Proud Mary

Il sicario Mary uccide un allibratore nella sua casa, lasciando orfano il figlio Danny. Un anno dopo la donna ritrova il ragazzino, ladruncolo che fa consegne di droga per Zio, ferito in un vicolo e lo soccorre. Nel regolare i conti con il boss della malavita, Mary combina "un casino" e rischia di scatenare una guerra di bande, tra quella del suo capo Benny e Luka, il nipote del morto. Da una parte dovrà coprire l'errore e allontanare da sé i sospetti per la sparatoria, dall'altra deciderà di prendersi cura del dodicenne. Prima dell'inevitabile resa dei conti.

La protagonista di Proud Mary di Babak Najafi è un'assassina che non si fa intimidire. Un personaggio che ricorda un po' le "Coffy" e "Foxy Brown" interpretate da Pam Grier, le prime donne afroamericane forti e indipendenti sullo schermo nei primi anni '70.

Stavolta è Taraji P. Henson, che aveva interpretato la matematica Katherine G. Johnson ne Il diritto di contare, a vestire i panni dell'eroina, meno sexy di quelle, ma molto decisa e senza esitazioni. La grafica e la musica jazz-funk della sequenza dei titoli di testa ammiccano alla blaxploitation e anche a 007. Mossa dal senso di colpa o spinta dalla scoperta del senso materno, Mary segue il ragazzo e lo prende sotto la propria protezione.

Se non è la prima volta che un killer si occupa di un ragazzino o una ragazzina (basti pensare a Leon), c'è la novità di porre il dilemma di poter essere un sicario e avere un istinto materno. È anche una ribellione alle regole del mondo criminale, perché Mary medita di cambiar vita. Quando si entra nel crimine, il rischio è che non se ne possa uscire da vivi.

La regia di Najafi, svedese di origine iraniana al quarto lungometraggio, dopo Sebbe (2010) o Attacco al potere 2 (2016), è piuttosto basilare, anche nelle sparatorie. L'inizio è un po' lezioso, poi lo stile diventa più asciutto, del resto non c'è molto da infiocchettare. L'insistenza della macchina da presa sui marchi delle automobili è fastidiosa, la musica è abbondante ma non usata adeguatamente. Nella storia dove tutti sanno tutto, nessuno riconosce in Danny il furbo ragazzo delle consegne e non è l'unico problema di una trama semplice e prevedibile.

La Henson, anche produttrice esecutiva, se la cava nelle scene d'azione e ha possibilità di proporsi di nuovo nell'ambito di questo genere, ma avrebbe bisogno di un personaggio meglio scritto, più articolato e che non si affidi solo alle pistole. Tra le note positive, si segnala il bravo Jahi Di'Allo Winston che interpreta Danny. 