cassandra88
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lunedì 17 marzo 2014
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la grande evacuazione fisiologica
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Probabilmente il mio giudizio è da non intenditrice, ma sebbene questo film avrebbe meritato sicuramente l'Oscar per la fotografia (ma ahimè, ricordo che premi come questi sono conferiti solo a film americani), la mia personale reazione a esso, dopo 20 minuti di visione, è stata quella tipica di quando si prendono le bevande contro la stitichezza ... insomma, 'na grande ... avete capito!
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diletta di donato
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domenica 16 marzo 2014
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non cercare l'altrove:premio oscar
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Un personaggio che si aggira fra i suoi simili, esaminandoli con una lente che ne rileva le deformità, la miseria, la mancanza di verità, segnati come sono da un male cui neppure il dolore conferisce spessore, dignità, realtà. Non è neppure un sognare, è un dormiveglia toccato da incubi cui non ci si intende sottrarre, e sulla melma, a tratti, nuovamente si immerge, quasi la consapevolezza di tanto squallore potesse conferire un riscatto e non una complicità desolante. Qualche volta l'Altrove fa irruzione con la luce della bellezza? la bellezza che è verità.? ma il nostro personaggio vuol vivere qui, e non cercare l' Altrove.
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Un personaggio che si aggira fra i suoi simili, esaminandoli con una lente che ne rileva le deformità, la miseria, la mancanza di verità, segnati come sono da un male cui neppure il dolore conferisce spessore, dignità, realtà. Non è neppure un sognare, è un dormiveglia toccato da incubi cui non ci si intende sottrarre, e sulla melma, a tratti, nuovamente si immerge, quasi la consapevolezza di tanto squallore potesse conferire un riscatto e non una complicità desolante. Qualche volta l'Altrove fa irruzione con la luce della bellezza? la bellezza che è verità.? ma il nostro personaggio vuol vivere qui, e non cercare l' Altrove. Eppure non c'è alternativa: si può vivere veramente a questo mondo, salvarsi, solo per valori che non sono di questo mondo. Una cosa è comunque indubbia:questo è un film mediocre, banale, desolante, che la totale mancanza di verità rende estraneo a chi veramente cerca bellezza.
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des esseintes
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domenica 16 marzo 2014
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ribadisco...
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...bel film di cui si sentiva la mancanza; perché se ne parla ed è un piacere addentrarsi nei propri pensieri nella lenta ruminazione sul senso dell'opera.
L'interpretazione più corretta delle intenzioni del regista l'ha data senza dubbio Alex62 ma oltre al lato "frontale" esiste il lato "retro" e lì ci sarebbe da dire ancora tantissimo perché per quanto la catarsi effettivamente avvenga rimane un fatto personale di Jep e quindi in fondo è una catarsi solo apparente; Jep non esce realmente dalla sua elegante ignavia e viltà ma semplicemente la reinterpreta, la guarda da un'altro punto di vista e non arriva nemmeno vicino a sentire la giusta e sacrosanta rabbia per lo scandalo inaccettabile della "reale" Grande Bellezza che significherebbe intenderla nella sua più piena dimensione ossia sociale e politica; questo implicherebbe un impegno "per gli altri" e una ribellione contro il potere mentre per Jep e per la Santa esiste solo il loro privato rapporto con la loro interiorità.
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...bel film di cui si sentiva la mancanza; perché se ne parla ed è un piacere addentrarsi nei propri pensieri nella lenta ruminazione sul senso dell'opera.
L'interpretazione più corretta delle intenzioni del regista l'ha data senza dubbio Alex62 ma oltre al lato "frontale" esiste il lato "retro" e lì ci sarebbe da dire ancora tantissimo perché per quanto la catarsi effettivamente avvenga rimane un fatto personale di Jep e quindi in fondo è una catarsi solo apparente; Jep non esce realmente dalla sua elegante ignavia e viltà ma semplicemente la reinterpreta, la guarda da un'altro punto di vista e non arriva nemmeno vicino a sentire la giusta e sacrosanta rabbia per lo scandalo inaccettabile della "reale" Grande Bellezza che significherebbe intenderla nella sua più piena dimensione ossia sociale e politica; questo implicherebbe un impegno "per gli altri" e una ribellione contro il potere mentre per Jep e per la Santa esiste solo il loro privato rapporto con la loro interiorità.
