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Harry Dean Stanton

Harry Dean Stanton. Data di nascita 14 luglio 1926 a West Irvine, Kentucky (USA) ed è morto il 15 settembre 2017 all'età di 91 anni a Los Angeles, California (USA).

Voglio ballare con Harry Dean

A cura di Fabio Secchi Frau

Storico caratterista dal volto unico e inconfondibile, Harry Dean Stanton doveva tutta la sua fama a quell'aspetto scarno e consumato che lo rese riconoscibile agli occhi del grande pubblico, permettendogli di lavorare in oltre cento film e oltre cinquanta telefilm.
Ma per molti anni, interpretò personaggi di poco conto (spesso accanto a Ed Begley Jr.). Furono anni durante i quali fu difficilissimo che qualcuno ricordasse il suo nome e che lo portarono a odiare quel periodo della sua vita, perché malsopportava essere stereotipato nei ruoli rudi e arrabbiati di mandriani e cowboy che, in breve tempo, gli crearono una situazione professionalmente limitante.
Un fenomeno che accade spesso ai caratteristi dell'industria cinematografica e dal quale molti pochi riescono a fuggire, se non con grande sforzo o un grande colpo di fortuna.
Purtroppo, Stanton non poté fare altro che accettare la realtà lavorativa che gli si profilava, visto che aveva tutta l'intenzione di continuare a lavorare sul grande e sul piccolo schermo, nonostante tutto. E se questo era quello che i produttori volevano da lui, lo avrebbero avuto.
Quello che però nessuno si sarebbe aspettato fu che l'arrivo del 1984 avrebbe portato, dopo decenni di una carriera da attore di secondo piano, al suo primo ruolo da protagonista in Paris, Texas.
Da quel momento, la sua vita venne segnata da una deviazione significativa verso una nuova traiettoria, lavorando con cineasti di fama mondiale, spaziando dai primi teen drama fino agli ultimi thriller psicologici, gigioneggiando in simpatici cammei negli action blockbusters più popolari e sottolineando la sua formidabile versatilità, pur mantenendo la sua identità artistica.
Uomo smunto dall'anima malconcia, fu uno spirito irrequieto e anticonformista anche fuori dal set. Uno dei suoi migliori amici, lo scrittore e regista David Lynch, disse di lui che era un grande essere umano, oltre che un grande attore (confermando questo giudizio anche nel documentario del 2012 Harry Dean Stanton - Partly Fiction). Mentre uno dei più importanti critici della storia del cinema, Roger Ebert, dichiarò che nessun film con Harry Dean Stanton o M. Emmet Walsh in un ruolo secondario poteva essere del tutto negativo.
Elogiato come vero professionista dai registi e dai suoi colleghi, innalzato a uomo ideale col quale ballare da una vecchia canzone Anni Ottanta, era noto per la sua meticolosa preparazione e per la sua personalità accomodante e adattabile alle variazioni improvvise che poteva prendere una sceneggiatura.
Harry Dean Stanton fu, insomma, tante cose: un figlio della Depressione (classe 1926), un veterano della Seconda Guerra Mondiale, un beatnik, un trovatore, un'icona hipster, un membro di quel canone d'élite di interpreti che portavano un certo tocco, un senso di autenticità vissuta a qualsiasi personaggio avessero per le mani.
Diventato una vera icona culturale americana dell'industria hollywoodiana, fu capace di trasmettere una buona dose di simpatia e di concretezza ai tanti criminali minacciosi che interpretò e a tutti quelli outsider, assidui frequentatori di bar, dietro i quali bicchieri si nascondevano quel suo volto spigoloso e quella sua corporatura esile e segnata.
Inevitabile, secondo tanti, la evoluzione da attore a musicista (era cresciuto circondato dalla musica). Passaggio che lo trasformò definitivamente in una leggenda immortale.
Quando morì, all'età di 91 anni, lasciò dietro di sé un'eredità immaginifica ricca e magica e un testamento filmico: Lucky, all'interno del quale dimostrò che, alla fine, si finisce per accettare tutto nella propria vita. Ogni sofferenza, ogni orrore, ogni amore, ogni perdita, ogni odio. Tutto. Il suo più grande insegnamento nel clogging della vita.

