frontedelcinema
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martedì 28 maggio 2013
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celestiale sunto di un artista prima di esserlo.
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“La grande bellezza” è un qualcosa di geniale fatto verosimilmente senza sapere di come averlo fatto e soprattutto senza sapere di cosa aver fatto. Se Sorrentino pensava di fotografare una determinata realtà sociale, devo dire che non ci è riuscito. C’è di meglio nel campo cinematografico delle riprese autentiche del sociale. Sorrentino forse senza saperlo, proprio come un genio, ha fatto lievitare un’opera, senza consapevolezza o razionalità alcuna. Sorrentino ha disvelato la sua opera, come un cuoco ha potuto scoprire la sua magica ricetta per caso. “La grande bellezza” sembra uscita per magia da un capello di un illusionista.
Sintesi sublime del percorso propedeutico che compie un artista prima della genesi della sua opera d’arte migliore.
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“La grande bellezza” è un qualcosa di geniale fatto verosimilmente senza sapere di come averlo fatto e soprattutto senza sapere di cosa aver fatto. Se Sorrentino pensava di fotografare una determinata realtà sociale, devo dire che non ci è riuscito. C’è di meglio nel campo cinematografico delle riprese autentiche del sociale. Sorrentino forse senza saperlo, proprio come un genio, ha fatto lievitare un’opera, senza consapevolezza o razionalità alcuna. Sorrentino ha disvelato la sua opera, come un cuoco ha potuto scoprire la sua magica ricetta per caso. “La grande bellezza” sembra uscita per magia da un capello di un illusionista.
Sintesi sublime del percorso propedeutico che compie un artista prima della genesi della sua opera d’arte migliore. Un arduo percorso, fatto solo di mille falsità, per giungere a un’unica verità, riscontrata nel finale, in maniera diamantina, nel ricordo fervido che ebbe il giornalista Gambardella delle parole della sua amata e nella contemporanea ascesa della Santa alla sua meta. In entrambi i casi e solo lì si raggiunge la verità suprema, in altre parole la grande bellezza. Ed è qui, in questo punto estremo della vita, non accessibile a tutti, che nasce l’ispirazione di un artista. Infatti, solo da qui Gambardella riprenderà a scrivere…
La mirabile parabola di questo sorprendente film è che l’amore di una persona e la sua fede guidano, nella loro sintesi poetica, costantemente l’azione di un artista, creando un duplice percorso, profano e spirituale, che porta alla sua inattesa ispirazione, e dunque alla nascita della sua opera d’arte. L’artista non cerca la sua opera, la scopre inaspettatamente.
Gambardella non scriveva da lungo tempo, e probabilmente non ne aveva voglia. Gambardella ha scoperto la sua opera, come, per simmetria di vita, Sorrentino ha scoperto “La grande bellezza”, grazie solo al suo genio, al suo estro, alla sua follia, alla sua irrazionalità. Eccelsa scoperta.
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m.barenghi
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domenica 26 maggio 2013
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cafonal da cineteca
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Nove minuti di meritata standing ovation a Cannes per questa sesta fatica di Paolo Sorrentino, peraltro così tiepidamente recepita in patria. Film certamente molto complesso, va probabilmente goduto per sensazioni ed empatie, come con Fellini. Ed è proprio Fellini la fonte stilistica e tematica più consistente, specialmente quello di “Roma” e di “8 e ½”.
Gep Gambardella è un talentuoso romanziere, messosi a riposo da lustri dopo il successo del romanzo d’esordio; ha deciso di NON-VIVERE, scialacquando esistenza e talento nella futilità della cafona vita mondana della capitale, di cui si è preposto di diventare il “maitre-à-penser”. Ne risulta un personaggio cinico e pragmatico, che ha esaurito la propria vena creativa.
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Nove minuti di meritata standing ovation a Cannes per questa sesta fatica di Paolo Sorrentino, peraltro così tiepidamente recepita in patria. Film certamente molto complesso, va probabilmente goduto per sensazioni ed empatie, come con Fellini. Ed è proprio Fellini la fonte stilistica e tematica più consistente, specialmente quello di “Roma” e di “8 e ½”.
Gep Gambardella è un talentuoso romanziere, messosi a riposo da lustri dopo il successo del romanzo d’esordio; ha deciso di NON-VIVERE, scialacquando esistenza e talento nella futilità della cafona vita mondana della capitale, di cui si è preposto di diventare il “maitre-à-penser”. Ne risulta un personaggio cinico e pragmatico, che ha esaurito la propria vena creativa. La ritroverà alla fine del film ripercorrendo i ricordi e i luoghi del primo ed unico amore, 40 anni prima. Gep – uno strepitoso, come al solito!!, Toni Servillo- è certamente il personaggio centrale di questa ammucchiata spesso farsesca, intorno al quale ruota una galleria estremamente variegata di personaggi: da un Verdone ingenuo e perdente in modo irritante, una Ferilli genuina e vitale, un Herlitzka cardinale-gourmet dalle sfaccettature tragi-comiche. Perché al film non mancano – a saperle cogliere- le ilarità e le frasi forti, pur contestualizzati in una narrazione talora mistica.
