blacky
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domenica 16 novembre 2014
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presa per il....
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Giornalista disilluso circondato da conformisti senz'anima si sposta da una drammatica situazione ad un'altra senza alcun intreccio. Una volta sognava di diventare qualcuno: voleva essere uno scrittore di talento e invece nuota in una profonda mondanità. Ok la trama e il soggetto è praticamente lo stesso (identico e medesimo) de "La dolce vita" di Fellini", ma questo non vuol dire che questo film non possa esprimersi in modo diverso ed essere a suo modo un capolavoro giusto? SBAGLIATO. 150 minuti per mostrarre sempre il buon Jep Gambardella sparare sentenze su ognuno e sulla nullità della sua vita sono davvero troppi, soprattutto se consideriamo l'evoluzione inesistente che subisce la storia.
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Giornalista disilluso circondato da conformisti senz'anima si sposta da una drammatica situazione ad un'altra senza alcun intreccio. Una volta sognava di diventare qualcuno: voleva essere uno scrittore di talento e invece nuota in una profonda mondanità. Ok la trama e il soggetto è praticamente lo stesso (identico e medesimo) de "La dolce vita" di Fellini", ma questo non vuol dire che questo film non possa esprimersi in modo diverso ed essere a suo modo un capolavoro giusto? SBAGLIATO. 150 minuti per mostrarre sempre il buon Jep Gambardella sparare sentenze su ognuno e sulla nullità della sua vita sono davvero troppi, soprattutto se consideriamo l'evoluzione inesistente che subisce la storia. Definirlo una brutta e sottolineo brutta copia del film con Mastroianni è veramente poco. Buone le scenografie,bella la fotografia, niente storia; in pratica siamo di fronte ad un catalogo di immagini di Roma spedite di fronte al pubblico con spietata lentezza. Eppure il "caso" grande bellezza (perchè chiamarlo film è veramente un'idiozia) mi ha ricordato effettivamente una storia: "I vestiti nuovi dell'imperatore" di Andersen. Lo scrittore danese aveva saputo ben descrivere questo genere di situazioni, in cui tutti lodano la pellicola di Sorrentino pur essendo questa una mera presa in giro che i critici hanno saputo infilare benissimo al pubblico, soprattutto quello giovane che composto da bravi conformisti omologati ha saputo apprezzare il niente con scroscianti applausi.
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themorenina
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sabato 8 novembre 2014
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direi...la grande schifezza
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Senza dubbio proprio un film inguardabile! Mi chiedo come si possa guardare questo film e trovarci qualcosa di bello. Toni Servillo poi non lo digerisco proprio. Sono altri gli attori italiani che mi fanno tremare dall'emozione. Brutto, brutto, brutto!
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demone
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domenica 28 settembre 2014
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brutto. inguardabile.
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Mi domando: Ma quanto è brutto questo film? Purtroppo non riesco a trovare risposta. Un film banale con una brutta recitazione degli attori. Ma coma ha fatto a vincire come miglior fiml straniero. Incredibile.
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ennepi1954
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venerdì 12 settembre 2014
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la grande bellezza è un grande film
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Sarebbe semplicistico adottare un'interpretazione moralistica del film, contrapporre alla problematica e tragica realtà delle cose, e degli uomini, il vuoto interiore, il protagonismo fine a sé stesso di tanti personaggi, e dello stesso Jep Gambardella. Tuttavia questa strada non porterebbe da nessuna parte, è un elemento presente nel film, ma non l'aspetto principale. Il regista è stato invece bravissimo nel raccontare una parte della realtà e di non dare di essa una visione stereotipata, manichea. Sorrentino ha voluto offrire un saggio di antropologia dei nostri tempi, della nostra attuale consapevolezza del reale, che per tanti coincide più o meno esattamente con le vicende degli attori del film.
