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Robert Downey Jr.L'insostenibile leggerezza dell'alcolNome: Robert Downey56 anni, 4 Aprile 1965 (Ariete), New York City (New York - USA) |
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![]() Capitan America: "Sei grosso con quella corazza ma senza, cosa rimane?" Tony Stark: "Be', vediamo, sono un genio, un milionario, un playboy e anche un filantropo!"
dal film The Avengers (2012)
Robert Downey Jr. Tony Stark / Iron Man
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Attore americano la cui migliore definizione del suo talento è ricavata da quella leggerezza che usa per recitare un dialogo in una scena: ogni sua mossa è irripetibile, dai suoi sussurri ai suoi sguardi mai uguali. Peccato che nonostante questo stato di grazia continuo che lo pervade, Robert Downey Jr. abbia rischiato di diventare disarmonico nel momento in cui il cammino della sua vita è incappato nella facile tentazione delle droghe.
Gli esordi
Cresciuto nel Greenwich Village, figlio del regista Robert Downey Sr. e amico d'infanzia del cantante new age Moby, a 10 anni parte per Londra, dove frequenta la Perry House School in Chelsea e studia balletto classico. Dopo il divorzio dei genitori, avvenuto quando lui aveva 11 anni, si diploma alla Stagedoor Manor (anche se prima era alla Santa Monica High School, poi lasciata perché, a 17 anni, per diventare attore, si era trasferito a New York).
Fu suo padre ad introdurlo nel mondo del cinema (e anche in quello delle droghe per la prima volta, offrendogli della marijuana alla sola età di 8 anni), facendolo esordire nel film fantasy Pound (1970), poi seguito da Greaser's Palace (1972), Moment to Moment (1975), Up the Academy (1980), America (1986), Rented Lips (1988), Too Much Sun (1991) e Piscine - Incontri a Beverly Hills (1997).
Ventenne, lavora al "Saturday Night Live" per una stagione, programma che gli darà non solo fama, ma anche una discreta popolarità con le donne a cominciare dalla sua prima fidanzata: Sarah Jessica Parker, con la quale rimarrà legato per sette lunghi anni.
I grandi registi lo cercano
Negli anni Novanta, sono molti i registi che lo introducono nei loro film: Michael Apted lo chiama per Firstborn (1984), mentre William Friedkin lo imporrà in Vivere e morire a Los Angeles, un poliziesco con Willem Dafoe. Nel 1987, dopo essersi trasferito ad Hollywood, lavora con il regista James Toback in Ehi... ci stai?, una commedia romantica per teengaer americane con Molly Ringwald, ma è con Al di là di tutti i limiti (1987) di Marek Kanievska, che riesce a guadagnarsi anche un posto nel genere drammatico vero e proprio.
In Italia, il suo successo passa attraverso il tubo catodico. Chi non ha mai visto 4 fantasmi per un sogno (1989) di Ron Underwood, che viene puntualmente trasmesso almeno due/tre volte l'anno sui nostri teleschermi? La storia di un gruppo di fantasmi che, per "uno strano caso", accompagnano la vita di un bambino dalla sua nascita fino al loro richiamo in cielo, gli regala quella leggerezza e quella verve che noi non abbiamo potuto gustare a fondo, ma tutto questo prima di diventare un "attore maledetto", verso la fine degli anni Novanta.
Migliore amico di Mel Gibson, reciteranno assieme in Air America (1990) di Roger Spottiswoode, prima di concedersi al regista Michael Hoffman in Bolle di sapone (1991) una commedia sulle soap con Sally Field, Kevin Kline e Whoopi Goldberg, e nel film più drammatico Restoration - Il peccato e il castigo (1995), storia di uno studente di medicina della Londra del XVII secolo che viene chiamato alla corte del re Carlo II e si abbandonerà ai lussi di corte.
Ed è in questi primi anni che la carriera di Robert Downey Jr. conosce i fasti del successo. Nel 1992, viene scelto dal regista inglese sir Richard Attenborough per la biografia Charlot, sul famoso regista Chaplin. La sua performance è talmente impeccabile che viene nominato al Golden Globe e all'Oscar come miglior attore protagonista. E l'anno successivo diventa anche padre del piccolo Indio, figlio avuto dalla sua prima moglie, l'attrice Deborah Falconer (il cui matrimonio dura solo 45 giorni), incontrata sul set di un altro film di successo America oggi (1993) di Robert Altman, per il quale riceverà un premio speciale ai Golden Globe (assieme a tutto il resto del cast), ma soprattutto la Coppa Volpi al Festival di Venezia.
