rafaelmourinho
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domenica 30 marzo 2014
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noioso
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I film vengono fatti per essere visti da tutti????...o solo per quelle persone che dopo aver visto un film, devono commentarlo come se avessero appena visitato un museo d'arte???
Non sono un giornalista e non sono un critico cinematografico.
Vorrei solo esprimere il parere condiviso di altri milioni di persone che hanno visto questo film. (considerando tutti i commenti reperibili online)
Questo film è noioso.
Il cinema è un divertimento!!!! Con questa affermazione non voglio dire che apprezzo solo i cinepanettoni o i film di azione con Sylvester Stallone. Un film mi deve emozionare, far divertire o piangere, mi deve coinvolgere e stuzzicare la mia fantasia.
Finito il film ho pensato.
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I film vengono fatti per essere visti da tutti????...o solo per quelle persone che dopo aver visto un film, devono commentarlo come se avessero appena visitato un museo d'arte???
Non sono un giornalista e non sono un critico cinematografico.
Vorrei solo esprimere il parere condiviso di altri milioni di persone che hanno visto questo film. (considerando tutti i commenti reperibili online)
Questo film è noioso.
Il cinema è un divertimento!!!! Con questa affermazione non voglio dire che apprezzo solo i cinepanettoni o i film di azione con Sylvester Stallone. Un film mi deve emozionare, far divertire o piangere, mi deve coinvolgere e stuzzicare la mia fantasia.
Finito il film ho pensato....."avrei potuto passare le ultime 3 ore in modo migliore"
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gabriele
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sabato 29 marzo 2014
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la grande bruttezza e la grande bellezza
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Il film di Sorrentino è un film surrealista, e apparentemente nichilista.
Il film è apparentemente nichilista perché per quasi tutta la sua durata si sofferma sulla bruttezza visibile che i personaggi del film dimostrano con il loro comportamento vacuo e lascivo.
Ma è un inganno perché, parallelamente a essa, si ha, nello stesso tempo, una sensazione di bellezza invisibile, La Grande Bellezza, che accompagna per tutto il tempo i protagonisti del film, che è rappresentata da Roma. È una bellezza così abbagliante da tramortire chi non è pronto per ammirarla (scena del turista al Gianicolo). La bellezza di Roma è la bellezza che gli uomini sono stati capaci di creare quando hanno fatto ricorso al loro ingegno e innanzitutto alla loro parte artistica-creativa, prerogativa di ogni essere umano, di ciascuno di noi.
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Il film di Sorrentino è un film surrealista, e apparentemente nichilista.
Il film è apparentemente nichilista perché per quasi tutta la sua durata si sofferma sulla bruttezza visibile che i personaggi del film dimostrano con il loro comportamento vacuo e lascivo.
Ma è un inganno perché, parallelamente a essa, si ha, nello stesso tempo, una sensazione di bellezza invisibile, La Grande Bellezza, che accompagna per tutto il tempo i protagonisti del film, che è rappresentata da Roma. È una bellezza così abbagliante da tramortire chi non è pronto per ammirarla (scena del turista al Gianicolo). La bellezza di Roma è la bellezza che gli uomini sono stati capaci di creare quando hanno fatto ricorso al loro ingegno e innanzitutto alla loro parte artistica-creativa, prerogativa di ogni essere umano, di ciascuno di noi.
È surrealista perché il regista sembra dire: “Io vi ho mostrato tutta la bellezza (Roma, e qualche altro sprazzo di bellezza in alcuni passaggi e personaggi del film) e tutta la bruttezza che l’uomo è stato ed è capace di creare; io non vi dò soluzioni perché sta a ciascuno di voi scegliere cosa vuole fare nella sua vita e, innanzitutto, della propria vita”. Tanto è vero che il finale del film è aperto a più possibilità. Noi non sappiamo con certezza quale strada intraprenderà Jep dopo la conclusione del film, il regista non lo dice apertamente, ma ci sono diversi indizi e allusioni che fanno pensare a un suo reale cambiamento. Jep ha scritto un libro a venticinque anni: L’apparato umano.
Il titolo allude a una sua ricerca di comprensione dell’uomo, cioè di se stesso. Adesso può completarla e dare un senso diverso alla sua vita. Il prossimo romanzo di Jep è pronto per essere pubblicato, ma non sappiamo cosa contiene.
