davide chiappetta
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mercoledì 11 giugno 2014
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freddo e nero come la morte
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Il film si fonde cosi tanto nella descrizione dello squallore della Roma odierna anti-felliniana, che cessa di essere film e diventa come i suoi personaggi, anche se girato in maniera splendida (pregio e difetto per la storia che racconta) Sorrentino da bravo antropologo azzecca l'humus di certe classi sociali ma infarcisce il tutto con dialoghi ridicoli proto-intellettuali e situazioni al limite dello sbadiglio ed è quello che non capisco visto lo spessore delle sue sceneggiature precedenti, insomma nel complesso il film è un carrozzone pesantissimo freddo e nero come la morte (gli unici ricordi del protagonista sono da soap-opera), che non ti permette di vedere le cose con la giusta distanza ironica e storica, cosi come hanno fatto e fanno i veri maestri del cinema da Kubrick a Malick a Kaufman.
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Il film si fonde cosi tanto nella descrizione dello squallore della Roma odierna anti-felliniana, che cessa di essere film e diventa come i suoi personaggi, anche se girato in maniera splendida (pregio e difetto per la storia che racconta) Sorrentino da bravo antropologo azzecca l'humus di certe classi sociali ma infarcisce il tutto con dialoghi ridicoli proto-intellettuali e situazioni al limite dello sbadiglio ed è quello che non capisco visto lo spessore delle sue sceneggiature precedenti, insomma nel complesso il film è un carrozzone pesantissimo freddo e nero come la morte (gli unici ricordi del protagonista sono da soap-opera), che non ti permette di vedere le cose con la giusta distanza ironica e storica, cosi come hanno fatto e fanno i veri maestri del cinema da Kubrick a Malick a Kaufman. Inoltre il titolo è un bluff oltre a essere ruffianissimo che pretende di essere ironico. Paolo, bello di papà, hai fatto molto ma molto di meglio, spero riprendi da dove hai lasciato (sarà difficile ora che ha vinto l'Oscar).
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(di blacky)
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taxidriver
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domenica 8 giugno 2014
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la (mediamente) grande bellezza
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Ero rimasto abbastanza deluso dal precedente This Must Be The Place, che aveva segnato l'esordio americano del nostro Paolo Sorrentino, un film in ogni caso poco interessante e coinvolgente.
Bé, questo La Grande Bellezza, titolo a parte, non è poi una pellicola che ne sprigiona chissà quanta. A parte Toni Servillo, che offre l'ennesima interpretazione magistrale (il film è al 50% suo, anzi facciamo pure 51), a parte una regia, questa sì, bella, e una fotografia spettacolare, a parte scenografie di buon livello e una generale buona prova del cast, il film non c'è, o c'è n'è poco.
E poi, sto film sarebbe dovuto uscire almeno dieci anni fa.
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Ero rimasto abbastanza deluso dal precedente This Must Be The Place, che aveva segnato l'esordio americano del nostro Paolo Sorrentino, un film in ogni caso poco interessante e coinvolgente.
Bé, questo La Grande Bellezza, titolo a parte, non è poi una pellicola che ne sprigiona chissà quanta. A parte Toni Servillo, che offre l'ennesima interpretazione magistrale (il film è al 50% suo, anzi facciamo pure 51), a parte una regia, questa sì, bella, e una fotografia spettacolare, a parte scenografie di buon livello e una generale buona prova del cast, il film non c'è, o c'è n'è poco.
E poi, sto film sarebbe dovuto uscire almeno dieci anni fa. Questo è uno dei punti deboli del nostro cinema: è indietro.
Eppure, la storia di Jep coinvolge.
E' un film dove le immagini, ovviamente, funzionano più dei dialoghi. Anzi il difetto del film sono proprio i dialoghi, e, più in generale, la sceneggiatura.
Ma questa mancanza viene compensata dall'aspetto visivo. In definitiva, è un film sicuramente di grande importanza, per i temi trattati e per come li tratta.
