|
|
luigi chierico
|
giovedì 6 marzo 2014
|
grandioso
|
|
|
|
Prima parte
Chi,questa volta,crede di andare a vedere un film sbaglia di grosso e può rimanerne deluso.
E’, invece, un magnifico spettacolo di immagini, scene, riprese e musica. Roma dei Cesari,dei Papi e dei nobili ospita una miriade di personaggi in una cornice fatta di monumenti, angoli, fontane, strade e piazze, palazzi e cielo che soltanto questa Città mondiale può mostrare.
Cosa vuole raccontarci Paolo Sorrentino, al di là di quanto ci mostra?
Nella non numerosa famiglia dei romanzieri, tra Tolstoj, Dostoewskij, Hugo, Manzoni, Hemingway, Grossman, Marìas,Eco ecc., si vuole annoverare, per aver scritto un solo libro da giovane, il giornalista Jep Gambardella, superbamente interpretato da un Toni Servillo, che oggi,a maggior ragione, possiamo annoverare tra i grandi del nostro Cinema.
[+]
Prima parte
Chi,questa volta,crede di andare a vedere un film sbaglia di grosso e può rimanerne deluso.
E’, invece, un magnifico spettacolo di immagini, scene, riprese e musica. Roma dei Cesari,dei Papi e dei nobili ospita una miriade di personaggi in una cornice fatta di monumenti, angoli, fontane, strade e piazze, palazzi e cielo che soltanto questa Città mondiale può mostrare.
Cosa vuole raccontarci Paolo Sorrentino, al di là di quanto ci mostra?
Nella non numerosa famiglia dei romanzieri, tra Tolstoj, Dostoewskij, Hugo, Manzoni, Hemingway, Grossman, Marìas,Eco ecc., si vuole annoverare, per aver scritto un solo libro da giovane, il giornalista Jep Gambardella, superbamente interpretato da un Toni Servillo, che oggi,a maggior ragione, possiamo annoverare tra i grandi del nostro Cinema. Da qualche anno assistiamo ad un pullulare di personaggi provenienti dallo sport allo spettacolo, dalla Tv al giornalismo, dalla politica alla giustizia,che si spacciano o si improvvisano anche scrittori, è un prolificarsi di autori che rimarranno sconosciuti, di cui nessuno mai parlerà in futuro. Non fanno letteratura quindi non fanno testo. Paolo Sorrentino li mette all’indice, ovvero alla berlina.
Tra questi, avventurieri della parola, annovero il personaggio di questa storia spettacolare.
Il successo porta Jep Gambardella alla capitale per aver scritto un solo romanzo, ma
i miracoli non si ripetono.
La casa di Jep diventerà un salotto della Roma bene che ricorda quello di Madame Geoffrin e di Madame de Stael in cui si incontravano celebrità dalla filosofia alla letteratura, dalla scienza alla musica; però,il suo,invece, frequentato da annoiati personaggi dell’alta borghesia e di diversa estrazione sociale, qui più della cultura conta il pettegolezzo.
Non ci sono i grandi saloni dai grandi specchi e lampadari da 100 luci, dove le danze si aprivano con un romantico valzer; vi sono frenetici balli, scollature vertiginose, gonne cortissime, luci psichedeliche, grandi sorrisi, grandi saluti,interessi in gioco,un bel po’ di droga per riscaldare l’ambiente. Ci sono i ritrovi pubblici in cui tra uno spogliarello e l’altro si possono concludere affari o ascoltare proposte letterarie. Segue seconda parte
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a luigi chierico »
[ - ] lascia un commento a luigi chierico »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
twinbri84
|
sabato 25 gennaio 2014
|
il nulla di michael andreas helmuth ende.
|
|
|
|
Esiste quel genere di film (poche eccezioni, purtroppo o per fortuna) che è impossibile da recensire.
La grande bellezza è uno di questi.
Alzi la mano chi non si sia sentito tirato in causa, chi non si sia rispecchiato in un dato personaggio, chi non ha mai sentito il vuoto impossessarsi del nulla, chi non ha mai pensato di essere una caricatura di se stesso, chi non ha mai pensato di essere il miglior attore in circolazione, chi nasconde e cela il dolore dietro il sorriso, le convinzioni e le convenzioni.
5:37 minuti è il tempo che Jap Gambardella impiega per smascherare l'amica Stefania.
[+]
Esiste quel genere di film (poche eccezioni, purtroppo o per fortuna) che è impossibile da recensire.
La grande bellezza è uno di questi.
Alzi la mano chi non si sia sentito tirato in causa, chi non si sia rispecchiato in un dato personaggio, chi non ha mai sentito il vuoto impossessarsi del nulla, chi non ha mai pensato di essere una caricatura di se stesso, chi non ha mai pensato di essere il miglior attore in circolazione, chi nasconde e cela il dolore dietro il sorriso, le convinzioni e le convenzioni.
5:37 minuti è il tempo che Jap Gambardella impiega per smascherare l'amica Stefania. Una vita intera Stefania, come lo stesso Jap, come ogni personaggio del film, come ognuno di noi, ha impiegato a costruire, alterare, occultare.
5:37 minuti vs un('apparenza di) vita.
E ci sarebbe da leggere un'ipocrita recensione di un ipocrita recensore, strapagato per non rovinare ancora di più l'immagine di una Roma, che rappresenta l'Italia, che rappresenta l'Europa, che rappresenta il Mondo?