Molte sono le sequenze memorabili: da quella d’apertura con i suoi incredibili movimenti di macchina e il meraviglioso “coro-angelico” sulla balconata, alla creazione di un enorme dipinto da parte di una bambina painting-artist, alla mostra fotografica monotematica (che strapperà una smorfia di commozione al cinico protagonista), alla seduta collettiva di microchirurgia estetica, in cui si raggiunge –forse più ancora che nelle sguaiatissime feste- l’acme del cafonal.
Fotografia eccellente, con numerosi fotogrammi che sono vere opere d’arte. Strepitose, infine, le musiche composte/curate da Lele Marchitelli.
Un film che andrà sicuramente rivisto per appropriarsi meglio delle tante piccole gioie visive e verbali che racchiude.
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[+] tutti contro gli italiani!
(di paolo t.)
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(di elvstrom)
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graziano.nanetti
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domenica 14 luglio 2013
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finalmente un vero film italiano!
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Jep Gambardella è un raffinato dandy che vive all'insegna del divertimento smodato tra una festa e l'altra, circondato da una fauna umana molto pittoresca, barocca, trasgressiva e decadente. Dopo aver scritto un libro in giovane età, non riesce più ad avere l'ispirazione per produrne un altro, e si trascina malinconicamente nella bellissima Roma tra diverse avventure umane, sprecando tempo tra una sigaretta e l'altra. Solo alla fine riuscirà a riconciliarsi con la grande bellezza che risorge da un innocente ricordo di giovinezza, ricostruito piano piano nella sua mente distratta, e troverà così la giusta ispirazione.
La sceneggiatura non è proprio il punto forte di questo film: a parte alcuni dialoghi riusciti veramente bene, acuti, ironici e profondi fino alla disperazione intima, il resto del film è un susseguirsi di storie solo accennate e mai completamente sviluppate, come del resto lo è anche la vita del protagonista.
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Jep Gambardella è un raffinato dandy che vive all'insegna del divertimento smodato tra una festa e l'altra, circondato da una fauna umana molto pittoresca, barocca, trasgressiva e decadente. Dopo aver scritto un libro in giovane età, non riesce più ad avere l'ispirazione per produrne un altro, e si trascina malinconicamente nella bellissima Roma tra diverse avventure umane, sprecando tempo tra una sigaretta e l'altra. Solo alla fine riuscirà a riconciliarsi con la grande bellezza che risorge da un innocente ricordo di giovinezza, ricostruito piano piano nella sua mente distratta, e troverà così la giusta ispirazione.
La sceneggiatura non è proprio il punto forte di questo film: a parte alcuni dialoghi riusciti veramente bene, acuti, ironici e profondi fino alla disperazione intima, il resto del film è un susseguirsi di storie solo accennate e mai completamente sviluppate, come del resto lo è anche la vita del protagonista. Forse è l'effetto voluto dal regista che vuole rendere chiaro allo spettatore il senso di disagio e insoddisfazione che Jeb prova per la propria vita.
La scenografia è invece sublime, insuperabile: paesaggi romani stupendamente colorati, statue che paiono prendere vita, personaggi ritratti come solo un pittore potrebbe fare. Si susseguono scene che ricordano Fellini, con luci al neon, donne esageratamente brutte ed altre estremamente belle, seguite da scene all'esterno che ricordano quelle dei film di Pasolini.
Sicuramente un film che lascerà il segno nella storia del cinema italiano.
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tiberiano
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domenica 26 maggio 2013
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servillo, tra fellini e petronio
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Evidenti sono le influenze di Fellini (la Dolce Vita, Roma e Otto e mezzo), sono cambiati i tempi però. Non è la Roma degli anni d'oro di Cinecittà, via Veneto non è il ritrovo dei divi stranieri in 'vacanze romane'; si intravede solo il gradito cameo di una pallida Fanny Ardant, che vaga di notte per una via Veneto quasi deserta.
I paparazzi non ci sono più; nell'era digitale, vige l'autoscatto narcisista e autoreferenziale, con foto ritratto raccolte a centinaia. E la Roma dei preti e delle suore, che Fellini rappresentava con bonaria ironia, qui viene dipinta con disincanto, del tutto svuotata da ogni spiritualità.
