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Rade SerbedzijaIl piccolo grande croato74 anni, 27 Luglio 1946 (Leone), Bunic kraj Korenice (Croazia) |
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dal film Batman Begins (2005)
Rade Serbedzija Il barbone
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Si, sono un attore e direi che è anche il mio punto di forza! Mi piace pensare all'arte, se si possiede una relazione privilegiata con l'arte, si può provare a fare cose nuove, non solo recitare», dice Rade Serbedzija in un'intervista a Jimmy Milanese che lo incontrò dopo che fu diretto nientemeno che da Stanley Kubrick nel ruolo del venditore di costumi e maschere e che cercava di rifilare a pagamento una giovane Leelee Sobieski al puritano Tom Cruise in crisi matrimoniale. Oggi, ha perso quel lato sexy e selvaggio che in gioventù gli apparteneva e che gli permise di diventare il nuovo divo croato in circolazione. Eh sì, perché Rade Serbedzija è l'Al Pacino del suo paese!
Studi e arte
Nato nel villaggio di Bunic nel 1946, quando ancora la Croazia faceva parte della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia ed era sotto la presidenza del generale Tito, Serbedzija cresce sotto il governo socialista, trovando nell'arte la sua dimensione. Rade Serbedzija, infatti, si laurea nel 1969 all'Accademia d'Arte Drammatica dell'Università di Zagabria, lavorando - quando era ancora studente - come attore teatrale. Il teatro lo affascina e la recitazione lo avviluppa come poche altre cose nella vita. Il ruolo più conosciuto, infatti, è quello di Theadora ne "Gavella", ruolo che poi gli permetterà di entrare al Teatro Nazionale Croato di Zagabria. Messosi in luce con personaggi come Peer Gynt, Don Juan, Edipo, Amleto e Riccardo III, Serbedzija ottiene perfino la cattedra di professore di recitazione all'Accademia delle Arti di Novi Sad, in Serbia. Nel frattempo si appassiona anche alla musica, diventando cantante (realizza 4 album), e alla scrittura, diventando poeta. Infatti, pubblica per tre raccolte di poesie: "Mutevoli", "Nero, rosso" e "L'amico dice di non conoscerlo più". Non bastasse, si lancia persino nella regia teatrale, dirigendo ben 12 spettacoli. Sposato a Ivanka Cerovac, ha da questa due figli prima del divorzio (avvenuto nel 1987): l'attrice Lucija Serbedzija e l'assistente regista Danilo Serbedzija.
La carriera in Juvoslavia
Il suo debutto cinematografico avviene quando ancora era studente all'Accademia d'Arte Drammatica, con il film di Krsto Papic - con il quale lavorerà ancora nel resto della sua carriera - Illusion (1967); successivamente prenderà parte a Uccelli neri (1967), Dio è con noi (1969) e Vivere d'amore (1973), emergendo come uno degli attori prediletti di Mario Fanelli, ma anche accanto a un numero di validi attori serbi e croati: Majda Sepe, Milena Dravic, Mile Rupcic, Miki Manojlovic, Mira Furlan, Vera Zima, Dragan Milivojevic e Ivo Fici. Nel 1974, è il protagonista de La rappresentazione di Amleto alla cooperativa agricola, ma anche de 67 giorni - La Repubblica di Uzicka (1974) e Bravo maestro (1978), cominciando ad accostarsi, a partire dagli Anni Ottanta, sia al cinema europeo più occidentale: Il falcone (1983), E... la vita è bella (1985) e La guerra di Hanna (1988).