La Santa agisce da santa, riesce a evocare i fenicotteri, ma vive in promiscuità con le ipocrisie e le bassezze della mondanità non mettendole mai in discussione; la Santa fa come Jep, magari in maniera più raffinata, ma alla fine cerca solamente di non soffrire il dolore della perdita di senso
Sociale e politico sono dimensioni del tutto aliene a Jep ma proprio per questo rimarrà per sempre prigioniero della Grande Bellezza, per la sua mancazna di ribellione; proprio per questo il regista non indaga sulle ragioni e sui responsabili del fascino mortale della Grande Bellezza.
Oggi i film estetizzanti o, come La Grande Bellezza, sull'interiorità personale e individuale non hanno più senso; ci vogliono film di rabbia, di ribellione, di presa di coscienza sociologica e politica senza la quale (presa di coscienza) tutta l'arte e la vita stessa si riducono a un problema di "bellezza" senza sostanza e quindi, come nel film di Sorrentino, velenosa e mortale.
Peccato che il format di questo blog sia così primitivo,"La Grande Bellezza" meritava una discussione corale molto più approfondita e vivace.
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lelius
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domenica 16 marzo 2014
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pseudofelliniano
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Film fallico, su sfondo gotico, a tratti felliniano. Film sulla vacuità dell'esistenza di un certo modo di vivere, la quintessenza del film la ritroviamo nella scena in cui il protagonista (grande Servillo)
dice che i loro trenini (che formano durante le feste) sono bellissimi perchè non vanno da nessuna parte....... In giro c'è di meglio, ma agli americani piace molto questo genere con il quale identificano (oramai e ahimè) il cinema italiano d'autore.
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alex62
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sabato 15 marzo 2014
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questo film parla di dio?
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Amo il cinema che parla di Dio. Il “Gesù” di Zeffirelli mi fa orrore, un pò mi convince “Passion” di Mel Gibson, ma non sono questi i film che parlano di Dio, secondo me... Io intendo come appartenenti a questa particolare categoria quei film che illustrano una trasformazione improvvisa e clamorosa di un personaggio, che altrimenti non potrebbe mai cambiare con le sue sole forze. Solo un intervento dall'alto, che cada su di lui come pioggia dal cielo, senza vento, può ottenere l'evoluzione che noi vediamo accadere sotto i nostri occhi!
È proprio questo che succede a Gep Gambardella, il protagonista de “La grande bellezza”.
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Amo il cinema che parla di Dio. Il “Gesù” di Zeffirelli mi fa orrore, un pò mi convince “Passion” di Mel Gibson, ma non sono questi i film che parlano di Dio, secondo me... Io intendo come appartenenti a questa particolare categoria quei film che illustrano una trasformazione improvvisa e clamorosa di un personaggio, che altrimenti non potrebbe mai cambiare con le sue sole forze. Solo un intervento dall'alto, che cada su di lui come pioggia dal cielo, senza vento, può ottenere l'evoluzione che noi vediamo accadere sotto i nostri occhi!
È proprio questo che succede a Gep Gambardella, il protagonista de “La grande bellezza”. Il compimento del suo 65esimo compleanno, la fuga da Roma del suo unico, sincero, estimatore, alcune morti inaccettabili...è troppo per Gep, che apparentemente continua a “galleggiare” sulla mondanità, come una chiatta sul Tevere (come nella splendida soggettiva sui titoli di coda), ma infine l'incontro, tanto a lungo dilazionato con la sua interiorità, col suo autentico sé, gli rende impossibile andare avanti come prima.
La “giraffa”-Gep, che ha il cuore lontanissimo dalla testa («la giraffa ha il cuore lontano dai pensieri: si è innamorata ieri e ancora non lo sa»), scompare come per un fantastico gioco di prestigio, e al suo posto rimane Gep, da solo... Il cuore di Gep finalmente cede, dopo 40 anni si rompe, si frattura: l'unico amore della sua vita, il suo primo amore, è morto e lui ha scoperto che nel diario personale di quella donna c'era scritto che anche per lei era lo stesso. Perde anche l'ultima amica vera, una Sabrina Ferilli perfetta in un ruolo da antologia, dopo aver svelato il suo mistero, il mistero della condivisione gratuita, del vivere accanto senza chiedere nulla in cambio. Ora Gep è pronto per l'incontro decisivo, con “la Santa”: una persona che è capace di chiamare per nome ogni creatura e che a Gep dice solo: «Le radici sono importanti...». E qui si alza un forte, irresistibile vento, scaturito dal soffio delle labbra della santa, che lo riporta a casa, al luogo da dove partì. E Gep, finalmente, smette di galleggiare, ritorna nella sua isola dove ritroverà i fili spezzati di un romanzo ancora da scrivere.
