ilmengoli
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venerdì 26 luglio 2013
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la grande bellezza (2013)
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"Allo stesso modo altri diviene misantropo e ha avversione e antipatia per i suoi simili. Oh! davvero, non c’è sventura più grande di questa antipatia per ogni discussione. E l’uno e l’altro morbo, misologia e misantropia, sorgono in noi dalla medesima fonte. La misantropia si infiltra in noi [...] quando le delusioni si rinnovano frequenti, e proprio per opera di chi vorremmo amico intimo e fedele, si finisce, dopo tante delusioni, con un odio generale, ritenendo che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di buono. [...] Chi tratta una medesima questione con argomenti in favore e con argomenti contrari finisce per esser convinto d’una sua straordinaria sapienza.
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"Allo stesso modo altri diviene misantropo e ha avversione e antipatia per i suoi simili. Oh! davvero, non c’è sventura più grande di questa antipatia per ogni discussione. E l’uno e l’altro morbo, misologia e misantropia, sorgono in noi dalla medesima fonte. La misantropia si infiltra in noi [...] quando le delusioni si rinnovano frequenti, e proprio per opera di chi vorremmo amico intimo e fedele, si finisce, dopo tante delusioni, con un odio generale, ritenendo che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di buono. [...] Chi tratta una medesima questione con argomenti in favore e con argomenti contrari finisce per esser convinto d’una sua straordinaria sapienza. Crede d’aver osservato lui solo che nessun fatto è sincero e stabile, che nessun ragionamento nemmeno, nulla di nulla; ma che tutte le cose, precisamente come nell’Euripo, in su e in già si volgono, e giammai in nessun istante, in nessuna occasione, hanno posa".
La misantropia, socraticamente parlando, è un vero e proprio morbo che ti porta all'odio e all'infelicità perpetua nel rapporto con altri, con tuoi simili, uomini. Ed è proprio questo il motivo di debosciaggine di Jep Gambardella, padre di una decaduta e degenerata mondanità romana, il quale, con una raffinata risposta in seguito a un rimprovero di misoginia, dice "Io non sono misogino. Sono misantropo". È vero. Il personaggio del film di Sorrentino è un uomo estremamente solo, non fiducioso nella gente di cui si circonda ogni sera per riempire il vuoto della sua vita.
"La grande bellezza" è un glorioso affresco della città eterna, della Roma Caput Mundi, colta in una mondanità degradata, ormai lontana dalla raffinatezza e splendore che un tempo ne caratterizzavano l'essenza. Il film, come dichiarato dal regista stesso, segue le orme dello strepitoso La dolce vita di Fellini, attuando, però, un processo del tutto opposto rispetto a quello felliniano. Infatti, mentre ne La dolce vita vengono esaltati i valori e la grandiosità della Roma anni '60, qui a essere messa in luce è la decadenza della moderna mondanità romana, che si affida interamente al possesso di successo, potere, fama e gloria, deludente, meschina e ingannatrice , a discapito di profondità spirituale e morale. E l'emblema del film in merito a ciò è rappresentato dalla figura fisicamente sformata di Serena Grandi, come sottolineato anche nel film.
Ma la vera grande bellezza de "La grande bellezza" sono le favolose immagini e fotografie barocche, che ne rievocano la magica atmosfera. Il tutto è condito da un'ottima scelta sonora, che spazia da musica house e contemporanea (usata per le futili e false feste) a quella classico-corale (utilizzata invece per accompagnare le magnificenti sculture, architetture,strutture di Roma).
La regia di Paolo Sorrentino è magistrale, grazie a inquadrature e riprese mozzafiato e incredibile analisi visivo-introspettiva dei vari personaggi. Dopo, a mio giudizio, il bellissimo This must be the place, il talentuoso regista italiano realizza un altro grande film, molto profondo e particolare, unico nella sua specialità e speciale nella sua unicità.
Anche i personaggi sono singolari. Oltre al misantropo Jep, affascinato ma al tempo stesso disgustato da questa sua eccessiva vita mondana, ci sono il deluso e fallito Romano, interpretato da un Carlo Verdone più drammatico del solito, la nuda e sexy spogliarellista Ramona (Sabrina Ferilli), il "sofista" Lello Cava (Carlo Buccirosso), la nana filosofa Dadina (Giovanna Vignola), l'egocentrico e privo di risposte cardinal Bellucci (Roberto Herlitzka) e infine La Santa, ultracentenaria totalmente devota a Dio, povera nella vita e non nelle vane parole con cui tutti cercano di ostentare freneticamente il proprio ego insoddisfabile.