La carriera americana ed europea
Nel 1991, sposa Lenka Udovicki, con la quale si trasferirà poi a Los Angeles. Vincitore del Premio Pasinetti come miglior attore al Festival di Venezia per Prima della pioggia (1994), recita anche in Morti oscure (1995), Broken English (1996) e Il Santo (1997). Sarà anche diretto da Francesco Rosi ne La tregua (1997), passando poi ai più mediocri o invisibili: Mare largo (1998), Amori e Segreti (1998), Il grande Joe (1998) e Stigmate (1999). Il ruolo di cui va più fiero è però senza dubbio quello del sordido venditore di costumi e maschere che Stanley Kubrick, nel suo ultimo film Eyes Wide Shut (1999) gli offre, dandogli l'occasione di recitare accanto a Nicole Kidman, Tom Cruise e Sydney Pollack. Lo stesso anno, prenderà parte anche Il dolce rumore della vita (1999) di Giuseppe Bertolucci, accanto ad Alida Valli, ma si distinguerà professionalmente come coofondatore dell'Ulysses Theatre di Brijuni, accanto a Borislav Vujcic. Di seguito, verrà una seconda parte della carriera americana ricca di pregevoli titoli: Mission: Impossible II (2000) di John Woo (ancora con Cruise); Space Cowboys (2000) di e con Clint Eastwood; Snatch - Lo strappo (2000) con Brad Pitt e il film tv con Glenn Close South Pacific (2001). Dopo aver recitato ne Ilaria Alpi - Il più crudele dei giorni (2002), affianca Michael Caine in ben tre pellicole: The Quiet American (2002), Quicksand (2003) e il bellissimo Batman Begins (2005) di Christopher Nolan, accanto anche a Christian Bale, Liam Neeson, Morgan Freeman, Gary Oldman, Ken Watanabe, Katie Holmes, Cillian Murphy, Tom Wilkinson e Rutger Hauer. Sarà poi la volta del terribile EuroTrip (2004) e di tre pellicole dove sarà affianco di Vanessa Redgrave: The Fever (2004), The Keeper - The Legend of Omar Khayyam (2005) e Short Order (2005). La carriera di Serbedzija si fa ricchissima e di alta qualità: recita con Jeanne Moreau in Go West (2005) e ne Hermano (2006) accanto a Emir Kusturica. Un ruolo meno brillante lo affronta nell'horror The Fog (2005), dove è il fantasma dell'appestato Capitano Blake.
Attore della serie 24 (2007), è nel cast dell'action Shooter (2007) e ne Say It in Russian (2007) con Faye Dunaway. Vincitore del premio di miglior attore al Film Festival di Roma per Fugitive Pieces (2007), si butta ancora una volta nel panorama cinematografico statunitense prendendo parte a The Eye (2008) e The Code (2008) con Antonio Banderas.
Nel 2011 partecipa ancora una volta ad una produzione italiana: è nel cast del film di Giuseppe Gagliardi Tatanka.
Non stupisce, dunque, che questa edizione avrebbe dovuto avere il proprio fulcro nel ricordo del trentennale delle guerre balcaniche (1991/2021): «Il focus sul trentennale delle guerre balcaniche (1991/2021) è un progetto a cui stavamo lavorando da anni – spiegano i direttori artistici. La pandemia ci ha costretti a posticiparlo, perché di molti dei film che avremmo voluto proporre esistono soltanto le copie in 35mm, impossibili da “proiettare” in un festival online. L’appuntamento è dunque rimandato (speriamo già in primavera), ma ci sembrava doveroso che a un anniversario così importante fossero dedicati due momenti “simbolici” come l’apertura e la chiusura».
SCOPRI IL PROGRAMMA COMPLETO
Se ad aprire il festival sarà Underground, Palma d’oro a Cannes nel 1995, la favola anarchica e surreale con cui Emir Kusturica “reinventò” col suo stile debordante la dissoluzione della Jugoslavia, a chiuderlo ci sarà un altro grande film, Lo sguardo di Ulisse di Theo Angelopoulos, vincitore del Grand Prix in quella stessa edizione. Due film che non si potrebbero immaginare più diversi, “come dire – per usare un’espressione coniata all’epoca dal critico cinematografico Morando Morandini – l’Odissea e l’Iliade di questa fine di secolo”.
Alla proiezione di Underground sarà inoltre legato uno dei due tradizionali premi assegnati dal Trieste Film Festival, l’Eastern Star Award: nato per segnalare le personalità del mondo del cinema che con la loro carriera hanno gettato un ponte tra l’Est e l’Ovest (nell’albo d’oro Irène Jacob, Monica Bellucci, Milcho Manchevski, Rade Šerbedžija, Kasia Smutniak), il premio va quest’anno a Miki Manojlovi?, un grande interprete che si è imposto grazie al sodalizio con Kusturica (oltre a Underground ricordiamo Papà… è in viaggio di affari e Gatto nero, gatto bianco) per poi superare i confini della Jugoslavia lavorando con registi come François Ozon (Amanti criminali), Giuliano Montaldo (I demoni di San Pietroburgo), Sam Garbarski (Irina Palm, che gli vale la candidatura all’European Film Award).