La famiglia
Nato a West Irvine, in Kentucky, nel 1926, Harry Dean Stanton era figlio di un coltivatore di tabacco e barbiere, con il quale ebbe un rapporto molto teso per come l'uomo trattava sua madre, una cuoca. La relazione tra marito e moglie fu talmente difficile che i due divorziarono quando Stanton era appena un liceale, costruendo altre famiglie con successive unioni. Per questo, Stanton crebbe coi due fratelli minori e un fratellastro, nella casa materna, facendoli appassionare alla musica, in particolare al blues.

Cantare e recitare sono la stessa cosa
Dopo essersi diplomato alla Lafayette High School, studiò giornalismo all'Università del Kentucky, sebbene ancora molto indeciso se intraprendere la carriera di scrittore, attore (partecipava a uno spettacolo teatrale itinerante per bambini newyorkesi) o cantante. Aveva però sempre sostenuto che cantare e recitare fossero due attività molto simili. A suo dire, tutti potevano cantare e chiunque poteva diventare un attore cinematografico, perché tutto quello che si doveva fare era imparare. Lui aveva imparato a cantare da bambino quando, per la sua babysistter diciottenne, intonava una vecchia canzone di Jimmie Rodgers "T for Thelma". Quanto al recitare, ripeteva spesso che fu l'arte drammatica a sopraffarlo e a costringerlo a seguirla.
Con l'arrivo della Seconda Guerra Mondiale, prestò servizio come cuoco nei marines (anche se combatté nella battaglia di Okinawa) e, a conflitto finito, tornò al college, formandosi sotto Wallace Briggs, direttore del Guignol Theatre, che gli consigliò caldamente di abbandonare gli studi universitari e seguire la via del palcoscenico. Prestando orecchio al suggerimento, Stanton partì per la California, entrando nella compagnia teatrale della Pasadena Playhouse e facendo tournée con Dana Andrews e Tyler MacDuff.

Il duro mestiere del caratterista da western televisivo
Fu l'arrivo della televisione nelle tante case degli statunitensi ad aiutarlo a sbancare il lunario.
Il suo primo ruolo nel piccolo schermo fu all'interno di una puntata ("Hour of Darkness") del telefilm horror Inner Sanctum, dove ebbe occasione di recitare accanto al Premio Oscar Jo Van Fleet. Era il 1954.
Apparve anche in Suspicion (1957) e Panico (1958), restando sempre sul filo del mystery, fino a quando non cominciò a prendere parte anche a telefilm western e polizieschi della fine degli Anni Cinquanta (Le avventure di Rin Tin Tin, U.S. Marshal, The Further Adventures of Ellery Queen, The Texan).
Negli Anni Sessanta, proseguì la sua carriera di caratterista, consolidandola attraverso piccoli personaggi in Alfred Hitchcock presenta (1960), I racconti del West (in ben quattro episodi dal 1958 al 1961), Gli intoccabili, Lotta senza quartiere (1962), Scacco matto (1962), il mitico Bonanza, Gli uomini della prateria (1959-1965), Il fuggiasco (1965), La grande vallata (1966), Selvaggio West (1967), Ai confini dell'Arizona (1968), Il virginiano (1968), Il grande teatro del West (1967), Gunsmoke (1958-1968), Reporter alla ribalta (1968) e Il giovane Maverick (1979-1980).
Nel 1966, recitò nel suo primo film tv, I giorni della paura e non si lasciò scappare neanche alcune sitcom come The Andy Griffith Show (1967), Mary Hartman, Mary Hartman (1976-1977) e Laverne & Shirley (1982).