E' anche un film di denuncia sociale.
Ma è soprattutto il film di Jep. Su di lui si potrebbe discutere: in fondo, era più umano di quanto credesse.
E', anche, un film sulla crisi esistenziale di un uomo. Questi due piani, l'individuale e il sociale, nel film sono ben esposti e formano il cuore della storia.
Alla prossima, Sorrentì.
Tre stelle abbastanza generose (sarebbero due e mezzo).
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peppy86
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sabato 7 giugno 2014
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affresco perfetto riposto in una cornice decrepita
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La Grande Bellezza non racconta nulla.
In realtà è un encefalogramma piatto che rileva il battito cardiaco dell'Italia dei giorni nostri.
Roma, la capitale mondiale della bellezza, intrisa di storia e monumenti, respira un'aria malinconica e triste.
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La Grande Bellezza non racconta nulla.
In realtà è un encefalogramma piatto che rileva il battito cardiaco dell'Italia dei giorni nostri.
Roma, la capitale mondiale della bellezza, intrisa di storia e monumenti, respira un'aria malinconica e triste. E' l'aria che respira anche il protagonista, Jep Gambardella, e i suoi non-amici e conoscenti. Persone impegnate a fare nulla, a divertirsi del non-divertimento, a parlare di fatti e concetti vuoti e privi di stimoli che possano sollecitare lo spettatore.
L'incedere è lento e monotono ma mai pesante. E' un filo d'aria che attraversa una fiacca ed interminabile estate.
Tutto si appiattisce.
Ma cos'è allora la Grande Bellezza?
Sorrentino ci risponde.
I ricordi del protagonista sembrano trovare pace in qualcosa che lo ha deluso. E' una visione nitida, un momento che riaffiora come per consolarlo.
Forse noi tutti ci siamo dimenticati cosa sono le cose belle.
Le cose più belle sono gli esseri umani. I loro amori. I loro lunghi baci.
E' incredibile come un uomo possa passare una vita intera circondato dalla bellezza ma fare fatalmente capolinea nel senso opposto, ossia nella Grande Bruttezza.
Feste, sesso, protagonismo estremo non sembrano mai soddisfare nessuno.
Ognuno ha dipinto sul suo volto un falso ottimismo, una serenità fallita, un perbenismo che non fa breccia neanche in chi lo racconta.
Di cosa ha bisogno allora l'uomo?
A questa domanda, il protagonista risponde malinconicamente: "La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare".
Amara ma illuminate riflessione.
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peppy86
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sabato 7 giugno 2014
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affresco perfetto riposto in una cornice decrepita
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La Grande Bellezza non racconta nulla.
In realtà è un encefalogramma piatto che rileva il battito cardiaco dell'Italia dei giorni nostri.
Roma, la capitale mondiale della bellezza, intrisa di storia e monumenti, respira un'aria malinconica e triste. E' l'aria che respira anche il protagonista, Jep Gambardella, e i suoi non-amici e conoscenti. Persone impegnate a fare nulla, a divertirsi del non-divertimento, a parlare di fatti e concetti vuoti e privi di stimoli che possano sollecitare lo spettatore.
L'incedere è lento e monotono ma mai pesante. E' un filo d'aria che attraversa una fiacca ed interminabile estate.
Tutto si appiattisce.
Ma cos'è allora la Grande Bellezza?
Sorrentino ci risponde.
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La Grande Bellezza non racconta nulla.
In realtà è un encefalogramma piatto che rileva il battito cardiaco dell'Italia dei giorni nostri.
Roma, la capitale mondiale della bellezza, intrisa di storia e monumenti, respira un'aria malinconica e triste. E' l'aria che respira anche il protagonista, Jep Gambardella, e i suoi non-amici e conoscenti. Persone impegnate a fare nulla, a divertirsi del non-divertimento, a parlare di fatti e concetti vuoti e privi di stimoli che possano sollecitare lo spettatore.
