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Oppenheimer, il quantico dei quantici

Christopher Nolan polverizza i codici del biopic per comprendere meglio la psicologia irradiata del suo geniale protagonista. Non è l’autore qui ad adattarsi al genere ma il genere a conformarsi al suo cinema. Il risultato è un canto d’amore per la scienza e gli scienziati, ma anche un incubo da svegli, un racconto ammonitore. Al cinema.
di Marzia Gandolfi

Cillian Murphy (47 anni) 25 maggio 1976, Cork (Irlanda) - Gemelli. Interpreta J. Robert Oppenheimer nel film di Christopher Nolan Oppenheimer.
sabato 26 agosto 2023 - Focus

Qualche volta la grande storia si svolge in stanze molto piccole. Scegliendo di aprire il suo monumentale Oppenheimer sul volto del protagonista eponimo incorniciato da quattro mura, Christopher Nolan dimostra subito di averne colto l’essenza: Julius Robert Oppenheimer è il perfetto personaggio tragico.

Storicamente parlando questa prima scena si svolge a Washington nell’aprile del 1954, nella sala 2022 dell’edificio T3, una sorta di prefabbricato di due piani eretto nella capitale durante la Seconda Guerra Mondiale. La struttura, concepita per essere demolita in tempi rapidi, ospitava la direzione di ricerca dell’AEC, la Commissione americana per l’energia atomica fondata sotto Truman nell’agosto del 1946 - un anno dopo la vetrificazione di Hiroshima e Nagasaki - per promuovere e controllare lo sviluppo pacifico del nucleare. È esattamente lì che Oppenheimer, ‘padre della bomba atomica’ (scopri i migliori film e serie tv dedicati alla bomba atomica) proverà per quattro settimane a difendere il suo onore e la sua “autorizzazione di sicurezza” dalle grinfie del maccartismo. Ma come si arrivò a tanto?

Per far luce sul destino del suo eroe, bruciato dopo essere stato incensato, Nolan si concentra sul risentimento e sul complesso di inferiorità di Lewis Strauss, presidente dell’AEC e influente membro del consiglio di amministrazione dell’Institute for Advanced Study di Princeton, celebre rifugio di Albert Einstein dopo il suo esilio dalla Germania nel 1933.

Nel 1947, Strauss si fece in quattro per reclutare Oppenheimer come direttore. Da par suo, il fisico, allora all’apice della sua fama, si fece desiderare a lungo, troppo a lungo per il suo fragile ego. Ma la strada che il protagonista seguirà fino al calvario non è semplicemente il risultato della gelosia di un malvagio mediocre. Senza il suo carattere, senza le sue azioni, senza le sue scelte e la sua incapacità a mentire, il risentimento di Strauss sarebbe scivolato su Oppenheimer come l’acqua sulle piume di un germano reale.

Il carburante per alimentare la sua corsa verso la catastrofe lo fornì soprattutto Boris Pash (Casey Affleck), cacciatore di talpe e mangiatore di comunisti, che vedeva dappertutto. Le parole di Oppenheimer, il suo idealismo, la sua disposizione all’apertura e alla condivisione, se non addirittura alla comunione scientifica, colpirono le orecchie di Pash con la forza di una bomba che avrebbe impiegato un decennio per esplodere. Con o senza Strauss, il martirio di Oppenheimer aveva tutte le caratteristiche di una maledizione antica. Se preferite, di una reazione a catena destinata a raggiungere il punto di criticità.


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In foto una scena del film Oppenheimer di Christopher Nolan.


E una lunga parte del film è dedicata al processo che il fisico (e l’uomo) ha dovuto affrontare nel dopoguerra per il suo sostegno ai repubblicani spagnoli, la sua associazione con la sinistra comunista a Berkeley negli anni Trenta e la sua opposizione alla proliferazione delle armi nucleari agli albori della Guerra Fredda (e in pieno maccartismo).

Oppenheimer si trasforma progressivamente in un affresco politico e paranoico, un court movie pakuliano al cui centro si accomoda la rivalità tra Oppenheimer e Strauss. Penetrando in un territorio sconosciuto e privato delle spettacolari scene d’azione che strutturano abitualmente i suoi film, Nolan registra dialoghi ininterrotti, una sfida di repliche tra star che respireranno soltanto nella deflagrazione atomica.

Prima e dopo, una cavalcata di tre ore di visioni astratte e scene oniriche, di tensione drammatica e carica emozionale, di parole e note sperimentali (di Ludwig Göransson) che come il film covano un segreto, nascondono una verità riavvolta su se stessa. Uno scambio tra Einstein e Oppenheimer, inaccessibile all’osservatore, che funziona come la rotazione infinita di una trottola (Inception) o le apparizioni di un fantasma gravitazionale (Interstellar). Un punto cieco rivelato soltanto alla fine.

Ultimo apostolo del blockbuster intimista nel deserto hollywoodiano, con James Cameron e Denis Villeneuve, Christopher Nolan polverizza i codici del biopic per comprendere meglio la psicologia irradiata del suo fisico. Non è l’autore ad adattarsi al genere ma il genere a conformarsi al suo cinema, disegnando un ritratto panottico di Julius Robert Oppenheimer, che metterà a punto la prima bomba atomica nel 1945 come direttore scientifico del Progetto Manhattan, prima di essere screditato dal suo governo.

