza, Lillo fino a Isabella Ferrari, Iaia Forte e una più che decadente Serena Grandi. E' la rappresentazione di un naufragio colossale, fastoso ma inevitabile, di una decadenza sociale, di una perdita di sensi, di dignità e di valori assieme alla totale degenerazione dei comportamenti. C'è mescolanza di stili e di recitazioni, definirlo commedia è riduttivo, si avvolge dello sguardo del regista così surreale, spigoloso e a tratti durissimo, tratteggiando il personaggio di Jep come un moderno Virgilio che ci guida in un viaggio dantesco nei meandri di una società infernale, desolata e desolante. Film monumento simbolo di un'epoca, cinico come pochi altri, magnificamente scritto, diretto e interpretato, un vero fiume in piena dal quale si viene storditi con qualche piccola crepa che lo rende ancora più maestoso, come ogni buon monumento che si rispetti. Un bestiario caciarone della peggior specie pullulante di neocafoni DOC ma assolutamente elegante e mai trash in cui il marcio e la corruzione regnano incontrastati ma in cui un uomo non si rassegna continuando a cercare quella "grande bellezza" che si nasconde immutabile, eterna, assoluta.
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[+] mistero
(di alpacino73)
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naar.90
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lunedì 20 gennaio 2014
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la grande bellezza del cinema e della vita
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La grande bellezza è un film pretenzioso, magniloquente e ardito. Un lungometraggio che ha come presupposto quello di non essere alla portata di tutti, dove persino le chiavi di lettura cui il regista mira possono essere considerate violente, scomode. L’abilità con cui Sorrentino passa da una tematica all’altra sottintende al contempo una delicata sensibilità e un umorismo che sa essere tagliante. Il film si apre al ritmo incalzante di una festa, ma i colori, le luci e il lusso non fanno altro che rendere spaventosamente grottesche le figure che si scatenano ebbre al ritmo di Raffaella Carrà. Sin dall’inizio si scopre dunque la volontà del regista di eseguire ritratti su diversi livelli, ma questi non sono realistici, spontanei o immediati; sono ritratti complessi, esasperati e quasi metafisici. I personaggi che Sorrentino propone appartengono alla classe “intellettuale”-borghese e persistono nel loro status quo in una condizione di profondo disagio e di cosciente, o incosciente, alienazione.
In mezzo a questo mondo caotico e ripetitivo, Toni Servillo è Jep Gambardella, straordinaria maschera di uno scrittore disincantato a cui un successo giovanile ha permesso di addentrarsi sempre più all’interno della mondanità romana. In questo personaggio che appare allo stesso tempo "costruito” e spontaneo, non è riscontabile una vera propria evoluzione ma, in seguito a una serie di eventi e circostanze significative, giunge a una sorta di serena rassegnazione che lo porterà all’azione.
Attraverso un excursus fotografico mozzafiato, Roma, la città eterna (è necessario ricordarlo), fa da sfondo al dramma della perdita della giovinezza, dell’energia e dell’entusiasmo. Un melanconico sguardo su quello che si conquista, su quello che si perde e su ciò che ancora si potrebbe raggiungere. La grande bellezza è un film pretenzioso perché “pretende” che lo spettatore sia pronto a porsi delle domande e a ricercare qualcosa che vada oltre la dimensione stereotipata della quotidianità. È un film magniloquente perché nel tentativo di descrivere non la bellezza ma addirittura la grande bellezza si arma di parole e di immagini grandiose, cariche di enfasi e significato. È infine ardito perché è tanto più vero quanto disarmante rendersi conto che anche le più alte aspirazioni dell’individuo quali la cultura, la solidità economica, la possibilità della realizzazione personale non riescono, alla fine, a cancellare il vuoto che si spalanca di fronte alla presa di coscienza della caducità delle cose.
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jennyve_65
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mercoledì 29 gennaio 2014
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la scala santa per tutti
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Il nuovo film di Paolo Sorrentino sta guadagnando una seria di giudizi di perplessità da parte del pubblico italiano e questo mi spinge a perorarne la causa, offrendone la mia personale lettura.
