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John TurturroL'italiano di BrooklynNome: John Michael Turturro64 anni, 28 Febbraio 1957 (Pesci), New York City (New York - USA) |
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dal film Transformers (2007)
John Turturro L'agente Simmons
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Istrionico caratterista, ha costruito la sua fama e bravura su un umorismo e una parlantina rapida e pungente spesso pieni di venature sarcastiche pur non prive di scoppi d'ira. Turturro è il tipico erede di una certa atmosfera della New York italoamericana, che interpreta un mondo grottesco e divertente, sempre un po' ironico ma con alcune velature di malinconia. Un mondo che è al tempo stesso violento, colmo di contraddizioni razziali e spesso razziste che hanno visto in Turturro, di origini italiane, un interprete straordinario, dal volto indimenticabile, di cui certamente non si rimarca il sex appeal, ma la cui abilità caratteriale è straordinaria. La sua capacità camaleontica di aderire ai personaggi non è sfuggita ad autori del calibro di Spike Lee e dei fratelli Coen, che ne hanno fatto una sorta di feticcio. Turturro è un instancabile attore, dal 1980 ha interpretato una settantina di ruoli, ma anche diretto cinque film.
Nato a Brooklyn, figlio di un immigrato siciliano carpentiere e di un'americana cantante di jazz, vive tuttora nello stesso quartiere, ed è vicino di casa dell'amico Steve Buscemi, con cui condivide un certo stile nella recitazione, nonché l'appartenenza a quell'ambiente newyorkese, melting pot di tradizioni italiane, ebree e africane.
John inizia la sua carriera cinematografica come comparsa in Toro scatenato (1980) di Martin Scorsese, ma la parte che lo rende noto sarà il protagonista di "Danny and the deep blue see", opera teatrale di John Patrick Shanley. L'ottima interpretazione gli apre le porte per una serie di ruoli di grande popolarità, pur non essendo mai protagonista: da Vivere e morire a Los Angeles (1985) di William Friedkin, dove Turturro interpreta il personaggio più ambiguo della storia, a Il colore dei soldi (1986), ancora di Scorsese, e ad Hannah e le sue sorelle di Woody Allen. Nel 1987 (anno in cui appare anche ne Il siciliano di Cimino) il regista Tony Bill lo vorrà per Five Corners dove Turturro rivela nel suo personaggio un'oscura intensità.
Spike Lee resta affascinato da questa interpretazione e vuole Turturro per il razzista ed esplosivo italo americano Pino di Fa' la cosa giusta (1989), inizio di una lunga e proficua collaborazione. È un periodo fortunato per Turturro: appena un anno dopo si apre l'altra duratura collaborazione che lo renderà un attore di culto, quella coi fratelli Coen. Sarà infatti Bernie Bernbaum, il gangster ebreo di Crocevia della morte (1990). Le connotazioni razziali calzano bene a Turturro che nello stesso anno è il proprietario di nightclub antisemita in Mo' better blues, ancora con Spike Lee, dimostrazione che le sue capacità attoriali possono assumere i ruoli più disparati (prova ne è anche il suo ruolo in Jungle Fever, 1991).
All'ombra dei fratelli Coen
Sarà poi Barton Fink, scrittore in crisi creativa nel Barton Fink dei Coen per il quale vince il premio come miglior attore protagonista a Cannes. Nel '92 scrive e dirige la storia sull'immigrato italiano Niccolò Vitelli di Mac che gli vale un altro premio a Cannes, per la prima volta da dietro la macchina da presa: la Camera d'Or. Mentre nel dimenticato Gli sgangheroni (remake di Una notte all'opera dei fratelli Marx) interpreta Groucho stesso. Torna ai suoi ruoli da caratterista nell'ottimo Fearless (1994) di Peter Weir e in Quiz Show di Robert Redford storia di un famoso scandalo televisivo americano (in cui si scoprì che un quiz era truccato) dove Turturro interpreta ancora una volta un personaggio socialmente identificato, un ebreo del Queens. Nei successivi Eroi di tutti giorni (1995) di Diane Keaton e Box of Moonlight di Tom DiCillo sarà rispettivamente un frustrato inventore e un uomo che riscopre la spontaneità come fonte di gioia e di vita. Dopo una parte ancora nei ghetti newyorkesi nel magnifico Clockers (1995) e nei panni dell'agente di Girl 6 (1996), entrambi di Spike Lee, Turturro interpreta Primo Levi ne La tregua (1997) per il quale perde diversi chili per rendere credibile una sua riemersione dai campi di concentramento. Il Levi di Turturro è un finissimo personaggio che, incredulo di fronte alla noncuranza degli altri, torna lentamente alla vita di tutti i giorni.