Il primo terzo del film segue il giovane Oppenheimer attraverso l’Europa prebellica e dentro la mente tempestosa di un uomo che percepisce dietro il velo della realtà differenti stati del mondo, doppi segreti del nostro mondo, più o meno percepibili, più o meno antinomici. Gli stessi che Nolan cerca di rendere sensibili sul grande schermo (Interstellar, Tenet). Oppenheimer ripercorre la formazione del giovane scienziato, l’emergere di questa nuova comprensione del mondo, nota come fisica quantistica. La narrazione biografica è attraversata da una tensione interna, infiltrata dalle incertezze della ricerca pura, dal passaggio - catastrofico - dalla teoria alla pratica, dalle relazioni intime del protagonista e dalle strategie legate alla guerra contro la Germania, particolarmente cruciale per gli scienziati ebrei che costituivano la maggioranza dei ricercatori riuniti in New Mexico.


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In foto una scena del film Oppenheimer di Christopher Nolan.


Fedele soldato di Nolan, finora confinato a ruoli di supporto, Cillian Murphy conferisce al personaggio i suoi tratti emaciati e gli occhi blu acciaio, immancabilmente spalancati e soggetti a visioni che ci sfuggono. Se si osserva Robert Oppenheimer nelle immagini d’archivio, scopriamo un uomo con la stessa voce sommessa e lo stesso sguardo limpido ma irrimediabilmente perso dietro un’invenzione che pensava uno scudo ma si rivelò una spada.

Per raccontare questo scienziato amante dell’arte e della letteratura, che conosce il sanscrito e impara l’olandese in un semestre, che ama donne ‘brune’ e sagaci, che è maldestro in laboratorio e pratica sotto il cappello una sorta di passività tormentata, Nolan elude l’estenuante linearità del biopic tradizionale. La complessità del personaggio passa per due tempi distinti (“fusione” e “fissione”), per formati diversi, per temporalità che intrecciano costantemente presente, passato e futuro, per il colore (le sequenze soggettive che esprimono il punto di vista di Oppenheimer) e per il bianco e nero (quelle oggettive che assumono il suo stato d’accusa).

Il risultato è un ‘quantico dei quantici’ della fisica rivoluzionaria inaugurata da Einstein. Un canto d’amore per quei prodigiosi scienziati che al debutto del XX secolo furono in grado di riprodurre in laboratorio le forze fondamentali dell’universo. Ma dentro lo stesso movimento, Oppenheimer è un incubo da svegli, un racconto ammonitore, un vaso di Pandora aperto per sempre il 16 luglio 1945, il giorno del test della bomba atomica nel deserto di Los Alamos.

Nolan, come sua abitudine, crea cortine di fumo dentro la sua storia, controfuochi, false piste che distraggono lo spettatore dalla vera posta in gioco. Il personaggio smidollato e codardo incarnato da Robert Downey Jr. agita lo spauracchio rosso per confonderci sull’ambizione che divorava lo spirito degli scienziati del Novecento, tutti consapevoli di aver attraversato un punto di non ritorno, di aver acceso il fuoco e di avere quasi ridotto l’umanità in cenere. In laboratorio e in aula, si destreggiano coi numeri, entusiasti all’idea di dare forma concreta ai loro calcoli, impazienti di superare i confini che separano la teoria dalla pratica, al punto da dimenticare la natura mortale della loro missione.

Costantemente manipolati e dominati, i loro cervelli sono stati ‘strumenti’ e la loro bomba è stato un affare militare e politico più che scientifico. A ricordarlo ad Oppenheimer, che sente un rimorso (morale e intellettuale) inestinguibile per le conseguenze del fuoco nucleare sulla carne di coloro che lo hanno subito, è il presidente Truman, capace di onorarne l’intelligenza prima di schiacciarla nello studio ovale: poco importa chi ha concepito il dispositivo, la responsabilità riposa sulle spalle di chi ha osato servirsene.


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In foto Christopher Nolan sul set di Oppenheimer.


Sono gli scambi informali con Albert Einstein a ricentrarlo sulle conseguenze della sua ‘insolenza’. L’hybris di questi “grandi uomini” è il cuore del film. Al di là dell’ego battuto di Strauss, Oppenheimer è la loro storia, una storia con ripercussioni così enormi da diventare mitica.

Nell’incipit, Nolan paragona il suo eroe a Prometeo, che rubò il fuoco agli dèi ma il suo ‘fisico’ non ha niente del Titano. È una silhouette spettrale, assediata da visioni oscure, incubi e cupi presentimenti che illustrano fino a che punto fosse invischiato in una fitta rete di poteri, interessi e insidie politico-militari che finirono per espropriarlo della sua opera. Lo sguardo perpetuamente angosciato di Cillian Murphy incassa, assume e illustra superbamente quel topos della tragedia greca.

In una conversazione de Il cavaliere oscuro, il fedele Alfred confida a Bruce Wayne che “alcuni uomini vogliono vedere il mondo bruciare”… A voi l’ardua sentenza in fondo a un nuovo Nolan altrettanto infiammabile: chi era Oppenheimer? Un piromane? Un fisico immaginifico? La potente metafora della coscienza collettiva americana del dopoguerra? L’incarnazione di una dualità esacerbata, uno scienziato che pronuncia un discorso patriottico di facciata mentre dentro brucia riconfigurando un mondo devastato? Sicuramente un uomo irrimediabilmente solo, la manifestazione di domande multiple, complesse, vertiginose, un spunto di riflessione aspettando la fine del mondo.


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