La filosofia del film è tanto evidente quanto profonda: la vita è un trucco, e quello che conta non è l'apparire, o una qualsiasi altra futile illusione materiale, ma la grande bellezza è da ricercarsi dentro di noi, nella nostra anima, immortale ma imprigionata dal corpo.
"La grande bellezza" è uno splendido dipinto barocco, ricco di colori e fotografie geniali, impreziosite da colonne sonore multiformi ed interpretazioni sublimi, in particolare quella di Toni Servillo, perfetto come sempre. Sicuramente uno dei migliori film dell'anno, per intensità, forza comunicativa e spirituale moralità. Ringraziamo e applaudiamo Paolo Sorrentino, unico regista, assieme a Matteo Garrone, in grado di valorizzare l'industria del cinema d'autore italiano, altrimenti affossato da infantili scemenze.
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[+] un film da rivedere
(di alex2044)
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no_data
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martedì 28 gennaio 2014
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in fondo, è solo un trucco
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Quando ci si trova davanti a film come questi, una delle cose più difficili è riuscire a scrivere un commento che ne sia all'altezza. "La grande bellezza" è un’opera curata nel più piccolo dettaglio, nulla è lasciato al caso: la fotografia, la scenografia, i dialoghi. Ogni cosa è studiata e voluta ma non c'è nulla di artefatto, tutto è in armonia. La raffigurazione di una Roma dominata dalle feste mondane in cui le persone pienamente "inserite" in società trovano rifugio, filo conduttore del film, è accompagnata da un'ambientazione idillica e grandiosa e da un sentimentalismo pienamente rappresentato dalla calda voce fuori campo di Servillo. Il tutto è mescolato con grande equilibrio, in ogni scena possiamo finalmente perderci e guardare a quel profondo immaginario ideato da Sorrentino.
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Quando ci si trova davanti a film come questi, una delle cose più difficili è riuscire a scrivere un commento che ne sia all'altezza. "La grande bellezza" è un’opera curata nel più piccolo dettaglio, nulla è lasciato al caso: la fotografia, la scenografia, i dialoghi. Ogni cosa è studiata e voluta ma non c'è nulla di artefatto, tutto è in armonia. La raffigurazione di una Roma dominata dalle feste mondane in cui le persone pienamente "inserite" in società trovano rifugio, filo conduttore del film, è accompagnata da un'ambientazione idillica e grandiosa e da un sentimentalismo pienamente rappresentato dalla calda voce fuori campo di Servillo. Il tutto è mescolato con grande equilibrio, in ogni scena possiamo finalmente perderci e guardare a quel profondo immaginario ideato da Sorrentino. La storia in fondo riguarda tutti noi, è la continua ricerca di se stessi nella frenetica mondanità che ci circonda. Ma il regista questo non lo dice con presunzione,ci presenta semplicemente una storia in cui ognuno è libero di cogliere ciò che vuole o di cui ha bisogno. D'altro canto è lo stesso Sorrentino che nelle interviste parla del "giocare" con il suo mestiere per emozionare il pubblico. Egli condivide con tutti, attraverso le immagini della Roma come locus amoenus, un proprio disagio. Un disagio questo, che non va a sormontare l'uomo ma lo accompagna durante la sua vita, aiutandolo talvolta a scovare quelli che sono gli sprazzi di bellezza del mondo e a ritrovare in noi una nascosta sensibilità. L’accostare i superficiali e lascivi passatempi delle persone con la città eterna, la frenesia delle feste con la monumentalità della grande Roma che dorme, rende tutto perfetto e scatena in noi una vasto repertorio di emozioni. Nel film viene ripetuto che: "La vita è solo un trucco", ricordandoci un po' ciò che sosteneva Pirandello (citato più volte nell'opera):"La vita è una pupazzata". Mi piace, in effetti, come Sorrentino guardi all’esistenza umana e come faccia capire che è l'uomo il vero artefice e protagonista del proprio trucco. Questo è un film sull’essere umano, che lo analizza, lo scompone e ce lo mostra nella sua interezza, richiamando un po’ l’opera letteraria composta dal protagonista Gep: “L’apparato umano”. Finalmente una poesia di immagini, che lascia spazio alla commozione quando la musica e la telecamera accompagnano la fine sul lungo Tevere.