Jep (Jep è ognuno di noi, così come lo sono i vari personaggi che gli ruotano attorno) lo può fare perché non ha mai perso il contatto con la realtà. È troppo intelligente e lucido e ha sprazzi di umanità che lo rendono un personaggio simpatico e attraente.
La sua figura, il suo sguardo ambiguo e penetrante e il suo modo di comportarsi fanno trasparire un fascino e una simpatia che sembra in contrasto con il suo modo apparente di essere cinico e disincantato. Il personaggio di Jep non è negativo per il seguente motivo: perché in Jep, dietro tanta bruttezza apparente, s’intuisce quanta bellezza sprigiona ed è capace di creare dalla propria vita se lo decide e opera in tal senso, cosa che, a mio avviso, accadrà.
Perciò la Grande Bellezza non è solo quella scontata di Roma.
La bellezza crepuscolare di Roma è da mozzafiato.
Roma è la Bella Addormentata, la Bellezza Addormentata, che è fuori di noi e dentro di noi e che aspetta solo di essere risvegliata. La bellezza è nascosta e bisogna trovare le chiavi giuste per accedervi, quelle che possiede Stefano.
E, in ogni caso, anche se Jep decidesse di continuare a sciupare la propria vita in comportamenti frivoli ed effimeri, cosa per me improbabile, come ho spiegato prima, noi possiamo sempre decidere di creare bellezza anziché bruttezza dalla nostra vita.
“Cercavo la Grande Bellezza ma non l’ho trovata”, dice Jep. E non poteva trovarla perché la bellezza (al pari dell’amore) non si trova, si crea. La bellezza è uno stato dell’essere che si crea nel tempo, ed essa è più visibile a occhi chiusi (il mare che intravedono Jep e Ramona sul letto).
Gabriele Palombo
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alesalas1987
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giovedì 27 marzo 2014
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il decadente affresco della postmodernità
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A fianco di molti elogi giustamente spesi nei confronti de “la grande bellezza”, molte sono state anche le critiche arrivate, per lo più, diciamolo, dal pubblico italiano. Fra tutte, la più comune riguarda lo scarso ritmo della piccola, giudizio questo sintetizzato da un tanto lapidario quanto sbrigativo: “è un film noioso”. La realtà, se vogliamo dirla tutta, è che la grande bellezza non è né un film noioso, né tantomeno un film. O almeno, non nel modo “tradizionale” in cui tutti noi intendiamo il concetto di film: ossia un potente costrutto narrativo con uno o più protagonisti che, passando per alcuni avvenimenti particolari, procedono da un punto di partenza “A” verso un punto di arrivo “B”.
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A fianco di molti elogi giustamente spesi nei confronti de “la grande bellezza”, molte sono state anche le critiche arrivate, per lo più, diciamolo, dal pubblico italiano. Fra tutte, la più comune riguarda lo scarso ritmo della piccola, giudizio questo sintetizzato da un tanto lapidario quanto sbrigativo: “è un film noioso”. La realtà, se vogliamo dirla tutta, è che la grande bellezza non è né un film noioso, né tantomeno un film. O almeno, non nel modo “tradizionale” in cui tutti noi intendiamo il concetto di film: ossia un potente costrutto narrativo con uno o più protagonisti che, passando per alcuni avvenimenti particolari, procedono da un punto di partenza “A” verso un punto di arrivo “B”.
Ne “la grande bellezza”, tanto per essere chiari, non vi è niente di tutto ciò: non c’è una precisa costruzione narrativa, non c’è un punto di partenza, non c’è un punto di arrivo, non c’è una chiara conclusione e soprattutto non c’è alla base del film una molteplicità di sfortune contro le quali il protagonista si imbatte per giungere felicemente al tanto agognato obiettivo. O meglio, le sfortune ci sono, ma vengono qui rappresentate più come limiti della natura umana da metabolizzare piuttosto che come insormontabili ostacoli da superare. Se vogliamo dirla tutta, la grande Bellezza è un film che non è piaciuto a molti proprio perché, con un cinismo un po’ sfrontato e dal sapore fortemente nostalgico, spalanca gli occhi di fronte alla naturalezza e alla insensatezza della vita; vita stessa che viene qui rappresentata più come un frammentato e incoerente flusso circolare di istanti a sé stanti che come un preciso e lineare continuum diretto a un obiettivo. E, malgrado quanto detto dai media nazionali, la grande bellezza non parla dell’Italia: o almeno, non solo. Sorrentino ha l’obiettivo ben più ambizioso di rappresentare la vita stessa, filtrandola con lo sguardo narcisistico proprio dell’era postmoderna nella quale stiamo vivendo. E, a mio avviso, riesce in questa impresa soprattutto grazie a due principali fattori.