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Sarebbe semplicistico adottare un'interpretazione moralistica del film, contrapporre alla problematica e tragica realtà delle cose, e degli uomini, il vuoto interiore, il protagonismo fine a sé stesso di tanti personaggi, e dello stesso Jep Gambardella. Tuttavia questa strada non porterebbe da nessuna parte, è un elemento presente nel film, ma non l'aspetto principale. Il regista è stato invece bravissimo nel raccontare una parte della realtà e di non dare di essa una visione stereotipata, manichea. Sorrentino ha voluto offrire un saggio di antropologia dei nostri tempi, della nostra attuale consapevolezza del reale, che per tanti coincide più o meno esattamente con le vicende degli attori del film. E' un'umanità che fa dello stare in gruppo e di seguire il giudizio della persona ritenuta più influente il proprio “binario” di vita. E' un'umanità bene accorta nell'adempiere ai rituali di un ambito sociale per tanti versi privilegiato, nel segno del denaro e del potere, ma per altri versi esposto integralmente alla ricerca del successo costi quel che costi, anche a voler rinunciare ad ogni tratto di originalità. Il travestirsi, il camuffarsi qui è regola assoluta, quanto la maldicenza ne è il corollario più spicciolo. Gli amici di Jep non hanno la profondità intellettuale del protagonista, che è sempre un passo avanti a loro, ma ne condividono gli effetti, le conseguenze, nel segno della insignificanza. Il film non si limita ad una disamina, come dicevo, antropologica, ovvero una rappresentazione della mondanità e dei riti che vengono osservati per l’esplicazione della stessa, è anche un mini saggio sulla decadenza di un sistema linguistico in riferimento al tratto, apparentemente dominante, degli ambiti sociali più contrassegnati dalla ricchezza e dal potere: la mondanità eretta a sistema di vita implica la costruzione di un sistema verbale completamente sganciato dalla fisicità della vita di tutti i giorni, è, insomma, il trionfo di un egoismo mascherato da sapienza, di un individualismo vorace predone di sé e degli altri, la negazione di ogni ipotesi possibile di autentica comunanza nel segno del bisogno tra gli esseri umani. In questo senso il dialogo, inesistente in verità, tra l’artista che nuda si slancia contro un pilone dell’acquedotto romano e Jep solo apparentemente interessato a lei. Così anche l’episodio della “suora santa” nella parte del finale del film. La suora ultracentenaria esprime, di per sé, una radicale alterità rispetto alla “medietà” degli altri protagonisti, alterità che però si risolve in estraneità, una estraneità favorita anche dalla corte della religiosa che si incarica di tradurre l’enigmaticità della religiosa in parole comprensibili ai più, alterandole e quindi sovrapponendo un altro senso a quello originale. Non è soltanto l’estraneità ciò che caratterizza la sequenza della suora, ma anche la sua riduzione ad elemento assimilabile agli altri, un’ipotesi molto astratta della rappresentazione del sacro che si risolve in “faccenda di tutti i giorni”. La religiosa rimprovera Gambardella di non avere scritto più niente oltre il suo primo libro e alle richieste di Jep più o meno impegnatosi in una fantomatica “intervista”, risponde soltanto che “ La povertà non si racconta...si vive”.
“ La grande bellezza” quindi come possibile descrizione di un desiderio di autenticità perduto o smarrito per sempre? Indubbiamente la conclusione sembra autorizzare questa eventualità, di fatto il ricordo di Elisa, la donna amata da Jep da giovane, ritorna nella mente del protagonista e assume il ruolo di un’ancora nell’oceano delle illusioni in cui il protagonista si è anche per sua responsabilità da tempo trovato. Ma la grande bellezza è anche il segno di un enorme e smisurato vuoto che circonda la nostra vita di tutti i giorni, il benessere della nostra condizione di occidentali si confonde con una difficoltà estrema di scardinare la corazza dei nostri pregiudizi e delle nostre aspirazioni più “alla moda”. La grande bellezza è anche il fascino di uno spettacolo smisurato e gigantesco che sgomenta il destino di ogni individuo, è quel senso dell’inutilità e del fallimento sempre presente nella vita e che è destinato a fare da controaltare alla semplicità ottusa dei perbenisti e dei modaioli.
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gabriella grande
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giovedì 28 agosto 2014
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la grande bellezza: e' solo un rimpianto?