A teatro tornerà interpretando opere di Brecht e Beckett, sempre a Brodway, e nel '98 dirige il suo secondo film, di cui è anche protagonista: Illuminata, pellicola sul teatro agli inizi del '900, in concorso a Cannes, netta affermazione delle sue capacità autoriali come regista. Turturro qui dirige Susan Sarandon, Christopher Walken e Ben Gazzara, nonché Katherine Borowitz, sua moglie dall'85, che aveva già voluto per Mac.
Nel '98 è invece il coach Billy Sunday nel dramma sportivo di Lee He got game, mentre nel '99 comparirà in uno dei ruoli per cui lo si ricorda più volentieri: il campione di bowling Jesus Quintana ne Il grande Lebowski dei Coen. Accanto a Jeff Bridges, John Goodman e Steve Buscemi, Turturro è un folle giocatore di bowling che crede di essere una divinità. Il cast straordinario e le sue capacità da caratterista rendono l'interpretazione mitica e incredibilmente divertente. Di Turturro non si ricorderà di certo il sex appeal, ma il suo volto trasmette tutta la bizzarria e l'assurdità dei ruoli che interpreta. Sempre nel '99 presta la voce a Harvey the Black Dog, il personaggio che parla al serial killer di Summer of Sam, lo straordinario poliziesco di Spike Lee, ambientato in un'afosa estate newyorkese.
Altro ruolo cult è quello di Pete, in Fratello dove sei? ancora dei Coen. Accanto ai magnifici George Clooney, Tim Blake Nelson e John Goodman interpreta una farsesca odissea omerica proiettata nel Mississipi degli anni '30.
Nel 2000 compare invece accanto a Johnny Depp e Christina Ricci nel drammone The man who cried. Ma Turturro non disdegna ruoli in film altamente commerciali come Una spia per caso, (2000, triste remake de Il dittatore dello stato libero di Bananas), Danni collaterali (2002), Mr. Deeds (2002) o persino il protagonista di Fear X (2003), alternandoli con le interpretazioni ben più autoriali dello scacchista Alexandre Luzhin in La partita - la difesa di Luzhin (2001) o del professore di Tredici variazioni sul tema (2001). Nel 2003 interpreta Chuck accanto a Jack Nicholson e Adam Sandler in Terapia d'urto. Dopo La tregua, inoltre, le sue relazioni con l'Italia si fanno sempre più marcate: nel 2003 è Andrea nel corto Ore 2: calma piatta e presta la voce per l'Opopomoz di Enzo D'Alò. Nel '92, tra l'altro, aveva vinto il David di Donatello per Barton Fink. Nel 2004 il suo volto si defigura in quello dello psicotico di Secret Window, inquietando il protagonista Johnny Depp. Turturro si dedica con altrettanta passione ai ruoli televisivi, come dimostra il successo di Monk, in cui interpretava il protagonista Ambrose Monk, che gli è valso un premio Emmy.
Sempre nel 2004 torna a collaborare con Spike Lee nella commedia Lei mi odia, dove copre il ruolo del mafioso Don Angelo Bonasera. Ma il 2004 è anche l'anno del suo terzo film da regista, e anche il più fortunato: Romance & Cigarettes, con Kate Winslet, un'opera che segue i toni dei fratelli Coen ma con una sua particolarità bizzarra, in cui si può rintracciare l'ironia di Turturro: dai dialoghi surreali alle canzoni da musical. Romance & Cigarettes sarà in concorso al festival di Venezia del 2004.
Dopo il film di spionaggio Quelques jours en septembre (2006) dove è ancora una volta un personaggio ambiguo e psicotico, Turturro recita in film diretti da noti attori come The good shepherd (2006) di De Niro e Slipstream (2007) di Anthony Hopkins.