Fra successo, alcol e droga
L'anno seguente, Oliver Stone gli fa indossare i panni del giornalista televisivo Gale che cerca di realizzare lo scoop della sua vita nel violento Assassini Nati - Natural Born Killers (1994), mentre l'attrice Jodie Foster (in veste di regista) quelli del fratello gay in A casa per le vacanze (1995). Ma è da questo momento in poi che per Robert Downey Jr. iniziano i guai con la legge. Entra in un tunnel di droga ed alcol e la sua fedina penale si arricchisce con: guida in stato di ubriachezze, possesso di eroina, possesso di armi da fuoco e violazione di proprietà privata. Lavorare con lui diventa impossibile, viene cacciato da moltissimi set e sfumano vari progetti, unico suo film che esce in quegli anni bui è Complice la notte (1997) di Mike Figgis.
Si disintossicherà veramente solo nel 1998, anno in cui Robert Altman gli offrirà una parte nel mediocre Conflitto d'interessi, che servirà comunque a reinserirlo nel circuito cinematografico. Fiduciosi, anche Neil Jordan e Frank Oz gli offriranno diverse parti, il primo gli farà recitare un ruolo (oscuro) nel film In Dreams (1999) con una Annette Bening in versione medium, il secondo gli farà indossare dei panni più leggeri nel film Bowfinger con due scatenatissimi Steve Martin ed Eddie Murphy.
Nel 2000, lo ritroveremo ancora una volta nei panni di un omosessuale in Wonder Boys di Curtis Hanson (con il quale lavorerà anche in Lucky You, 2006), ma disgraziatamente ricade nella tossicodipendenza e nell'alcolismo e, nel 2000, viene arrestato ancora una volta.
Ritornato in carreggiata, entra nella fortunata serie Ally McBeal (1997-2002) come guest star, sarà infatti l'avvocato Larry Paul, uno dei fidanzati più longevi nel cuore dell'avvocatessa single. La sua performance gli varrà una nomination agli Emmy Awards come miglior attore non protagonista in una serie comica e anche un Golden Globe nella stessa categoria. Ritornato alla celebrità, appare in un video di Elton John e si sposa una seconda volta con la produttrice del film d'orrore Gothika (2003), Susan Levin.
Scelto da Steven Soderbergh per apparire nel suo episodio di Eros (2004), film corale diretto da Michelangelo Antonioni e Wong Kar-wai, sarà poi un giornalista nel capolavoro di George Clooney Good Night, and Good Luck (2005), ruolo che riprenderà anche nel thriller Zodiac (2007).
La risalita
È probabilmente con Guida per riconoscere i tuoi santi di Dito Montiel che Robert esce definitivamente dal tunnel delle dipendenze e ricomincia a far parlare di sè solo ed esclusivamente per i suoi film. La nuova consacrazione arriva nel 2008 con Iron Man. Ma tutti gli ultimi anni sono ricchi di importanti ruoli da protagonisti: nel 2009 è accanto a Jude Law in Sherlock Holmes, nel 2010 veste ancora i panni di Tony Stark in Iron Man 2 e recita in Il solista con Jamie Foxx, mentre nel 2011 fa coppia con un eccentrico Zach Galifianakis in Parto col folle di Todd Phillips ed è protagonista del sequel Sherlock Holmes - Gioco di ombre. Torna a vestire i panni di un supereroe nell'attesissimo The Avengers di Joss Whedon (e nel suo sequel del 2015 Avengers: Age of Ultron), in Iron Man 3 e ancora in Captain America: Civil War (2016). Nel 2017 sarà nel film di Jon Watts Spider-Man: Homecoming.
Forse, nella carriera di Robert Downey Jr. sarebbe utile un consiglio di Diane Keaton per non ricadere nell'abisso della dipendenza: «Regalare amore e mettere la vita al primo posto sono la vera misura di ogni grande artista».