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(di des esseintes)
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angelo libranti
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sabato 15 marzo 2014
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il tardo epigono di fellini
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L'ultimo epigono di Fellini, forse il più rappresentativo, è Paolo Sorrentino giunto all'Oscar con un film che rifà il verso alle migliori pellicole girate dal fantastico regista riminese.
La metafora la fa da padrone, là dove una certa società romana, sbracata e fallita, richiama la nostra situazione politica, caotica, fallimentare e autoreferenziale.
Il protagonista, un superbo Antonio Servillo, fallito a sua volta, cerca di rifarsi organizzando un festino in occasione del suo compleanno, invitando personaggi assurdi dai costumi equivoci, trattati con sarcasmo, tutti con una vita vuota gravida di problemi esistenziali.
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L'ultimo epigono di Fellini, forse il più rappresentativo, è Paolo Sorrentino giunto all'Oscar con un film che rifà il verso alle migliori pellicole girate dal fantastico regista riminese.
La metafora la fa da padrone, là dove una certa società romana, sbracata e fallita, richiama la nostra situazione politica, caotica, fallimentare e autoreferenziale.
Il protagonista, un superbo Antonio Servillo, fallito a sua volta, cerca di rifarsi organizzando un festino in occasione del suo compleanno, invitando personaggi assurdi dai costumi equivoci, trattati con sarcasmo, tutti con una vita vuota gravida di problemi esistenziali.
Ogni personaggio è il capitolo di una storia dove l'apparire fagocita l'essere, vuoto e miserabile, che valorizza e consola la mancata affermazione del protagonista, ironico e sferzante verso questa genia di gente senza futuro e senza passato, che ospita nel suo attico con vista Colosseo.
La storia, poco originale e noiosa, è vivacizzata da autentiche gemme di particolari scenari su Roma, colte con la perizia di un obbiettivo sapiente.
Manca, a parer mio, un adeguato commento musicale che cementi il tutto, come faceva l'indimenticabile Rota nei film di Fellini, ai quali dava l'anima rendendoli immortali.
Ottima la regia e la recitazione degli attori che davano carattere ai personaggi, con qualche riserva per Verdone, bravo di suo, ma non originale nel ruolo del poeta fallito.
Stendiamo un velo pietoso sulla Ferilli che, se dorme, è turbata o dubbiosa, ha sempre la stessa espressione.
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seiya81
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sabato 15 marzo 2014
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la grande vibrazione
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Di solito non scrivo di cinema…lo guardo.
In primis perché non ho le competenze per poterne parlare e poi perché trovo particolarmente difficile mettere per iscritto determinate sensazioni ed emozioni provate dopo la visione di un bel film. Sarebbe riduttivo se poi, spiegando il perché un film mi sia piaciuto, non passassi a ripercorrere la carriera di un regista, il filone di appartenenza, lo stile e tutto il resto. Inoltre, per fare un’analisi di questo tipo, ci vuole concentrazione, tempo e pazienza quindi preferisco scambiare qualche opinione con qualcuno affetto come me da questa bellissima patologia. Così guardo, leggo, vado al cinema e di solito non scrivo, leggo da altri…e mi basta.
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Di solito non scrivo di cinema…lo guardo.
In primis perché non ho le competenze per poterne parlare e poi perché trovo particolarmente difficile mettere per iscritto determinate sensazioni ed emozioni provate dopo la visione di un bel film. Sarebbe riduttivo se poi, spiegando il perché un film mi sia piaciuto, non passassi a ripercorrere la carriera di un regista, il filone di appartenenza, lo stile e tutto il resto. Inoltre, per fare un’analisi di questo tipo, ci vuole concentrazione, tempo e pazienza quindi preferisco scambiare qualche opinione con qualcuno affetto come me da questa bellissima patologia. Così guardo, leggo, vado al cinema e di solito non scrivo, leggo da altri…e mi basta.
Ma l’altra sera, dopo la messa in onda in televisione de “LA GRANDE BELLEZZA” a quell’ora folle, commettendo in tutti i sensi un’azione criminale nei confronti di un’opera d’arte e leggendo sui giornali e su internet i bla bla bla negativi di tantissimi miei compatrioti furiosi e arrabbiati neri di avere vinto l’Oscar, è venuta voglia anche a me di fare bla bla bla…quindi ho preso la penna e non ho finito più di scrivere.