Viene quasi da chiedersi, dopo averlo visto, cosa sia (e dove sia) nel film 'La Grande Bellezza'.
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Evidenti sono le influenze di Fellini (la Dolce Vita, Roma e Otto e mezzo), sono cambiati i tempi però. Non è la Roma degli anni d'oro di Cinecittà, via Veneto non è il ritrovo dei divi stranieri in 'vacanze romane'; si intravede solo il gradito cameo di una pallida Fanny Ardant, che vaga di notte per una via Veneto quasi deserta.
I paparazzi non ci sono più; nell'era digitale, vige l'autoscatto narcisista e autoreferenziale, con foto ritratto raccolte a centinaia. E la Roma dei preti e delle suore, che Fellini rappresentava con bonaria ironia, qui viene dipinta con disincanto, del tutto svuotata da ogni spiritualità.
Viene quasi da chiedersi, dopo averlo visto, cosa sia (e dove sia) nel film 'La Grande Bellezza'. E' tutta (e soltanto ?) nei palazzi rinascimentali, nella chiese barocche e nei ruderi imperiali ?
Certo, non nell'arte, proposta con tanta cialtroneria da una performance nuda e masochista tra i ruderi di un antico acquedotto e da una 'creazione estemporanea' fatta con decine di secchi di vernice da parte di una ragazzina apparentemente in delirio (artistico ? mah !).
Non nella chirurgia plastica, che nell'era dell'apparenza pare il rimedio principe per rinverdire la propria personalità.
Certo non è nell'umanità dei personaggi, la Grande Bellezza: tutti ricchi, beceri e compiaciutamente irrigiditi nella loro ipocrisia e cafonaggine, ritraggono una Roma da rotocalco, tutta gossip e snobismo: ostentazione di beni e contatti importanti, ma con un vuoto inquietante di ideali, valori e perfino emozioni.
Viene alla mente la cena di Trimalcione del Satyricon, dove i tanti nuovi ricchi, volgari ed incolti, dissertano del nulla mentre l'impero inizia la sua parabola discendente.
C'è il lusso pacchiano, che però è altra cosa rispetto alla bellezza.
Verdone interpreta (senza lode e senza infamia) un provinciale e ingenuo aspirante scrittore che non arriva a sfondare, non avendo la spregiudicatezza adeguate per sapersi muoversi in quel mondo anaffettivo; l'ammettere il proprio fallimento potrebbe comunque rivelarsi la sua salvezza.
Servillo vaga per una città notturna, suggestiva, come un novello Petronio dalla battuta tagliente e intelligente, tra la corte dei miracoli gaudente che frequenta la sua terrazza. Ha scelto di vivere e partecipare a quel mondo festaiolo, vanitoso e fondamentalmente amorale, di cui è osservatore, ma anche protagonista amorale (non immorale, però !). Giunto alla soglia dei sessantacinque anni, si pone ancora degli interrogativi non risolti, delle domande in attesa di una risposta.
Gli unici personaggi positivi e con una umanità reale, sono tre donne:
- una nana, il suo superiore e consigliera, che si è saputa realizzare professionalmente, ha saputo accettare la vita con intelligenza, ironia ed una insospettabile saggezza.
- una Ferilli che sa interpretare una spogliarellista ruspante e disincantata (anche lei !), ma che però sa ancora meravigliarsi, emozionarsi, scoprire la bellezza dei palazzi romani e commuoversi per il funerale di un ragazzo che neppure conosceva personalmente.
- una vecchissima suora che ricorda (parecchio) da vicino Madre Teresa di Calcutta, che darà al protagonista un messaggio rivelatore, anche questo di disarmante semplicità. Sia pure con la parentesi surreale di un prodigio (con l'ausilio di effetti speciali digitali).
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[+] fellini da rivedere
(di paolo t.)
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barone2000
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domenica 27 ottobre 2013
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il poema esistenziale della nostra generazione
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Dopo aver compiuto 65 anni il mondano Jep Gambardella, come fulminato da una improvvisa presa di coscienza, capisce che non può più perdere tempo a fare quello che non gli va di fare; da qui prende le mosse un grande excursus per i giardini segreti, le sale buie e meravigliose e le grandi carrellate spettacolari nella grande bellezza della città eterna. Una profonda analisi degli individui che lo circondano lo spinge a smettere di fare ciò da cui era prima assuefatto e la grande bellezza però, questa sconosciuta, resta sempre sullo sfondo senza concretizzarsi effettivamente nella vita del protagonista. Un grandioso affresco miserabile, il miglior film italiano dell'anno, anzi, uno dei migliori della nostra storia.