Non più caratterista
Dopo il 1984, però cambiò tutto. Il successo cinematografico si ripercosse anche nella dimensione televisiva e così eccolo come protagonista della fiaba "Rip Van Winkle" nel telefilm per bambini, prodotto da Shelley Duvall, Nel regno delle fiabe (1987), accanto a Talia Shire, Roy Dotrice, l'amico Ed Begley Jr., Christopher Penn, Tim Conway e John P. Ryan, diretto nientemeno che da Francis Ford Coppola.
Seguì poi una certa e dovuta latitanza, giacché gli impegni del grande schermo divoravano tutto il suo tempo. Di conseguenza, le apparizioni catodiche si fecero più sporadiche (Due uomini e mezzo, Chuck, Getting On), fino a ricoprire il ruolo chiave del profeta carismatico e autoritario di una comunità poligama, Roman Grant, in tutta la serie tv Big Love, dal 2006 al 2010.
Chiuse riprendendo il personaggio di Carl Rodd nel revival della serie Twin Peaks dell'amico Lynch (lo aveva già interpretato in Fuoco cammina con me).

Il debutto cinematografico
Il debutto cinematografico arrivò invece in La pista dei Tomahawks, diretto da Lesley Selander, nel ruolo di un soldato, anche se il film arrivò nelle sale solo nel 1957. Intanto, aveva già preso parte a un altro film di Selander, Rivolta a Fort Laramie, e a Il ladro (1956) di Alfred Hitchcock.
Il genere western (L'orgoglioso ribelle di Michael Curtiz, I ribelli del Kansas, Le colline blu, Assalto finale, L'ultimo colpo in canna) continuò a portargli fortuna, permettendogli di lavorare con personaggi del calibro di Jack Nicholson, George Hamilton, Alan Ladd, Olivia de Havilland, Harrison e Glenn Ford nella prima metà della sua carriera, anche se cominciò ad attirare l'attenzione solo a metà degli Anni Sessanta, quando impostrò un suo caratteristico stile di recitazione, che qualcuno aveva già notato in Nick mano fredda (1967) di Stuart Rosenberg con Paul Newman, George Kennedy e di nuovo con Jo Van Fleet, e Dillinger (1973), diretto dall'allora esordiente John Milius.
Nel primo, fu uno dei detenuti che circondavano quel Cristo dagli occhi azzurri di Newman, dove ebbe anche la possibilità di far sentire la sua voce piena di sentimento da quanrantunenne con il volto da bambino, cantando "Just a Closer Walk With Thee", nella scena in cui Nick dice addio alla madre morente. Rosenberg gli regalò un primo piano mentre gorgheggiava "If I falter, Lord, who cares?".
Il secondo porterà Milius a volerlo fortemente anche per Alba rossa (1984), ammettendo che non aveva conosciuto nessuno che si approcciasse a un personaggio con così tanta passioen e con un tale livello di assoluto convincimento.

Legge e fuorilegge
Cinematograficamente specializzato nei ruoli di soldati e poliziotti oppure nel loro contrario, quei malavitosi e piccoli criminali che non aspettano altro che approfittare del prossimo per un qualche tipo di rivalsa, impreziosì titoli come Gli evasi del terrore (1958), 38° parallelo: missione compiuta (1959) di Lewis Mileston, Le avventure di Huck Finn (1960), di nuovo diretto da Curtiz), L'isola della violenza (1962), Il piede più lungo (1963), I guerrieri (1970) e Per 100 chili di droga (1972).
Ottimo in La calda notte dell'Ispettore Tibbs (1963) di Norman Jewison, verrà diretto da un giovanissimo Terrence Malick in uno dei suoi primi cortometraggi Lanton Mills (1969), poi sarà spesso inserito e fortemente voluto da registi come Monte Hellman e da William A. Graham, continuando a lavorare senza sosta anche in pellicole non particolarmente riuscite (Una donna chiamata moglie, Scandalo al ranch, Marlowe, il poliziotto privato, 92 gradi all'ombra, Vigilato speciale, L'ospedale più pazzo del mondo).
Intanto, Sam Peckinpah (Pat Garrett e Billy Kid), Francis Ford Coppola (Il padrino - Parte II e Un sogno lungo un giorno), Ridley Scott (Alien, dove cadde vittima di uno Xenomorfo dopo aver seguito il gatto Jonesy nelle profondità dell'astronave), Arthur Penn (Missouri), Mike Nichols (Due uomini e una dote), John Huston (La saggezza nel sangue) lo imposero spesso nei loro capolavori, mentre lui faceva amicizia con sceneggiatori come Sam Shepard e cantanti come Bob Dylan (che lo vorrà nel suo film Renaldo e Clara), Willie Nelson e Kris Kristofferson.