Michael Andreas Helmuth Ende scrisse nel suo romanzo La storia infinita "Il Nulla dilaga, poiché esso è la disperazione che ci circonda. Io ho fatto in modo di aiutarlo, poiché è più facile dominare chi non crede in niente." Il film di Sorrentino ne è la più degna rappresentazione: crudo, diretto, mistico, affascinante, smaliziato... Vero.
L'ennesimo film che il pubblico fatica a capire, per non essere costretto a guardarsi dal di dentro.
L'ennesimo film disprezzato nella sua terra natìa e apprezzato all'estero poichè l'apparenza del perfetto cittadino e del buon padre di famiglia è più forte della realtà, e non può, non deve essere frutto di un italiano che distrugge l'apparenza di Roma, cuore dell'Italia.
L'ennesimo film criticato per la sua lentezza. Eppure, quanto può essere o meno palese che la vita è la conseguenza di una scelta veloce e diretta? Dosando il tempo, quanto è veloce l'autodistruzione fisica di un uomo, e quanto è veloce la conseguente alterazione psichica di questo?
Quanto è veloce la scelta di "sposare la povertà" e di consegnare la propria vita nelle sue mani?
Forse quanto un soffio sui fenicotteri, il pretesto repentino e veloce di emigrare e di partire, liberandosi di un'immobilità che stringe e costringe.
Potete recensirlo in qualsiasi modo ma forse il modo migliore è il silenzio. Silenzio di fronte alla grandezza di Roma, giudice della piccolezza dell'uomo, ed arbitro del gioco infantile ma sempreverde di nascondino.
La povertà non si racconta, si vive.
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a twinbri84 »
[ - ] lascia un commento a twinbri84 »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
giorpost
|
giovedì 6 marzo 2014
|
non è un paese per sorrentino
|
|
|
|
1960: Fellini dirige La dolce vita, caposaldo della cinematografia, uno degli emblemi del Belpaese nel mondo. 53 anni più tardi Paolo Sorrentino ne ricalca la magnificenza, riproponendo quell’ audace filone intriso nella quotidianità italiana fatta di mondanità, vizi e virtù che uniscono il sacro al profano e di quell’ eleganza assoluta contrapposta al trash, sceneggiando e dirigendo La grande Bellezza (Italia, 2013).
Il film di Sorrentino ha una trama leggera ma al contempo sofisticata, forse non per tutti i palati, senza per questo volersi assurgere ad opera snob rivolta ad un ceto specifico. Racconta, infatti, la decadenza della classe alto borghese italiana, quella cerchia di persone che fanno dell’ opulenza e dello sfoggio del lusso una ragion d’ essere, in un’ instancabile attività del far nulla trascorsa tra appartamenti con vista Colosseo, boutique esclusive e spese folli dallo specialista del botulino.
[+]
1960: Fellini dirige La dolce vita, caposaldo della cinematografia, uno degli emblemi del Belpaese nel mondo. 53 anni più tardi Paolo Sorrentino ne ricalca la magnificenza, riproponendo quell’ audace filone intriso nella quotidianità italiana fatta di mondanità, vizi e virtù che uniscono il sacro al profano e di quell’ eleganza assoluta contrapposta al trash, sceneggiando e dirigendo La grande Bellezza (Italia, 2013).
Il film di Sorrentino ha una trama leggera ma al contempo sofisticata, forse non per tutti i palati, senza per questo volersi assurgere ad opera snob rivolta ad un ceto specifico. Racconta, infatti, la decadenza della classe alto borghese italiana, quella cerchia di persone che fanno dell’ opulenza e dello sfoggio del lusso una ragion d’ essere, in un’ instancabile attività del far nulla trascorsa tra appartamenti con vista Colosseo, boutique esclusive e spese folli dallo specialista del botulino. Alla testa di questa ristretta umanità c’è il noto giornalista culturale d’ origine napoletana Jep Gambardella, egocentrico critico di costume dall’ accento impostato tipico del Vomero ma romano d’adozione, interpretato con maestria da un cinico Toni Servillo.
Jep impegna le sue giornate improduttive a passeggiare per strada con aria annoiata ancorché vissuta o sorseggiare scotch sull’ amaca fuori al terrazzo di casa mentre splendidi tramonti fanno da cornice agli scorci incantevoli della città eterna, in attesa che arrivi il prossimo party con tanto di “trenini che non portano da nessuna parte” (un po’ come la politica italiana di oggi) e canzonette italiche che scatenano ogni freno inibitorio di donne e uomini a cavallo tra gli “anta” appena iniziati ed una terza età avanzata. Si definisce re dei mondani, capace di decidere come e quando una festa debba terminare, spesso quando le persone “normali” si svegliano per andare a lavorare. Ex scrittore con all’ attivo un solo romanzo, L’ apparato umano (saggio di successo senza seguiti causa blocco dello scrittore), donnaiolo, veste eccentricamente elegante con doviziosa cura dei particolari, apre i dialoghi del film come voce narrante raccontando della risposta più frequente che dà agli amici quando gli chiedono cosa gli piacesse di più: “la fessa”. Ma la sua è una risposta di facciata, perché in realtà ama fare tutt’ altro rispetto a quanto gli riesce da 30 anni, come apprezzare l’ odore delle case dei vecchi. Lo squallore nel quale egli precipita insieme a tutti quei frequentatori seriali di feste mondane a base di drink e coca (e non parliamo della bevanda) funge da pretesto e non è il solo leit motiv del lungometraggio, i temi trattati sono anzi decisamente variegati. Il primo è la solitudine, della quale soffre il protagonista, il secondo la nostalgia, che affligge l’ amico fidato Romano (uno splendido Carlo Verdone); e poi si affronta il tema della vecchiaia, nel senso più nobile del termine, vista l’ età media degli innumerevoli personaggi che si alternano nell’ opera (Sorrentino vuole forse ricordarci che l’ Italia è un Paese demograficamente a crescita zero?).