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antonello chichiricco
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sabato 7 settembre 2013
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la (nostra) grande bruttezza
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Grande battage, ampie presentazioni, cast notevole, sontuosa scenografia, suggestive immagini, seducente colonna sonora, osannato e nato primo della classe. E’ certo un film stimolante, che non passa inosservato, che fa parlare di sé … ma non è un capolavoro. Eppure ai grandi capolavori si ispira. Senza nulla togliere all’estro del buon Sorrentino, anzi apprezzandolo, il suo film è una riuscita mistura furbacchiona e ruffianella. Nel senso che il regista-scrittore (il soggetto è suo) ha saputo proporre una suggestiva mescolanza dai grandi cineasti del passato. E non penso tanto a Fellini, comunque presentissimo, quanto al surreale Jodorowski e le sue utopiche rincorse del trascendente, al dissacrante Buñuel e alla sua tragicomica borghesia armata di paramenti sacri e mostrine militari, strangolata dalla sua stessa rutilante mediocrità coatta.
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Grande battage, ampie presentazioni, cast notevole, sontuosa scenografia, suggestive immagini, seducente colonna sonora, osannato e nato primo della classe. E’ certo un film stimolante, che non passa inosservato, che fa parlare di sé … ma non è un capolavoro. Eppure ai grandi capolavori si ispira. Senza nulla togliere all’estro del buon Sorrentino, anzi apprezzandolo, il suo film è una riuscita mistura furbacchiona e ruffianella. Nel senso che il regista-scrittore (il soggetto è suo) ha saputo proporre una suggestiva mescolanza dai grandi cineasti del passato. E non penso tanto a Fellini, comunque presentissimo, quanto al surreale Jodorowski e le sue utopiche rincorse del trascendente, al dissacrante Buñuel e alla sua tragicomica borghesia armata di paramenti sacri e mostrine militari, strangolata dalla sua stessa rutilante mediocrità coatta. La vicenda non-vicenda si svolge a Roma ma la Città eterna a mio avviso fa solo da palco-osceno a un non esaltante spettacolo tipico della moderna società umana tout court, un drammaticamente esilarante spettacolo che si replica ovunque nel mondo.
Tony Servillo offre il suo incredibile mascherone greco-etrusco-babilonese all’anfitrionico cinico, edonista Jep Gambardella, che raggruma intorno a sé il gotha cervellotico e nichilista delle frange più debosciate di questa grottesca (etimologicamente intesa) disonorata società. Non a caso in questo decadente balletto espressionista, trovo sorprendenti (ma degradate) similitudini con i Tragos, col Ditirambo, con i culti misterico-orgiastici dionisiaci dell’antica Grecia. Il mosaico di Sorrentino rievoca le spettrali lupanare in grand soirée di Visconti o della Cavani, gli ammiccamenti erotomani e i preamboli sadomaso esoterici dell’ultimo Kubrick. In questo rutilanza agghiacciante ci trovo pezzi di simbolismo decadente dannunziani, ma anche di moderna “evoluta” e contaminata (dall’alto) piccola borghesia, del volgare popolino bovino dei Vanzina o addirittura del grottesco sottoproletariato naif di Verdone.
In mezzo a questo coacervo campionario rappresentativo di umane mostruosità, di maschere senza volto alla De Chirico, trovo che i due personaggi più umani (che raffigurano i propri opposti) sono la saggia, scaltra e affascinante nana e la disperata Ramona (S.Ferilli) la cui misteriosa malattia è forse solo una “sana” reazione immunitaria a una vita amara, alienata e distruttiva. In tono minore non può che ispirare facile simpatia anche il patetico perdente Romano (C.Verdone).
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jayan
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martedì 29 ottobre 2013
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l'illusione della mondanità e delle apparenze
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Il grande capolavoro di Paolo Sorrentino. Descrive la mondanità, le apparenze, i piaceri, la bellezza, la ricchezza, il potere come tanti aspetti illusori della realtà, dietro cui corre tanta gente credendo di trovare la felicità. Ma alla fine della loro corsa c'è la morte, e anche la bellezza prima o poi va via, il corpo si fa brutto, arriva la vecchiaia. Tutte le feste organizzate da Jep Gambardella, il re della mondanità, ormai non lo divertono più, e lui si mette a guardare la gente, come un'osservatore che stia lì a scrutare le persone e i loro giochi senza mai farsi convolgere da loro. Per questa ragione non aveva scritto più, dopo l'unico suo romanzo, vincitore del premio Gambardella.