Il primo ruolo da protagonista a 58 anni
Non diserterà nemmeno i nuovi registi europei, come quando Bertrand Tavernier lo vorrà in La morte in diretta (e più tardi similmente farà lo stesso Agnès Varda per Cento e una notte e con Paolo Sorrentino in This Must Be the Place).
E su questa rigeneratrice ondata d'interesse verso di lui che veniva dal Vecchio Continente, come già preannunciato, nel 1984 arrivò la performance rivelazione che lo celebrò come uno dei migliori attori al mondo, grazie allo straziante e profondamente americano road movie di Wim Wenders Paris, Texas, all'interno del quale Stanton interpretò magistralmente la parte di un uomo, Travis, che intraprendeva un viaggio nel tentativo di ricostruirsi una sua famiglia.
Si trattava del ruolo di una vita. Una parte che vedrà Stanton al suo massimo grado di vulnerabilità. Shepard stesso ebbe a dire che il personaggio era molto impegnativo, soprattutto perché Stanton doveva interpretarlo rimanendo in gran parte in silenzio, ma portando comunque allo spettatore il ritratto di un'anima persa e distrutta che cercava di rimettere insieme la sua vita e di riunirsi alla sua famiglia, dalla quale si era separato, scomparendo, anni prima.
L'attore riuscì a mettere in scena una performance fantastica, nonostante avesse sperimentato un'insicurezza debilitante che non lo faceva sentire all'altezza del compito. Motivo per il quale, ogni sera, Wenders andava a incoraggiarlo tenendogli le mani e guardandolo negli occhi, ma soprattutto ripetendo a cuore aperto che quel ruolo era fatto per lui.

La svolta
In seguito, arrivò la grande svolta della sua carriera e cominciò a essere preso in considerazione anche per ruoli che esulavano da quelli di mero caratterista. Per esempio, quando interpretò il padre single di periferia di Molly Ringwald nel classico di John Hughes Bella in rosa, o quando si frappose nella faida tra Goldie Hawn ed Eileen Brennan in Soldato Giulia agli ordini o quando diventò lo scienziato dell'apocalittico 1997: Fuga da New York di John Carpenter, aggiungendo un ulteriore strato di squallore alla vicenda distopica e dimostrando che qualsiasi ruolo di supporto che potrebbe essere ritratto in maniera monotona si sarebbe trasformato nella sua occasione per sviluppare completamente un'identità. Motivo per il quale, Carpenter lo volle anche in Christine - La macchina infernale (1983).
Martin Scorsese lo inserì nello scandaloso L'ultima tentazione di Cristo (1988) come Paolo di Tarso, mettendogli in bocca prediche fatte a folle radunate attorno a lui. Stanton è perfetto nella parte del discepolo peccatore che avrebbe meritato fuoco e zolfo per aver giocato d'azzardo, per essere andato con le prostitute e per aver bevuto, ma soprattutto per aver perseguitato, torturato e assassinato innocenti, che era diventato però un predicatore sincero, un vero credente, colmo del messaggio di pace di un nuovo messia.

L'altro cult: Repo Man
Ma segnerà la sua carriera anche il cult Repo Man - Il recuperatore (1984) di Alex Cox che, dopo aver miscelato il classico noir hollywoodiano, le prime pellicole punk losangeline e i midnight movies degli Anni Settanta, gli farà impersonare un addetto al recupero crediti di nome Bud, che insegnava all'eroe senza radici, Otto (un buon Emilio Estevez) come rubare auto. Nel film, Stanton incarnò un devoto credente di un nuovo ordine sociale, che faceva sembrare la rovinosa vita dei poveri una vocazione religiosa, snocciolando una delle migliori battute che l'attore abbia mai pronunciato: "Guardate quegli stronzi. Persone normali. Li odio".
Sempre negli Anni Ottanta, lavorò con Kim Basinger e diretto da Robert Altman in Follia d'amore (1985), dove gli venne inaspettatamente riservato il ruolo di un tenero uomo anziano. E dopo Slamdance - Il delitto di mezzanotte e Un gentleman a New York (1988) di Pat O'Connor, venne diretto da Danny Huston in Mr. North, dove l'ambientazione Anni Venti dell'aristocratica Newport, lo trasportò accanto all'esordiente Anthony Edwards, a Robert Mitchum, Anjelica Huston e a Lauren Bacall.