Il film di Paolo Sorrentino, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero, è una profonda ed incessante ricerca di spiritualità, d’ispirazione, di arte e di bellezza all’interno di una società, di un mondo soffocato dall’apparire e dall’ingordigia, di una vita passata su una terrazza chic a ballare una macabra danza con scheletri botulinati o a fare trenini che non portano in nessun posto, in un mondo dove ci son corpi che si nutrono lussuriosamente di altri corpi, dove tutto è decadenza, tutto è lecito, tutto è vizio, tutto è…niente!
Nella città eterna si consuma l’eterno conflitto tra spiritualità e peccato, nella Roma che fu ed è eterna, nell’Italia che fu ed è di Leonardo, Michelangelo, Dante, Mastroianni, Leopardi, Raffaello, Verga, Brunelleschi, Gassman, Verdi, De Sica, Magnani, Pirandello, Pasolini, Caruso, Manfredi, Rossellini, Sciascia, Manzoni, Totò, Pavarotti e Fellini assistiamo ad un allucinante, irrefrenabile ricerca dell’ispirazione persa, dell’antica purezza, della Bellezza…e nel Bel Paese questa, purtroppo, non la si trova più!
Tutto è diroccato come Pompei, guastato come la Chiesa, marcio come la politica, omertoso come la mafia, finto come la televisione, fatiscente come la cultura, agghiacciante come la Concordia, decadente come Roma…che nel film assume le sembianze di una diva morta.
Il film si apre con un preludio criptico che ha come assoluta protagonista la morte. È una calda mattina d’estate a Roma e, nell’aria, riecheggia straziante un canto funebre sospirato da alcune donne vestite di nero che con un’enfasi da tragedia greca ci conducono dritti dritti alla vita. Ed eccola qui la vita, la Dolce Vita, sbattuta in faccia da un urlo alla Munch, magistralmente eseguito da una donna ripresa in primo piano che, particolarmente presa dalla megafesta a cui sta partecipando, fa da sipario allo spettacolo sonoro e visivo che ci si para davanti.
Ed eccolo qui l’Amarcord glamour e post-moderno di Sorrentino. Sulle note di una bombata, remixata, modernizzata, orgasmatica “Ah…Ah…a far l’amore comincia tu!”, motivetto di una brillante Carrà di altri tempi e oggi innalzato ad inno nazionale di una tribù “arrapata”, la borghesia chic, il ceto ricco, la gente che conta, la bella società snob della “Roma da bere” sta facendo festa.
La potenza visiva di quest’orgia di corpi in movimento, le visioni surreali, la percezione grottesca e decadente dell’insieme e qualcosa che coinvolge totalmente lo spettatore. Sorrentino vede e sente tutto: cosce, culi, cocktail, sudore, risate sguaiate, tacchi, panze, cubiste, una donna incinta, gemiti, urla, cocaina, maschere, alcol, messicani, un chihuahua, e dopo aver visto anche la ex soubrette in pieno disfacimento psico-fisico (una coraggiosa Serena Grandi attrice di se stessa) per la prima volta appare lui, l’anfitrione, il festeggiato, che si gira ballando verso di noi.
Che faccia signori! Servillo in questa scena è magnifico. Il modo in cui balla, il modo in cui addenta la sigaretta, il modo in cui ride… lo si capisce subito che è il Re dei Mondani, e si rimane spiazzati quando subito dopo, mentre tutti attorno a lui muovono la “colita”, in una moviola che lo porta lentamente a ricoprire tutto lo schermo, lui e la sua coscienza c’informano che da piccolo, alla domanda: “Che cosa ti piace di più veramente nella vita?” la sua risposta era semplicemente: “L’odore delle case dei vecchi”. Quest’uomo era destinato alla Sensibilità…evidentemente qualcosa è andato storto!
Abbiamo appena fatto conoscenza con Jep Gambardella, re dei mondani e famoso scrittore che non scrive più da trent’anni!
Da questo momento in poi assieme a lui faremo un viaggio intimo dentro “l’apparato umano”, (per citare il titolo del suo primo e unico libro) che ci porterà in luoghi surreali e dissacranti come il supermarket del botulino dove all’interno di una scena d’ispirazione lynchiana incontriamo una vera e propria guida “corporale” che elargisce consigli e giudizi e che vuole essere chiamato amico o amore; ma anche in luoghi onirici e incantevoli alla scoperta dell’arte, delle radici, della purezza, dell’ispirazione, ed appunto della vera Bellezza. Ed ecco, quindi, i fenicotteri dinanzi ad un’alba romana, scena profonda e delicata che prende vita nella terrazza di Jep, teatro di tante feste mondane; o la giraffa durante una passeggiata solitaria notturna che l’illusionista fa sparire affermando che in fondo è solo un trucco…come lo è il cinema penso io. Incontriamo personaggi emblematici come la bella e rassegnata Ramona (secondo me figura allegorica di Roma peraltro interpretato da una Ferilli eccezionale) che nasconde al bizzarro padre la sua malattia che la porterà inevitabilmente alla morte.