L'incedere è lento e monotono ma mai pesante. E' un filo d'aria che attraversa una fiacca ed interminabile estate.
Tutto si appiattisce.
Ma cos'è allora la Grande Bellezza?
Sorrentino ci risponde.
I ricordi del protagonista sembrano trovare pace in qualcosa che lo ha deluso. E' una visione nitida, un momento che riaffiora come per consolarlo.
Forse noi tutti ci siamo dimenticati cosa sono le cose belle.
Le cose più belle sono gli esseri umani. I loro amori. I loro lunghi baci.
E' incredibile come un uomo possa passare una vita intera circondato dalla bellezza ma fare fatalmente capolinea nel senso opposto, ossia nella Grande Bruttezza.
Feste, sesso, protagonismo estremo non sembrano mai soddisfare nessuno.
Ognuno ha dipinto sul suo volto un falso ottimismo, una serenità fallita, un perbenismo che non fa breccia neanche in chi lo racconta.
Di cosa ha bisogno allora l'uomo?
A questa domanda, il protagonista risponde malinconicamente: "La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni, è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare".
Amara ma illuminate riflessione.
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dave san
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venerdì 6 giugno 2014
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agrodolce roma
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Jep Gambardella (Servillo) è un giornalista disilluso che vive e lavora a Roma. In giovinezza, scrive un romanzo divenuto cult nel circuito. Oggi, è diventato un mondano e partecipa alle feste più scatenate che impazzano nella città eterna. Si dice un misantropo, una sorta di misantropo conviviale. Durante i salotti con i suoi amici e colleghi, imbarazza l’uditorio spiattellando le verità di fronte a chi si celebra troppo. L’incedere della trama sembra intenzionalmente lento, così come flemmatica è la voce di Gambardella, in e fuori campo. Visivamente la pellicola indugia sui monumenti, sulle ombre, sui volti, combinando questi componenti poeticamente.
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Jep Gambardella (Servillo) è un giornalista disilluso che vive e lavora a Roma. In giovinezza, scrive un romanzo divenuto cult nel circuito. Oggi, è diventato un mondano e partecipa alle feste più scatenate che impazzano nella città eterna. Si dice un misantropo, una sorta di misantropo conviviale. Durante i salotti con i suoi amici e colleghi, imbarazza l’uditorio spiattellando le verità di fronte a chi si celebra troppo. L’incedere della trama sembra intenzionalmente lento, così come flemmatica è la voce di Gambardella, in e fuori campo. Visivamente la pellicola indugia sui monumenti, sulle ombre, sui volti, combinando questi componenti poeticamente. Le scene dei party, poi, hanno vita propria. Scenari che catturano inevitabilmente. Grotteschi quanto sfarzosi e sincronizzati. Non è sicuramente un film convulso e le immagini si susseguono spesso in ordine estetico più che temporale. A volte paludato, come l’Italia che sembra voler raffigurare il regista. Paradossalmente però, l’umanità ritratta da Sorrentino è spiritosa e non sempre sgradevole. Decadente ma a suo modo solare. Eccetto il fantomatico Giulio Moneta, gli altri non sono criminali. Vivono nel privilegio di una classe in crisi, nei valori più che nell’effettivo stile di vita. Non sembrano effettivamente dei rapaci. Dal canto loro, Jep in primis, tendono a compiangersi/re intensamente. Se i panni sporchi si lavano in famiglia, il cineasta ne mostra un po’ al mondo. Parlando a porte aperte, da Italiano, ad un’Italia non propriamente suburbana. Non mancano poi le gag facete. Suor Maria ispira la presa in giro e l’ammirazione allo stesso tempo. Comica e sublime, perché potente. Non poteva che ritirarsi in raccoglimento nelle stanze di Jep. Azzardando un paragone tra icone mediatiche nostrane, la Vita è Bella aveva un piglio patriota e partigiano. La Grande Bellezza è un ritratto languido e barocco della nostra borghesia. Un baluardo kitsch a fronte di un diffuso pragmatismo seriale probabilmente più praticabile. Motteggiando: se la processione di Sorrentino annaspa, il resto d’Italia non sembra un collettivo di Suor Marie.
