Sono praticamente nati a pochi mesi di distanza lui e Mario Monicelli e hanno cominciato a frequentarsi sin dai primi anni del dopoguerra. Pionieri della storia della commedia all'italiana, si sono messi al servizio dell'immaginario e della cultura popolare, attingendo a volte l'uno dall'altro e sostenendosi vicendevolmente, in alcuni casi. Dino Risi, come Monicelli, rappresenta l'esplosione del Cinema Italiano nel mondo. Un uomo che ha saettato fra materie, generi e argomenti con una filmografia che è stata recuperata talvolta persino dall'America. Un lungo e fondamentale percorso che gli ha permesso di costruire un gustoso dizionario illustrato-animato, composto da tante piccole trasposizioni su schermo, connotate da notevoli apparati iconografici: l'irresistibile volpone istrione Vittorio Gassman, un più sostenuto Ugo Tognazzi, una provocante ninfetta Catherine Spaak, i due bellimbusti Maurizio Arena e Renato Salvatori, il tonto e impacciato Nino Manfredi, l'addolorata Pamela Tiffin, calcando la mano sulla sensualissima Sophia Loren o sul fascino maturo di Vittorio De Sica, senza contare i ritratti da furbetto di quartierino che venivano appioppati ad Alberto Sordi. Le sue pellicole, autentiche e appassionate, rappresentano - assieme a quelle del collega - il gradino più alto della commedia italiana di costume, quella che si ispirava alla vita di tutti i giorni e la riproponeva, evidenziando, con cinismo e pizzichi di malinconia intimistica, i vizi e i difetti che gli italiani avevano sviluppato nel corso degli anni. Uno stile espressivo che lo fece paragonare a Billy Wilder - definizione che gli affibbiò Morando Morandini - e che lo avvicinò a autori come Luigi Comencini, Pietro Germi, Nanni Loy ed Ettore Scola.
Come si fa un film di Dino Risi
Risi, di solito, partiva dai libri, anche non facili, interiorizzando la vicenda e cercandone le qualità cinematografiche. Poi girava, anche a basso costo... Miracolosamente, però, le pellicole andavano così bene da far incassare ai suoi produttori, nel giro di pochi mesi, delle belle cifre! Accusato spesso di "inconsistenza" dai critici cinematografici, era un maestro nel saper coniugare episodi divertenti a prediche sull'avvenire dei figli, sui doveri della famiglia, su nodi nevralgici nella vita di tutti i giorni, disegnando caratteri sfuggenti, a volte anche inclini allo sciogliersi in lacrime. Attuale sì, ma senza impegno e senza andare troppo in fondo alle situazioni. Satira, costume, passione, verità, menefreghismo, indifferenza, gags e parolacce, qualunquismo: riusciva a sfiorare tutto, pungendo, creando ambiguità, scendendo nel grottesco. Ridiamo ancora per i suoi sguaiati film-barzelletta, per quel cinema che, senza eccessive pretese polemiche, aveva il compito di rendere liete, vitali e piacevoli le ore che lo spettatore passava al cinema. Ma meditiamo ancora quando ci troviamo di fronte a quei temi che sovente ci riproponeva, inquadratura per inquadratura: la linea di confine fra normalità e follia, la diatriba fra l'autorità - spesso militare - e l'anarchismo indignato, il rapporto fra le generazioni, l'educazione, la follia della guerra, la solitudine, il bisogno, quasi la necessità, della tenerezza e l'immancabile mancanza d'amore. Poi intorno agli Anni Ottanta, l'arrivo della decadenza. Film irrimediabilmente volgari, stupidi, nonostante i nomi - grandissimi - dei protagonisti. Dino Risi lo sente. Avverte di essere senza energia, prolisso, orizzontale e ormai completamente avviluppato dal linguaggio televisivo. Nell'ultimo periodo, l'attento e sensibile "Risi touch" andò scemando (non gli si perdona la patetica e deprimente commedia con Anna Falchi), ma forse perché erano ormai sul viale del tramonto le commedie di cui era caposcuola. Si ferma, riceve quello che la Storia del Cinema gli deve e si spegne... solo il sorriso che Risi ci lasciava sulle labbra rimane.
