Una giovane ragazza in Nicaragua non riesce a lasciare il paese. L'incontro con un ragazzo britannico cambierà tutto. Espandi ▽
La regista francese racconta di anime disperate in un noir tropicale volutamente enigmatico e inerte dal punto di vista narrativo, ma dalla fortissima atmosfera. Quel poco di storia che è disponibile a saziare la curiosità dello spettatore viene dal romanzo omonimo di Denis Johnson, che gli dava una collocazione cronologica più precisa negli anni ottanta. Denis e il suo team di sceneggiatori (tra cui si segnala la regista Léa Mysius) optano invece per una temporalità a contrasto, con il paese ancora (di nuovo?) in piena instabilità politica, militarizzato, con una valuta a picco e pieno di gente che cerca di fuggire, ma inevitabilmente contemporaneo e ancora attanagliato dai simboli della pandemia. Spoglio e sull’orlo del collasso, questo Nicaragua è un luogo liminale come la Marsiglia immaginata da Christian Petzold in Transit, a cui però Denis con il suo consueto graffio autoriale riesce a dare una dimensione meno metafisica e più urgente, nervosa. Questo purgatorio centro-americano è una bellissima maledizione da cui si giura di partire domani, o al massimo dopodomani, mentre si chiede al barista un altro whiskey senza poterlo pagare. E nell’attesa ci si godono i piaceri di un cinema che premia l’osservazione, l’introspezione e un pizzico di follia.