La chiave del film – a mio parere- è da ricercarsi in una frase recitata del protagonista in una delle prime scene: “ a questa domanda invariabilmente i miei amici rispondevano: la fessa.
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Il nuovo film di Paolo Sorrentino sta guadagnando una seria di giudizi di perplessità da parte del pubblico italiano e questo mi spinge a perorarne la causa, offrendone la mia personale lettura.
La chiave del film – a mio parere- è da ricercarsi in una frase recitata del protagonista in una delle prime scene: “ a questa domanda invariabilmente i miei amici rispondevano: la fessa. Io invece rispondevo: l’odore delle case dei vecchi. La domanda era: cosa conta veramente per te nella vita?”. Questa apertura definisce fin dal suo primo apparire l’orizzonte poetico di Jep Gambardella e ne dichiara l’umana sensibilità.
E’ questa sensibilità che gli fa vivere un’esistenza devastata, lui il più mondano tra i mondani in una Roma infestata da nani e ballerine, consentendogli di coltivare il suo personale giardino spirituale, intessuto di verità spietate, di passeggiate notturne, dei più variegati rapporti umani e di grande bellezza artistica.
E le immagini di una Roma mai così valorizzata e per niente stereotipata (quando mai prima si sono visti gli interni dei Musei Capitolini, il Tempietto del Bramante e la Mostra dell’Acqua Paola al Gianicolo in un film?) rappresentano il viatico ed il faro di un misticismo latente, i cui primi segnali si ritrovano nelle tante suorine che comparsano le scene e che culmina con la fatica della santa suora ultracentenaria che sale in ginocchio la “Scala Santa” di San Giovanni in Laterano.
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(di alpacino73)
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peppy86
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sabato 7 giugno 2014
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affresco perfetto riposto in una cornice decrepita
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La Grande Bellezza non racconta nulla.
In realtà è un encefalogramma piatto che rileva il battito cardiaco dell'Italia dei giorni nostri.
Roma, la capitale mondiale della bellezza, intrisa di storia e monumenti, respira un'aria malinconica e triste. E' l'aria che respira anche il protagonista, Jep Gambardella, e i suoi non-amici e conoscenti. Persone impegnate a fare nulla, a divertirsi del non-divertimento, a parlare di fatti e concetti vuoti e privi di stimoli che possano sollecitare lo spettatore.
L'incedere è lento e monotono ma mai pesante. E' un filo d'aria che attraversa una fiacca ed interminabile estate.
Tutto si appiattisce.
Ma cos'è allora la Grande Bellezza?
Sorrentino ci risponde.
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La Grande Bellezza non racconta nulla.
In realtà è un encefalogramma piatto che rileva il battito cardiaco dell'Italia dei giorni nostri.
Roma, la capitale mondiale della bellezza, intrisa di storia e monumenti, respira un'aria malinconica e triste. E' l'aria che respira anche il protagonista, Jep Gambardella, e i suoi non-amici e conoscenti. Persone impegnate a fare nulla, a divertirsi del non-divertimento, a parlare di fatti e concetti vuoti e privi di stimoli che possano sollecitare lo spettatore.
L'incedere è lento e monotono ma mai pesante. E' un filo d'aria che attraversa una fiacca ed interminabile estate.
Tutto si appiattisce.
Ma cos'è allora la Grande Bellezza?
Sorrentino ci risponde.
I ricordi del protagonista sembrano trovare pace in qualcosa che lo ha deluso. E' una visione nitida, un momento che riaffiora come per consolarlo.
Forse noi tutti ci siamo dimenticati cosa sono le cose belle.
Le cose più belle sono gli esseri umani. I loro amori. I loro lunghi baci.
E' incredibile come un uomo possa passare una vita intera circondato dalla bellezza ma fare fatalmente capolinea nel senso opposto, ossia nella Grande Bruttezza.
Feste, sesso, protagonismo estremo non sembrano mai soddisfare nessuno.
Ognuno ha dipinto sul suo volto un falso ottimismo, una serenità fallita, un perbenismo che non fa breccia neanche in chi lo racconta.
Di cosa ha bisogno allora l'uomo?
A questa domanda, il protagonista risponde malinconicamente: "La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare".
Amara ma illuminate riflessione.
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