Le basi medico-psichiatriche
Fratello di Fernando Risi e del regista Nelo Risi, figlio di un medico si laurea in Medicina, specializzandosi in Psichiatria, ma ben presto capisce che non è quella la sua professione, così decide di dedicarsi al cinema, seguendo i consigli dei suoi amici Mario Soldati e Alberto Lattuada. Per entrambi sarà aiuto regista: Soldati lo vorrà in Piccolo mondo antico (1941) con Alida Valli e Massimo Serato, mentre Lattuada in Giacomo l'idealista (1943) sempre con Serato, ma anche con Marina Berti, Andrea Cecchi e Tina Lattanzi. Scoppia la Seconda Guerra Mondiale e lui non ha alcuna intenzione di parteciparvi, così si rifugia in Svizzera, dove frequenta un corso di regia tenuto da Jacques Feyder. Una volta concluso il secondo conflitto mondiale, torna nella sua cara Milano, dove trova un posto come critico cinematografico per il quotidiano "Milano Sera".
Documentari & cortometraggi
Nel 1946, comincia a pensare che invece di scrivere di film, potrebbe scrivere UN film. Ma è solo un'idea che gli balena nella mente... vaga, ancora inconsistente. Eppure, la voglia di prendere la macchina da presa in mano c'è. Comincia a fare pratica con dei documentari e dei cortometraggi: I bersaglieri della signora (1946), Barboni (1946), Cuore rivelatore (1947), Pescatorella (1947), Strade di Napoli (1947), Trigullio minore (1947), Verso la vita (1947), 1848 (1948), Buio in sala (1948), Caccia in brughiera (1948), La città dei traffici (1948), Cortili (1948), Il grido della città (1948), Segantini, il pittore della montagna (1948), La montagna di luce (1949), Seduta spiritica (1949), Il siero della verità (1949), Fuga dalla città (1950) e L'isola bianca (1950).
Soggettista & sceneggiatore
Comincia anche a buttare giù qualche soggetto e qualche sceneggiatura. Scrive per Mario Monicelli e Steno la trama de Totò e i re di Roma (1951) con Totò e Alberto Sordi, per Lattuada firma Anna (1951) con Silvana Mangano e Vittorio Gassman, senza contare Gli eroi della domenica (1953) con Marcello Mastroianni, Montecarlo (1957) con Marlene Dietrich e Vittorio De Sica, Anna di Brooklyn (1958) di De Sica e Carlo Lastricati e con Amedeo Nazzari, che ebbe il piacere di conoscere.
Incontri
L'incontro con Carlo Ponti, che lo stimola a compiere il grande passo verso i film a soggetto, è importantissimo. Nel 1951, firma la sua opera prima: Vacanze col gangster(1951), primo lungometraggio a soggetto con Terence Hill e Lamberto Maggiorani in due piccole parti. Non brilla, ma è comunque un inizio. L'anno successivo, dirige Mastroianni ne Viale della speranza e già fa qualche incasso in più. Ma è Cesare Zavattini, guru del neorealismo, a coinvolgerlo in un progetto tutto particolare. Un progetto che vedeva la partecipazione anche di Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, Francesco Maselli, Federico Fellini e l'amico Lattuada, ovvero l'opera corale Amore in città (1953). Risi è uno dei registi che lavorano al film, realizzando l'episodio "Paradiso per 4 ore" e il pubblico che accorse a vedere il film, già cominciava a familiarizzare con il suo nome che rivedrà sulle locandine di Pane, amore e... (1955), pellicola neorealista rosa con Vittorio De Sica, Sophia Loren e Tina Pica, che seguiva le orme de Pane, amore e fantasia.