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Il grande capolavoro di Paolo Sorrentino. Descrive la mondanità, le apparenze, i piaceri, la bellezza, la ricchezza, il potere come tanti aspetti illusori della realtà, dietro cui corre tanta gente credendo di trovare la felicità. Ma alla fine della loro corsa c'è la morte, e anche la bellezza prima o poi va via, il corpo si fa brutto, arriva la vecchiaia. Tutte le feste organizzate da Jep Gambardella, il re della mondanità, ormai non lo divertono più, e lui si mette a guardare la gente, come un'osservatore che stia lì a scrutare le persone e i loro giochi senza mai farsi convolgere da loro. Per questa ragione non aveva scritto più, dopo l'unico suo romanzo, vincitore del premio Gambardella. Come se il mondo intorno a lui gli facesse perdere ogni ispirazione. Solo alla fine, nel ricordo della sua prima donna, una giovane pura e bella, riprende a scrivere.
Con questo film Sorrentino si firma uno dei più grandi registi viventi. Anche se molti non lo comprenderanno perché volutamente ermetico, nascosto dietro la facciata di esibizionismi, donne belle, suoni, colori, grida, rimane un grande film.
E' la descrizione dell'illusione del mondo, quel mondo dell'effimera bellezza, un mondo dove non c'è nulla che rimane, neanche il personaggio Gambardella, che, al momento di compiere 65 anni, si accorge che tutto quel tempo passato nella mondanità non è servito a nulla. Invece ci sono valori più semplici, come la sua prima donna, che non tramontano mai, ed hanno ancora il potere di ispirare uno scrittore.
Un film da vedere, assolutamente!
Il film inizia con una morte e finisce con un'altra morte, seguita da una rinascita interiore, quella di Jep Gambardella.
Bellissime le scenografie, le coreografie, i costumi, i colori, la fotografia, ma anche le varie interpretazioni.
Tutto dipinge un quadro dell'assurdo, tra il kafkiano e il felliniano.
Da notare: in tutte le avventure che Jep ha, non perdere mai il suo sorriso ironico, di distacco dal mondo, pur vivendoci dentro pienamente.
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di_amante007
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venerdì 7 marzo 2014
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roma o morte
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Non a caso è Roma, la città “eterna”, a rappresentare in questo film, quella piccola frazione di tempo che è concesso vivere a ognuno di noi, la nostra vita in fondo è la nostra eternità, e come il Tevere attraversa Roma, noi attraversiamo la nostra vita lambendone le sponde. Il sapore di questo film mi si è sciolto sulla lingua piano piano e quel gusto dolce/amaro che si contrappone costantemente, resta in bocca fino alla fine. Quindi Roma alias Vita, come sottilmente Sorrentino ci indica in una delle prime e apparentemente insulse inquadrature. E’ questo a mio vedere, il filo sottile che tesse la trama invisibile di questo film, Vita o Morte, la contrapposizione per eccellenza, una rappresentazione scenica che trova senso in quello che non mostra, e dove ogni scena ha un suo significato.
