La recitazione l'ha resa una vera e propria donna. Ce la ricordiamo asciutta e diafana, mentre i suoi muscoli guizzavano veloci nella scena di una corsa, o dalle curve scolpite quando veniva frustata. Anima e cuore della Francia, diva per mestiere e attrice per passione. Molto amata, molto brava. Il suo nome è impresso a caratteri d'oro nella storia del cinema. Ambigua e di qualità, sa scegliere (o sa farsi scegliere) da registi come Jacques Demy o Roman Polanski. Luis Buñuel ha inventato, per la sua algida eleganza, i panni di una grande borghese, prigioniera di un'educazione cattolica e repressiva, che cerca la liberazione prostituendosi tutti i pomeriggi e sprigionando la sua elusiva e nevrotica sensualità. Ce l'ha messa su un piatto d'argento e noi, questa Regina Bianca dalla pelle di luna, l'abbiamo voluta a tutti i costi come l'unica Regina delle Nevi d'Oltralpe nella scacchiera della Settima Arte. Ha dominato la classifica delle grandi star del cinema fianco a fianco a grandi nomi. Ha recitato assieme alla pedina Nino Castelnuovo, ha amato l'Alfiere David Bowie e si è accompagnata sovente dal Re Bianco, Gérard Depardieu. È stata la regina dei tabloid, ma anche di importanti cause umanitarie. È diventata l'ambasciatrice del cinema francese e si è saputa imporre come sensuale, enigmatica, disperata, lucida, sbeffeggiante e provocatoria interprete. Ha sedotto Vadim, Truffaut e Mastroianni cambiando la loro vita. Con gli anni, lo splendore dorato di Hollywood la chiama, ma lei non risponde alla missione (che non la esalta) e sceglie la sua Parigi, dove si muove con sicurezza, e lavora sempre moltissimo, anche sul versante glamour. Diceva Truffaut di lei: «...non teme di essere guardata. Teme d'essere scoperta nella sua vera identità».
Le origini
Catherine Deneuve nasce nel 1943, a Parigi. È la terza fra 4 figlie d'arte, i suoi genitori sono gli attori Maurice Dorléac (meglio conosciuto come M. Teynac) e Renée Deneuve. Le sue sorelle sono, infatti, le attrici François, Sylvie e Danielle Dorléac; in particolare con la prima avrà dei grandi contrasti e per distinguersi dalle altre, decide di prendere il cognome di sua madre. Ma sarà proprio François a morire in un indicente d'auto nel 1967: della tragedia, la Deneuve, non parla fino al 1996, quando scrive, assieme ad Anne Andrei e Patrick Modiano il libro "Si chiamava François", dove racconta il tormentato rapporto con la sorella maggiore.
Gli esordi al cinema
A 13 anni, intraprende la carriera cinematografica, largamente influenzata dall'ambiente familiare, debuttando nel 1957, ancora teenager in Les Collégiennes di André Hunebelle, da quel momento in poi seguiranno piccole parti in film mediocri, fino all'incontro con il regista Roger Vadim che si innamorerà letteralmente di lei e la imporrà come nuova attrice del cinema francese Anni Sessanta. Con il regista, la Deneuve avrà anche un figlio: l'attore Christian Vadim, nato il 18 giugno 1963. Molto amica dello stilista Yves Saint-Laurent, ne diverrà la testimonial più affermata.
Dopo essere apparsa nel film a episodi Le più belle truffe del mondo (1963), affianca Jean-Paul Belmondo nella commedia Caccia al maschio (1964), poi si fa dirigere da Roman Polanski nel film a tematiche forti Repulsion (1965). Sono anni felici per l'attrice che lascia Vadim per coronare il suo sogno d'amore con il fotografo e regista David Bailey, con il quale si sposerà il 19 agosto 1965, disgraziatamente il matrimonio non rimarrà in piedi e nel 1972, i due divorziano. Molto amica di Philippe Noiret, recita con lui ne L'armata sul sofà (1965), ma è spesso compagna di set di Michel Piccoli che conosce in Les créatures (1966) di Agnès Varda e rivede con piacere nel musical Josephine (1966, dove recita anche Gene Kelly), nelle commedie Benjamin, ovvero le avventure di un adolescente (1968), La chamade (1969) e soprattutto nel suo film più famoso, lo scandaloso Bella di giorno (1967) di Luis Buñuel, all'interno del quale interpreta un'agiata borghese che per tre ore, dalle 14 alle 17 (da qui il titolo del film e del nome d'arte della protagonista), diventa una prostituta in una casa d'appuntamenti. Glaciale e squisita bellezza, la Deneuve si immerge nella doppia personalità di Séverine, moglie masochista e frigida del medico parigino Pierre Sérizy da un lato e peccaminosa donna di piacere dall'altro.