Prima di tutto, Sorrentino esprime al meglio la trasformazione di quadro concettuale avvenuta nell’ultimo secolo: dissolti i miti neopositivisti fiduciosi nel rappresentare vita e società come coerenti narrazioni che la scienza è in grado di spiegare, la vita è ora ridotta a un tanto confuso quanto incoerente susseguirsi di frammenti isolati fra di loro, con la dimensione temporale che passa da verità apodittica a sensazione meramente soggettiva, prodotta interamente dall’esperienza singola dell’individuo. Tradotto: la sicurezza di un mondo coerente e sotto controllo diventa incertezza riguardo una realtà che non per forza è come sembra. Jep non ha un ruolo nella società, né un fine nella vita: vive per esistere, alla stregua di tutta la gente che lo circonda. E lo fa passando attraverso una serie di momenti a cui cerca, neanche troppo convintamente, di dare un senso, di trovarne, in qualche modo, “la grande bellezza”. Grande Bellezza che alla fine, di fronte allo sguardo impietosito ma anche velatamente accusatorio della suora, accetta di non essere riuscito a cogliere; il senso globale del tutto si sgretola miseramente di fronte alle risposte non date, e l’uomo soffre in solitudine questa perdita di certezza.
In secondo luogo, ma non per questo meno in modo meno convincente, la grande bellezza esprime in toto la trasformazione sociale di cui tutti negli ultimi decenni siamo stati contemporaneamente attori e vittime. Privi ormai di qualsiasi punto di riferimento sociale, persi fra una chiesa che partorisce cardinali senza fede e una politica che viene rappresentata da latitanti che si vantano di mandare avanti l’economia, i personaggi della grande bellezza, così come gli individui del mondo post-moderno, si aggirano infatti per la vita non solo senza modelli comportamentali da seguire, ma anche senza ideali propri da perseguire. Scrittori che non scrivono, malati che non si curano, preti che non pregano, soubrette che non ballano più, intellettuali che si pensano superiori pur non avendo nulla in più della gente comune: tutti partecipano al carrozzone decadente della postmodernità, dove si preferisce perdersi in una vorticosa spirale di mondanità votata interamente al raggiungimento del piacere nell’istante presente piuttosto che fermarsi a riflettere e a ricercare un senso più profondo della loro esistenza. Eppure la riflessione, o il tentativo di riflettere, non manca, né nella vita, né in questo film: ma il sapore dei pensieri di Jep e di molti di noi è alla fine una sorta di reminiscenza malinconica con un retrogusto amaro: comprendere che ci sia qualcosa che non va, ma non riuscire (o non volere) afferrarne il senso completo. E non perché sia impossibile, ma, cosa se vogliamo ben più grave, perché manca la costanza e la voglia di credere nelle proprie potenzialità. Jep è nello stesso tempo specchio e sintomo di una società senza guida, che ha prodotto una generazione priva della capacità di concentrarsi non solo sulle proprie potenzialità, inserendole in un percorso di crescita individuale a lungo termine, ma neanche sugli avvenimenti circostanti. L’unico obiettivo della vita postmoderna diventa quindi una distrazione disillusa fine a se stessa, che allontana, o quantomeno non avvicina, alla verità della vita: un mero divertissment che non solo non aiuta a rispondere alle domande, ma non contribuisce neanche più a porsene di nuove.
La recita di Jep, che alterna quotidianamente maschere pirandelliane per sopravvivere al senso di decadenza interiore, coinvolge quindi tutta la capitale italiana in un’orbita gravitazionale costantemente lontana dal centro, metaforicamente rappresentato benissimo dalla città di Roma, che, non a caso, viene sempre sfiorata ma mai vissuta veramente. Roma che è poi in senso stretto quella grande bellezza, emblema di una ricchezza interiore e di un senso di vita che è solamente visto da lontano ma anch’esso mai raggiunto a fondo.