Le commedie con Sordi, De Filippo e Tina Pica
Comincia a delinearsi lentamente la rotonda degli attori prediletti da Risi, in primis Alberto Sordi che trova le sue partner ideali o nella piccola e bruttina Franca Valeri (Il vedovo, 1959) o nella limpida e bellissima Marisa Allasio (Venezia, la luna e tu, 1958), mentre sbanca con la commedia Il segno di Venere, dove inserisce nello stesso cast un indifferente Peppino De Filippo, il solito mascalzone stagionato De Sica, un nervoso Alberto Sordi, una prosperosa Loren e una sempre più borbottante Tina Pica. Diventa quasi un cuoco: si diverte, infatti, a mischiare nella stessa commedia paesana delineata da Pasquale Festa Campanile il De Filippo cinematografico e ancora la Pica, straripanti protagonisti de La nonna Sabella (1957).
L'altro Risi: Vittorio Gassman
Poi un altro incontro che è un innamoramento, ovviamente professionale. Lo aveva già visto a teatro e in alcuni film drammatici, sempre nella parte del cattivo, farabutto o ladro o approfittatore. Sa che ha delle potenzialità comiche, anche se è spilungone e dall'aspetto lugubre. Nel 1960 lo sceglie e da quel momento non lo abbandonerà mai più. Vittorio Gassman diventa il simbolo del cinema di Dino Risi. Istrionico esibizionista di commedie brillanti come Il mattatore (1960, sempre con De Filippo) e Il successo (1963, che porta la firma di Mauro Morassi) o di drammi come Una vita difficile (1961, con Claudio Gora, Sordi, la Mangano). Risi ha il merito di nobilitare la sua figura, di renderlo ancora più piacevole agli occhi del grande pubblico che si rivede un po' in quel borghesuccio caotico e pieno di fascino.
Il successo de Il sorpasso
Dopo un incontro con il produttore Mario Cecchi Gori, decide di portare sul grande schermo un soggetto che aveva scritto assieme a Rodolfo Sonego: Il sorpasso. Il film, che originariamente doveva essere prodotto da De Laurentiis, per opera di Cecchi Gori, viene sceneggiato da Ettore Scola e Ruggero Maccari pensando però ad Alberto Sordi per il ruolo di Bruno. Il problema è che Sordi era proprio sotto contratto di De Laurentiis, ma anche con il permesso del grande produttore, decise di rinunciare al film, ritenendo - antipaticamente - che il personaggio di Bruno venisse via via messo in ombra da quello di Roberto. Dino Risi si legherà al dito questo gran rifiuto e offre la parte a Gassman che accetta: si delinea così il corrosivo ritratto di due maschere italiane, nonché l'impietosa analisi di un momento della nostra storia, il boom! Curiosamente, il successo de Il sorpasso (1962) - che si avvaleva nel cast anche di Claudio Gora, di Jean-Louis Trintignant, di Catherine Spaak e Linda Sini - arrivò solo più tardi, infatti all'allora cinema Etoile di Roma, la sera della prima, c'erano solo 50 persone. Era costato 300 milioni di lire... ma ne incassò ben 2 miliardi!
Poveri, ma belli e l'accoppiata Tognazzi/Gassman
Sostenuto dalla moglie svizzera Claudia e dai figli Marco e Claudio - uno divenuto regista e l'altro produttore - continua a mietere successi. Lancia l'accoppiata povera, ma bella di Renato Salvatori e Maurizio Arena, piantandoci in mezzo la ruggente e indipendente Allasio, torna a Gora con la trasposizione del romanzo omonimo di Ercole Patti Un amore a Roma (1960, con De Sica) e con A porte chiuse (1961, con Vittorio Caprioli), poi decide di mettere insieme Gassman e Ugo Tognazzi con un risultato strepitoso che porterà a una longeva amicizia fra i due attori. La marcia su Roma (1962), I mostri (1963, anche con un Sordi perdonato), la mordace In nome del popolo italiano (1971), Telefoni bianchi (1976), I nuovi mostri (1977, anche di Monicelli e Scola e con Sordi) e Sono fotogenico (1980, con Monicelli come attore) sono i titoli dove i due divi del cinema italiano fanno divertire maggiormente il pubblico.