Il filo conduttore del plot è la discesa nell’ inferno della noia e della malinconia di Gambardella avverso il quale la vita gli frappone continue rinunce. Con un altro pensiero fuori campo Jep fa sapere di aver deciso di “non voler più fare cose che non mi piacciono”, sparendo dal letto di Orietta appena sedotta ed abbandonata mentre una seducente Isabella Ferrari si apprestava a fargli vedere le sue foto sexy postate sui social. Ma è Roma a fargli terra bruciata intorno quando le persone a lui più vicine per vari motivi cominciano a scappare o morire. E’ il caso di Romano, ad esempio, l’ unico vero amico rimastogli, il quale, alle prese con un amore non corrisposto e con una carriera teatrale insapore, a un certo punto decide di tornare al paese d’ origine, visto che “Roma m’ ha molto deluso”. Il suo vicino di casa, un misterioso uomo d’ affari che verso la fine del film viene arrestato dalla DIA non prima che abbia rivolto per la prima volta la parola al giornalista, dicendo che “sono quelli come me che fanno girare l’ economia italiana!”. E poi c’è Ramona, la non più giovanissima spogliarellista in crisi affettiva con la quale instaura un sereno rapporto platonico, interpretata da una discreta Ferilli ancora in piena forma fisica. Morirà senza troppe spiegazioni, lasciando al povero Jep un’ enorme amarezza. L’ unico a restargli vicino è Lello, imprenditore dedito alla prostituzione con una moglie consapevolmente cornuta.
Ma Sorrentino ci parla anche delle origini, quelle radici che “sono importanti” e rappresentano cibo per Suor Maria, la cosiddetta Santa, altro personaggio chiave che entra in scena nella seconda parte del film (meno onirica e più movimentata), laddove il regista partenopeo si dedica al lato oscuro della Chiesa e delle religioni (e siamo al quinto tema trattato). Come non citare la sequenza del fenicotteri sul terrazzo di Jep che ha tanto di poetico o il personaggio del Cardinale Bellucci, vescovo in odore di pontificato, che non sa dispensare risposte alle inquietudini spirituali del protagonista ma che, anzi, si ripete ridondantemente in spiegazioni culinarie che non interessano nessuno. La svolta avviene con quel ricordo non dispensato nella sua interezza a Ramona, inerente quell’ amore di 35 anni prima e di quella prima volta sugli scogli di un faro all’ Isola del Giglio e di quella grande bellezza che lui non è più riuscito a ritrovare, Elisa. Quella ragazza diventata donna e moglie di tale Alfredo, il quale si presenta un giorno a casa di Jep informandolo che è morta e che in realtà ha sempre amato lui. Un amore interrotto per ragioni non spiegate, mai dimenticato, mai sopito ma che rende malinconico e cinico un uomo fascinoso, di terza età, qualunquista all’ occorrenza ma schietto fino al midollo. Il monologo nei confronti della scrittrice esistenzialista Stefania (bravissima la Galatea Ranzi) è da cineteca, un massacro bello e buono nei confronti di quell’ assurdo sport del lamentarsi del superfluo (“tu che hai 3 baby sitter, in quale misura sai cosa sono i sacrifici?”) e di quelle autodefinitesi “donne con le palle” che, oggettivamente, hanno proprio stancato.
Ciò che fa grande questo lungometraggio (destinato a dividere) è soprattutto il primo quarto d’ ora, dove una serie di sequenze incrociate riprendono Roma da angolazioni disparate con giochi di luce bellissimi e colonna sonora sorprendente, senza dialoghi, ma solo una serie di piccoli eventi interrotti da un urlo liberatorio che ci conduce nel mondo delle feste e del 65mo compleanno dell’ ex scrittore. Sorrentino fa certamente sfoggio della bravura che sa di avere, utilizzando tecniche registiche già viste in Le conseguenze dell’ amore e in This must be tha place (altri due capolavori con un campionario di personaggi dalla vita incompiuta). Il talentuoso cineasta non potrà negare di essersi ispirato, oltre che a Scorsese e Fellini, anche al Kubrick di Shining, per quei bambini che corrono nel labirinto-giardino e per la ragazzina pittrice che immagina se stessa inondata di pittura a distanza di pochi minuti (e che, in preda ad una scenografica follia, dipinge un’ opera astratta solo perché costretta dai familiari che speculano sul suo talento), ma anche di Eyes wide shut (per la presenza di certe ritualità in un contesto dove i nudi, femminili ma anche maschili, non mancano). Un lungometraggio che deve molto della sua attrazione visiva alla bravura di Luca Bigazzi, straordinario direttore di una fotografia semplicemente perfetta. I dialoghi sono spesso prolissi, ma volutamente tali; non ci si può non chiedere se non fosse stato opportuno proporre, per Jep, una parlata più fluida e con una dizione più marcata, anche se quel “mangiarsi” le consonati e quel chiudere in anticipo la parola rappresentano una scelta ricercata e perfettamente in linea con il personaggio, che quando narra fuori campo si presenta invece con un altro stile fonetico. Eccessivi sono anche i cambi di costume di Gambardella, ne sarebbero bastati 5 al massimo.