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Non a caso è Roma, la città “eterna”, a rappresentare in questo film, quella piccola frazione di tempo che è concesso vivere a ognuno di noi, la nostra vita in fondo è la nostra eternità, e come il Tevere attraversa Roma, noi attraversiamo la nostra vita lambendone le sponde. Il sapore di questo film mi si è sciolto sulla lingua piano piano e quel gusto dolce/amaro che si contrappone costantemente, resta in bocca fino alla fine. Quindi Roma alias Vita, come sottilmente Sorrentino ci indica in una delle prime e apparentemente insulse inquadrature. E’ questo a mio vedere, il filo sottile che tesse la trama invisibile di questo film, Vita o Morte, la contrapposizione per eccellenza, una rappresentazione scenica che trova senso in quello che non mostra, e dove ogni scena ha un suo significato. Quello che invece fa con stile a tratti felliniano è vestire l’ipocrisia dell’essere, con maschere grottesche e deliranti. La vita in tutta la sua bellezza è rappresentata da Roma e come con lei o decidi di viverla con tutte le sue implicazioni accettandone gioie e dolori o decidi di “morire”. Decisamente dissacrante, attraverso il giornalista, Jep Gambardella, ironizza sulla filosofia con la stessa arma con cui la filosofia ci ricorda che siamo tutti miseri mortali, filosofeggiando con quello stile partenopeo, delicatamente raffinato, senza prenderla sul serio e senza prendersi mai troppo sul serio, laddove farlo, potrebbe essere alquanto deleterio per menti assoggettate totalmente all’essere. Contrappone un ruolo sociale come quello di un’affermata redattrice, spesso identificata dalla massa come donna dall’aspetto stilisticamente e fisicamente raffinato, a una nana, e quello di un misterioso e facoltoso vicino di casa dall’aspetto elegantemente impeccabile a un latitante mafioso, sfatando, in una scena esemplare, l’immagine stereotipata che molti hanno del mafioso, ovvero, uomo dall’aspetto poco attraente e tanto meno elegante. Così, il bacio sul terrazzo, che la donna bionda elegante e raffinata dà a un ghetto personaggio, appare essere una delle tante snobberie sessuali contemporanee, del tipo; guardare la propria donna che bacia un altro uomo totalmente opposto a lui. Invece li, su quel terrazzo se pur si vedono 2 uomini e una donna in realtà l’uomo è solo uno, diviso metafisicamente da quello che vede la massa e quello che non vede. Rappresenta il luogo comune, l’identificazione degli altri attraverso maschere sociali standardizzate. In tutto il film, il protagonista gioca con l’ipocrisia, spesso sopportandola, ma a inevitabile richiesta, spogliandola abilmente dal suo vestito più bello, fatto di frasi fatte, e vacuità spirituale, esistenziale e intellettuale. Un film che rende onore alla vita, che, per quanto spesso deludente, merita sempre di essere vissuta, fosse solo per uno “sparuto sprazzo di bellezza”. In fondo come dice alla fine Jep, è solo un trucco, per sopravvivere.
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starbuck
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giovedì 30 maggio 2013
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"la grande bellezza"ovvero il cinema di sorrentino
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Paolo Sorrentino fa parte di quella benedetta categoria di artisti che usano il cinema per esprimere la propria arte esttamente come farebbero un pittore o un poeta. La sua opera diventa così il contenitore della visione che l'autore ha della realtà attraverso l'uso di strumenti estetici di eccezionale valore. In questo ennesimo capolavoro la città di Roma rispolvera la sua veste da basso impero, caricando sulle sue stanche spalle millenarie la decadenza morale di un intero paese, di un'intera società, di un intero mondo. In questa cornice Sorrentino sembra ancora una volta parlarci di se, della sua esperienza individuale attraverso la quale ci regala un lucido, drammatico e commuovente spaccato della realtà.
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Paolo Sorrentino fa parte di quella benedetta categoria di artisti che usano il cinema per esprimere la propria arte esttamente come farebbero un pittore o un poeta. La sua opera diventa così il contenitore della visione che l'autore ha della realtà attraverso l'uso di strumenti estetici di eccezionale valore. In questo ennesimo capolavoro la città di Roma rispolvera la sua veste da basso impero, caricando sulle sue stanche spalle millenarie la decadenza morale di un intero paese, di un'intera società, di un intero mondo. In questa cornice Sorrentino sembra ancora una volta parlarci di se, della sua esperienza individuale attraverso la quale ci regala un lucido, drammatico e commuovente spaccato della realtà. Jap Gambardella, il protagonista, non sembra in fondo essere reale al pari dei personaggi che lo circondano: egli è una sorta di narratore ma anche un alter ego utilizzato dall'autore per raccontare se stesso. Ma