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Dopo aver compiuto 65 anni il mondano Jep Gambardella, come fulminato da una improvvisa presa di coscienza, capisce che non può più perdere tempo a fare quello che non gli va di fare; da qui prende le mosse un grande excursus per i giardini segreti, le sale buie e meravigliose e le grandi carrellate spettacolari nella grande bellezza della città eterna. Una profonda analisi degli individui che lo circondano lo spinge a smettere di fare ciò da cui era prima assuefatto e la grande bellezza però, questa sconosciuta, resta sempre sullo sfondo senza concretizzarsi effettivamente nella vita del protagonista. Un grandioso affresco miserabile, il miglior film italiano dell'anno, anzi, uno dei migliori della nostra storia. Per profondità d'analisi e disincantato convinto, Sorrentino mette la sua firma al poema esistenziale tragico-poetico della nostra generazione, di una grandiosa epicità espressiva. Lo scambio di ruoli della società, l'individualismo sfrontato e superbo che vuole come tutti fondatori di una nostra personale filosofia. Il j'accuse della pochezza delle proprie inutili idee ritenute universali, la bassezza dei rapporta e la falsità, sopra la nuova città dolente e taciturna in rovina. Il consumarsi degli anni nello spasmo semi-vitale della movida, gli sparuti sprazzi di coscienza , per parafrasare Servillo. Una suite malickiana ma italiana, vitale e speriamo prolifica fanno di questa opera la summa del pensiero – non pensante moderno; la scelta delle note musicale che accompagnano queste grandiose carrellate e piani non poteva essere più azzeccata: una sorta di epicità pacata spaccata dalla mancanza di risposta umana, un suono dell'anima, anche se a parere di chi scrive si poteva osare di più. Come un manuale di filosofia, Sorrentino compendia Sartre e Heidegger, Montale e Pasolini, in immagini. Ogni scena propriamente detta concentra concetti indicibili ma formulati dalla percezione della realtà comune nelle coscienze sensibili a riguardo del baratro su cui, o verso cui, viaggia a velocità spedita e incurante l'umanità. Siamo già oltre alla mancanza di morale: ci troviamo di fronte alla crisi della sostanza umana, alla mancanza del senso unico umano universale, del senso della vita. La Roma notturna e le feste, genitori che si credono artisti che sbattono figlie isolate a macchiare tele, donne sante per finta che concedono interviste al settimanale di cronaca rosa di turno e suore sante che si cibano di radicie dormono sul pavimento in nome di un certo pauperismo estetico e altro ancora. Il ritratto impressionista e sfacciatamente veritiero della nostra nazione. La roccolta delle ceneri dell'araba fenice che non rinasce più. L'epoca che ha già fatto il suo canto del cigno. L'Italia sotto i sedimentie la grande bellezza inascoltata.“Finisce sempre così. Con la morte. Prima, però, c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla. È tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla. Bla. Bla. Bla. Altrove, c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Sì, è solo un trucco.”
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javert
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domenica 2 giugno 2013
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"è tutto sedimentato sotto il chiacchericcio..."
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C'è chi lo ha considerato un' inopportuna rivisitazione del capolavoro felliniano "La dolce Vita". Chi lo ha criticato perchè troppo lento e privo di originalità. Chi ha definito i personaggi caricature troppo utopistiche (o più che altro distopistiche) di un'italia post-berlusconiana, priva ormai di qualsiasi valore morale. In questa selva di opinioni "estremiste", io non ho certo paura di definire "La Grande Bellezza" un ottimo film, degno del nome di Sorrentino. C'era stata una grande attesa e la maggior parte del pubblico non è stata affatto delusa. Per prima cosa bisogna encomiare l'assoluta protagonista di questo film, Roma.
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C'è chi lo ha considerato un' inopportuna rivisitazione del capolavoro felliniano "La dolce Vita". Chi lo ha criticato perchè troppo lento e privo di originalità. Chi ha definito i personaggi caricature troppo utopistiche (o più che altro distopistiche) di un'italia post-berlusconiana, priva ormai di qualsiasi valore morale. In questa selva di opinioni "estremiste", io non ho certo paura di definire "La Grande Bellezza" un ottimo film, degno del nome di Sorrentino. C'era stata una grande attesa e la maggior parte del pubblico non è stata affatto delusa. Per prima cosa bisogna encomiare l'assoluta protagonista di questo film, Roma. "Sono l'impero alla fine della decadenza" scrive Verlaine. Ma la decadenza è un fattore tutto umano: lei resta lì, immutabile, incorrotta. La vista del Colosseo, di San Pietro, di piazza Navona ci dà conforto in un film dove la corruzione e il degrado spopolano dovunque. Per non parlare poi dell'orgoglio che ogni Italiano dovrebbe provare davanti a recitazioni di così alto livello. (mi riferisco ovviamente a Tony Servillo in primis, senza sminuire il lavoro degli altri attori) Le colonne sonore sono mitiche, sebbene a mio avviso sarebbe stato meglio non esagerare con i canti gregoriani, che hanno un pò rallentato lo scorrere del film. Due ore e mezza, e tutto finisce, resti seduto a osservare le magnifiche inquadrature della nostra capitale. Ti senti orgoglioso di abitare nel paese dove tutto è arte, ringrazi Sorrentino per aver finalmente valorizzato a dovere Roma (non come Woody Allen che ci ha provato e ne è venuto fuori un film privo di valore come "To Rome with love") Ti alzi dal sedile del cinema e vai a casa, passi la notte a pensare, a ruminare, a cercare significati nascosti. Ti è rimasto qualcosa dentro. E per questo ringrazi nuovamente Sorrentino, uno dei pochi registi italiani che portano ancora in alto la nostra bandiera nel mondo del cinema.
