r milone
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sabato 15 dicembre 2018
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peccato banalizzare
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Peccato banalizzare la storia di una tragedia epocale e la cattura di un criminale come pochi la Storia abbia conosciuto, con la logica un qualsiasi film d' azione "americano" e riempirla di luoghi comuni sulla crudeltà umana,
Infarcito di cose inverosimili con finalità spettacolari e di suspence (l' identikit del poliziotto fatto da Eichmann ; la "scoperta", grazie a quell' identikit, che gli agenti stanno scappando con un aereo; l' irruzione della polizia argentina collusa con i nazisti mentre gli israeliani che hanno preso Eichmann fuggono dalla porta...di dietro !!!) è un film - formalmente fatto bene- che racconta la vicenda e i suoi protagonisti come ognuno li vorrebbe raccontati.
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Peccato banalizzare la storia di una tragedia epocale e la cattura di un criminale come pochi la Storia abbia conosciuto, con la logica un qualsiasi film d' azione "americano" e riempirla di luoghi comuni sulla crudeltà umana,
Infarcito di cose inverosimili con finalità spettacolari e di suspence (l' identikit del poliziotto fatto da Eichmann ; la "scoperta", grazie a quell' identikit, che gli agenti stanno scappando con un aereo; l' irruzione della polizia argentina collusa con i nazisti mentre gli israeliani che hanno preso Eichmann fuggono dalla porta...di dietro !!!) è un film - formalmente fatto bene- che racconta la vicenda e i suoi protagonisti come ognuno li vorrebbe raccontati.
Per non parlare del "duello psicologico" tra Peter e il criminale, per ottenerne la firma: come se gente abituata a falsificare passaporti e identità non potesse falsificare una firma o, cosa ancora piu irrazionale, come se qualcuno avrebbe mai eccepito che la firma potesse essere non autentica.
La banalità finale -quasi a concedere quel perdono che in teoria non dovrebbe negarsi a nessuno, con contorno, oserei dire, di "sindrome di Stoccolma"- è il sorriso di Eichmann a Peter, dalla gabbia, durante il processo. Più che banalità, stupidaggine: il criminale durante il processo non mostrò la minima attenzione a niente, senza fare un gesto o una piega, come fosse una statua.
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carloalberto
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venerdì 29 gennaio 2021
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un film che vuole essere troppe cose
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Chris Weitz è un regista ambizioso. Il suo film aspira ad essere molte cose.
E’ innanzitutto la trasposizione di un’operazione di intelligence, accaduta realmente, e quindi è un film d’azione.
C’è un duello psicologico tra il criminale nazista e l’agente del Mossad, in un rapporto vittima carnefice, che sembra a tratti capovolgersi nel suo opposto, e quindi è un film drammatico.
Sullo sfondo c’è il massacro del popolo ebraico e l’uccisione della sorella del protagonista, e quindi è un film tragico.
Non manca la suspense per l’incertezza dell’esito dell’impresa, ed è quindi un thriller.
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Chris Weitz è un regista ambizioso. Il suo film aspira ad essere molte cose.
E’ innanzitutto la trasposizione di un’operazione di intelligence, accaduta realmente, e quindi è un film d’azione.
C’è un duello psicologico tra il criminale nazista e l’agente del Mossad, in un rapporto vittima carnefice, che sembra a tratti capovolgersi nel suo opposto, e quindi è un film drammatico.
Sullo sfondo c’è il massacro del popolo ebraico e l’uccisione della sorella del protagonista, e quindi è un film tragico.
Non manca la suspense per l’incertezza dell’esito dell’impresa, ed è quindi un thriller.
Ma non è ancora finita, si deve aggiungere che è anche una storia d’amore e c’è il contesto politico sociale dell’Argentina degli anni ’60, con i movimenti neo nazisti protetti da frange dell’esercito e della polizia, è quindi anche un film storico con risvolti sociologici.
