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Venezia 79, una vetrina così ottima e abbondante da far venir voglia di vedere tutto

Tanti film italiani in concorso (Amelio, Nicchiarelli) anche dal cast internazionale (Guadagnino e Pallaoro) con graditi ritorni (Crialese). In tutte le sezioni però ci sono tante (troppe) chicche da scoprire.
di Paola Casella

martedì 26 luglio 2022 - Mostra di Venezia

Cinque film italiani in concorso, altrettanti francesi e americani (cui si aggiungono due produzioni anglo-yankee), e una serie di titoli attesissimi con annessi divi al Lido: il programma della 79esima Mostra del Cinema di Venezia si annuncia ottimo e abbondante, e come spesso succede quando a Cannes l’edizione è stata modesta, a Venezia non si saprà come riuscire a seguire tutto il ben di Dio messo in vetrina. 

GLI ITALIANI IN CONCORSO

In concorso ci sono Il signore delle formiche di Gianni Amelio con Luigi Lo Cascio e Elio Germano, “ricostruzione del caso Braibanti che fece scalpore negli anni ’60 con la condanna per plagio ad un intellettuale raffinato e ammiratissimo da Pasolini, Bertolucci, Eco e Carmelo Bene, e all’appello alla difesa di Braibanti che portò alla cancellazione del reato di plagio: Marco Bellocchio, uno dei firmatari dell’appello, è ora uno dei produttori del film”, dice il Direttore Artistico della Mostra Alberto Barbera, che ha dettagliato in conferenza stampa il programma; Chiara di Susanna Nicchiarelli “getta invece una luce inedita sul personaggio di Santa Chiara ed è basato su rigorose ricerche filologiche”: nel cast Margherita Mazzucco la Lenù della serie L’amica geniale (guarda la video recensione), Andrea Carpenzano, Carlotta Natoli e Luigi Lo Cascio; L’immensità di Emanuele Crialese, “ un ritorno a Venezia dopo Terraferma del 2011 con una storia molto personale in cui il regista ha messo in scena la propria vicenda di adolescente”. Il film è interpretato da Penelope Cruz, al Lido anche con On the fringe di Juan Diego Botto nella sezione Orizzonti), e Vincenzo Amato, attore feticcio di Crialese

E ancora Bones and All di Luca Guadagnino, “una produzione interamente italiana di Lorenzo Mieli con un cast internazionale dove figurano Timothée Chalamet, Mark Rylance, Chloe Sevigny, Jessica Harper, David Gordon Green, Michael Stulhbarg. Girato nel Midwest statunitense, è il film di un non americano più profondo su un’America poco frequentata, quella ai margini del sogno americano e vittima del suo fallimento. È anche di genere, in quanto un film di cannibali”; infine Monica di Andrea Pallaoro, “già in concorso a Venezia con Hannah (guarda la video recensione), girato interamente negli Stati Uniti in inglese, con protagonista il transessuale Trace Lysette ma anche Patricia Clarkson e Emily Browning”.
 

GLI ALTRI TITOLI IN CONCORSO

Cinque titoli statunitensi, dal preannunciato film di apertura White Noise di Noah Baumbach, basato sul romanzo di Don De Lillo con Greta Gerwig e Adam Driver, a The Whale di Darren Aronofsky, girato durante la pandemia e tratto da un testo teatrale con Brendan Fraser e Samantha Morton; da Blonde, film biografico su Marilyn Monroe diretto da Andrew Dominik con Ana de Armas e Adrien Brody, a Tar di Todd Field, attore passato alla regia, che prende il nome dalla protagonista direttrice d’orchestra interpretata da Cate Blanchett che si innamora di un primo violino e poi di una violoncellista: nel cast anche Noémie Merlant e Nina Hoss; fino a All The Beauty and the Bloodshed di Laura Poitras, documentario ritratto dell’artista Nan Goldin, “ma anche di un’intera generazione che ha costruito il mito della New York underground anni ‘70-’80: un film militante che racconta l’impegno di Goldin contro la famiglia Sachler, produttrice del medicinale a base di oppiacei che ha causato migliaia di vittime negli Stati Uniti, poi tolto dal mercato grazie alla campagna della Goldin insieme alle famiglie delle vittime”. 