C’è tutta la natura umana contemporanea nel film di Sorrentino, in un mondo diviso fra chi ne è tuttavia consapevole, pur senza fare sforzi per uscirne, e chi affannosamente pensa di potersi elevare al di sopra degli altri, salvo poi essere riportato bruscamente a terra durante una conversazione sul magico terrazzo con vista colosseo. Alla fine, però, devono tutti fare i conti con la natura della vita stessa, e facendo cadere tutte le maschere, quello che rimane è semplicemente un incoerente alternarsi fra brutti momenti di decadenza e sparuti cenni di grande bellezza. Come la suora, come Roma: ci passano a fianco senza che ce ne accorgiamo.
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[+] la visione del tempo
(di stella85)
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alexandra mann
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martedì 25 marzo 2014
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la grande realtà
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Vidi "La grande bellezza" nei primi di giugno 2013, quando ancora nessuno se lo filava. Ne rimasi parecchio affascinata, ma nello stesso tempo turbata... tutta questa esternazione di vacuità dilagante della società italiana aveva fomentato in me un forte senso di sgomento. Ricordo che nel preciso momento in cui uscii dal cinema pensai "questo film sarà ricordato, nel bene e nel male". Ha vinto il Nastro d'argento, l'EFA, il BAFTA, il Golden Globe e pochi giorni fa l'Oscar e adesso tutti, ma proprio tutti, ne parlano. Cosa ne è uscito fuori? Il risultato è stato, oserei dire, esilarante. Ne è emerso tutto ciò che nel film viene raccontato, ogni persona (e mi ci metto anch'io) diventa una caricatura di sé e recita la propria parte, cerca di far valere la propria opinione elevandola però a verità assoluta (questo film "fa schifo", "è noioso".
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Vidi "La grande bellezza" nei primi di giugno 2013, quando ancora nessuno se lo filava. Ne rimasi parecchio affascinata, ma nello stesso tempo turbata... tutta questa esternazione di vacuità dilagante della società italiana aveva fomentato in me un forte senso di sgomento. Ricordo che nel preciso momento in cui uscii dal cinema pensai "questo film sarà ricordato, nel bene e nel male". Ha vinto il Nastro d'argento, l'EFA, il BAFTA, il Golden Globe e pochi giorni fa l'Oscar e adesso tutti, ma proprio tutti, ne parlano. Cosa ne è uscito fuori? Il risultato è stato, oserei dire, esilarante. Ne è emerso tutto ciò che nel film viene raccontato, ogni persona (e mi ci metto anch'io) diventa una caricatura di sé e recita la propria parte, cerca di far valere la propria opinione elevandola però a verità assoluta (questo film "fa schifo", "è noioso"... oppure "è un capolavoro assoluto", insomma, spicca il bisogno incessante di etichettare frettolosamente un film degno invece di essere profondamente analizzato e sviscerato). Quest'opera non è solo questo, è molto di più, non è solo un viaggio immaginario, come suggerisce la frase di Louis-Ferdinand Céline all'inizio del film, ma è pura squallida realtà.
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luis5820
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martedì 25 marzo 2014
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un mondo grottesco e tragico al tempo stesso.
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"Tutto finisce con la morte , prima però c'è la vita"
Un film molto bello e triste al tempo stesso. Tristezza è un eufemismo. La parola più appropriata è ' desolazione '.
Si rimane desolati di fronte a questo film che ci illustra , senza mezzi termini , la decadenza della nostra società.
Un insieme di personaggi che cercano un qualcosa che , ormai , non c'è più.
Immagine di sconfitta o meglio di frustrazione di un mondo che non va al di là di sorrisi ubrichi e musiche ballate in una Roma piena di quel fascino di epoche passate che non merita lo scempio misero della nostra società occidentale . Una società in disfacimento , senza più valori e obbiettivi se non quello di sembrare o , meglio , nascondere ciò che di misero ognuno ha.
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"Tutto finisce con la morte , prima però c'è la vita"
Un film molto bello e triste al tempo stesso. Tristezza è un eufemismo. La parola più appropriata è ' desolazione '.
Si rimane desolati di fronte a questo film che ci illustra , senza mezzi termini , la decadenza della nostra società.
Un insieme di personaggi che cercano un qualcosa che , ormai , non c'è più.
Immagine di sconfitta o meglio di frustrazione di un mondo che non va al di là di sorrisi ubrichi e musiche ballate in una Roma piena di quel fascino di epoche passate che non merita lo scempio misero della nostra società occidentale . Una società in disfacimento , senza più valori e obbiettivi se non quello di sembrare o , meglio , nascondere ciò che di misero ognuno ha. E il protagonista afferma di non aver mai trovato quella grande bellezza per poter scrivere ancora . Qual'è la grande bellezza ? E la semplicità , il godere le cose semplici e sincere della vita. Grande bellezza è capire e aiutare gli altri. Chi riesce a raggiungere la grande bellezza? Sarebbe un gran risultato cercare almeno di raggiungerla il che significherebbe aver capito dove si trova.