Le esperienze all'estero
Cominciano anche le prime esperienze all'estero, affianca infatti Ava Gardner e James Mason nel film inglese Mayerling (1968) e non si lascia scappare l'autore emergente del momento, il regista padre della nouvelle vague François Truffaut che, assieme a Jean-Paul Belmondo, le fa interpretare La mia droga si chiama Julie (1969). Si lega particolarmente a Truffaut, con il quale, nonostante il matrimonio con Bailey, ha una lunga relazione. Disgraziatamente, i due non vanno d'accordo e decidono si interrompere il loro rapporto, con delle conseguenze particolarmente pesanti, a livello della salute, per Truffaut che ha un crollo di nervi (quando Truffaut morirà nel 1984 la Deneuve sarà molto solidale con l'ultima partner del regista, l'attrice Fanny Ardant che dal regista aveva avuto una figlia).
L'approdo a Hollywood
Chiamata da Hollywood, la Deneuve recita accanto a Jack Lemmon in Sento che mi sta succedendo qualcosa (1969) e con Ernest Borgnine e Burt Reynolds in Un gioco estremamente pericoloso (1975), ma non è entusiasta dei ruoli che le propongono così decide di tornare alla sua Europa e di mettersi ancora al servizio di Buñuel ne Tristana (1970). Durante gli Anni Settanta, incontrerà sul set de La cagna (1972) di Marco Ferreri l'attore italiano Marcello Mastroianni. La Deneuve cade ai suoi piedi e, il 28 maggio 1972, mette al mondo una figlia Chiara Mastroianni. I due si ritroveranno come compagni di lavoro (oltre che di vita) anche in Niente di grave, suo marito è incinto (1973) e in Non toccate la donna bianca (1974, dove pure recita con Ugo Tognazzi) di Marco Ferreri.
Accanto a Gene Hackman e Max Von Sydow ne La bandera - Marcia o muori (1977), si presta per il nostro Dino Risi in Anima persa (1977) con Vittorio Gassman e poi per il singolare Casotto (1977) di Sergio Citti. Cominciano a essere sempre più frequenti le pellicole con Gérard Depardieu: Vi amo (1980), L'ultimo metrò (1980, che è anche l'ultimo film nel quale è diretta da Truffaut e per il quale vince il César come miglior attrice e il David di Donatello come miglior attrice straniera) e Codice d'onore (1981).
Dopo Vacanze africane (1982) con Noiret, si fa amante vampiresca di Susan Sarandon nell'atipico horror Miriam si sveglia a mezzanotte (1983), dove la Deneuve è la Miriam del titolo. Il film è un cult, soprattutto per la scena in cui l'attrice francese si lascia andare a una scena di amore saffico con la diva americana, in un trionfo del lesbo-chic. Poi torna fra Noiret e Depardieu in Fort Saganne (1984) e passa, nel 1986, a Mario Monicelli nello splendido Speriamo che sia femmina. Proprio in quell'anno, in occasione del bicentenario della nazione francese, succede a Brigitte Bardot come Marianne, simbolo della repubblica francese.
Nel 1992 è nominata perfino all'Oscar nella categoria Miglior attrice protagonista per Indocina (1992), ma non vincerà. Si consolerà con il ruolo di vice presidente della Giuria al Festival di Cannes del 1994 e poi ci sarà il fortunato e importante sodalizio artistico con Manoel De Oliveira che vedrà nella Deneuve l'ultimo barlume di un cinema che fu: la inserisce ne Il convento (1995) con John Malkovich, Ritorno a casa (2000) e Un film parlato (2003). Vincitrice, nel 1998, della Coppa Volpi a Venezia per Place Vendome (1998) e di Orso d'Oro onorario al Festival di Berlino, ritornerà in auge, graffiante e canterina in Otto donne e un mistero (2002) per il quale vincerà l'Orso d'Argento come miglior attrice assieme alle altre 7 attrici protagoniste del film.