Il Cinema Warrior Award, istituito per premiare l'ostinazione, il sacrificio e la follia di chi “combatte” per il cinema, va invece all’Associazione U.N.I.T.A., per il suo impegno nella promozione del mestiere dell’attore nel panorama artistico, culturale e sociale italiano, con particolare attenzione alle questioni di genere e con un codice etico che ne garantisce serietà, professionalità e una centralità di temi quali l’etica del lavoro, la sostenibilità, l’accoglienza e l’inclusività.
Tredici i titoli del Concorso lungometraggi (in giuria la regista Adina Pintilie, la produttrice Ewa Puszczy?ska, il programmer e critico cinematografico Paolo Bertolin).
Due storie di paternità messa a dura prova da un contesto che rende difficile (ma non impossibile) assolvere al proprio ruolo di genitore: se il protagonista di Father di Srdan Golubovi? (Premio del pubblico nella sezione Panorama dell’ultima Berlinale) si scontra con la corruzione dei servizi sociali nella Serbia di oggi, quello di Andromeda Galaxy di More Raça è disposto a tutto pur di lasciare il Kosovo per garantire alla figlia un futuro migliore in Germania. Tra Kosovo e Germania si muove anche Exil di Visar Morina, visto al Sundance, che attraverso la storia di un ingegnere farmaceutico discriminato per ragioni etniche si interroga – per dirla con il regista – su “un occidente arrogante nei confronti di chi proviene da Paesi economicamente deboli”.
Tra Polonia e Irlanda è ambientato invece I Never Cry di Piotr Domalewski, sguardo realistico sulle difficoltà che affrontano le famiglie separate dall’emigrazione, e di immigrazione si parla anche nel bulgaro Fear di Ivaylo Hristov, dramma che vira in commedia (dell’assurdo) su una donna pronta a mettersi contro l’intero villaggio per ospitare un migrante. Dall’Europa di oggi a quella dell’immediato dopoguerra con A Frenchman di Andrej Smirnov, la Mosca del 1957 vista con gli occhi di un ragazzo francese, figlio di un ufficiale arrestato negli anni 30, e In the Dusk di Šar?nas Bartas, selezionato al Festival di Cannes e presentato in prima mondiale a San Sebastian: il romanzo di formazione di un diciannovenne sullo sfondo della Resistenza lituana contro l’occupazione sovietica dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
Dalla Grecia arriva Pari di Siamak Etemadi, una madre iraniana per le strade di Atene alla ricerca del figlio studente, di cui non ha più notizie; tutt’altro tono, dalla Romania, nella commedia satirica The Campaign di Marian Cri?an, un politico in odor di corruzione a caccia di voti per un seggio a Strasburgo, e nel serbo My Morning Laughter di Marko ?or?evi? prende le mosse da uno spunto autobiografico per raccontare il coming of age fuori tempo massimo di un trentenne.
E ancora, due dei film più sorprendenti della scorsa stagione: il polacco Sweat di Magnus von Horn, anche questo selezionato a Cannes, tre giorni nella vita di una “fitness-influencer” che da star di instagram diventa vittima di uno stalker, e il georgiano Beginning di Dea Kulumbegashvili, selezionato a Cannes e vincitore a San Sebastian, storia di una donna, Yana, moglie del leader di una comunità di Testimoni di Geova attaccata da un gruppo estremista. Per finire, Faruk Lon?arevi?, che in So She Doesn’t Live si ispira al più efferato caso di omicidio della Bosnia post-bellica per raccontare un mondo ancora brutale.
Evento speciale fuori concorso, dall’Azerbaigian, In Between Dying di Hilal Baydarov (presente anche nel concorso documentari col suo Nails in My Brain), viaggio nella consapevolezza interiore che guarda al cinema di Bresson.