La vita è come un mazzo di carte, quando lo tagli in due non sai mai quello che ti capita, sta a te accettare la sfida o arrenderti". Parola di Robert Downey Jr., che di recente ha vestito i panni del supereroe dall'armatura d'acciaio e il cuore artificiale, ma che continua a offrire indimenticabili interpretazioni nel circuito indie. Dopo una vita passata a incarnare il "cattivo" ragazzo in conflitto col padre (Al di là di tutti i limiti, Guida per riconoscere i tuoi santi, Iron Man), in Charlie Bartlett ha il ruolo del "cattivo" padre in conflitto con la figlia (e se stesso). La commedia generazionale di Jon Poll - al suo esordio in lungo dopo una pregevole carriera come montatore - guarda alla vita dei ragazzini americani fuori e dentro il liceo, ai loro problemi spesso mal gestiti dalle istituzioni (che siano familiari o scolastiche), mostrandoli persi senza la quotidiana dose di Ritalin. Il regista si assume il compito di far riflettere sul mondo adolescenziale dove le potenzialità di ognuno vanno scovate e incoraggiate e non messe a tacere con qualche pillola o a suon di sberle. Gli adulti, visti dai giovani, sono altrettanto persi, ma hanno ancora l'occasione di redimersi. Ne abbiamo parlato con Robert Downey Jr.
Non ama definirsi attore ma "faker", un truffatore, un falsificatore. Probabilmente molti dei fans di Robert Downey Jr. non sarebbero d'accordo con questa definizione, riconoscendo al ragazzo di New York molte più doti di quante lui stesso sia capace di ammettere.
La sua ascesa è stata ostacolata da problemi di dipendenza da sostanze stupefacenti e alcol che gli sono valsi arresti, settimane di prigionia e analisi antidroga obbligatorie sul set di alcuni film.
Nel 1992 sembrava l'uomo destinato a segnare la storia del cinema: il suo Chaplin commosse e lo lanciò nell'Olimpo. Proprio il successo fece emergere gli abissi dell'animo di Robert Downey Jr., quelle stesse profondità che probabilmente gli regalano uno degli sguardi più intensi e veri di Hollywood: quando Robert guarda, vede per davvero il suo interlocutore; quando Robert piega il suo volto in una smorfia d'espressione, diventiamo noi stessi quella emozione.
Fu la televisione a recuperarlo: nella serie Ally McBeal ottenne premi e iniziò a risalire la china; il cinema tornò a celebrarlo con Kiss Kiss Bang Bang diretto da un altro grande desaparecido di Hollywood: quel Shane Black che negli anni Ottanta fu lo sceneggiatore più pagato grazie al successo di Arma Letale. Per lui fu letale l'idea di far morire il protagonista della franchigia, Martin Riggs: messo da parte da tutti, si risollevò solo con questa pellicola.
Con Iron man Robert Downey Jr. torna in grande spolvero nei panni di un supereroe: dopo essere resuscitato dalla morte professionale, combattere i terroristi in un esoscheletro di ferro non è una sfida impossibile.
Al di là di tutte le aspettative il film di Jon Favreau convince. Sarà che per la prima volta da quando il cinema ha iniziato a giocare con i supereroi - che fossero in calzamaglia o mascherati, armati di superpoteri o (co)stretti in tutine di pelle - Iron Man non mette in scena solo l'eroe, ma soprattutto l'uomo. "Nei fumetti ci sono due tipi di supereroi, quello più comune è colui che per qualche motivo si ritrova ad avere dei poteri magici. Per quanto mi riguarda il mito più bello è quando la persona fa un percorso di maturazione e decide di diventare un eroe. Iron Man non ha super poteri. Si costruisce un'armatura e si inventa eroe e in quel momento il suo cuore cambia". Parola del regista, che per trasporre l'ennesimo fumetto della Marvel si circonda di un cast eccezionale (Robert Downey Jr., Terrence Howard, Gwyneth Paltrow, Jeff Bridges) e lo rende partecipe di tutte le fasi di scrittura. Nascono così, materiale originale alla mano, i personaggi di Tony Stark, Jim Rhodes, Virginia 'Pepper' Potts e Obadiah Stane. Grazie al contributo di attori che sono stati capaci di rimanere fedeli al fumetto e al contesto attuale del mondo (la guerra in Afghanistan al posto del conflitto in Vietnam dell'Iron Man in strisce), trovando un personalissimo modo per tramutarlo in cinema d'intrattenimento.
La proposta di Cinema ritrovato – Fuori sala, in streaming su MYmovies fino al 21 aprile, è selettiva ma ben articolata. Offre titoli di “corti”, o “cortissimi”, e classici fondamentali. Kid auto races at Venice (Charlot ingombrante) del 1914, dura 6 minuti ma assume un’enorme importanza storica; è la prima volta che appare Charlot. The Rounders (Charlot si diverte) (14’ 1914) racconta le gag di Charlot e del suo antagonista Roscoe (Fatty) Arbukle, comico già noto allora, che stazionano sullo stesso pianerottolo. I due non apparvero più insieme. Chaplin non intendeva dividere con nessuno la sua leadership.