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giulio vivoli
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lunedì 27 maggio 2013
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bellezza e amarezza
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Dopo Sean Penn e l'esperimento narrativo americano, più congegnale a Gabriele Muccino,Paolo Sorrentino torna a raccontare il nostro paese, servendosi del suo attore feticcio, un ennesimo immenso Toni Servillo, mattatote in tutti i sensi sia nel personaggio cinico e disilluso di Jep Gambardella, regista e burattinaio delle notti mondane romane, sia nella recitazione con le mille sfumature facciali inquadrate da primi piani che esaltano ogni smorfia e ogni ruga del suo volto.
Circondato da una galleria di personaggi di dubbia onestà morale e scarso contenuto intellettuale, dalla nobiltà decaduta all'alto clero corrotto e secolarizzato, donne ricche vuote e annoiate e donne dal dubbio gusto o ripulite, nane e ballerine,scrittori politicizzati raccomandati o attori di teatro di periferia, lo stesso protagonista ha scritto un solo libro mediocre, come lui stesso riconosce, molti anni prima, ma la mediocrità stessa di questa decadente mondanità romana gli ha comunque permesso di dominare la scena, grazie al suo fascino e alla terrazza del suo appartamento che si sporge direttamente sul Colosseo.
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Dopo Sean Penn e l'esperimento narrativo americano, più congegnale a Gabriele Muccino,Paolo Sorrentino torna a raccontare il nostro paese, servendosi del suo attore feticcio, un ennesimo immenso Toni Servillo, mattatote in tutti i sensi sia nel personaggio cinico e disilluso di Jep Gambardella, regista e burattinaio delle notti mondane romane, sia nella recitazione con le mille sfumature facciali inquadrate da primi piani che esaltano ogni smorfia e ogni ruga del suo volto.
Circondato da una galleria di personaggi di dubbia onestà morale e scarso contenuto intellettuale, dalla nobiltà decaduta all'alto clero corrotto e secolarizzato, donne ricche vuote e annoiate e donne dal dubbio gusto o ripulite, nane e ballerine,scrittori politicizzati raccomandati o attori di teatro di periferia, lo stesso protagonista ha scritto un solo libro mediocre, come lui stesso riconosce, molti anni prima, ma la mediocrità stessa di questa decadente mondanità romana gli ha comunque permesso di dominare la scena, grazie al suo fascino e alla terrazza del suo appartamento che si sporge direttamente sul Colosseo. E la Roma barocca affrescata da Sorrentino nel suo lato più oscuro e misterioso fa da sfondo incombente al destino di questa umanità irrimediabilmente persa in un vuoto di presente e di futuro, a cui non restano altro che serate ripetitive tra chirurghi estetici,balli grotteschi e conversazioni tanto ciniche quanto vacue. Gep Gambardella-Toni Servillo è consapevole di tutto ciò e alla soglia dei 65 anni più che sfuggire con spietato realismo dalle situazioni che non gli interessano,non può fare granché e ammette con amarezza alla fine del film di aver cercato a roma la Grande Bellezza e forse non averla trovata, ma, dopo aver riavvolto la sua vita ripartendo dalla "prima volta" sulla scogliera del Giglio a picco sul mare, si dichiara pronto a rivivere il romanzo della vita ricominciando proprio da un'alba sotto i ponti del fiume Tevere, senza speranza di riscatto e di vero cambiamento.
Nonostante il richiamo naturale alla Terrazza di Scola e alla Dolce Vita di Fellini, la Grande Bellezza è una rappresentazione della mondanità romana non solo di epoca diversa dalle precedenti, ma di taglio grottesco e dilatato tipico dello stile cinematografico di Paolo Sorrentino; la suntuosa e sempre calda fotografia di Luca Bigazzi concorre magnificamente al risultato dell'opera, mentre il cast degli attori, Verdone,Buccirosso,Popolizio,Ferilli,Ferrari,Forte,Villoresi,Grandi, tutti bravissimi, sono in perfetto equilibrio tra commedia in superficie e dramma di fondo.