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La grande bellezza....l'abbiamo perduta? No - sembra dirci Sorrentino in questo capolavoro - è solo nascosta, come è nascosta la zampa delle gru, sul terrazzo di Jep Gambardella, all'alba. Trampolieri meravigliosi le gru: quando si riposano si reggono su una sola zampa,ma ne possiedono due.Sembra che l'altra non ci sia ma è solo nascosta.Come per la giraffa che l'illusionista fa sparire tra le rovine delle Terme di Caracalla,ma ”è solo un trucco”.Così è la bellezza, devi reimparare a guardarla, a cercarla in profondità, non abita la superficie delle cose. Emblematica,a riguardo, la scena della bambina (simbolo della bellezza innocente e pura) che si nasconde nel Chiostro di San Pietro in Montorio e la madre non riesce a trovarla perché si limita a cercarla solo in superficie.
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La grande bellezza....l'abbiamo perduta? No - sembra dirci Sorrentino in questo capolavoro - è solo nascosta, come è nascosta la zampa delle gru, sul terrazzo di Jep Gambardella, all'alba. Trampolieri meravigliosi le gru: quando si riposano si reggono su una sola zampa,ma ne possiedono due.Sembra che l'altra non ci sia ma è solo nascosta.Come per la giraffa che l'illusionista fa sparire tra le rovine delle Terme di Caracalla,ma ”è solo un trucco”.Così è la bellezza, devi reimparare a guardarla, a cercarla in profondità, non abita la superficie delle cose. Emblematica,a riguardo, la scena della bambina (simbolo della bellezza innocente e pura) che si nasconde nel Chiostro di San Pietro in Montorio e la madre non riesce a trovarla perché si limita a cercarla solo in superficie. Jep la trova, le parla attraverso una grata, ma non fa lo sforzo di raggiungerla, perché dovrebbe scendere in profondità e non vuole.La bellezza (attraverso la bambina) lo interroga: “Chi sei?” Tentenna Jep: “Io sono..” ma lei, spiazzante: “Tu non sei nessuno” e lui se ne va, indifferente e pigro sulla superficie e non legge in profondità il messaggio che la bellezza ci chiama a codificare: “Vai oltre te,supera il tuo narcisismo,e scendi a trovarmi, non avere paura di scoprire la bellezza, la grande bellezza che si nasconde in attesa di essere trovata, riconosciuta, riportata alla luce”.Va via Jep, non scende in profondità (questo implicherebbe fatica, attenzione) ma resta in superficie.Una domanda si insinua ed ha le parole dell'incipit del romanzo “Nadja” di Breton: “Chi sono io?”.Noi siamo (anche se ormai del tutto inconsapevoli) cercatori di bellezza.Bellezza di cui Sorrentino sembra tracciare alcune caratteristiche nei personaggi della direttrice nana del giornale, e della cameriera,forse volutamente le donne meno belle del film. Bellezza nascosta in queste donne rassicuranti,materne,che nutrono, che consolano. La bellezza è così, madre che nutre e consola.Cercala,perché della bellezza sei figlio, davanti a lei sei bambino. Protagonista assoluta è la città di Roma,desolata e decadente, come simbolo dell'Italia del nostro tempo,un Paese in cui la bellezza è prigioniera del passato, in cui il presente brulica di vuoto,di insoddisfazione,di stanchezza,di un reiterato “bla, bla, bla” e di una vuota, perversa mondanità. A più riprese, il cielo azzurro e terso di Roma è solcato da bianche scie di aerei: forse un'immagine che vuole dirci lo spasmodico bisogno dell'uomo di tentare egoisticamente di lasciare una traccia di sé. Ma tutto resta in superficie, sono tracce deboli che si dissolvono proprio come quei fugaci segni nel cielo. Per asciugare le lacrime del vedovo di Elisa (il primo perduto amore del protagonista), Jep porge un fazzoletto...nero,forse un modo per indicare che non vi può essere più conforto, ma solo buio, assenza di risposte, notte di senso. Si chiede ragione della speranza in una Bellezza di cui la Chiesa parla da secoli, ma nessuno, neanche i religiosi, hanno più risposte da dare.“E' uno stillicidio” dice Jep. Goccia a goccia l'uomo si consuma e la bellezza viene maltrattata e sporcata, come la bambina che, costretta dal padre (gallerista d'arte), dipinge la tela con rabbiose secchiate di vernice, e intanto piange, imbrattandosi tutta con il colore, fino a nascondere i tratti del proprio volto.Cosa dire di questo capolavoro? E' stata una vibrazione.“Cos'è una vibrazione?”....Jep! E' la grande bellezza che ti sfiora dai suoi nascondigli.