cos'è che lo rende così diverso, così particolare? Già quello spiccato accento napoletano conservato anche dopo quarant'anni di permanenza a Roma lo rende sospetto; inoltre, Jap è completamente privo di ipocrisia e volgarità, solo un leggero velo di elegante snobismo lo accomuna alle sue frequentazioni. Jap possiede la determinazione necessaria a smascherare l'umanità spudoratamente snob, decadente e corrota con la quale ha condiviso primeggiando gran parte della sua vita senza rimanerne veramente contaminato. Jap arriva a Roma in giovane età, è sensibile, intelligente; scrive un romanzo di successo, quindi rimane invischiato nella mondanità in cui sguazza felicemente grazie al suo talento culturale diventandone l'indiscusso dominatore. Tuttavia non sarà più in grado di scrivere un'altro romanzo, fatto che raggiunta ormai l'età di sessantacinque anni, lascia un retrogusto di incompiuto alla sua esistenza. Ora Jap si barcamena da un evento mondano all'altro, da una donna all'altra senza più slancio, sopraffatto dalla noia; fa il giornalista ed il critico d'arte con un disincantato cinismo. Indimenticabile la scena della'artista d'avanguardia che in un parco si presenta in pubblico nuda con il pube tinto di rosso con scolpita una falce e martello e che prendendo la rincorsa va a battere violentemente la testa contro una specie di menir e sanguinando grida al pubblico: "io non vi amo!" ed intervistata da Jap dichiara di vivere di vibrazioni e quando lui continua a chiedergli cosa diavolo sono queste vinrazioni crolla in lacrime. Jap si lascia intenerire dal personaggio interpretato da Sabrina Ferilli, Sorrentino lascia sapientemente alla Ferilli la sua ben nota romanità un pò volgarotta addolcendola con una vena di ingenua tristezza, riservandole poi un tragico destino che contribuirà ad accentuare il "distacco" del protagonista. Anche Carlo Verdone veste panni inconsueti: a sottrarlo dalla sua inconfondibile maschera ironica sono due sottili baffetti e la malinconia generata dalla grande delusione per una città che prometteve molto e che ora lo vede, amareggiato e sconfitto, tornare "al paese" privando della sua presenza sinceramente amica il sempre più solo Jap. Poi ci sono il cardinale che parla solo di cucina e che si defila quando si parla di spiritualità; i conti che si fanno noleggiare per interpretare altri conti e via declamando un pò tutte le miserie di una borghesia giunta ormai al capolinea. Roma in realtà mostra poco di se: qualche prestigioso attico, Il Lungo Tevere e qualche paesaggio la mattina presto, poco altro. Forse l'autore vuole solo incuriosirci, invitarci a scoprirla nonostante l'impietoso spaccato umano che il film ci racconta. Saranno il ricordo e la nostalgia del primo amore, consumato in gioventù sulla scogliera di un azzurro mare del sud a redistribuire le carte: forse Jap scriverà finalmente un altro romanzo.
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[+] ed un film stupendo
(di cartolante)
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alex2044
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giovedì 6 marzo 2014
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rivederlo fa bene
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Ho rivisto il film se si potesse gli aggiungerei una stella . Ogni volta che lo si rivede si scopre qualcosa di nuova . Nulla è lasciato al caso . La sciatteria è assente . Poi si scoprono i piccoli camei di bravissimi attori . Scorci di Roma meravigliosi . La colonna sonora è geniale e denota una notevole cultura musicale ed un profondo amore per la musica tutta . Sorrentino ha fatto il film della vita e si dimostrato ancora una volta all'altezza dei grandi del passato . Senz'altro il miglior regista della sua generazione . Un artista vero . Grazie e alla prossima.
Avviso agli appassionati di cinema i grandi film si devono vedere sul grande schermo
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beppe baiocchi
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mercoledì 12 febbraio 2014
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la ricerca della grande bellezza
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Jep Gambardella, inguaribile dandy, scrittore di un capolavoro letterario, ma con un blocco dello scrittore che dura da troppi anni, indaga in un mondo fatto di feste faraoniche e grandi banchetti su cosa sia la vera bellezza. La ricerca della grande bellezza, dell'ispirazione per contemplare la vita è da sempre parte di Jep ( un maestoso Tony Servillo, forse il miglior attore italiano dei nostri anni) pensando di averla trovata in una Roma tanto bella quanto vuota. Ma con l'età, con la stanchezza di vivere una vita bella ma priva di significato capisce che si sbagliava, che la bellezza che la vita dona non si trova in un puro estetismo, ma in altro.
Sorrentino si mette in luce con questa pellicola mostrando una capacita registica degna dei migiori registi di Hollywood.