La grande bellezza è stato troppo frettolosamente etichettato come commedia all’ italiana da una parte della critica nostrana che non ha saputo apprezzare quelle inquadrature stilisticamente perfette che vediamo lungo tutto il film; una critica che si è fermata alle note casarecce della Carrà ma non a quelle ecclesiastiche di I lie dei Torino Vocalensemble che aprono e chiudono il film; una disattenta analisi che ha ironizzato della presenza antropologicamente autobiografica di Serena Grandi senza valutare il fatto che sia stato un escamotage narrativo utile per lavare i panni sporchi di casa nostra agli occhi del mondo, per esorcizzare i nostri viziacci e raccontare di come si possa cadere tristemente in disgrazia pur avendo tutto (fascino, soldi, amici veri o presunti).
Il futuro è bellissimo, dice Servillo verso la fine. E allora guardiamo al futuro con maggiore consapevolezza e con meno autolesionismo, scrolliamoci di dosso quell’ eterna mediocrità che ci fa avere paura di affermare che questo è un capolavoro. Sorrentino ha fatto ritornare l’ Italia ai livelli che gli competono, noi che di Cinema avevamo tanto da insegnare. Certo, questo è un capolavoro che dissacra una parte della società italiana, ma in ogni grande Paese se non c’è autocritica non c’è miglioramento, non c’è crescita.
Voto al film: 8 e mezzo (ogni riferimento a titoli passati non “è un trucco”).
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a giorpost »
[ - ] lascia un commento a giorpost »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
francesca romana cerri
|
sabato 2 novembre 2013
|
veramente una bellezza
|
|
|
|
Un film che comincia quasi in sordina, tanto che qualche minuto dopo sussurri tra te e te: "oddio era tutto qui?" Invece ti avvolge, ti avviluppa e non solo difronte agli sprazzi di bellezza che diventano interessanti per quell'esigenza tutta umana di contrapporre la meschina quotidianità all'assoluto dell'arte e della poesia, ma perchè tra noi e il protagonista, si stabilisce un alleanza, un empatia. Il protagonista interpretato dal grandissimo attore Toni Servillo è troppo umano per non sentirselo vicino, è un uomo che vive in uno stato di alienazione ma è cosciente, comprende che così non può essere, ma pur tuttavia così si vive.
[+]
Un film che comincia quasi in sordina, tanto che qualche minuto dopo sussurri tra te e te: "oddio era tutto qui?" Invece ti avvolge, ti avviluppa e non solo difronte agli sprazzi di bellezza che diventano interessanti per quell'esigenza tutta umana di contrapporre la meschina quotidianità all'assoluto dell'arte e della poesia, ma perchè tra noi e il protagonista, si stabilisce un alleanza, un empatia. Il protagonista interpretato dal grandissimo attore Toni Servillo è troppo umano per non sentirselo vicino, è un uomo che vive in uno stato di alienazione ma è cosciente, comprende che così non può essere, ma pur tuttavia così si vive. Salotti superficiali e mondani, discorsi inutili mascherano un vuoto ideale e morale, la forma prevale sui contenuti e il mondo moderno così rivela la sua faccia stomacante. Dentro permane una ricerca solitaria di bellezza, una ricerca di verità dove bellezza e verità coincidono perchè il brutto corrisponde al falso, e questo è vero anche in arte. Si è detto da alcuni un film "felliniano", no non direi, in questo film molto di più che nei borghesi di Fellini, frivoli e modaioli , mi sono ritrovata intera in Servillo, nella sua partecipazione distaccata alla vita, nel suo sguardo sempre vigile a cogliere le contraddizioni ma allo stesso tempo suo malgrado dentro e partecipante. Qui Sorrentino dà prova ancora una volta di essere un grande regista e un ottimo intellettuale che osserva il suo tempo senza condizionamenti e che con spietatezza mette in luce il ridicolo di una città che dall'aspetto è una grande Capitale, ma a guardarla in fondo è una risacca di atteggiamenti provinciali e piccolo borghesi.
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a francesca romana cerri »
[ - ] lascia un commento a francesca romana cerri »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
luigi chierico
|
giovedì 6 marzo 2014
|
grandioso
|
|
|
|
Seconda parte
In uno di questi locali Jep Gambardella preferirà a Romano (Carlo Verdone) Ramona (Sabrina Ferilli); sembra solo un gioco di parole tra Romano e Ramona, ma la differenza c’è e come!
Entrambi bravissimi nei propri ruoli, diversamente delusi dalla vita.
Nel baccano assordante, nella confusione più totale si nasconde la voce della propria coscienza. Viviamo un periodo di solitudini estreme, di povertà d’ogni genere ed il regista ha voluto mostrarci un mondo irreale, tenuto conto dei tempi che corrono, oppure un’accusa a chi non si accorge del mondo reale.