A conferma che da bravo camaleonte riesce a saltare da un ruolo all'altro, pur mantenendo una caratterizzazione per ogni personaggio, Turturro appare poi negli interessanti panni dell'agente Simmons persino nei Transformers (2007) di Micheal Bay.
Una passione italiana
È l'ispettore Antonio Ricci in Miracolo a Sant'Anna per la regia di Spike Lee (2008), sfortunata e criticatissima pellicola tratta dall'omonimo best-seller di James McBride e basata sui fatti realmente accaduti il 12 agosto 1944, durante la Seconda guerra mondiale. Riabbraccia l'amico Robert De Niro in Disastro ad Hollywood di Barry Levinson e si "fantasmizza" in Zohan di Dennis Dugan, dove è un terrorista che mette in piedi una catena di fast food mediorientali.
Turturro però è anche un grande estimatore del teatro e della letteratura italiana: cura infatti lo spettacolo Fiabe italiane (Italian folktales) liberamente ispirato all'omonima raccolta di Italo Calvino e alle favole di Giambattista Basile e Giuseppe Pitré, inserito nel programma al Teatro Stabile di Torino. Il suo viaggio italiano prosegue poi in Sicilia alla ricerca delle location adatte per un film che ha in testa da molto tempo. Ne esce fuori con Prove per una tragedia siciliana, un documentario che è un vero e proprio atto d'amore per la terra che ha dato i natali ai suoi nonni, guidato dalla voce e dai ricordi di Andrea Camilleri e fotografato magnificamente da Marco Pontecorvo.
Terza tappa: Napoli. Come per la precedente pellicola, anche qui ritorna ad interessarsi della cultura popolare italiana, esplorando la musica e la cultura di Napoli. Viene fuori un documentario musicale intitolato Passione, dove ripresenta al pubblico alcune tra le più belle canzoni della tradizione partenopea, con un cast composto sia da cantanti tradizionali come Raiz, che da attori come Massimo Ranieri, Peppe Servillo e Fiorello, impegnati a narrare il fascino e il mistero di una Napoli invisibile agli occhi del turista.
Indimenticabile Jesus Quintana lungo la corsia di bowling dei fratelli Coen, John Turturro vuò fa il napoletano e lo fa con sensibilità e pertinenza nel suo nuovo e appassionato documentario. Come l'americano di Nisa e Carosone abballe 'o roccolo e gioca al baseball', colleziona canzoni napoletane e le esibisce lungo i vicoli di Napoli, dove una rosa illustre e titolata di artisti (re)interpreta il repertorio pop(olare) partenopeo. Tenace indagatore, Turturro adatta al suo documentario gli schemi e le convenzioni del cinema napoletano, inserendo e "sceneggiando" canzoni celebri come "Era de maggio" o "Malafemmena", "Maruzzella" o "Tammuriata nera". E proprio nei vicoli, scenario di base della sceneggiata napoletana, l'attore e autore americano canta Napoli e le sue canzoni, esplicitazione e sintesi della Storia di una città e di un'intera nazione. Scongiurando l'idealizzazione turistica da esportazione, Turturro guarda a Napoli e alla sua tradizione musicale con un amore pari solo all'ardente passione del carpentiere di Romance & Cigarettes per la sua Tula. Al teatro Trianon questa sera per il debutto napoletano, Passione uscirà in sala in cinquanta copie il prossimo 22 ottobre. A Roma questa mattina per presentare il suo film, il regista italoamericano ha dichiarato la sua Passione per il Belpaese, dove pensa di "restare" e di tradurre in un film i "fantasmi" di Eduardo De Filippo.
Aspettative
John Turturro: Il progetto di Passione nasce circa quattro anni fa in un momento molto buio per la città di Napoli, coinvolta negli scandali della "monnezza". Attraverso la canzone napoletana io, la montatrice Simona Paggi, gli artisti coinvolti, la regione Campania, il comune di Napoli volevamo restituire alla città tutta la sua bellezza. Questo documentario è stato girato con curiosità e con una grande umiltà nei confronti di una città meravigliosamente complessa. Quello che mi auguro adesso è che la gente resti sveglia in sala e guardi al film con lo stesso spirito con cui è stato ideato e prodotto.