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Jep Gambardella, inguaribile dandy, scrittore di un capolavoro letterario, ma con un blocco dello scrittore che dura da troppi anni, indaga in un mondo fatto di feste faraoniche e grandi banchetti su cosa sia la vera bellezza. La ricerca della grande bellezza, dell'ispirazione per contemplare la vita è da sempre parte di Jep ( un maestoso Tony Servillo, forse il miglior attore italiano dei nostri anni) pensando di averla trovata in una Roma tanto bella quanto vuota. Ma con l'età, con la stanchezza di vivere una vita bella ma priva di significato capisce che si sbagliava, che la bellezza che la vita dona non si trova in un puro estetismo, ma in altro.
Sorrentino si mette in luce con questa pellicola mostrando una capacita registica degna dei migiori registi di Hollywood. Una fotografia magistrale, una forza delle immagini che vanno oltre le parole forbite e inutili che i personaggi di questa pellicola raccontano una descrizione di un mondo tanto surreale quanto grottesco, ma di incredibile fascino.
Un film fondamentalmente debole nella trama, ma fortissimo nel contenuto lo spettatore infatti pian piano, insieme al protagonista si allontanerà da quel mondo così pieno di fascino rinnegando quel mondo ovattato e superficiale.
Per fare un bel film c'è bisogno di un buon cast. Il già citato Servillo non riesce proprio a fare una prova deludente riesce sempre a fare prove superlative, quasi stupisce come i produttori di Hollywood non l'abbiano ancora notato. Ma la sorprese vengono dai comprimari, un Carlo Verdone e una Sabrina Ferilli che non ti aspetti, risultando credibili, e non caricaturali come i personaggi che di solito interpretano.
Un film davvero consigliato, certo, magari non riuscirà a piacere a tutti avendo un ritmo pacato ( ma mai noioso, aiutato da movimenti continui di macchina e cambi di inquadratura) e forte troppo critico per questa "estetica" società italiana, ma sicuramente degna come "opera" di essere vista.
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gabriele
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sabato 29 marzo 2014
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la grande bruttezza e la grande bellezza
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Il film di Sorrentino è un film surrealista, e apparentemente nichilista.
Il film è apparentemente nichilista perché per quasi tutta la sua durata si sofferma sulla bruttezza visibile che i personaggi del film dimostrano con il loro comportamento vacuo e lascivo.
Ma è un inganno perché, parallelamente a essa, si ha, nello stesso tempo, una sensazione di bellezza invisibile, La Grande Bellezza, che accompagna per tutto il tempo i protagonisti del film, che è rappresentata da Roma. È una bellezza così abbagliante da tramortire chi non è pronto per ammirarla (scena del turista al Gianicolo). La bellezza di Roma è la bellezza che gli uomini sono stati capaci di creare quando hanno fatto ricorso al loro ingegno e innanzitutto alla loro parte artistica-creativa, prerogativa di ogni essere umano, di ciascuno di noi.
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Il film di Sorrentino è un film surrealista, e apparentemente nichilista.
Il film è apparentemente nichilista perché per quasi tutta la sua durata si sofferma sulla bruttezza visibile che i personaggi del film dimostrano con il loro comportamento vacuo e lascivo.
Ma è un inganno perché, parallelamente a essa, si ha, nello stesso tempo, una sensazione di bellezza invisibile, La Grande Bellezza, che accompagna per tutto il tempo i protagonisti del film, che è rappresentata da Roma. È una bellezza così abbagliante da tramortire chi non è pronto per ammirarla (scena del turista al Gianicolo). La bellezza di Roma è la bellezza che gli uomini sono stati capaci di creare quando hanno fatto ricorso al loro ingegno e innanzitutto alla loro parte artistica-creativa, prerogativa di ogni essere umano, di ciascuno di noi.
È surrealista perché il regista sembra dire: “Io vi ho mostrato tutta la bellezza (Roma, e qualche altro sprazzo di bellezza in alcuni passaggi e personaggi del film) e tutta la bruttezza che l’uomo è stato ed è capace di creare; io non vi dò soluzioni perché sta a ciascuno di voi scegliere cosa vuole fare nella sua vita e, innanzitutto, della propria vita”. Tanto è vero che il finale del film è aperto a più possibilità. Noi non sappiamo con certezza quale strada intraprenderà Jep dopo la conclusione del film, il regista non lo dice apertamente, ma ci sono diversi indizi e allusioni che fanno pensare a un suo reale cambiamento. Jep ha scritto un libro a venticinque anni: L’apparato umano.