Ripensando al dialogo ascoltato tra Ramona e Jep ci rendiamo conto che in tutta questa storia manca l’Amore, anzi esso è negato, o addirittura respinto anche a 19 anni, il ricordo di labbra dal profumo di fiori.
[+]
Seconda parte
In uno di questi locali Jep Gambardella preferirà a Romano (Carlo Verdone) Ramona (Sabrina Ferilli); sembra solo un gioco di parole tra Romano e Ramona, ma la differenza c’è e come!
Entrambi bravissimi nei propri ruoli, diversamente delusi dalla vita.
Nel baccano assordante, nella confusione più totale si nasconde la voce della propria coscienza. Viviamo un periodo di solitudini estreme, di povertà d’ogni genere ed il regista ha voluto mostrarci un mondo irreale, tenuto conto dei tempi che corrono, oppure un’accusa a chi non si accorge del mondo reale.
Ripensando al dialogo ascoltato tra Ramona e Jep ci rendiamo conto che in tutta questa storia manca l’Amore, anzi esso è negato, o addirittura respinto anche a 19 anni, il ricordo di labbra dal profumo di fiori.
La luna, che pur si vede, le stelle ed il venticello de Roma non hanno alcun effetto sul protagonista che si avvia al tramonto dicendo “Ho una mezza idea di riprendere a scrivere“, a 65 anni dopo 40 anni ! La famiglia degli scrittori lo ha rifiutato.
Lo spettacolo si chiude religiosamente. Una cena offerta ad una notissima figura, presentataci come la Santa (Giusi Merli ne riveste i noti panni con ammirabile partecipazione),con l’invito. dietro lauto compenso, esteso ad una nota coppia di nobili, è solo il pretesto di ricavarne una intervista esclusiva. Si torna quindi al tema principale della storia, una presa in giro di improvvisati scrittori e giornalisti, spietati, se vogliamo, e disposti a tutto per uno scoop.
Nella cena ed in quel che segue c’è il contrappasso al lusso ed alla lussuria, allo spreco
e all’indifferenza dinanzi ad un mondo in cui domina la fame, al disinteresse di un alto prelato. Maria la Santa, ben identificata nella storia più recente, risponde infatti al giornalista Jep Gambardella, “Io ho sposato la povertà e la povertà la si vive non la si racconta”. Ma ancora, lei povera, vecchia e bassa a 104 anni salirà in ginocchio la Scala Santa. Questa è la grande Fede che siamo invitati ad avere per affrontare con la vita anche il futuro; questa, la Fede, la vera nostra Grande Bellezza.chigi
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a luigi chierico »
[ - ] lascia un commento a luigi chierico »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
lonely
|
giovedì 6 marzo 2014
|
il sacro e il profano
|
|
|
|
La Grande Bellezza, mi è piaciuto, e tanto, ho anche pianto, e non me ne vergogno, all’ultima scena,
sulle rive di quel fiume che scorre lento nel cuore di una città tanto bella, ma marcia fino al midollo.
Il film, non è una storia, non è un racconto con un principio, uno svolgimento e una fine;
il film denuncia il contrasto tra la bellezza di questo paese e la vacuità della gente che lo rappresenta.
Jep Gambardella è un critico cinico e disilluso alla disperata ricerca di qualcuno che abbia qualcosa da dire,
da raccontare, di qualcuno che gli sappia descrivere una sensazione, un’emozione: cerca una persona vera.
[+]
La Grande Bellezza, mi è piaciuto, e tanto, ho anche pianto, e non me ne vergogno, all’ultima scena,
sulle rive di quel fiume che scorre lento nel cuore di una città tanto bella, ma marcia fino al midollo.
Il film, non è una storia, non è un racconto con un principio, uno svolgimento e una fine;
il film denuncia il contrasto tra la bellezza di questo paese e la vacuità della gente che lo rappresenta.
Jep Gambardella è un critico cinico e disilluso alla disperata ricerca di qualcuno che abbia qualcosa da dire,
da raccontare, di qualcuno che gli sappia descrivere una sensazione, un’emozione: cerca una persona vera.
Ma la sua è una ricerca vana perchè il suo diventa un peregrinare tra una mischia di personaggi apparentemente senza senso,
ma che rappresentano in verità uno spaccato della nostra società moderna.
Gente che vuole apparire a tutti i costi, perchè è solo questo quello che conta,
e non quello che ha da dire, soprattutto perchè non ha niente da dire.
Gente che non vede oltre il proprio naso, che è sempre pronta a giudicare tutto e tutti, senza sapere, senza conoscere.
Gente che pensa solo ai propri interessi.
Gente che non distingue più il bene dal male, il brutto dal bello.
Gente che è così vuota da stonare fortemente con la straordinaria bellezza dei luoghi della città,
che a chi la vede per la prima volta può far venire un malore per tanto splendore, proprio come al giapponese all'inizio del film.
Il profondo senso di solitudine che esce da questo film è devastante.
Questo risulta essere un popolo profondamente colpito nelle sue fondamenta: l’umanità.
E non c’è giustificazione a questo, e non c'è rimedio.
Oramai la superficialità e l'egoismo imperano, e sembra essere un processo irreversibile.