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maramaldo
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mercoledì 23 luglio 2014
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fellini rimasticato.
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L'utilizzo di eterne vedute romane nonchè il perpetuo ghigno di Servillo, grande maschera di teatro (sarà altrettanto grande attore? di solito parla poco e quando parla...) non convincono sulla assegnazione di un Oscar (per giunta, in qualche modo, preannunciato).
Visto in sala, apprezzati gli stilemi felliniani, mi ci ero annoiato. Dopo la premiazione, l'ho rivisto per scrupolo in TV.Dopo un quarto d'ora ho cambiato canale...
Una riflessione generale che, purtroppo, in altre occasioni:forse ripeterò: in Italia sappiamo fare il cinema e ne facciamo di splendido: come interpretazioni accurate,, ambientazioni filologiche e sontuose, tecnicismi d'avanguardia.
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L'utilizzo di eterne vedute romane nonchè il perpetuo ghigno di Servillo, grande maschera di teatro (sarà altrettanto grande attore? di solito parla poco e quando parla...) non convincono sulla assegnazione di un Oscar (per giunta, in qualche modo, preannunciato).
Visto in sala, apprezzati gli stilemi felliniani, mi ci ero annoiato. Dopo la premiazione, l'ho rivisto per scrupolo in TV.Dopo un quarto d'ora ho cambiato canale...
Una riflessione generale che, purtroppo, in altre occasioni:forse ripeterò: in Italia sappiamo fare il cinema e ne facciamo di splendido: come interpretazioni accurate,, ambientazioni filologiche e sontuose, tecnicismi d'avanguardia. Ma un film con uno straccio di storia costruita e sviluppata da personaggi ed eventi coerenti, quello che si dice un plot, una trama, con dei veri characters.quanti ne ricordate in questi ultimi anni
Certo questo accade anche nella più recente narrativa: scrittori raffinati e densi affollano gli scaffali ma c'è uno , dico uno che si possa definire uno "story teller".Certo sarà colpa della TV che ci ha abituato alla brevità e alla leggerezza delle scenette ( da tempo definite sketch): Non voglio fare l'Amerikano, anzi vorrei notare che di una certa leggerezza e vacuità costruttiva abbiamo contagiato il cinema Usa e prima ancora quello fran cese e spagnolo che pur avevano un certo attaccamento al racconto e alle interpretazioni dei protagonisti. Quanto agli inglesi hanno forse capito che per il momento non bisogna tanto allintanarsi da Mr Bean...
tv
visto
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gabriella
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giovedì 26 giugno 2014
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la ferita della bellezza
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Meglio scrivere adesso del film di Sorrentino, adesso che si sono spenti i riflettori, che la consegna degli oscar sia già avvenuta, lontano dalle polemiche e dalle discussioni se era meritato o meno “ Via dalla pazza folla” e dal clamore suscitato. La grande bellezza è uno di quei film che ogni volta lo si rivede si trova sempre qualcosa di nuovo, uno scorcio, un'immagine, una frase che a prima vista magari erano passati inosservati, una bellezza che si rinnova senza sfregiare lo splendore del passato.
Jep Gambardella, giornalista con al suo attivo un unico libro scritto in gioventù appena arrivato nella capitale, alla soglia dei 65 anni si trova a fare un bilancio della sua vita, a dire il vero ben poco lusinghiero.
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Meglio scrivere adesso del film di Sorrentino, adesso che si sono spenti i riflettori, che la consegna degli oscar sia già avvenuta, lontano dalle polemiche e dalle discussioni se era meritato o meno “ Via dalla pazza folla” e dal clamore suscitato. La grande bellezza è uno di quei film che ogni volta lo si rivede si trova sempre qualcosa di nuovo, uno scorcio, un'immagine, una frase che a prima vista magari erano passati inosservati, una bellezza che si rinnova senza sfregiare lo splendore del passato.