Lavorare in Italia
John Turturro: Quando lavori con un regista ispirato come Francesco Rosi questa esperienza non può non lasciare il segno. Probabilmente devo ringraziare Francesco se ho deciso di lavorare in Italia. Il suo film La tregua richiese cinque anni di lavoro e in quei cinque anni ho imparato moltissimo sul vostro paese. Attraverso lo sguardo e le conversazioni con Francesco ho capito quello che prima mi sembrava incomprensibile ma soprattutto che se volevo saperne di più dovevo andare al fondo delle cose, delle esperienze, degli incontri. Passione nasce allora da uno sguardo rigoroso e profondo sulla cultura italiana, nello specifico sulla tradizione canora napoletana. Passione è principalmente un film su un luogo che ha saputo creare tanta musica e che poi l'ha esportata in tutto il mondo.
Cliché
John Turturro: Una degli aspetti che più mi stavano a cuore durante le riprese del film era quello di evitare cliché e stereotipi, volevo guardare la città con occhi diversi, sfuggendo lo sguardo del turista. Per questa ragione sono state scelte delle location non immediatamente riconoscibili come il Palazzo dello Spagnolo, il suggestivo Acquedotto romano del Serino poco distante da Napoli o la Solfatara di Pozzuoli, dove abbiamo girato la performance di Fiorello. Spero in questo modo di avere reso un favore a Napoli e corretto lo sguardo distorto degli americani sull'Italia e su ogni altro paese che non sia il loro. La maggior parte degli americani non sono curiosi e guardano per questo alle altre culture in maniera superficiale, trasformando ogni cosa in stereotipo. Questo è un atteggiamento infelice con cui ogni attore italoamericano finisce per fare i conti. E ne so qualcosa anch'io.
Sorrisi, cast e canzoni
John Turturro: Girando Passione non era mia intenzione fare la storia della canzone napoletana. Mi premeva piuttosto realizzare un film di intrattenimento impegnato a presentare, o ripresentare, al pubblico alcune tra le più belle canzoni della tradizione partenopea. Per questa ragione ho voluto che il mio cast fosse composto da cantanti tradizionali o sperimentali come Raiz e da attori come Fiorello, capaci di raccontare una storia e di non limitarsi ad interpretare una canzone. Da Ranieri a Peppe Servillo, da Lina Sastri a Fiorello, da Enzo Avitabile a Pietra Montecorvino sono stati tutti favolosi narratori di una città misteriosa che sfugge a chi viene da fuori e a chi da sempre ci vive. C'è qualcosa di vibrante e infinito a Napoli, qualcosa che percepisci ovunque e che ho cercato di catturare e di mettere nel mio film.
Angeli protettori
Fiorello: È incredibile, è la seconda volta che vengo scelto da un regista americano per cantare una canzone di Renato Carosone. Prima Minghella con "Tu vuò fa l'americano" e ora Turturro con "Caravan Petrol". A differenza degli altri artisti coinvolti in questo progetto io non sono napoletano, non scrivo musica e non sono nemmeno un attore, per queste tre ragioni rimasi perplesso dalla scelta di Turturro e provai a dissuaderlo. Ad oggi sono convinto che sia lo spirito di Renato Carosone a suggerire il mio nome ai registi americani. Quando ascoltai l'arrangiamento di Enzo Avitabile di "Caravan Petrol", versione assolutamente tarantinizzata, cominciai a capire perché John avesse pensato proprio a me per quella performance. Dopo aver dato fondo alle obiezioni ho naturalmente accettato con gioia di partecipare alla "passione" di Turturro, quando fai il mio mestiere prima o poi finisci sempre per confrontarti con la canzone napoletana.
Mettersi in gioco
Peppe Servillo: Per noi partenopei partecipare a una simile esperienza è stato davvero importante, Passione ha messo in gioco il nostro pudore verso una tradizione che ha origini antiche e davanti alla quale non avremmo saputo che cosa scegliere di cantare e che cosa escludere. La cultura americana pur così lontana dalla nostra ha comunque dei curiosi punti di contatto, dunque era interessante vedere lavorare Turturro su una materia a noi tanto cara, il suo sguardo garantiva in qualche modo contenuti più autentici sulla nostra cultura.