Dieci i titoli del Concorso documentari (in giuria la regista Eszter Hajdú, la direttrice del Biografilm Festival Leena Pasanen e la direttrice della scuola ZeLIG di Bolzano Heidi Gronauer). Acas?, My Home di Radu Ciorniciuc, premiato al Sundance, è la storia di una famiglia che per decenni ha vissuto nell’area disabitata e incolta del Delta di Bucarest, un bacino idrico abbandonato alla periferia della metropoli, finché la trasformazione della zona in parco nazionale pubblico non la costringe a trasferirsi in città. E i “luoghi di famiglia” sono al centro anche di Nails in My Brain dell’azero Hilal Baydarov, viaggio tra le rovine di una casa d'infanzia, dove ogni porta pericolante si apre sul passato, in una riflessione sulla memoria – e sul cinema – che è eterno ritorno sulle stesse domande, gli stessi ricordi, gli stessi chiodi fissi; e di Blockade di Hakob Melkonyan, che attraverso la storia di una famiglia del suo villaggio natale racconta il conflitto del Nagorno-Karabakh.
Due film dalla Croazia: Landscape Zero di Bruno Pavi?, che ci porta su una striscia di costa devastata da un insediamento industriale per riflettere sulla relazione tra uomo, natura e cultura; e Once Upon a Youth di Ivan Ramljak, ritratto di una generazione perduta, quella gioventù della fine degli anni Novanta in cerca di una (nuova) identità dopo la devastazione della guerra. Dalla Russia Town of Glory di Dmitrij Bogolyubov, girato nel corso di tre anni a El’nja, città-simbolo della propaganda di ieri e di oggi, e la Russia è al centro anche del tedesco Garage People di Natal’ja Jefimkina, il garage come (ultimo) rifugio dell’individualità.
Dall’Austria, Please Hold the Line di Pavel Cuzuioc è uno sguardo feroce e pieno di humour che, attraverso il lavoro di alcuni tecnici delle comunicazioni in Moldavia, Romania, Ucraina e Bulgaria, riflette sulle contraddizioni di una società sempre più “connessa” in regioni lacerate dai nazionalismi. Il confronto tra un figlio che sta diventando padre – lo stesso regista Andrei D?sc?lescu – e un padre che si è fatto monaco è al centro del rumeno Holy Father. In ultimo, il lituano Gentle Warriors di Marija Stonyt?, dove l’indipendenza di tre giovani donne passa dal servizio di leva volontario e dall’addestramento in una base militare tra 600 commilitoni.
Sedici i titoli del Concorso cortometraggi (in giuria la direttrice artistica della Cinéfondation del Festival di Cannes Dimitra Karya, la produttrice Andrijana Sofrani? Šu?ur e la giornalista Alessandra De Luca): l’Italia è rappresentata da Illusione di Lorenzo Quagliozzi e La tecnica di Clemente De Muro e Davide Mardegan (CRIC).
Due nuove sezioni integrano l’impianto tradizionale dei concorsi: Fuori dagli sche(r)mi e Wild Roses: Registe in Europa.
Promossa in collaborazione con Sky Arte, che premierà uno dei film della sezione attraverso l’acquisizione e la diffusione sul canale, Art&Sound propone quest’anno cinque titoli in anteprima che esplorano i più diversi ambiti artistici.
Confermata anche quest’anno inoltre la formula del Premio Corso Salani 2021 (in giuria la produttrice Donatella Palermo, la critica cinematografica Grazia Paganelli e il filmmaker Carlo Michele Schirinzi), che presenta cinque film italiani completati nel corso del 2020 e ancora in attesa di distribuzione: la dotazione del Premio (2mila euro) va intesa quindi come incentivo alla diffusione nelle sale del film vincitore. Immutato il profilo della selezione: opere indipendenti, non inquadrabili facilmente in generi o formati e per questo innovative, nello spirito del cinema di Corso Salani. I titoli: Divinazioni di Leandro Picarella, Libro di Giona di Zlatolin Donchev, Samp di Flavia Mastrella e Antonio Rezza, I Tuffatori di Daniele Babbo, Ultimina di Jacopo Quadri e Vera de verdad di Beniamino Catena.
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