Jep Gambardella, giornalista con al suo attivo un unico libro scritto in gioventù appena arrivato nella capitale, alla soglia dei 65 anni si trova a fare un bilancio della sua vita, a dire il vero ben poco lusinghiero. Abituato a feste e mondanità, si accorge che il tempo è trascorso e con esso la bellezza, la capacità di emozionarsi, ma con una gran voglia di ritrovare un senso al proprio esistere Forse perchè ormai è tempo di scendere da quei trenini che non vanno da nessuna parte, carichi di passeggeri che si lasciano condurre passivamente,
una babele di personaggi storditi dal chiasso e dalla musica, corpi ormai in disfacimento dove nemmeno il bisturi può porvi rimedio, gente fallita aggrappata a un passato ormai sbiadito, Jep non si trova più suo agio in quel mondo che ha sempre frequentato come protagonista indiscusso, cerca una scossa per risalire dal buio alla luce, è infastidito dai riflettori, così come suor Maria, “La Santa”fuori posto dinanzi a una folla incuriosita da qualcosa che non si può raccontare, un mucchietto di ossa al centro della sala che fa dondolare il piede fino a perdere la pantofola ( omaggio del regista a “Vacanze romane” dove a una bellissima Audrey Hepburn ( principessa in vacanza a Roma), scivola la scarpetta davanti a una platea di giornalisti, omaggio alla Roma di un tempo, appena uscita da una guerra e che si ricostruiva dalle macerie)? Una Roma ,quella di Sorrentino, che si disgrega, perde identità, così come appare nelle passeggiate solitarie e notturne del protagonista, tra le vie della capitale illividite da una luce liquida, dove tutto sembra uguale, dove si finisce per diventare funzionari del nulla. L'unico rifugio rimane l'amicizia con Ramona, una spogliarellista , poco colta, ma capace di sincera ammirazione per le cose belle, e la convivialità con la domestica filippina. Il ricordo di un amore giovane riaffiora ostinatamente in Jep, e attraverso il ricordo di un'antica estate assopita, di fronte a tanta opprimente bellezza, ci sono i basamenti di un nuovo inizio ( un nuovo libro)? “ Nella profondità dell'inverno, ho imparato, alla fine che dentro di me c'è un'estate invincibile”
La pace meravigliosa di quell'estate assopita entrava in me come una marea. [...] Come se quella grande ira mi avesse purgato dal male, liberato dalla speranza, davanti a quella notte carica di segni e di stelle, mi aprivo per la prima volta alla dolce indifferenza del mondo. Nel trovarlo così simile a me, finalmente così fraterno, ho sentito che ero stato felice, e che lo ero ancora.
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(di leoaruta)
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federico medea
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lunedì 23 giugno 2014
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la grande indifferenza
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Mettete insieme il più brillante regista italiano degli ultimi 10 anni e un attore dall'immenso talento quale Toni Servillo e state certi che il risultato è assicurato. Del resto la coppia Sorrentino-Servillo è ormai una garanzia essendo ormai alla quarta collaborazione dopo "L'uomo in più", "Le conseguenze dell'amore" e "Il divo".
Fare meglio era difficile eppure Sorrentino qua si supera, in un esercizio di stile e virtuosismo registico non fine a sè stesso, il regista napoletano riesce nell'intento di rappresentare la "Città eterna" in tutte la sue bellezze e contraddizioni.
Il protagonista è Jep Gambardella, scrittore 65enne che dopo il successo del libro "L'apparato umano" non ha più scritto libri da oltre 25 anni, preferendo spendere il proprio tempo da un party all'altro (tanto da autodefinirsi "Il re dei mondani").
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Mettete insieme il più brillante regista italiano degli ultimi 10 anni e un attore dall'immenso talento quale Toni Servillo e state certi che il risultato è assicurato. Del resto la coppia Sorrentino-Servillo è ormai una garanzia essendo ormai alla quarta collaborazione dopo "L'uomo in più", "Le conseguenze dell'amore" e "Il divo".
Fare meglio era difficile eppure Sorrentino qua si supera, in un esercizio di stile e virtuosismo registico non fine a sè stesso, il regista napoletano riesce nell'intento di rappresentare la "Città eterna" in tutte la sue bellezze e contraddizioni.