Io l'italiano medio, purtroppo, lo vedo proprio così, come Buccirosso appoggiato alla base del cubo della discoteca,
che guarda la ballerina sopra di lui e con uno sguardo viscido e allucinato le urla:"te chiavasse!"
La fotografia è talmente splendida che essa stessa è già il messaggio del film.
Quella contrapposizione tra sacro e profano è profonda e culturale, nelle immagini, nei dialoghi e nelle musiche.
Gli attori sono tutti bravissimi, ma naturalmente Servillo svetta, come sempre.
Sinceramente mi ha fatto un po’ tenerezza il bravo Sorrentino, quando nel ricevere il Golden Globe,
in un inglese maccheronico , dice : “Italia is a country in crisis, but beauty!”
Forse nemmeno lui che l'ha rappresentata così bene, sa quanto sia profonda quella crisi!
[-]
[+] natura non facit saltus
(di diletta di donato)
[ - ] natura non facit saltus
|
|
|
[+] lascia un commento a lonely »
[ - ] lascia un commento a lonely »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
mike c.
|
giovedì 6 marzo 2014
|
uno sprazzo di bellezza per il cinema italiano.
|
|
|
|
Era da molto tempo che non si parlava così tanto di un film, e questo è buono. E sui social leggo tanti commenti su "La grande bellezza", troppi. C'è chi vuole andarci a cercare per forza lo specchio di una società decadente o il vuoto di una categoria snob che non appartiene ai più e quindi non rappresenta il volgo, chi lancia accuse di scopiazzamenti di ogni sorta. C'è chi per forza vuole cercare una trama, una storia.
[+]
Era da molto tempo che non si parlava così tanto di un film, e questo è buono. E sui social leggo tanti commenti su "La grande bellezza", troppi. C'è chi vuole andarci a cercare per forza lo specchio di una società decadente o il vuoto di una categoria snob che non appartiene ai più e quindi non rappresenta il volgo, chi lancia accuse di scopiazzamenti di ogni sorta. C'è chi per forza vuole cercare una trama, una storia... ma questo è un film per chi è "destinato alla sensibilità" e vuole andare oltre. The Great Beauty ha vinto l'Oscar per un motivo, a mio avviso: è un film unico nel suo genere, protagoniste della storia sono la bellezza fugace e l'anelata grande bellezza, e non Jep Gambardella con la sua combriccola di snob, egli è solo un funzionale strumento che il regista regala ai nostri occhi, peraltro in una magistrale interpretazione. Direi inoltre, sul piano tecnico, che il film gode di una eccellente fotografia, di una colonna sonora emozionante e spicca soprattutto per la grande qualità del montaggio, distante anni luce dallo standard italiano e gli americani se ne sono accorti perché non è che un film vince l'oscar solo per la sua storia. Chi critica il film si rende conto di come sia solitamente effettuato il montaggio in Italia? Una su tutte la scena del ragazzino col pallone: fantastica, spezza la storia e la porta su tutt'altro campo con un salto che è egli stesso pura bellezza cinematografica. E infine è oltremodo evidente la volontà del regista di dirigere un film incentrato per la maggior parte sul nulla, e chi vuole può muovere la critica al regista che il film non parli di nulla, ma così facendo si perde tutti "gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza". E' molto facile alzarsi dal divano e criticare una sublime opera d'arte tanto siamo abituati all'industriale quantità di immondizia che ci viene propinata. In fondo, forse, siamo troppo impegnati a badare alla forma piuttosto che alla sostanza...ma ne La Grande Bellezza forma e sostanza si fondono e chi ha occhi per guardare sa restarne davvero ammaliato. State ancora li a cercare di analizzare le vite di questi artistoidi ai vertici della mondanità? Fermi un attimo, è molto probabile che Sorrentino abbia scelto questo contesto proprio perché noi, plebe, pensiamo che chi sia ricco e facoltoso non abbia nulla da invidiarci. Ma il messaggio è chiaro ed è che siamo tutti sulla stessa barca e tutti abbiamo qualcosa da invidiare al capitano, ignari di quante siano le cose che il capitano invidia a noi. Ci sarebbe da parlare una vita sopra questo film ma mi fermo qua.
Grazie Jep, ora, ogni giorno, quando cammino in questa meravigliosa città che è Roma, so di non essere il solo a cogliere il profondo significato di alcune piccoli grandi bellezze che sanno manifestarsi ai nostri occhi, come un buffo cane trascinato dal guinzaglio avvolgibile del padrone, come la vista dal Gianicolo in questa meravigliosa giornata di Sole, come i mutevoli disegni in cielo degli stormi. In una nazione che vortica nel buco nero della decadenza culturale ed economica è bello sapere che c'è qualcosa che il mondo ci invidia: la sensibilità. Per chi ancora se lo chiede secondo me è questo il motivo per cui il film ha vinto l'Oscar. Perchè tra uno sprazzo di bellezza e l'altro esiste solo "lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile", questo siamo... con il nostro sogno utopico di grande bellezza nell'anima. E poi, c'è chi non è destinato alla sensibilità...
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a mike c. »
[ - ] lascia un commento a mike c. »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
burton99
|
mercoledì 22 gennaio 2014
|
finalmente un film italiano da ricordare a lungo
|
|
|
|
Jep Gambardella è un sessantacinquenne. Ha vissuto di rendita per tutta la sua vita dopo la pubblicazione del suo primo romanzo. La sua esistenza scorre tra festini colmi di falsi intellettuali e persone poco raccomandabili, discoteche, salotti culturali, sullo sfondo di una Roma che bella com'è diventa il contraltare di questo mondo di carta.