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tomdoniphon
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mercoledì 4 giugno 2014
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la "dolce vita" rivista da sorrentino
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"Quando sono arrivato a Roma a 26 anni sono precipitato nel vortice della mondanità, ma io non volevo essere semplicemente un mondano..io volevo diventare il re dei mondani..e ci sono riuscito...io non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire!". Appena compiuti 65 anni, Jep Gambardella, giornalista napoletano da molto tempo trapiantato a Roma, è uno dei protagonisti della mondanità romana; egli non riesce a sottrarsi alla vacuità del suo mondo, rimanendo soltanto con il ricordo della sua prima fidanzata e della sua giovinezza. Il modello del film è ovviamente "La dolce vita", ma ben presto il film se ne allontana: se il capolavoro di Fellini era incentrato sulla rappresentazione di un momento di svolta nella storia del nostro paese, qui l'attenzione è incentrata, più che sull'analisi di Roma (e, più in generale, dell'Italia di oggi), sul protagonista e sui frequentatori delle sue feste, tutti incapaci di misurarsi con la loro meschinità.
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"Quando sono arrivato a Roma a 26 anni sono precipitato nel vortice della mondanità, ma io non volevo essere semplicemente un mondano..io volevo diventare il re dei mondani..e ci sono riuscito...io non volevo solo partecipare alle feste, volevo avere il potere di farle fallire!". Appena compiuti 65 anni, Jep Gambardella, giornalista napoletano da molto tempo trapiantato a Roma, è uno dei protagonisti della mondanità romana; egli non riesce a sottrarsi alla vacuità del suo mondo, rimanendo soltanto con il ricordo della sua prima fidanzata e della sua giovinezza. Il modello del film è ovviamente "La dolce vita", ma ben presto il film se ne allontana: se il capolavoro di Fellini era incentrato sulla rappresentazione di un momento di svolta nella storia del nostro paese, qui l'attenzione è incentrata, più che sull'analisi di Roma (e, più in generale, dell'Italia di oggi), sul protagonista e sui frequentatori delle sue feste, tutti incapaci di misurarsi con la loro meschinità. Il ritratto che ne esce è quello di un mondo sull'orlo della disperazione, abitato da morti viventi (come i nobili pagati per partecipare ad una cena). Il film, tuttavia, non risulta essere perfettamente controllato nella parte finale, in cui Sorrentino ha voluto inserire il personaggio di una vecchia santa, così da enfatizzare, pur non essendovi la necessità, il contrasto tra il mondo debosciato del protagonista e la purezza di quest'ultima. Il film qui si ingolfa, anche per l'abuso di una ridondante voce off. Rimangono in ogni caso impresse nella memoria dello spettatore alcune sequenze davvero indovinate, come quella iniziale in cui Jep afferma: "ero destinato alla sensibilità"; e lo dice in un momento (la festa per i suoi 65 anni) in cui la sensibilità pare appartenere ad un altro pianeta. Ottimo tutto il cast.
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soarviero
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domenica 25 maggio 2014
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fellini zero sorrentino mille
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Indiscutibilmente unico, davvero difficile trovare un segno negativo nel film. L'ho gia visto quattro volte ed ogni volta scopri passaggi ed espressioni sottintese.
Un film che pochi registi sarebbero in grado di eguagliare. Unico dispiacere la colonna sonora che ho anche comprato in cui alcune musiche sono state inserite a scapito di qualcun'altra che invece poteva esserci.
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ely57
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sabato 24 maggio 2014
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una maschera mondana e non ...
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Maschera mondana e non...