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immanuel brest
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domenica 26 maggio 2013
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roma, mai così "tremendamente" bella
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E' difficile, violento oserei dire, affermare che Roma sia solo "bella" nelle immagini di Sorrentino. Roma, vera protagonista indiscussa di questa pellicola, appare prepotentemente unica, di un'unicità mostruosa, deviata, decisamente sublime. La fauna che la popola, quasi vampiresca nel suo rifuggire la luce impietosa di un sole onnipresente, lotta disperatamente per sfuggire alla morte e alla ricerca di un senso della vita, brancolando nel buio rumoroso costellato da festini e vernissage improbabili. In questi rifugi patinati, ambiti ed esclusivi, in questi attualissimi sabba, si consuma l'esistenza di creature nella maggior parte dei casi "orrende" - agli occhi dello spettatore perbenista - eppure fragili, disincantate, lucide: in una parola VERE.
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E' difficile, violento oserei dire, affermare che Roma sia solo "bella" nelle immagini di Sorrentino. Roma, vera protagonista indiscussa di questa pellicola, appare prepotentemente unica, di un'unicità mostruosa, deviata, decisamente sublime. La fauna che la popola, quasi vampiresca nel suo rifuggire la luce impietosa di un sole onnipresente, lotta disperatamente per sfuggire alla morte e alla ricerca di un senso della vita, brancolando nel buio rumoroso costellato da festini e vernissage improbabili. In questi rifugi patinati, ambiti ed esclusivi, in questi attualissimi sabba, si consuma l'esistenza di creature nella maggior parte dei casi "orrende" - agli occhi dello spettatore perbenista - eppure fragili, disincantate, lucide: in una parola VERE. Perché è una verità indigesta quella che Sorrentino ci sbatte in faccia continuamente attraverso le immagini di questo film intenso e solo apparentemente algido. Jep Gambardella (Tony Servillo) è la guida suprema che ci porta per mano in questa giungla spietata e affascinante. Un dracula letteralmente romantico, che ha rinunciato a dio - perché la "morale" è la divinità incarnata che fa da sfondo alla Storia - e ha accettato le regole di questa vita al massacro, abiurando alla ricerca interiore, all'analisi "superiore" della realtà e sposandone appieno l'intrinseca prosaicità. Un dracula che custodisce nel profondo il ricordo dell'unico amore mai assaporato e inesorabilmente perso. Jep succhia la vita da vittime inconsapevoli e tutt'altro che innocenti (se innocente può mai essere l'umanità ai suoi stessi occhi), ma giusto quanto basta per sopravvivere ancora per una notte - emblematico, a tal proposito, l'episodio che vede la partecipazione di Isabella Ferrari. Jep è un parvenu che ha costruito il proprio successo su una gloria effimera (il suo unico romanzo giovanile), ma che spicca fra i suoi simili perché emancipato, consapevole. La salvezza, la redenzione, fanno capolino per un attimo; la loro è un'epifania improvvisa quanto involontaria, che non lascia traccia nell'esistenza del nostro. E allora, nuda e cruda, appare Ramona (la verace Sabrina Ferilli), col suo volo di falena moribonda. La morte, quella vera e non l'uscita si scena, fa capolino per ricordare a tutti il loro inesorabile destino, ma viene anch'essa fagocitata e inscatolata nel solito rituale esorcistico che è la festa. Jep è l'ambita incarnazione dell'Everyman dell'Italia di oggi, un posto in cui non c'è spazio per i deboli, per coloro che manifestano la propria fragilità spudoratamente o la nascondono disperatamente sotto spessi strati di ipocrisia.
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xxseldonxx
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lunedì 27 maggio 2013
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la decadente bellezza
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La Città Eterna, in tutta la sua umana varietà, in tutta la sua estetica assassina, si presenta nella sequenza d'apertura accompagnata da un corale canto lirico; un grido femminile ci strappa bruscamente da questa calma spirituale ed assolata, per catapultarci in un'altra Roma, in un altro mondo, luminoso di musica martellante: una festa notturna che accoglie senza distinzione vecchi, giovani, spogliarelliste, nane e una banda messicana decisamente fuori posto. È la festa del sessantacinquenne e scrittore Jep Gambardella, che, dopo l'immeritato successo del suo unico libro, vive nella Roma notturna, circondandosi della stanca ed annoiata classe benestante, dominandoli tutti dall'alto della sua simpatia e della sua lingua tagliente.
