Il simpatizzante

Film 2024 | Drammatico, Storico, Thriller +13

Regia di Park Chan-wook, Marc Munden, Fernando Meirelles. Una serie Da vedere 2024 con Robert Downey Jr., Scott Ly, Hoa Xuande, Tom Dang, Fred Nguyen. Cast completo Titolo originale: The Sympathizer. Genere Drammatico, Storico, Thriller - USA, 2024, Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 Valutazione: 5 Stelle, sulla base di 1 recensione. STAGIONI: 1 - EPISODI: 7

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Ultimo aggiornamento venerdì 24 maggio 2024

Diretto da Park Chan-wook e prodotto da Robert Downey Jr., una serie thriller tratta dal romanzo di Viet Thanh Nguyen.

Passaggio in TV
lunedì 29 luglio 2024 ore 9,30 su SKYATLANTIC

2024
Consigliato assolutamente no!
n.d.
MYMOVIES 5,00
CRITICA
PUBBLICO
ASSOLUTAMENTE SÌ
Il Vietnam liminale di Park Chan-wook, le identità di Hoa Xuande e la versatilità di Robert Downey Jr. in una delle migliori serie del 2024.
Recensione di Gabriele Prosperi
venerdì 24 maggio 2024
Recensione di Gabriele Prosperi
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Guerra del Vietnam: il Capitano, un giovane francovietnamita, lavora come spia comunista infiltrata tra gli alleati americani nel sud del Vietnam. Dopo la caduta di Saigon, il Capitano emigra a Los Angeles, dove continua la sua missione sotto copertura mentre esplora qui le complessità della sua identità scissa e le relazioni con vari uomini, appartenenti alle élites americane in campo militare, accademico e istituzionale, che metteranno in crisi la sua appartenenza e il suo tentativo di conciliare diverse parti della propria identità in un nuovo contesto culturale.
«It's a new world here. You can go anywhere, climb to any heights, as long as you make money first. And in America, we don't have to stay just a chink and a bastard. If you fully commit to this land, you become fully American. But if you don't, you're just a wandering ghost living between two worlds forever». Non c'è citazione che può meglio cristallizzare i temi e la complessità della nuova serie HBO - in Italia su Sky Atlantic - The Sympathizer.

Adattamento dell'omonimo romanzo premiato con il Pulitzer di Viet Thanh Nguyen, la serie è certamente uno dei migliori prodotti del 2024.

Il simpatizzante esplora la complessa dualità dell'identità in un contesto di guerra e migrazione. Dualità o fluidità? Conflitto o scambio? Sono queste le scelte che il racconto e il protagonista si e ci pongono, e ci ritroviamo così, piacevolmente e in maniera straniante, indeboliti nella nostra conoscenza e concezione di una delle guerre maggiormente dipinte sullo schermo (da Coppola, Cimino, Wayne, Levinson, De Palma, Stone, Zemeckis, Kubrick; insomma, davvero chi più ne ha più ne metta) - e anche solo per questo, cioè per riuscire a ri-parlare di Vietnam e a farlo con originalità intellettuale, ce ne vuole. Nessun regista vivente poteva incarnare e proporre attraverso il medium audiovisivo questa complessità meglio di Park Chan-wook, accompagnato da Don McKellar in questa sua seconda avventura seriale (la prima risale al 2018 con La tamburina - The Little Drummer Girl, anch'essa adattamento di un romanzo, di John le Carré).

Il libro di partenza, già di per sé una riflessione sulla rappresentazione hollywoodiana del conflitto, viene rielaborato dai creatori della serie per mettere al centro le loro ambizioni metanarrative. Il romanzo di Nguyen contiene una critica implicita alle rappresentazioni occidentali della guerra, ma McKellar e Chan-wook, in particolare attraverso un segmento che richiama fortemente Apocalypse Now, sfruttano questo aspetto per sviluppare ulteriormente la complessità della narrazione, spostando tali temi metanarrativi al cuore del progetto televisivo.

The Sympathizer è un discorso aperto sul mezzo, anche e soprattutto, seriale: ogni episodio si apre con il ronzio di un proiettore, con una pellicola che parte, rovinata e tarantinianamente stracciata, ed è il segnale di un racconto che dalla confessione di un prigioniero in un campo di rieducazione vietnamita post-bellico si dipana avanti e indietro, con un narratore esposto che gioca con i suoi interlocutori a casa e che racconta, costantemente, un amore per il mezzo che è a tratti nostalgico ma mai ridondante. La confessione di questo protagonista è il livello su cui maggiormente ruota il processo di adattamento: senza snaturare il testo di partenza, il simpatizzante (Per cosa? Per quale ideologia?) di Chan-wook racconta su registri diversi il suo vissuto: al suo carceriere, a noi spettatori, e ai vari, eterogenei, "committenti" e destinatari del racconto che, di volta in volta, viene a lui chiesto nel corso della storia - siano essi orientali o occidentali, amici o nemici, vietcong o sudvietnamiti.

