La grande bellezza |
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Un film di Paolo Sorrentino.
Con Pamela Villoresi, Franco Graziosi, Pasquale Petrolo, Serena Grandi, Maria Laura Rondanini.
continua»
Drammatico,
durata 150 min.
- Italia, Francia 2013.
- Medusa
uscita martedì 21 maggio 2013.
MYMONETRO
La grande bellezza
valutazione media:
3,36
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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che spreco, la bellezza.di blufontFeedback: 415 | altri commenti e recensioni di blufont |
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giovedì 30 maggio 2013 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Se La Grande Bellezza voleva essere un film sul niente, allora il film è ben riuscito. Sorrentino si cimenta, come il più volte citato Balzac, nella titanica impresa di descrivere il niente, il vuoto di una vita, quella di Jep e dei suoi amici (o meglio, conoscenti), di una città millenaria della cui potenza è rimasto solo un meraviglioso guscio di marmo, di una società priva di interessi, di ideali, di idee, di estetica. Vuoti sono i discorsi, vuote sono le relazioni, buone appena a farsi compagnia nelle calde notti romane, vuoti sono i palazzi, abitati solo dai fantasmi di una nobiltà di cui non è rimasto che il nome, da affittare ad ore per una cena mondana. In questo niente, a volte ci resta solo la Grande Bellezza, a Roma così sfacciatamente manifesta in ogni scorcio eppur difficile da cogliere come l’ago in un pagliaio. La bellezza che spesso ci circonda, ci inonda dall’alba al tramonto ed oltre, ma che in pochi sanno trovare, e si spreca giorno dopo giorno, senza però consumarsi mai. L’alba sul Gianicolo, con cui si apre il film (la cui magia mi fa pensare a Respighi), è uno spettacolo talmente mozzafiato da uccidere un turista giapponese, ma l’élite romana non l’ha mai vista, perché preferisce sballarsi tutta la notte tra musica assordante, alcool, sesso e droga. Nella città del Rinascimento, oggi passa per arte la tela imbrattata da una ragazzina isterica e viziata, per intellettuale chi ha scritto un unico romanzetto giovanile, per attore impegnato chi prende a testate un muro. Nella città di San Pietro persino la religione non ha più un posto: i cardinali si sottraggono al loro ruolo di guida spirituale, le suore ammiccano a nerissimi capi tribali in perizoma, i santoni sono personaggi di carta velina raggrinzita. Nè si salva la bellezza del corpo: la venere plastica del Dio botulino, propinata in serie in una catena di montaggio, svuota le tasche e annulla l’identità; e anche chi è dotato da madre natura (Sabrina Ferilli, Isabella Ferrari) non è immune dalla solitudine, dalla malattia, dall’infelicità e dall’abbandono. Per ironia della sorte, la donna più serena del film sembra proprio quella cui la bellezza è stata negata: la direttrice del giornale per cui lavora Jep. La bellezza, allora, è più sorbire un brodino con lei, deforme ma buona amica, piuttosto che una serata vuota con bella donna di mezza età. La bellezza volgare delle centinaia di donne che animano le feste svanisce di fronte all’incontro fugace con Fanny Ardant per via Veneto, che presta la sua eleganza per uno splendido cameo. Servillo incarna egregiamente il dandy stanco che si trascina nelle notti romane sotto i cui occhi scorre la felliniana carrellata di personaggi (a volte eccessivamente caricaturali). Sorrentino sfrutta al massimo le risorse della scenografia più bella del mondo, accarezzando Roma in tutti i momenti del giorno e della notte, giocando con luci ombre e suoni (dall’acqua delle fontane alle lingue straniere delle badanti) e creando momenti di vera poesia, per poi riversare nelle sue strade lucide e sulle terrazze l’élite cafona che non merita una tale eredità dal passato. Qualche minuto in meno di vacue conversazioni, e una mezzoretta in meno di “niente”, avrebbero forse giovato alla fruizione globale dell’opera, senza peraltro nulla toglierle. Per il resto, un bel film che ci ricorda che il cinema italiano non è solo commedia.
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