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La Città Eterna, in tutta la sua umana varietà, in tutta la sua estetica assassina, si presenta nella sequenza d'apertura accompagnata da un corale canto lirico; un grido femminile ci strappa bruscamente da questa calma spirituale ed assolata, per catapultarci in un'altra Roma, in un altro mondo, luminoso di musica martellante: una festa notturna che accoglie senza distinzione vecchi, giovani, spogliarelliste, nane e una banda messicana decisamente fuori posto. È la festa del sessantacinquenne e scrittore Jep Gambardella, che, dopo l'immeritato successo del suo unico libro, vive nella Roma notturna, circondandosi della stanca ed annoiata classe benestante, dominandoli tutti dall'alto della sua simpatia e della sua lingua tagliente. L'improvvisa presa di consapevolezza che la vita gli è ormai passata davanti e l'incontro con il marito del suo primo amore giovanile lo spingeranno a ricercare la grande bellezza nel proprio passato e a rifiutare un presente che si dimostra sempre più svuotato di ogni valore.
Paolo Sorrentino mantiene ne La Grande Bellezza molti aspetti, sia formali che tematici della sua recente parentesi americana This Must Be The Place. In primis, il tipo di narrazione, che aveva diviso e che continua a dividere critica e pubblico: entrambi gli ultimi due film del regista de Il Divo non hanno una trama vera e propria, ma sono un susseguirsi di diverse vicende racchiuse nel "contenitore" più ampio (e ormai non più importante) della vicenda vissuta dal protagonista, là viaggio alla scoperta di sé stesso, qui girovagare per le strade (e tra le persone) della Città Eterna. Questo metodo narrativo permette al regista di portare su schermo moltissimi personaggi e moltissimi spunti di riflessione, ma si rivela un ostacolo non da poco al momento dell'analisi del significato di quest'opera, che necessita almeno di una seconda visione. Altro punto in comune sono i due protagonisti e l'ambiente in cui questi si muovono: sia il Jep Gambardella di Toni Servillo (davvero monumentale), sia il Cheyenne di Sean Penn sono individui disincantati, delusi dal mondo e (in fondo in fondo) delusi da sé stessi; se però la rock-star decaduta ritrova la gioia di vivere nella variegata cultura americana, l'italianissimo Jep la ritrova in una dimensione piu selvaggia e naturale, rappresentata da quell'isola dove (come il tema musicale principale del film continua a suggerire) egli ha lasciato il proprio cuore.
La Roma che il protagonista domina e odia è invece l'incarnazione della decadenza che caratterizza (l'immagine della mastodontica Concordia incagliata al Giglio è lì per ricordarcelo) tutta l'Italia, non solo la capitale: la Cultura ha ceduto il posto ad un virtuosismo citazionistico e l'innegabile bellezza della città è osservata superficialmente dai suoi abitanti, capaci solo di seguire la corrente e di utilizzare la cultura come fugace distrazione dal taedium vitae che in fondo è l'unica cosa che li accomuna. Molti, troppi, sono i presunti artisti che il regista porta in scena: poetesse piene di sé, soubrette appesantite e cocainomani, spogliarelliste cinquantenni, teatranti mediocri e mistiche folli; tutti vogliono sentirsi unici e comunicare agli altri la loro grandezza. Ma la nostra unicità sta nei momenti piu intimi e personali, incomunicabili e per questo valorizzati, come si rende conto Jep durante il dialogo piu intimo con Ramona (Sabrina Ferilli).
Il film stesso presenta moltissimi riferimenti alla cultura italiana, dal pascoliano rapporto tra città e ambiente rurale, all'estetismo d'annunziano, incarnato dal personaggio di Servillo, novello Andrea Sperelli (protagonista de Il Piacere di D'Annunzio); tuttavia il riferimento più lampante e anche piu influente è quello con il cinema di Fellini: l'insegna del Martini, il cameo di Venditti (dove nel 1960 c'era Celentano) rimandano a La Dolce Vita, mentre la "vicenda-contenitore" ricorda quella di 8 e 1/2. In ogni caso, nonostante gli influssi del regista di Roma e di Terrence Malik, Sorrentino mantiene saldo il proprio stile movimentato e colorato, ma al contempo saggio e raffinato, nel descrivere questo turbinio di vicende, ritratti graffianti della società contemporanea.
Questa Roma è dunque ben lontana dalla città viva e umana dei film del Maestro di Rimini, resa attuale e svuotata di ogni magia: la Grande Bellezza se ne è andata, fuggita da questo mondo superficiale "sedimentata sotto il chiacchiericcio e il rumore". Solo chi sa scavare a fondo e soprattutto scavare in sé stesso è ancora in tempo per coglierla.