Il film è volutamente lento, fatto di immagini, parlato pochissimo, antinarrativo. Il percorso che segue è infatti un racconto per immagini delle ambiguità della cultura moderna, l'arte, la letteratura, molto altro. Sorrentino inoltre mostra una serie di personaggi senza esprimere un punto di vista, ma facendo comprendere dai loro racconti, dai loro gesti, da come si comportano cosa meritano.
[+]
Jep Gambardella è un sessantacinquenne. Ha vissuto di rendita per tutta la sua vita dopo la pubblicazione del suo primo romanzo. La sua esistenza scorre tra festini colmi di falsi intellettuali e persone poco raccomandabili, discoteche, salotti culturali, sullo sfondo di una Roma che bella com'è diventa il contraltare di questo mondo di carta.
Il film è volutamente lento, fatto di immagini, parlato pochissimo, antinarrativo. Il percorso che segue è infatti un racconto per immagini delle ambiguità della cultura moderna, l'arte, la letteratura, molto altro. Sorrentino inoltre mostra una serie di personaggi senza esprimere un punto di vista, ma facendo comprendere dai loro racconti, dai loro gesti, da come si comportano cosa meritano. La Roma che fa da sfondo è tanto meravigliosa quanto glaciale da esprimere il titolo del film: "La grande bellezza". Una bellezza falsa, che non esiste.
Interpretazione monumentale di Toni Servillo. Verdone e Ferilli credibili e in parte. Alcune scene: Carlo Verdone che ammette che "Roma lo ha molto deluso"; quella dei fenicotteri sulla terrazza; la scena finale, che esprime il concetto per cui "Le radici sono importanti". E' da lì che nasce tutto. Pellicola di grande impatto visivo, probabilmente sarà un film che, in male o in bene, verrà ricordato.
Candidato all'Oscar come miglior film straniero.
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a burton99 »
[ - ] lascia un commento a burton99 »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
pura formalit�
|
sabato 15 febbraio 2014
|
la grande bellezza
|
|
|
|
La Grande Bellezza
Tanto per cominciare posso dire che non me lo aspettavo.
Penso di aver passato i primi 15 minuti del film a bocca aperta.
[+]
La Grande Bellezza
Tanto per cominciare posso dire che non me lo aspettavo.
Penso di aver passato i primi 15 minuti del film a bocca aperta.
A poco a poco assistevo a qualcosa che sapeva certamente di già visto, ma allo stesso tempo ero certa di non avere mai visto in Italia nulla di simile finora.
Palesi, certo, i continui richiami a Fellini, soprattutto a Giulietta degli Spiriti, e naturalmente alla Dolce vita... eppure c'è anche qualcosa di completamente diverso: sembra infatti di assistere alla vita dei reduci della Dolce vita.
Sebbene Servillo sia bravissimo ma sempre un pò rigido, sebbene Herlitzka non si possa più vedere (è impostato da attore consumato anche mentre racconta le ricette), sebbene ci sia qualche calo di ritmo, e qualche scena un poco forzata (come quella della bambina nella cripta che dice a Servillo "non sei nessuno" e quella del botulino di gruppo - che trovo comunque pur sempre richiami Giulietta degli Spiriti), questo film è un film da vedere, anzi, direi addirittura da rivedere. I particolari, i contrasti esasperati anche dalle scelte musicali particolarmente azzeccate, le citazioni, le riflessioni, sono tante. Il virtuosismo lussureggiante della fotografia e della regia può forse sembrare presuntuoso e può far pensare che il tutto sia un pò troppo patinato; ma la qualità, trovo, non è mai da sminuire quando la si può avere a disposizione e soprattutto quando è efficace per il contesto della narrazione e per l'espressività del fine. Per una volta il livello di qualità delle immagini e immaginifico è al pari se non superiore a quella dei migliori film internazionali e ciò trovo sia ben fatto, così come è motivo di orgoglio la messa in mostra di Roma con ostentata fierezza. E come dare torto a Sorrentino? Roma è la più bella città del mondo, la più ricca di angoli particolari, scorci mozzafiato, pezzi di storia, cultura antica, sapienza e bellezza ancor nascosta, ritrovata o esposta.
La scena dei fenicotteri (che non posso raccontare per chi legge e non ha visto il film) mi ha fatto venire la pelle d'oca. E' un momento di onirica contemplazione, di riflessione, di profondità molto toccante. Può sembrare assurda, ma non potrebbe esser sembrato assurdo anche Fellini, quando Anita Ekberg dal cartellone pubblicitario invitava De Filippo fra i suoi opulenti seni? Eppure era poesia. Poesia che ne La Grande Bellezza, non manca di certo.
Certo, c'è da andare con i guanti di seta a paragonare Fellini a qualsiasi altra cosa sia stata fatta dopo di lui, e che lo richiami. Eppure... eppure... "le radici sono importanti". Le radici del nostro cinema, le radici della nostra cultura, della nostra anima, della nostra famiglia, della nostra vita sentimentale, sessuale, sociale.