Nel film c’è anche un senso di rimpianto di un qualcosa che è andato perduto, che non c’è più, che poteva essere ma che non è stato. E in tutto questo c’è il conforto di un ricordo, a quando si era puri e incontaminati. Ecco, quindi, che il ricordo in alcune esistenze reiette diventa rifugio e conforto, o forse prigione, come visivamente sottolineato dall’enorme peluche bianco dentro l’ufficio di Dadina in netto contrasto con la minuscola proprietaria, la figura o il ritorno al paese d’origine dell’affranto e deluso personaggio interpretato da Carlo Verdone o, ancora, la contessa che rivive la storia della sua illustre famiglia, ormai in decadenza, ascoltandola da una voce registrata di una guida museale.
Il film è tutto questo ma anche dell’altro, come spiegare il monologo di Jep sul Funerale, (la faccia della Ferilli che lo guarda fingere di piangere spiega tutto), o la bambina ostaggio delle follie psico-artistiche-snob dei galleristi che s’imbratta di colori per poi assumere la tonalità del grigio, il colore della sua infanzia, o la vita che ci passa davanti come un’opera d’arte attaccata alle pareti di un museo all’aperto, o la scena della “Santa” che dorme in camera di Jep. Sono scene che fanno vibrare, che lasciano dentro spunti di riflessione infiniti.
Il film finisce con l’intimo ricordo del protagonista: su una scalinata in pietra di una scogliera all’imbrunire incontriamo la sua Musa, il suo primo amore, e qui la percezione del tutto diventa personale, ognuno può scegliere la sua fine e Jep ci lascia col suo privato commiato: “Finisce sempre così, con la morte, prima però c’è stata la vita, nascosta sotto il bla, bla, bla, bla, bla…E’ tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato: è l’uomo miserabile.”
Infine dopo tutto questo mio bla,bla,bla volevo solo dire che gli americani ci hanno visto giusto a premiare il film con l’Oscar e sono sinceramente orgoglioso che Paolo Sorrentino sia un talento italiano.
Cercavo la Grande Bellezza in questo film…e l’ho trovata.
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[+] bellissimo commento
(di di_amante007)
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alex62
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venerdì 14 marzo 2014
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bentornata, sig.a morte!
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Probabilmente nessuno se n'è accorto! Forse nessuno, o quasi, ha afferrato il tema di questo film.
Ma questo sarebbe più che comprensibile, poiché LA MORTE è l'unico autentico tabù che ci è rimasto. Non se ne può parlare, i nostri bambini non ne devono sapere nulla; al limite non devono neanche stare a contatto coi nonni, come se avessero una malattia contagiosa che si chiama semplicemente “decrepitezza”. Non devono accorgersi che essi stanno semplicemente, lentamente morendo. Naturalmente. E qui nasce il problema, l'uomo contemporaneo, tecnologico, padrone della tecnica per manipolare tutto, perfino la vita, conoscitore raffinato di tutte le leggi che governano e che gli permettono di possedere il mondo, non può accettare l'esistenza della morte.
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Probabilmente nessuno se n'è accorto! Forse nessuno, o quasi, ha afferrato il tema di questo film.
Ma questo sarebbe più che comprensibile, poiché LA MORTE è l'unico autentico tabù che ci è rimasto. Non se ne può parlare, i nostri bambini non ne devono sapere nulla; al limite non devono neanche stare a contatto coi nonni, come se avessero una malattia contagiosa che si chiama semplicemente “decrepitezza”. Non devono accorgersi che essi stanno semplicemente, lentamente morendo. Naturalmente. E qui nasce il problema, l'uomo contemporaneo, tecnologico, padrone della tecnica per manipolare tutto, perfino la vita, conoscitore raffinato di tutte le leggi che governano e che gli permettono di possedere il mondo, non può accettare l'esistenza della morte. La degenerazione cellulare, l'entropia mettono a rischio il suo sterminato potere... Il meccanismo di negazione ci consente d'illuderci che essa non esista. Sorrentino, con il suo lento, aristocratico, indolente stile da aristocratico napoletano, declina alcuni aspetti di questa negazione. È magistrale nell'offrire alcuni tra i migliori personaggi del cinema recente. E su tutti svetta Sabrina Ferilli che disegna la migliore interpretazione della sua carriera, non ostentando mai, neanche in una singola inquadratura, le sue innegabili doti attoriali ed estetiche. Non c'è il minimo autocompiacimento, è rigorosa e onesta nel costruire in poche scene un personaggio di sapore pirandelliano. E tutti noi, alla fine, ci commuoviamo insieme con Gep Gambardella, laddove è immorale piangere perché significa rubare lo spettacolo del dolore ai parenti stretti. Ci commuove il lutto di un'attrice perfettamente calata nel ruolo che avrebbe meritato, forse più del film, il premio Oscar.