Il protagonista è Jep Gambardella, scrittore 65enne che dopo il successo del libro "L'apparato umano" non ha più scritto libri da oltre 25 anni, preferendo spendere il proprio tempo da un party all'altro (tanto da autodefinirsi "Il re dei mondani").
In realtà però la vera star è Roma che in totale preda dei propri vizi ed eccessività, pare conpiacersi di questa sua mondanità sfrenata, ma che allo stesso tempo, è pervasa da una sensazione di rassegnazione a un futuro incerto.
La telecamera scorre inesorabile sia quando racconta i peccati della notte romana sia quando indugia sinuosa lungo le acque del fiume Tevere o quando mostra la bellezza di un passato glorioso quanto gravoso.
Jep vagando per le strade di Roma, assiste con sguardo desolato e indifferente a tutto ciò, che è specchio della sua stessa vita.
La chiave di volta nella vita di Jep sarà un personaggio chiamato "La Santa" che gli permetterà di dare una svolta alla sua esistenza; è proprio questa componente religiosa, messa a tutti costi nella trama, l'unico difetto nel film con cui Sorrentino probabilmente eccede.
Inevitabile il confronto con "La dolce vita" di Fellini, 50 anni dopo i tempi sono cambiati e Sorrentino non può far altro altro che prenderne atto e mostrare quello che è rimasto (e quello che si è portato via).
Troppo originale per piacere al grande pubblico.
UNA FRASE IN UN FILM: "Io berrò molti drink, ma non molti da diventare molesto e poi, quando voi vi alzerete, io me ne andrò a dormire!" (Jep)
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gmarc
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lunedì 16 giugno 2014
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sperimentalismo e arte in sorrentino
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Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo.
La citazione, tratta dal film Pixar Ratatouille, sembra adattarsi bene al film di Paolo Sorrentino.
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Per molti versi la professione del critico è facile: rischiamo molto poco pur approfittando del grande potere che abbiamo su coloro che sottopongono il proprio lavoro al nostro giudizio. Prosperiamo grazie alle recensioni negative che sono uno spasso da scrivere e da leggere. Ma la triste realtà a cui ci dobbiamo rassegnare è che nel grande disegno delle cose, anche l'opera più mediocre ha molta più anima del nostro giudizio che la definisce tale. Ma ci sono occasioni in cui un critico qualcosa rischia davvero. Ad esempio, nello scoprire e difendere il nuovo.
La citazione, tratta dal film Pixar Ratatouille, sembra adattarsi bene al film di Paolo Sorrentino. Infatti è indubbio che di fronte a questo film ci imbattiamo in qualcosa di nuovo e perciò difficile da descrivere. Non mi addentro alla questione(peraltro ampiamente discussa nei social networks) se il film valesse o meno la statuetta che ha ottenuto, però vorrei riflettere sul fatto che questo film si avvicina per molti versi ad essere un vero e proprio capolavoro d’arte d’avanguardia più che un semplice film. Lo stile infatti, fatto di lunghe carrellate e primi piani, con le musiche che vanno e vengono e con le vedute da tutti i punti di vista possibili e immaginabili della città di Roma, è un piccolo capolavoro di sperimentazione delle possibilità della macchina da presa e degli effetti ad essa annessi. Ovviamente non si tratta solo di una “guida turistica” fatta secondo gli stilemi della filmografia. Il film è innanzitutto un viaggio interiore nei pensieri del protagonista, Jep Gambardella, viveur della capitale e scrittore in perenne crisi d’ispirazione, che si arrabatta tra feste private e un lavoro da giornalista improvvisato, circondato dallo sfarzo vuoto dei monumenti romani. Il film segue le sue peregrinazioni alla ricerca dell’ispirazione(la grande bellezza) che ha ormai da tempo dimenticato. Il vuoto di senso del film corrisponde al vuoto di senso della sua vita e la visione della bellezza romana non può appagarlo perché si tratta di una bellezza effimera. Così vediamo il suo girare intorno, come in una sorta di girone dantesco, dove sperimenta tutti i possibili tipi umani. Il film scava nella vita di un individuo che definire post-moderno è riduttivo e lo fa in un modo nuovo e articolato che ben si collega al tema che vuole trattare. Per chi ama le novità.
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