A questi si aggiungono le produzioni angloamericane The Eternal Daughter diretto da Joanna Hogg, in giuria a Venezia lo scorso anno, che vede protagonista unica Tilda Swinton “in un cinema di fantasmi all’inglese molto popolare negli anni ‘50-’60, in cui troviamo le tematiche tipiche della regista, soprattutto il rapporto fra madre e figlia”; e The Son di Florian Zeller, dopo il successo ottenuto con The Father, tratto da un testo teatrale e animato dalla tematica padre e figli cara al regista, con Hugh Jackman, Laura Dern, Vanessa Kirby, Anthony Hopkins “e il giovanissimo Zen McGrath in un esordio destinato a lasciare il segno”.

I cinque titoli francesi in gara sono Saint-Omer, unica opera prima del concorso diretta da Alice Diop – nessuna parentela con la francese Mati -, “film processuale sul tema di una madre che mette fine alla vita della propria figlia diretto da una regista che viene dal documentari”; Athena di Romain Gavras, figlio di Costantin Costa-Gavras, scritto e prodotto da Ladj Ly (l’autore di I Miserabili), “messa in scena pirotecnica di una rivolta popolare in una banlieu a seguito dell’omicidio da parte della polizia di un giovane immigrato, filmata come una guerra o un videogame senza esclusione di colpi e di mezzi cinematografici”; Our Ties del regista-attore Roschdy Zem, al suo terzo lungometraggio dietro la cinepresa, interpretato da lui insieme a un cast tutto di attori magrebini fra cui Sami Bouajila, Maiwenn e Rachid Bouchareb, “che racconta la storia del fratello del regista ed è il primo film francese su una famiglia magrebina borghese ben integrata nel contesto della società francese”;  Zem recita anche in Other People’s Children di Rebecca Zlotowski che vede protagonista una Virginie Efira in stato di grazia”: nel cast anche Chiara Mastroianni.

E infine A Couple di Frederick Wiseman, una produzione interamente francese girata durante due anni di pandemia in cui il regista è rimasto isolato nella campagna intorno a Parigi. “Prima incursione ddi Wiseman nella finzione, il film dura 62 minuti, è scritto e realizzato con collaborazione di Natalie Boutefeu ed è incentrato sulla corrispondenza tra Tolstoi e la moglie, a testimonianza del loro complesso e tormentato rapporto affettivo”. 

Due i film iraniani in concorso (su quattro alla Mostra): No Bears di Jafar Panahi, cui Barbera ha reso omaggio a inizio conferenza insieme ai suoi due colleghi Mohammad Rasoulof e Mostafa Aleahmad tuttora detenuti in carcere, “quarto film girato in clandestinità e il più straordinario dei quattro”, e Beyond the Wall di Vahid Jalilvand, “metafora concentrazionaria rappresentativa dell’Iran di oggi” da parte di un regista “già presente due volte a Orizzonti dove ha vinto per miglior regia”. 

Netflix produce, oltre a White Noise, anche Bardo, False Chronicle of a Handful of Truths di Alejandro G. Inarritu, film di tre ore a cui il regista messicano “lavora da cinque anni e su cui ha investito tutte le sue ossessioni, sogni, incubi”. Chiudono la selezione Love Life del giapponese Koji Fukada, “amato dai grandi festival e dalle parti cinema familiare del suo connazionale Kore-eda”; The Banshees of Inisherin dell’irlandese Martin McDonagh, dopo il successo di Tre manifesti a Ebbing, Missouri, è una “storia un po’ alla Beckett” irlandese che ripropone il cast di In Bruges con la coppia Colin Farrell e Brendan Gleeson, più il giovane Barry Keoghan: e Argentina 1985 di Santiago Mitre con Ricardo Darin, “ricostruzione meticolosa e appassionante del processo alla giunta militare della sanguinaria dittatura in argentina, con Darin nel ruolo di Julio César Strassera, pubblico ministero che ebbe il coraggio di accettare il pericoloso incarico”.


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