Il volto di Servillo-Jep è la maschera perfetta di una vita molto mondana e scafata, una vita post- pop, post-radical chic, post-modern e Sorrentino descrive perfettamente la città fisica (tra l'altro sceglie Roma la città più bella del mondo per gli intellettuali classici) e l'uomo d'oggi e le dinamiche quasi di antropologia urbana nella società d'oggi alle soglie del XXI secolo.
Non c'è giacca, colore, amicizia, festa, party e relazione amorosa o non che il protagonista non abbia vissuto e provato.
Questo film circolare, non segue l'iperbole della decadenza descritta per quasi tutta la lunghezza del film ma grandiosamente, termina bene come nella miglior letteratura classica, nel farci vivere e per Sevillo-Jep ritornare in un momento del suo passato, e il regista sceneggiatore lo salva così immergendolo nella bellezza anzi nella " grande bellezza" dello spazio-tempo dei sentimenti puri ed emozionanti provati per una ragazza in gioventù , quei momenti sulla scogliera sono per il vissuto protagonista, un presente intatto ed incontaminato, spazio-luogo in cui trasporsi e sua salvezza nel momento adulto di un bilancio complessivo su un esistenza che ha visto e vissuto i vuoti e le derive più assolute.
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Maschera mondana e non...
Il volto di Servillo-Jep è la maschera perfetta di una vita molto mondana e scafata, una vita post- pop, post-radical chic, post-modern e Sorrentino descrive perfettamente la città fisica (tra l'altro sceglie Roma la città più bella del mondo per gli intellettuali classici) e l'uomo d'oggi e le dinamiche quasi di antropologia urbana nella società d'oggi alle soglie del XXI secolo.
Non c'è giacca, colore, amicizia, festa, party e relazione amorosa o non che il protagonista non abbia vissuto e provato.
Questo film circolare, non segue l'iperbole della decadenza descritta per quasi tutta la lunghezza del film ma grandiosamente, termina bene come nella miglior letteratura classica, nel farci vivere e per Sevillo-Jep ritornare in un momento del suo passato, e il regista sceneggiatore lo salva così immergendolo nella bellezza anzi nella " grande bellezza" dello spazio-tempo dei sentimenti puri ed emozionanti provati per una ragazza in gioventù , quei momenti sulla scogliera sono per il vissuto protagonista, un presente intatto ed incontaminato, spazio-luogo in cui trasporsi e sua salvezza nel momento adulto di un bilancio complessivo su un esistenza che ha visto e vissuto i vuoti e le derive più assolute.
Quei tre quarti di vita inutile descritta nel film, all'improvviso non sono e non valgono più nulla rispetto alla bellezza del momento di un ricordo sempre vivo che fu intensamente vissuto, facendoci così partecipare tutti alla "grande bellezza " di un dolce e assoluto sentimento che poi la vita e la società d'oggi con tutte le sue difficoltà spesso non ne permette la continuità e tende purtroppo a centrifugarci tutti, nel tritacarne del vuoto e della superficialità.
Grande Sorrentino!
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wetman
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lunedì 12 maggio 2014
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sorrentino imbattibile anche stavolta
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“Prima della morte, c’è la vita, nascosta sotto l’amore, il sentimento e gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza” conclude così Jep Gambardella, alias Tony Servillo, il film “La Grande Bellezza”, diretto da Paolo Sorrentino e vincitore del premio Oscar per il miglior film straniero 2014. Èproprio con questa frase che Jep, uomo colto, elegante, ricco e residente a Roma, capisce il senso della vita, della sua vita. Egli, infatti, ha ormai sessantacinque anni e l’unica vera soddisfazione nella sua esistenza che gli è riuscito di carpire è l’aver scritto, da giovane, un romanzo che riscosse un discreto successo e che gli aprì la strada in quello che lui chiama “il vortice della mondanità”.