Misurarsi con le proprie radici, raccontare, svelare la miseria, il chiacchiericcio che ricopre ogni cosa, lo squallore e la superficialità, le emozioni e gli "sparuti incostanti sprazzi di bellezza"; toccare le radici, i nodi della nostra anima, quelli che non permettono al flusso delle emozioni di scorrere liberamente, quelli che non ci consentono a volte di vedere la bellezza davanti ai nostri occhi... quei nodi induriti dal tempo, per una bellezza negata, per un momento di purezza tradito agli occhi della memoria, scavare nei sentimenti di ognuno di noi: perché quella grande bellezza è in ognuno, ognuno di noi può viverla e vederla ...
Narrare la grande bellezza, non è certo facile compito.
Ma trovo che Sorrentino questa volta sia riuscito nel suo intento.
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a pura formalit� »
[ - ] lascia un commento a pura formalit� »
|
|
d'accordo? |
|
|
|
noodles76
|
giovedì 6 marzo 2014
|
decadenza e amore sopra il colosseo.
|
|
|
|
2 motivi per capire e amare "La Grande Bellezza"
DECADENZA [+]
2 motivi per capire e amare "La Grande Bellezza"
DECADENZA
È assolutamente normale che un film del genere non piaccia, anche per me ci sono state delle scelte discutibili (qualche scena di troppo o troppo dilatata). Il film è grottesco, volutamente (e io aggiungerei in un modo perfetto), i personaggi sono pacchiani, falsi e ipocriti, volutamente, ma falsi non perché sono finti, sono falsi come sintomatologia esistenziale, estremamente costruiti e Sorrentino per me vuole dire che è quello che nella società vince, mentre il personaggio della Ferilli, incredibilmente vera e destrutturata, perde e muore. L’eccessivo cinismo è un atto di accusa. Jep accusa la sua collega borghese senza mai chiamarsi fuori o elevarsi da quel magma di "chiacchiericcio sotto cui tutto è sepolto", anzi ripete esplicitamente che sono tutti parte di uno stesso gioco, lui sa semplicemente giocare meglio, ed è splendidamente onesto in questo, lo sa, ne è sempre stato cosciente ed ora è stanco, proprio da questo muove tutto il film. Le citazioni a Fellini, alla dolce vita, sono volutamente forzate proprio per crearne un parallelo e innescare un dialogo tra due realtà eccessive e decadenti a distanza di 50 anni. Ma di più ancora: di riflesso alle immagini della Roma imperiale, mi piace pensare che il regista volesse raccontare una decadenza atemporale, che può essere di tutti i periodi storici "decadenti" e ne approfondisce l’analisi nella fattispecie del rapporto cultura-potere-società-clero. Poi il fatto di fare le macchiette, ma come si fa?! E' la cosa più vera che c’è in Italia, è in minima parte nel DNA di tutti noi, soprattutto nella rappresentazione, dalla commedia dell’arte. Io ho apprezzato la messa in scena di quella contraddizione tipica del nostro paese (o di una parte, almeno) che accosta tanto bello a tanto marcio, e per me dipinge la nostra realtà meglio di chiunque altro regista ci sia in circolazione adesso.
AMORE
"La Grande Bellezza" non parla solo di vacuità, superficialità e mondanità (e già questo basterebbe per dar un senso al film). E non è un film fine a stesso o senza sceneggiatura (come ho letto su molti posti).
Credo che a molti sia sfuggito il fulcro del film: la vera essenza di questa opera risiede, soprattutto, nel percorso interiore e visivo del suo disincantato e disamorato protagonista, Jep Gambardella. E' la storia di un uomo che parte in un modo e termina in un altro; il quale partecipa a delle feste vuote e mondane perchè deve reprime la perdita e l'abbandono di un amore. E' lui l'unico vero protagonista della storia. Il resto è tutto contorno e chiacchiericcio. E' distrazione.
Un uomo che cerca di non pensare, di non prendersi sul serio per non far riemergere le sue mancanze e paure. E' un uomo - fondamentalmente - solo che si fa avvolgere dalla poesia di Roma per soffocare i ricordi e la malinconia che lo pervadono.
Che immagina il mare sul suo soffitto, e non perchè desidera scappare ma perchè la mente lo riporta dove tutto è iniziato.
E' l'unico, tra la folla, ad accorgersi ancora della grande bellezza e potenza di Roma.
La grande bellezza non è altro che una ricerca, una scoperta e un ritorno alle origini, alla scrittura. Nella monologo finale c'è il significato di tutta la storia: "Finisce sempre così. Con la morte. Prima però c'è stata la vita, nascosta sotto il bla bla bla bla bla.. E' tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore. Il silenzio e il sentimento. L'emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza, e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile. Tutto sepolto dalla coperta dell'imbarazzo dello stare al mondo. Bla bla bla bla.. Altrove c'è l'altrove. Io non mi occupo dell'altrove. Dunque, che questo romanzo abbia inizio. In fondo, è solo un trucco. Si, è solo un trucco."
"La Grande Bellezza" è vita che si racconta, che viviamo direttamente e indirettamente e che tocchiamo, tutti i giorni. E' un monito a tirarci fuori dalla mischia e a guardarci allo specchio. Che si odi o che si ami, è vita. Io, l'ho amata.
[-]
|
|
|
[+] lascia un commento a noodles76 »
[ - ] lascia un commento a noodles76 »
|
|
d'accordo? |
|
|
|