Farsi guardare
Raiz: Ho amato farmi osservare da un occhio esterno e appassionato come quello di John Turturro. Sarebbe stato molto difficile per me, come per altri artisti napoletani, mettere mano nel nostro repertorio e scegliere le canzoni e gli autori da inserire nel film, lasciando magari fuori compositori importanti come Murolo. Il mio coinvolgimento emotivo era tale che l'alterità di Turturro è stata di conforto. Ad aiutarlo nel suo lavoro è stata senza dubbio anche la sua italianità e il coraggio di osare, girando dentro una Napoli che io avrei probabilmente tenuto al riparo, perché troppo fragile e dolente.
Chissà se si sente più a suo agio tra le strade caotiche di Broadway o in quelle, altrettanto caotiche ma per ragioni diverse, del centro storico partenopeo. Sta di fatto che John Turturro è ormai di casa all'ombra del Vesuvio, attratto da un'alchimia fatta di origini, storia, musica e teatro. L'attore e regista italo americano sbarca oggi nuovamente nel golfo per portare all'amatissimo e storico Teatro San Ferdinando (quello di Eduardo De Filippo) il suo nuovo spettacolo "Fiabe Italiane – Italian Folktales", liberamente ispirato all'omonimo lavoro di Italo Calvino e alle fiabe di Giambattista Basile e Giuseppe Pittrè, e prodotto dalla Fondazione del Teatro Stabile di Torino e dal Teatro Stabile di Napoli, in un progetto speciale realizzato con il sostegno del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Si tratta della seconda incursione teatrale a Napoli dell'artista di Brooklyn, dopo il successo della trasposizione di "Questi fantasmi" di De Filippo (titolo dello spettacolo "Soul of Naples"), portato in scena nel 2006 al Teatro Mercadante.
Il testo di "Italian Folktales", in cartellone fino al 7 Febbraio, scritto da Katherine Borowitz, Carl Capotorto, Max Casella e John Turturro, è interpretato dall’attore statunitense – che firma anche la regia – e da Jess Barbagallo, Katherine Borowitz, Max Casella, Richard Easton, Erika La Ragione, Aurora Quattrocchi, Giuliano Scarpinato, Aida e Diego Turturro. Le musiche, rigorosamente dal vivo, sono della Compagnia Artistica "La Paranza del Geco".
«Ho scelto le Fiabe italiane – ha dichiarato l’attore e regista – perché sono state il primo regalo ricevuto da mia moglie Katherine Borowitz, quando eravamo ancora fidanzati. Sono un grande estimatore delle opere di Calvino. Trovo irresistibili la parsimonia e la bellezza delle fiabe. Sono storie piene di grazia e al tempo stesso umili, sono lo specchio di un’Italia senza confini, un continente più che una nazione. Il loro è un afflato universale che trascende tempo e luogo. Sono l’espressione di una realtà dura e poverissima; cercano di ridare speranza a chi non ne ha, rendendo la loro esistenza più sopportabile".
Turturro non nasconde la soddisfazione di portare in scena un lavoro su cui avevano riposto notevoli aspettative grandi del nostro passato artistico. "Oggi- ha affermato- essere il primo che riesce a mettere in scena Fiabe italiane è un onore che mi è difficile descrivere. Anche perché, prima di me, ci aveva provato il grande Federico Fellini. Negli anni Settanta lui e Calvino si erano incontrati più volte per discutere il progetto, mai andato in porto".
Intanto, è prevista per giugno l'uscita nelle sale di Passione, titolo provvisorio per il film che John Turturro ha voluto realizzare per raccontare la storia della canzone napoletana. L'occhio straniero, ma non troppo, del regista attraversa la città portando alla ribalta antichissime e più moderne melodie: dal "Canto della lavandaie del Vomero" del 1200 a "Napule è" di Pino Daniele. Nel cast anche Lucio Dalla, gli Avion Travel, James Senese, Pietra Montecorvino, Massimo Ranieri, Lina Sastri e Fiorello.
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