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“Prima della morte, c’è la vita, nascosta sotto l’amore, il sentimento e gli sparuti, incostanti sprazzi di bellezza” conclude così Jep Gambardella, alias Tony Servillo, il film “La Grande Bellezza”, diretto da Paolo Sorrentino e vincitore del premio Oscar per il miglior film straniero 2014. Èproprio con questa frase che Jep, uomo colto, elegante, ricco e residente a Roma, capisce il senso della vita, della sua vita. Egli, infatti, ha ormai sessantacinque anni e l’unica vera soddisfazione nella sua esistenza che gli è riuscito di carpire è l’aver scritto, da giovane, un romanzo che riscosse un discreto successo e che gli aprì la strada in quello che lui chiama “il vortice della mondanità”. Roma, però, inganna Jep con la sua immensa bellezza celandogli la volgarità e la bassezza cui oramai si è ridotta. Il protagonista, quindi, non capisce che sta sprecando la sua vita in queste feste che non hanno più senso di esistere e continua a cercare “la grande bellezza” per uno spunto ad un nuovo romanzo, ma non riesce a trovarla a causa degli inganni della Città Eterna, così bella ma anche così sudicia e volgare: ripiena di falsi artisti in cerca di fama e di cardinali che sanno molto di cucina ma nulla di religione. Ciononostante Jep riuscirà a trovare la bellezza nel luogo più inaspettato: nelle parole e nel sorriso sdentato di una vecchia missionaria, soprannominata “La Santa”, in visita a Roma. Jep costaterà molto presto che ella è addirittura più bella della città stessa. La suora, infatti, la mattina dopo il suo arrivo, darà asilo a degli uccelli migratori nella casa di Gambardella, facendogli notare quanto essi siano belli. Il protagonista capisce così che sta buttando la sua vita in sciocchezze senza senso, e che la deve cambiare radicalmente. Alla fine egli troverà quello che cercava: “La Grande Bellezza” per uno spunto ad un nuovo romanzo. Sorrentino in questo film compie un lavoro spettacolare in tutti i campi, ma analizziamoli attentamente. Prima di tutto, la regia, la quale in questa pellicola è assolutamente magistrale. Sorrentino riesce a rendere la città di Roma esattamente come la vuol far intendere nel film, grazie a un magnifico lavoro svolto dietro la macchina da presa. Il regista, infatti, utilizza delle inquadrature molto ampie e larghe sui luoghi più belli e caratteristici di Roma (Il Colosseo, San Pietro, Piazza Navona, ecc.) le quali, mischiati a un buon utilizzo del colore, a un ottimo montaggio e alla grande abilità di Sorrentino, rendono ogni scena un quadro da ammirare con attenzione. Le musiche scelte per questo film non sono mai fastidiose o irritanti, bensì sono perfettamente accompagnate al contesto della scena. Altro punto a favore per Sorrentino è la sceneggiatura: priva di buchi o di qualche tipo di contraddizione, cosa nella quale è molto facile incappare a causa della mancanza di una vera e propria trama del film. Per quanto riguarda Servillo, egli compie, come al solito, un lavoro straordinario: riesce perfettamente a svolgere una parte così difficile, cioè quella di un uomo affascinate ma con un grande vuoto all’interno, rimanendo sempre credibile e, anzi, riesce ad immedesimarsi perfettamente nel suo ruolo senza mai cadere nel banale o nel ridicolo. I miei complimenti vanno anche a Sabrina Ferilli e a Carlo Verdone, i quali svolgono anch’essi un lavoro fenomenale.
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matilde perriera
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lunedì 5 maggio 2014
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la grande bellezza - matilde perriera
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La grande bellezza, di Matilde Perriera - LA GRANDE BELLEZZA è un film che mette lo spettatore di fronte a uno scorcio epocale demistificante in cui si denunzia, attraverso accenti crepuscolari, una condizione di fiacchezza e di estenuazione spirituale, un ritratto di una borghesia in pieno disfacimento psicofisico, un’esasperata quanto vana ricerca, nel silenzio e nell’ombra, di una nuova spontaneità del sentimento. E’ estate e l’Urbe splende, trascolorando dalle luci incerte del giorno e della notte, svelando angoli mai visti con occhi profondi. Protagonista è un autodiegetico sessantacinquenne, che beve a grandi sorsi acquavite continuamente e va a dormire quando altri si svegliano. Jep Gambardella, simbolo paradigmatico di uno status, si è trasferito a Roma a 26 anni, precipitando abbastanza presto, quasi senza rendersene conto, nel vortice della mondanità.