Posso dire che il regista con questo film ha dato un esempio di grande bellezza.
Mario
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davidalcor
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martedì 25 marzo 2014
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pesante come un macigno
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poche parole per dire qualcosa di evidente: il film non ha una storia avvincente e quindi annoia inevitabilmente il 90% delle persone che lo vedono. Detto questo, la regia e il messaggio del film sono di valore e se si ha la capacità di apprezzarli e non ci si addormenta si può riconoscere alcuni meriti a chi lo ha realizzato. Speriamo che in futuro Sorrentino pensi anche un po' al pubblico e un po' meno alle giurie, perché un film che arriva a pochi è secondo me un mezzo fallimento
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giorgio76
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lunedì 24 marzo 2014
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"la grande bellezza", storia di un'anima
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Film notevole e di spessore, anche se e' presto per definirlo un capolavoro. Meritava l'Oscar? Non riesco a dirlo: certo e' mille spanne sopra quel "bluff" de "La vita e' bella" di Benigni. Non e' un film ermetico, anche se forse non e' ... per tutti. Forse tanti trovano e troveranno STUCCHEVOLE quel senso di MELANCONIA e di IPER-RIFLESSIVITA' che, dietro le apparenze mondane, caratterizza la vita di un artista come Jep Gambardella-Servillo, che nel film vive un percorso di denudamento ma in fondo di serena maturazione: dall'esaltazione romantica della giovinezza, che lo porta ad una specie di ossessione della Bellezza (quasi una "sindrome di Standal" dissimulata) ma che lo blocca nell'autentica vena di artista (e lo porta a buttarsi via in squallide cronache mondane) alla consapevolezza finale (maturata tra prove dolorose e grazie a Suor Maria) che la sua vita non e' "unica e imagnifica", non e' da "Superuomo" (dannunziano o nicciano), ma e' una vita vissuta .
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Film notevole e di spessore, anche se e' presto per definirlo un capolavoro. Meritava l'Oscar? Non riesco a dirlo: certo e' mille spanne sopra quel "bluff" de "La vita e' bella" di Benigni. Non e' un film ermetico, anche se forse non e' ... per tutti. Forse tanti trovano e troveranno STUCCHEVOLE quel senso di MELANCONIA e di IPER-RIFLESSIVITA' che, dietro le apparenze mondane, caratterizza la vita di un artista come Jep Gambardella-Servillo, che nel film vive un percorso di denudamento ma in fondo di serena maturazione: dall'esaltazione romantica della giovinezza, che lo porta ad una specie di ossessione della Bellezza (quasi una "sindrome di Standal" dissimulata) ma che lo blocca nell'autentica vena di artista (e lo porta a buttarsi via in squallide cronache mondane) alla consapevolezza finale (maturata tra prove dolorose e grazie a Suor Maria) che la sua vita non e' "unica e imagnifica", non e' da "Superuomo" (dannunziano o nicciano), ma e' una vita vissuta ... sulla stessa barca degli altri! La Suora, verso la fine, invita Jep a "nutrirsi di radici". Un invito apparentemente enigmatico, ma che racchiude l'invito a Jep di ritrovare, attraverso la sua arte e la scrittura, la "simpatia" con il genere umano, per cercarne la sintonia con le gioie e i dolori di tutti, e non piu' per cercare il consenso di una cerchia chiusa e auto-referenziale. "La Grande Bellezza" e' tutta giocata su questi POLI NARRATIVI: Autenticita' vs Falsita', Apparenza vs Realta', Dissimulazione vs Sincerita', Esteriorita' vs Interiorita'. Un film tutto sommato aperto alla Speranza. Assolutamente cretino chi, a proposito del film, ne ha accreditato letture POLITICHE o SOCIOLOGICHE sulla realta' Italiana. STRONZATE! QUELLA DI JEP GAMBARDELLA e' (nel suo genere) LA STORIA DI UN'ANIMA!
Qualche nota tecnica.