Il titolo allude a una sua ricerca di comprensione dell’uomo, cioè di se stesso. Adesso può completarla e dare un senso diverso alla sua vita. Il prossimo romanzo di Jep è pronto per essere pubblicato, ma non sappiamo cosa contiene.
Jep (Jep è ognuno di noi, così come lo sono i vari personaggi che gli ruotano attorno) lo può fare perché non ha mai perso il contatto con la realtà. È troppo intelligente e lucido e ha sprazzi di umanità che lo rendono un personaggio simpatico e attraente.
La sua figura, il suo sguardo ambiguo e penetrante e il suo modo di comportarsi fanno trasparire un fascino e una simpatia che sembra in contrasto con il suo modo apparente di essere cinico e disincantato. Il personaggio di Jep non è negativo per il seguente motivo: perché in Jep, dietro tanta bruttezza apparente, s’intuisce quanta bellezza sprigiona ed è capace di creare dalla propria vita se lo decide e opera in tal senso, cosa che, a mio avviso, accadrà.
Perciò la Grande Bellezza non è solo quella scontata di Roma.
La bellezza crepuscolare di Roma è da mozzafiato.
Roma è la Bella Addormentata, la Bellezza Addormentata, che è fuori di noi e dentro di noi e che aspetta solo di essere risvegliata. La bellezza è nascosta e bisogna trovare le chiavi giuste per accedervi, quelle che possiede Stefano.
E, in ogni caso, anche se Jep decidesse di continuare a sciupare la propria vita in comportamenti frivoli ed effimeri, cosa per me improbabile, come ho spiegato prima, noi possiamo sempre decidere di creare bellezza anziché bruttezza dalla nostra vita.
“Cercavo la Grande Bellezza ma non l’ho trovata”, dice Jep. E non poteva trovarla perché la bellezza (al pari dell’amore) non si trova, si crea. La bellezza è uno stato dell’essere che si crea nel tempo, ed essa è più visibile a occhi chiusi (il mare che intravedono Jep e Ramona sul letto).
Gabriele Palombo
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roberto checchi
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venerdì 24 gennaio 2014
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la bellezza non si racconta, si vive
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La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è un film che colpisce, prima di tutto e soprattutto. Colpiscono le immagini, composte da una fotografia magistrale che ci regala flash vivissimi di una realtà che ci sembra tangibile nella sua paradossalità. Colpiscono i volti, i tratti, cosi veri, autentici, a comunicarci in modo diretto e dissacrante verità che pensavamo di non conoscere. Colpiscono gli attori, tanti, bravi, nessuno escluso. Uno su tutti ci lascerà forse una memoria in più, per apatica umanità e per l’atmosfera in cui è riuscito a calarci senza che ce ne rendessimo conto, per il modo in cui ci ha introdotti in un catastrofico ma inevitabile scenario dove la macchina da presa gira vorticosamente e instancabilmente per mostrarci ciò che non si può raccontare con le parole, il nulla.
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La Grande Bellezza di Paolo Sorrentino è un film che colpisce, prima di tutto e soprattutto. Colpiscono le immagini, composte da una fotografia magistrale che ci regala flash vivissimi di una realtà che ci sembra tangibile nella sua paradossalità. Colpiscono i volti, i tratti, cosi veri, autentici, a comunicarci in modo diretto e dissacrante verità che pensavamo di non conoscere. Colpiscono gli attori, tanti, bravi, nessuno escluso. Uno su tutti ci lascerà forse una memoria in più, per apatica umanità e per l’atmosfera in cui è riuscito a calarci senza che ce ne rendessimo conto, per il modo in cui ci ha introdotti in un catastrofico ma inevitabile scenario dove la macchina da presa gira vorticosamente e instancabilmente per mostrarci ciò che non si può raccontare con le parole, il nulla. E’ un lungometraggio che non può essere giudicato, come accade per tutti i capolavori va vissuto, contemplato, a stento, capito. Ma non è soltanto un lungometraggio, è una imprescindibile necessità del regista, che non ci offre un prodotto, ma un’opera d’arte. E’ difficile scendere nei particolari quando si parla di un film come questo, che avvolge lo spettatore per 142 minuti con un ritmo prima frenetico e incalzante e poi catarticamente meditativo nel finale, lasciandolo con molte domande e con qualche risposta in più. “Non è soltanto un lunghissimo esercizio di stile, presuntuoso e fine a se stesso, ma un capolavoro”, è senz’ altro una di queste.
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