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La grande bellezza, di Matilde Perriera - LA GRANDE BELLEZZA è un film che mette lo spettatore di fronte a uno scorcio epocale demistificante in cui si denunzia, attraverso accenti crepuscolari, una condizione di fiacchezza e di estenuazione spirituale, un ritratto di una borghesia in pieno disfacimento psicofisico, un’esasperata quanto vana ricerca, nel silenzio e nell’ombra, di una nuova spontaneità del sentimento. E’ estate e l’Urbe splende, trascolorando dalle luci incerte del giorno e della notte, svelando angoli mai visti con occhi profondi. Protagonista è un autodiegetico sessantacinquenne, che beve a grandi sorsi acquavite continuamente e va a dormire quando altri si svegliano. Jep Gambardella, simbolo paradigmatico di uno status, si è trasferito a Roma a 26 anni, precipitando abbastanza presto, quasi senza rendersene conto, nel vortice della mondanità. La vita che egli rappresenta è una scheggia di luce che finisce nella notte, tutto è delusione e fatica in questa drammatica avventura esistenziale da cui si può evadere solo con il vagabondare. Lo scaltrito epicureo è messo a fuoco dalla macchina da presa quarant’anni più tardi, mentre divaga tra feste decadenti con l’obiettivo di neutralizzare il male di vivere di montaliana memoria stordendolo con i mille bla, bla, bla che lo infarciscono. In questa società svirilizzata, persino un funerale diventa un appuntamento mondano di eccellenza e si va in scena con regole ben precise con la vacua sonorità di una fraseologia ipocrita e stereotipata pronunziata con autorevolezza; in un angolino della coscienza, magari prorompe il sentimento puro della commozione reale, come nel caso del trasporto della bara di Andrea in cui si scarica anche la tensione per la morte di Ramona. L’Oscar italiano 2014 di Paolo Sorrentino, proclamato dalla giuria dell’Academy Awards il 2 marzo 2014, è, insomma, un capolavoro da vedere e rivedere per coglierne l’essenza che stigmatizza una dilagante condizione di solitudine e di incomunicabilità. Interessante e densa di connotazioni si rivela, in quest’ottica, l’immagine di copertina. Jep, fasciato nel suo sagomato abito bianco, spicca sullo sfondo color amaranto. Indossa la solita maschera del cinico sentenzioso sempre sicuro di sé e delle sue apodittiche verità, senza più i brividi dei grandi sogni, non riesce più a provare stupore e meraviglia e, icasticamente, gli si staglia davanti, quasi a intralciargli il cammino verso la redenzione, l’ombra che fa salire a galla i contrasti dell’anima e le lotte interiori. La sua avventura esistenziale non fa presupporre alcuna epifania … Così pare, eppure il fiore di amaranto, nella cultura occidentale, è simbolo dell’immortalità, è l'unico che non appassisce e, come il fiore, pur essiccato, riprende vita miracolosamente appena giunge a contatto dell’acqua, anche Gambardella, proprio nel momento in cui le speranze sembrano abbandonarlo definitivamente, trova il coraggio di rimettersi in gioco. Si reca all'Isola del Giglio per un reportage sul naufragio della Costa Concordia; proprio qui, ricordandosi del suo primo incontro con Elisa, sente riaccendersi dentro un barlume di speranza e sul suo sguardo finalmente sereno che osserva sorridente l'alba romana, si chiude il film. Toni è inciampato nella verità e si è rialzato tirandosi fuori da questo dissacrante mondo in sfacelo, il suo prossimo romanzo è finalmente pronto per venire alla luce, il suo IO è rinato.
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