Sorrentino riesce nel non facile obiettivo di evitare la facile MAGNILOQUENZA che prende gli artisti quando cercano a tutti i costi di ELEVARSI e che li rende STUCCHEVOLI nelle citazioni. Il soggetto e' simile a "La dolce vita" (nell'ambientazione) e a "Morte a Venezia". Sorrentino evita di fare la facile "doppia copia" felliniana ed evita la freddezza estetizzante di Visconti. C'e' un equilibrato dosaggio tra momenti "poetici", drammatici e "da commedia": si evita l'eccesso estetizzante, la facile CACIARA, ma anche il patetico e il melodramma. Decisivo, in questo equilibrio, oltre la regia indubbiamente di valore di Sorrentino, anche lo straordinario contributo recitativo di Toni Servillo.
Da vedere.
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gabrilele
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sabato 22 marzo 2014
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un altro pittoresco viaggio nell'abisso
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Un' opera cinematografica che si propone, nella sua consapevole ambizione, di dare un nome alla necessità comune propria di chi ha sempre vissuto di eccessi, cavalcando un'onda che ad un certo punto, inesorabilmente, si infrange contro il muro dell'ambiguità umana.
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dante soldi
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sabato 22 marzo 2014
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un palinsesto che è (quasi) un capolavoro
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"La grande bellezza" è un palinsesto, non ha molto senso distinguere crocianamente la poesia e la non poesia.
A me ha ricordato...Moby Dick di Melville.Anche lì ci sono parti tediose, soprattutto ci sono diversi livelli di lettura.In superficie è la storia di una crisi di ispirazione, che diventa presto esistenziale, si allarga a contemplare la vita inautentica che conduciamo, ma anche il sostanziale scacco di ogni creatura di fronte alla fine.E, come Acab che cova vendetta per la natura che l'ha punito, ma è al contempo dittatore di una ciurma di schiavi nell'epoca dei mass media (prima dei mass media), manager occhiuto del Capitalismo trionfante, e idealista tendente all'Assoluto, così Gambardella vive su diversi piani inconciliabili.
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"La grande bellezza" è un palinsesto, non ha molto senso distinguere crocianamente la poesia e la non poesia.
A me ha ricordato...Moby Dick di Melville.Anche lì ci sono parti tediose, soprattutto ci sono diversi livelli di lettura.In superficie è la storia di una crisi di ispirazione, che diventa presto esistenziale, si allarga a contemplare la vita inautentica che conduciamo, ma anche il sostanziale scacco di ogni creatura di fronte alla fine.E, come Acab che cova vendetta per la natura che l'ha punito, ma è al contempo dittatore di una ciurma di schiavi nell'epoca dei mass media (prima dei mass media), manager occhiuto del Capitalismo trionfante, e idealista tendente all'Assoluto, così Gambardella vive su diversi piani inconciliabili.
E' inevitabile che un'altra chiave di lettura sia quella della decadenza italiana, che si acutizza proprio nel contrasto con una grandezza e bellezza passata che è quasi prepotente.
Sorrentino è un Fellini che "ha visto" come la "Dolce vita" andava a finire, ha sanzionato la fine di un'epoca, un pò come il "Sorpasso" ha sanzionato la fine del boom economico degli anni Sessanta prima che finisse.
Nel finale Gambardella ricomincia a scrivere.Probabilmente non ha illusioni, però la sua rinuncia all'Assoluto ha il sapore dell'umiltà e della vita vera.
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albruno
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venerdì 21 marzo 2014
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la grande bellezza??????
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non è stato carino vedere ovunque pubblicità velate e non di marche note e non durante tutto il film, ma d'altronde la crisi è crisi. Il film a me non è dispiaciuto, ma attenzione non ho detto bello solo direi troppo Felliniano si vede solo uno spaccato sociale, sul fatto che sia lento quello è il modo di dirigere di Sorrentino basta guardare this must be the place film molto bello ma lento
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non è stato carino vedere ovunque pubblicità velate e non di marche note e non durante tutto il film, ma d'altronde la crisi è crisi. Il film a me non è dispiaciuto, ma attenzione non ho detto bello solo direi troppo Felliniano si vede solo uno spaccato sociale, sul fatto che sia lento quello è il modo di dirigere di Sorrentino basta guardare this must be the place film molto bello ma lento il punto vero di forza è l'attore protagonista Tony Servillo è fantastico mi ricorda Gian Maria Volonté
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[+] una massaia
(di diletta di donato)
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[+] lavorare stanca
(di diletta di donato)
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