La complessità del plot esige la messa in ordine degli elementi. In primo piano c’è l’agente del Mossad, Oscar Isaac, la sua tragedia personale, la morte della sorella e dei nipotini per mano nazista, la storia d’amore con la dottoressa, Mélanie Laurent, che parteciperà alla cattura di Eichmann, il suo difficile rapporto con colleghi e superiori, la sfida con il criminale nazista, Kingsley, nel tentativo di estorcergli una firma, che, inverosimilmente, sembra fosse indispensabile per il suo rapimento. Sullo sfondo, nei flashback, i massacri di donne e bambini ebrei, organizzati da Eichmann, e la morte, in una di quelle stragi, della sorella del protagonista.
Ricapitolando, Operazione finale è un thriller d’azione, ispirato ad un fatto vero, con aspetti drammatici che ha sullo sfondo avvenimenti tragici, sia collettivi che individuali, complicato da una storia d’amore ed ambientato in un contesto sociale e politico particolare.
Troppo per un solo film.
Quello che rimane di tutto questo è la magnifica interpretazione di Kingsley, che, tuttavia, nello sforzo di rendere la complessità psicologica del suo personaggio, il feroce criminale nazista che in Argentina nel frattempo si era fatto una graziosa famigliola con moglie e due figli, gli dona un tocco di umanità inappropriato e fuori luogo, che stona con la tetra figura del burocrate carrierista macchiatosi di crimini orrendi contro l’umanità consegnataci dalla storia e soprattutto è incongruente con la rappresentazione filmica del personaggio stesso.
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felicity
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mercoledì 11 gennaio 2023
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cinema medio nello stile e nella forma
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Operation Finale è puro cinema medio nello stile, nella forma, nella confezione, tutto centrato sul racconto di una storia vera, sulla spettacolarizzazione a fine “didattico” delle sue fonti.
Operation Finale sembra quasi riflettere sulla narrazione come chiave di lettura o comprensione della Storia e sulla capacità di un certo cinema hollywoodiano di produrre senso proprio attraverso il racconto e la costruzione di tensione: basterebbe guardare il modo in cui ritrae i nazisti argentini, la loro fierezza che suggerisce il futuro di quella nazione e il presente del nostro mondo.
Uno squarcio raggelante in un film in cui, come spesso nel cinema hollywoodiano, la sostanza si nutre di apparenza, di superficie, di racconti.
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Operation Finale è puro cinema medio nello stile, nella forma, nella confezione, tutto centrato sul racconto di una storia vera, sulla spettacolarizzazione a fine “didattico” delle sue fonti.
Operation Finale sembra quasi riflettere sulla narrazione come chiave di lettura o comprensione della Storia e sulla capacità di un certo cinema hollywoodiano di produrre senso proprio attraverso il racconto e la costruzione di tensione: basterebbe guardare il modo in cui ritrae i nazisti argentini, la loro fierezza che suggerisce il futuro di quella nazione e il presente del nostro mondo.
Uno squarcio raggelante in un film in cui, come spesso nel cinema hollywoodiano, la sostanza si nutre di apparenza, di superficie, di racconti.
A penalizzare Operation Finale sono una regia e una fotografia ovattate e abbastanza scolastiche, più efficaci nei flashback sul passato di Eichmann e Malkin che nell’accompagnamento ai loro intensi dialoghi.
Ben Kingsley e Oscar Isaac si confermano fra i migliori interpreti delle rispettive generazioni, donando sfumature sinistre e dolorose anche ai dialoghi più ordinari e compensando le carenze della sceneggiatura non particolarmente ispirata che mette sul piatto tanti spunti, ma in maniera disordinata.
Operation Finale non riesce mai a convincere pienamente, finendo per colpire più con la multiforme performance di Ben Kingsley e con l’immancabile approfondimento prima dei titoli di coda che con il vero e proprio racconto di una triste pagina della nostra storia.
Ciò che ci rimane è quindi un film che non scende mai sufficientemente in profondità e che solo in rari sprazzi riesce a mostrarci il volto di un male sotterraneo, che ci accerchia in modi poco appariscenti, ma ugualmente minacciosi.
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