Il protagonista, interpretato magnificamente da Hoa Xuande, è noto solo come il Capitano; l'assenza del nome è una forma pretestuale che permette al personaggio di incarnarne diverse dualità: è di etnia mista, in quanto figlio di una donna vietnamita e di un colonizzatore francese. Oltre a questo aspetto esteriore, è anche interiormente combattuto su due sponde: da un lato, il Capitano è una spia comunista infiltrata tra gli alleati americani nel sud del Vietnam; dall'altro è, al contempo, profondamente innamorato della cultura americana, di cui incarna alcuni principi. Questo mix di identità contrapposte lo rende un narratore perfetto, capace di assorbire e rielaborare diverse prospettive, e contemporaneamente di raccontare la sua personale lotta per trovare un posto in un mondo diviso tra Oriente e Occidente, tra Capitalismo e Comunismo, tra appartenenza e alienazione, e soprattutto tra scontro e incontro.

L'approccio narrativo è tremendamente efficace: mantenendo l'elemento confessionale del libro ma adattandolo al linguaggio visivo, la confessione del Capitano si trasforma in un racconto che non è lineare solo dal punto di vista descrittivo, ma anche visivo, con chiari riferimenti al cinema di Tarantino e ancor più alla Nouvelle Vague francese, pieno di digressioni, flashback, pellicola interrotta o strappata, richiami al cinema nipponico, coreano e al martial arts cinema americano: strategie che riflettono la frammentazione della memoria e dell'identità del protagonista, e nondimeno il complesso processo di autocritica americano. Il passaggio dalla pagina allo schermo rende necessaria una rappresentazione fisica e visibile delle emozioni e delle lotte interne del Capitano, un compito reso complesso dalla natura intrinsecamente ambigua del personaggio e risolto dal montaggio, per mezzo di transizioni formali kubrickiane che permettono alla serie di esplorare con maggiore profondità i temi della dualità e della divisione.

La fluidità della regia e l'uso intelligente del montaggio contribuiscono a creare un'esperienza immersiva, in cui il passato e il presente del protagonista si fondono, rivelando la complessità della sua identità fratturata, che si rispecchia a sua volta in scelte visive stranianti, in primis i suoi occhi, enfatizzati da lenti a contatto colorate che ricordano la sua ascendenza europea, volutamente artificiali, volutamente impattanti. Regia fluida, dissolvenze e tagli abbinati non sono solo strumenti estetici, ma servono a rafforzare i temi della serie, a esplorare la natura ambivalente dell'identità del protagonista e delle situazioni in cui si trova.

Non solo Park Chan-wook: la serie esplode in un tripudio di significati, estremamente stratificati grazie alla poliedrica interpretazione di Robert Downey Jr. che interpreta ben quattro personaggi diversi, tutti americani, ciascuno dei quali rappresenta una faccia diversa del "paese della libertà". L'attore si cimenta con ruoli variegati, dal mellifluo agente della CIA al veterano di guerra idealista, fino al professore orientalistico e al regista hollywoodiano. Ogni ruolo è una caricatura di aspetti distinti della società "dello spettacolo" americana, ognuna delle quali evidenza il conflitto interno e l'omologazione culturale. Downey Jr. eccelle nel mostrare queste sfaccettature, con un approccio che è eccessivamente caricaturale, certamente, ma che nell'economia del racconto non stona mai e che anzi diventa funzionale nel momento in cui entra in contrasto con la performance di Xuande, che attraverso sottrazione e intensità dona profondità e credibilità al suo personaggio.

Quando il Capitano è pienamente immerso nel suo ruolo di spia e doppiogiochista, incontra tutte le facce dell'America incarnate da Downey Jr. Questa interazione è a sua volta sottolineata dalla costante presenza del "sorriso americano", uno smiley ante-litteram e di provenienza zemeckisiana (Forrest Gump), quindi surreale, che funge da simbolo fantasmagorico dell'omologazione culturale che permea la vita del protagonista. Un sorriso, ripetuto e standardizzato, che diventa un simbolo della sua lotta per trovare una propria identità, ma anche spettro, incubus delle contraddizioni statunitensi, e perciò conturbante, horror, da cui deriva un senso di incertezza e smarrimento, che ricorda il fenomeno web contemporaneo delle backrooms.

In un'America che si promette terra di infinite opportunità e libertà, The Sympathizer svela, con maestria, il labirinto identitario di un uomo diviso tra due mondi e che, attraverso un raffinato processo di immedesimazione reso possibile dalle scelte stilistiche e dalle performance degli attori, fa sì che tutti noi ci percepiamo come il Capitano: prigionieri di un proiettore mentale che riproduce incessantemente pellicole di chi pensiamo di essere. La sua lotta interna, amplificata dall'astuzia di Park Chan-wook e dalle molteplici facce di Robert Downey Jr. - la cui versatilità attoriale si abbina, a stretta mandata, al camaleontismo americano - ci porta a riflettere sul fatto che l'identità non è mai una questione di appartenenza fissa, ma un gioco di specchi, riflessi e frammenti. E così, mentre il proiettore ronza e la pellicola si strappa, ci rendiamo conto che non importa dove ci troviamo: siamo tutti fantasmi che vagano tra realtà e rappresentazione, in uno spazio liminale, cercando di trovare un posto che possiamo chiamare casa.

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