Gli Anni Novanta e il sodalizio con Lynch
Negli Anni Novanta, non escluse i blockbusters (Twister e La quarta guerra di John Frankenheimer) e le commedie (La gatta e la volpe, Giù le mani dal mio periscopio) dalla sua filmografia, mentre si fece più stretta la collaborazione con David Lynch che lo volle nella parte del detective privato di Cuore selvaggio, ma anche in Inland Empire - L'impero della mente e Una storia vera, dove è il ringhioso fratello del protagonista, interpretato da Richard Farnsworth.
A questo si aggiunse il ruolo del serial killer in Mai con uno sconosciuto (1995), che ebbe il pregio di farle conoscere la sua compagna Rebecca De Mornay e un nuovo legame artistico, quello con Nick Cassavetes, che prima lo dirigerà nella commedia romantica She's So Lovely - Così carina (1997) e poi nel più duro Alpha Dog (2006), dove donerà curiose sfumature a un boss suburbano.

Verso l'ultimo film
Negli Anni Duemila, dopo essere stato diretto da Terry Gilliam in Paura e delirio a Las Vegas e da Frank Darabont in Il miglio verde (1999), si immerse nel circuito indie di nuovi registi (Sally Potter con The Man Who Cried - L'uomo che pianse) e colleghi desiderosi di passare alla regia (Sean Penn con La promessa e Nicolas Cage in Sonny), spesso però limitandosi a godibili cammei.
Dopo Tu, io e Dupree (2006) di Anthony e Joe Russo, 7 psicopatici (2021) di Martin McDonagh e The Last Stand - L'ultima sfida (2013) di Kim Ji-Woon, si avviò verso la sua ultima performance, quella di un ateo novantenne in Lucky (2017) di John Carroll Lynch. Un dramma indipendente che ruotava totalmente intorno alla sua presenza ironica, che combaciava perfettamente con quella di un uomo fatto di routine vicinissimo agli ultimi capitoli del romanzo della sua vita. Un'estensione della personalità dell'attore che trovava la sua illuminazione nel finale, soddisfatto per aver portato avanti una vita ben spesa e concedendosi un addio toccante e appropriato a una star della sua stazza.

Doppiaggi
Fu anche doppiatore quando gli chiesero di doppiare Gli orsetti del cuore - Il film (1985) e di affiancare Johnny Depp nel divertente lungometraggio animato Rango, all'interno del quale prestò la voce alla talpa patriarca Balthazar.

Musica
Harry Dean Stanton fu il frontman della Harry Dean Stanton Band.

Vita privata
Harry Dean Stanton non si sposò mai. Ebbe molte brevi relazioni, una in particolare con Rebecca De Mornay, dal 1981 al 1982. Morì per cause naturali il 15 settembre 2017, all'età di 91 anni a Los Angeles, ma volle essere sepolto in Kentucky. Debbie Harry lo celebrò nella canzone del 1989 "I Want That Man" attraverso il verso "I want to dance with Harry

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lunedì 13 agosto 2018
Paola Casella

Quando, lo scorso settembre, Harry Dean Stanton è venuto a mancare, molti, sulla sola base del suo nome e cognome, si sono domandati chi diavolo fosse. Ma dopo aver trovato su Google la sua immagine l'hanno immediatamente riconosciuto: perché Harry Dean Stanton era uno di quei caratteristi che è impossibile dimenticare, con il suo viso lungo e scavato e la sua camminata da cowboy triste. Non è un caso che a regalargli il ruolo della vita, nonché l'ultimo di una carriera durata sessant'anni, sia stato un ottimo caratterista come lui: John Carroll Lynch, il Norman Gunderson del Fargo originale firmato dai fratelli Coen, che ha voluto Stanton - e solo lui - protagonista della commedia laconica Lucky

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