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giovedì 6 giugno 2013
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bellezza romana
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La grande bellezza e' il film del ritorno in patria di Paolo Sorrentino dopo la parentesi americana di This must be the place.
Firma una pellicola raffinata e di grande classe , che fotografa la decadenza contemporanea del popolo italiano, tramite le gesta del 65enne Jep Gambardella , giornalista , ma soprattutto capo branco dei mondani e punto di riferimento del popolo delle notti romane .
Intorno al personaggio principale interpretato da uno strepitoso Servillo , Sorrentino come spesso ha fatto , fa ruotare una moltitudine di personaggi realistici ma allo stesso tempo esagerati portati quasi al grottesco .
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La grande bellezza e' il film del ritorno in patria di Paolo Sorrentino dopo la parentesi americana di This must be the place.
Firma una pellicola raffinata e di grande classe , che fotografa la decadenza contemporanea del popolo italiano, tramite le gesta del 65enne Jep Gambardella , giornalista , ma soprattutto capo branco dei mondani e punto di riferimento del popolo delle notti romane .
Intorno al personaggio principale interpretato da uno strepitoso Servillo , Sorrentino come spesso ha fatto , fa ruotare una moltitudine di personaggi realistici ma allo stesso tempo esagerati portati quasi al grottesco .
Alcuni riuscitissimi come il cardinale (Herlitzka),che anziche' ascoltare i fedeli parla solo di cucina ; Ramona (una splendida Ferilli) spogliarellista fuori eta' ; Dadina (Giovanna Vignola) la capo redattrice nana , Stefania (Galatea Renzi) la radical-chic e il ragazzo disturbato (Luca Marinelli).
Altri meno ,come Orietta (Isabella Ferrari) ricca milanese esibizionista , Lello (Buccirosso) donnaiolo con la parlantina e Romano (Verdone ) scrittore teatrale in crisi lavorativa e sentimentale.
Tecnicamente e' un film sontuoso , lo stile registico di Sorrentino si vede tutto , ma cio' che che manda in visibilio e' la fotografia raffinata ed elegante di Luca Bigazzi ,che riesce nell'impresa di far sembrare Roma ancora piu' bella di com'è realmente.
Bella anche la colonna sonora curata da Lele Marchitelli , bravo nel far coesistere la musica "cafona" festaiola , con pezzi di pregio di musica classica sacra.
L'unico neo del film , sta nella sceneggiatura , per certi versi buona , ma che non riesce mai a reggere il confronto con le immagini ,che per la maggior parte del tempo mozzano il fiato.
Non c'e' una narrazione vera e propria , il racconto talvolta e' disordinato e questo con la durata forse eccessiva del film , porta lo spettatore a non essere coinvolto e trasportato totalmente.
Personalmente , ritengo che sia un film che puo' anche spiazzare e non essere apprezzato dal grande pubblico , pero' e' un film che va visto da tutti , preche' parliamo del nostro miglior regista e perche' raramente in Italia esce un prodotto stilisticamente di questa portata.
Sono per questo molto disturbato dal fatto ,che alcuni esperti abbiano massacrato il film e di conseguenza il regista, ponendo critiche ridicole.
C'è chi parlava di scoppiazzatura Felliniana , altri che ponevano un confronto (secondo me inesistente) con The tree of life di Malick , quando poi gli stessi magari idolatrano (giustamente) Tarantino che fa incetta di grande cinema del passato.
Alcuni contestano il virtuosismo del regista e il fatto di creare scene surreali apparentemente a fini estetici .
Anche se fosse , che ci sarebbe di male, il cinema e' anche magia .
Altri s'interrogano su come uno scrittore con un solo libro di successo alle spalle , abbia la capacita' economica di avere una mega terrazza che si affaccia sul Colosseo .
Altri addirittura sull'esistenza o meno di una terrazza con vista sullo splendido Anfiteatro romano.
Beh , io penso che in Italia c'è la politica del disfattismo e se uno ha talento , e Sorrentino ha dimostrato di averne , la stampa e i benpensanti puntano a stroncarti , perche' in Italia se sei bravo diventi antipatico e presuntuoso.
Sorrentino e' uno dei pochi italiani dei giorni d'oggi , capace di farci conoscere nel mondo grazie al suo talento e di regalarci grandi pellicole come hanno fatto negli anni d'oro del cinema italiano maestri del calibro di Fellini , De Sica e Pasolini.
Credo che con La grande bellezza , abbia cercato il grande capolavoro , per certi versi c'è riuscito per altri l'ha solo sfiorato , anche perche' il suo grande capolavoro l'aveva gia' firmato ai tempi de Il Divo .
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