Un altissimo rispetto per la fede autentica, la spiritualità vissuta, attualizzata, la fede che non è evanescente ma concreta che significa servizio ai poveri. È l'altro personaggio cardine del film, “la santa”, che, vi prego, non è ricalcata su Teressa di Calcutta, è altro, tanto altro.
E alla fine dello spettacolo siamo tutti intuitivamente consapevoli che non si tratta di un trucco!
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[+] non è proprio così!!
(di 31100 treviso)
[ - ] non è proprio così!!
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giugiã¹
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venerdì 14 marzo 2014
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cogito ergo sum
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Lo sapeva Sorrentino, quando ha girato “La Grande Bellezza”, di avere omologato il testamento di un Italia soffocata dal suo stesso processo di sviluppo? Secondo me no! Voleva dare un messaggio, sancire un passaggio o filmare una disfatta, ma la portata di questo messaggio è stata sicuramente di gran lunga superiore alle sue aspettative , poiché va ben oltre i confini in cui lo stesso regista l’aveva forse circoscritto.
“La Grande Bellezza” è un testamento olografo, la parte depositata supera oltremisura le intenzioni del lascito, l’immenso patrimonio umano e sociale si nasconde nell’attonito incanto suscitato da opere e monumenti, nel radioso immobilismo dei paesaggi, nella lentezza delle riprese che lasciano lunghi spazi al silenzio ed alle pause, ai discorsi abbozzati e sospesi, ai passaggi senza continuità ma concludenti, al non detto pensato o compiutosi.
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Lo sapeva Sorrentino, quando ha girato “La Grande Bellezza”, di avere omologato il testamento di un Italia soffocata dal suo stesso processo di sviluppo? Secondo me no! Voleva dare un messaggio, sancire un passaggio o filmare una disfatta, ma la portata di questo messaggio è stata sicuramente di gran lunga superiore alle sue aspettative , poiché va ben oltre i confini in cui lo stesso regista l’aveva forse circoscritto.
“La Grande Bellezza” è un testamento olografo, la parte depositata supera oltremisura le intenzioni del lascito, l’immenso patrimonio umano e sociale si nasconde nell’attonito incanto suscitato da opere e monumenti, nel radioso immobilismo dei paesaggi, nella lentezza delle riprese che lasciano lunghi spazi al silenzio ed alle pause, ai discorsi abbozzati e sospesi, ai passaggi senza continuità ma concludenti, al non detto pensato o compiutosi. Lentezza come consunzione e agonia verso l’unica meta certa e nota all’essere umano fin dalla nascita: la morte, l’annullamento nichilistico del sé, inconscio o volontario, ma inesorabilmente concreto.
“La Grande Bellezza” è l’annullarsi di una Società cresciuta sulle sue stesse contraddizioni, che gioca a “mosca cieca” con se stessa e sta andando dritta sparata verso un dirupo, senza afferrare nulla di tutto ciò che ha intorno. Il precipitare quindi non è casuale - un “capitato” – è piuttosto un “annunciato” conclamato in corso d’opera. Eppure questa morte è terapeutica: è la “condicio sine qua non ” per la rinascita: il ritorno alle radici, alla povertà del vivere, intesa come superamento del superfluo diventato essenziale, che ha corroso come cancrena tutto ciò che di positivo è dell’uomo: sentimenti, spiritualità, valori. La grande bellezza di una Società che non ha nulla da dire, che si disgrega nella falsità illusoria degli stereotipi - “i trenini che facciamo alle nostre feste sono i più belli di tutta Roma” - sono le vestigia solitarie del passato, muti testimoni di tempi andati o i ricordi di incontaminata purezza di un vissuto lontano, in cui vivere e morire aveva un senso.
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