Charlot usuraio del 1916, in 32 minuti racconta una storia compiuta. Charlot gestisce un banco dei pegni e litiga in continuazione col collega Henry Bergman, l’attore che gli sarà da spalla per decenni. Anche A woman (Charlot signorina) (32’ 1916) assume un significato non banale. Chaplin fa la donna. L’idea non fu bene accolta, a indossare panni femminili ci provò altre due volte, poi dovette rinunciare. L’America di allora era... bigotta.
La musica
I classici. Sono titoli ultrapopolari, raccontati in tutti i registri. Intendo privilegiare quello della musica.
Bing Crosby, Frank Sinatra, Dean Martin, Elvis Presley, Nat King Cole, Julio Iglesias, Michael Jackson, Michael Bublé, Robert Downey, Judy Garland, Dalida, Barbra Streisand, Diana Ross, Céline Dion: sono solo alcuni, fra i mille, degli artisti che hanno cantato "Smile", la canzone di Charlie Chaplin, il genio che rientra in tutte le categorie del cinema, compresa la musica.
Chaplin (1889-1977) compose il brano, strumentale, nel 1936 per Tempi moderni, un film dove ancora il grande mimo non parlava.
"Smile" identificava dunque Tempi moderni, come colonna, con grande suggestione, e divenne, seppure solo strumentale, un tema di enorme successo. Anche perché l’autore aveva fatto le cose in grande, aveva affittato gli studi di registrazione della Fox con 64 elementi dell’orchestra. Assumendo come direttore Alfred Newman, il primatista assoluto di Oscar delle colonne sonore, con 11 statuette. Tuttavia, in quel film, Charlot fece sentire, per la prima volta la sua voce, cantando la famosa Titina, con parole inventate all’istante.
Poi, nel 1954, arrivò Nat King Cole che ottenne di poter cantare "Smile". Dopo di lui... tutti quelli detti sopra. È notorio che in assenza della parola, la musica assumesse in quegli anni un ruolo decisivo e Chaplin era il primo a saperlo e intervenne personalmente in quel senso, e da quel genio completo che era compose melodie che fanno parte dell’antologia più preziosa del cinema.
Nel 1931, sempre in Charlot-muto, scrisse, produsse e diresse, tutto come suo costume, Luci della città. Considerato uno dei suoi titoli di vertice. Protagonista è una fioraia cieca che Charlot, nel suo piccolo, cerca di aiutare. Chaplin adottò la celebre Violetera di José Padilla ma creò un suo adattamento, tale da accreditarsi la paternità della musica quasi come l’autore.
Contenitore
Luci della ribalta (Limelight), del 1952 è uno straordinario contenitore di musiche. Chaplin non era più Charlot. Parlava come tutti gli attori. Il tema portante, Limelight Opening – Terry’s Thema, è una delle più belle musiche del Novecento. Ma l’autore, ancora una volta... ancora legato al suo grande amore “muto”, non volle che fosse contaminata da parole. Invece canta molte canzoni del repertorio di Calvero, il personaggio protagonista. Charlie ha così modo di riproporre certe performance che facevano parte del suo antico repertorio, prima di diventare il massimo del cinema. È la storia di un grande artista in declino che sogna di avere un’ultima occasione. Ce l’ha in una irresistibile sequenza con Buster Keaton. Cade malamente alla fine del numero, ha un infarto. Morente, chiede di vedere la sua protetta Terry, danzatrice, che sta incantando il pubblico.
Monsieur Verdoux, del 1947, racconta di quest’uomo, bancario licenziato, che per mettere al riparo dalla rovina economica la moglie e il figlio, corteggia ricche vedove, le sposa e poi le uccide intascandone l’eredità. Lo stratagemma dura per anni, finché, quando la moglie e il figlio muoiono, Verdoux si costituisce. Viene condannato a morte. Chaplin non rinuncia ai grandi annunci che tanto gli stavano a cuore e alla fine fa notare che, a confronto delle spaventose stragi di cui è capace la guerra moderna, il suo delitto è ben poca cosa. Chaplin non gradiva quando gli chiedevano quali delle sue opere privilegiasse. Non rispondeva in termini di assoluti, ma lasciava intendere che “Verdoux” era un personaggio nel quale si identificava e che amava molto.
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