Profumo di... Gassman
Ma non rinuncerà a concludere quel processo di trasformazione che fece di Vittorio Gassman una maschera della comicità italiana: Il gaucho (1964, con Nazzari), Il tigre (1967), Il profeta (1968), ma anche il dramma della solitudine Profumo di donna (1974) il suo capolavoro. Agostina Belli, Moira Orfei, Lorenzo Piani, Vernon Dobtcheff, Carla Mancini, Alvaro Vitali, ruotano attorno al capitano cieco Fausto e al suo viaggio verso la morte. Ispirandosi al romanzo di Arpino "Il buio e i miele", Risi segna il passaggio al dramma sarcastico, pietoso, ironico e amaro conquistandosi l'onore di un remake americano - Scent of Woman - Profumo di donna (1992) con Al Pacino - ma perfino un David di Donatello per la miglior regia, un César come miglior film straniero e una nonimation all'Oscar per la sceneggiatura non originale. Un trionfo. Sempre con Gassman, firmerà poi Anima persa (1977, tratto da un altro romanzo di Arpino e con Catherine Deneuve), Caro papà (1979) e Tolgo il disturbo (1990).
Ugo Tognazzi e Nino Manfredi
Altri assi nella manica di Risi sono Giancarlo Giannini e Nino Manfredi. Quest'ultimo aveva già avuto occasione di vederlo all'opera nei film corali - portavano oltre alla sua firma anche quelle di Franco Rossi, Luigi Filippo D'Amico, Luigi Comencini, Mauro Bolognini - I complessi (1965) con Tognazzi, Sordi, Gora e Nanni Loy e Le bambole(1965) con Monica Vitti. Ma non può rinunciare nemmeno al due di picche, così forma un altro sodalizio artistico con Ugo Tognazzi dirigendolo ne Straziami, ma di baci saziami (1968), Dagobert (1984), ma affiancandolo alla star del momento Ornella Muti (La stanza del vescovo, 1977, e Primo amore, 1978).
Verso il declino
Poi sarà la coppia Loren e Mastroianni (La moglie del prete, 1971), la Vitti (Noi donne siamo fatte così, 1971), solo Mastroianni (Mordi e fuggi, 1973 e Fantasma d'amore, 1981) e l'arrivo del declino dell'autore con i pessimi film degli anni Ottanta-Novanta, con una spaesata Carol Alt e la regia di tante fiction come: ...e la vita continua (1984), Carla. Quattro storie di donne (1987), Il vizio di vivere (1988), La ciociara (1989, con la Loren), Vita coi figli (1990) e la miniserie Missione d'amore (1992). Il peggiore fra tutti i suoi film? L'inutile e banale Giovani e belli (1996) con Ciccio Ingrassia. Forse si risolleva un po' con il film a episodi Esercizi di stile (1996) o con la fiction Le ragazze di Miss Italia (2002), ma poi decide di ritirarsi. Inizia qui, il tempo dei grandi riconoscimenti, il Leone d'Oro alla carriera nel 2002, il David Speciale vinto nel 2005, l'autobiografia firmata nel 2004 "I miei mostri", fino al trascorrere degli anni in un bell'appartamento del residence Aldrovandi a Roma, nel cuore del quartiere Parioli, dove si spegne nel 2008. E così si spegne anche quello sguardo provocatorio e provocante, disincantato e cinico, dell'autore di grandi capolavori della commedia all'italiana. Si chiude per sempre la palpebra sotto cui l'occhio umano spiava con impietoso umorismo e amarezza vizi e vezzi del nostro paese. Un occhio quasi scientifico, con un gusto per il dettaglio, per lo stile, per il costume, senza indulgenza, ma con benevolenza.