Gli ultimi anni
In seguito a Genealogia di un crimine (1997) e Il tempo ritrovato (1999), dopo aver visto Le onde del destino (1996) di Lars von Trier, scrive una lunga lettera al regista dove chiede di poter avere un ruolo in un suo film. Il regista danese acconsente e le offre il ruolo dell'amica dell'operaia cieca nel bellissimo Dancer in the Dark (2000). Dopo I tempi che cambiano (2004), la Deneuve si investe scrittrice pubblicando il suo diario "A l'ombre de moi-meme", scritto sul set di Indocina (1972) e di Dancer in the Dark (2000). Presidente della giuria del Festival di Venezia nel 2006, appare nello stesso anno in alcune puntate di Nip/Tuck, in Le héros de la famille e in L'eletto. Nel 2007 presta la voce a Tadji Satrapi, la madre di Marjane in Persepolis, mentre tra il 2008 e il 2009 la troviamo in The girl on the train, Racconto di Natale e Bancs Publics (Versailles Rive Droite). Nel 2010 arrivano altre due partecipazioni: in The Big Picture e in Potiche - La bella statuina, dove torna a fare coppia con Gérard Depardieu. Due anni dopo la troviamo nel film portoghese Linhas de Wellington accanto a John Malkovich e ancora accanto a Depardieu in Asterix e Obelix al servizio di sua Maestà.
Molto attiva, recita in Tre cuori (2014) di Benoît Jacquot, in A testa alta (2015) di Emmanuelle Bercot e in Dio esiste e vive a Bruxelles (2015) di Jaco Van Dormael. In seguito è stata diretta da Martin Provost in Quello che so di lei, da Julie Bertuccelli in Tutti i ricordi di Claire e da Hirokazu Kore'eda in Le verità.
Nel 2022 riceverà il Leone d'Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia.
Curiosità
Pochi sanno che la Deneuve è anche una discreta cantante che ha duettato con Bernardette Lafont (1975), Malcolm McLaren (1993), Joe Cocker (1995) e Alain Souchoun, realizzando un album con Serge Gainsbourg nel 1981. Oltre questo, è anche una disegnatrice di gioielli, occhiali e scarpe.
Ancora algida, bellissima e misteriosa, tanto remota quanto reputata la più grande attrice francese vivente, nonostante l'età conserva quel suo fascino per far innamorare di sé pubblico e registi. L'amico Depardieu la descrive come "l'uomo che avrei voluto essere", elogiandone, con un gioco di parole, la femminilità altera e segreta, ma inoppugnabile. Intenditori come Vadim hanno intuito prestissimo questo suo lato e l'hanno additata, allora diciannovenne, come uno dei personaggi che "faranno strada", una bella e infelice attaccata al cinema come a un padre. A dispetto di tutto, questa Regina Bianca, è una fragile e inquietante bellezza che dice di sé e della sua vecchiaia: «Una diva non può negare i segni del tempo. Invecchiare sullo schermo, almeno mi sembra, è ancora più difficile che invecchiare nella vita.» L'importante, è concedersi qualche lusso ogni tanto. Ha avuto una vita ricca e fortunata, ha conosciuto l'amore e il fallimento, ha figli e ha incontrato personaggi storici della Settima Arte. «Non faccio cinema per denaro e il giorno in cui mi sembrerà di aver dato tutto, di ripetermi, mi fermerò.» Speriamo che quel giorno non arrivi mai.
C'è una dimensione poetica intraducibile in ogni lingua. Possiamo tradurre qualsiasi parola ma ci sarà sempre un resto ineffabile. Indémodable è l'aggettivo che coglie meglio la natura di Catherine Deneuve. Gli anni passano ma lei, l'attrice più singolare del cinema francese, non passa mai di moda. Indice di incommensurabilità tra due lingue, quel resto esprime il sentimento di un'altra cultura e di quella cultura Catherine Deneuve è il simbolo eterno