L'attrice simbolo del nostro paese festeggia oggi con un maxi-evento a Roma.
di Pino Farinotti
Le divinità dello spettacolo decisero che il settembre del 1934 dovesse essere un momento propizio per trasmettere bellezza, talento, e parte di mitologia. Perché il quel mese nacquero Brigitte Bardot (28) e Sophia Loren (20). Le due signore sarebbero diventate il modello assoluto, in cinema e non solo, a rappresentare la Francia e L’Italia. Due donne, due attrici, due personalità che non potevano essere più lontane. A Brigitte ho già dedicato un racconto adesso tocca a Sophia.
“Oh Sophia, Sophia, passa il tempo e ti porta via…” cantava Sergio Endrigo nel 1970. E’ passato più di mezzo secolo e il tempo certo ha lavorato, ma Sophia non è stata portata via, non è scomparsa. Ha resistito tenacemente, magari ricorrendo ai chirurghi: ecco una differenza fondamentale con Brigitte. Fino a pochi anni fa poteva ancora indossare abiti attillati e scollati come faceva una volta. Comunque questa grande donna ha attraversato più di un secolo dispensando stile, vocazione, e disponibilità verso azioni e valori che non erano solo cinema.
E’ stato subito chiaro che la ragazza fosse una predestinata, aveva bellezza, intelligenza e tenacia. E una madre che la faceva partecipare a tutti i concorsi di bellezza. Dove Sophia Scicolone, immancabilmente, vinceva. Il 1951 è un anno importante perché la futura diva apparve in una fulminea inquadratura in Quo Vadis. In quello stesso anno conobbe Carlo Ponti, uno bene inserito nel sistema, che divenne suo marito e“creatore”. Ed ecco all’orizzonte un altro che contava, parecchio, Vittorio De Sica, il suo secondo mentore. E’ lui che attribuì a Sophia il ruolo della pizzaiola nell’ “Oro di Napoli”, dove la ventenne emergente si dimostrò attrice vera.
Per raccontare la Loren nello spazio concesso occorrono sintesi e omissioni. Ha davvero fatto molto. E così starò ai momenti decisivi della sua vicenda artistica. Risolverò a volumi.
Volume Hollywood. Il 1957 è un altro anno del destino. Sophia approdò a Hollywood. La Paramount aveva deciso che su di lei si poteva investire, così la trattò come una regina. Produsse una serie di titoli che la valorizzassero, mettendole al fianco alcuni dei maggiori divi americani, di generazioni diverse, come Clark Gable, John Wayne e Cary Grant, che potevano esserle padri e poi i più giovani Burt Lancaster, Gregory Peck, William Holden, Alan Ladd, Frank Sinatra, Charlton Heston. E gli hors catégorie Paul Newman e Marlon Brando. Nessuna altra diva ha potuto contare su tanti privilegi. Naturalmente i registi erano “relativi” a tanto impegno. Ecco dunque Stanley Kramer, Martin Ritt, Sidney Lumet, Henry Hathaway, Carol Reed. E altri. Ne uscirono opere che trionfavano al botteghino, ma nessuno di quei titoli riuscì a diventare un classico vero. A far parte della storia del cinema. E comunque uno non può non essere citato, perché fu sua maestà Charles Chaplin che per La contessa di Hong Kong del 1957, suo ultimo film, volle proprio Sophia protagonista, insieme a Marlon Brando.
Non è improprio dire che la Loren non si è mai del tutto hollywoodizzata, come era successo a dive come Greta Garbo, Marlene Dietrich e Ingrid Bergman. E’ sempre stata un’italiana che aveva fatto fortuna laggiù. E forse è stato meglio così.
Volume Cinecittà. E qui le cose sono diverse. Un altro momento importante deriva da due titoli che erano l’istantanea dell’Italia di allora: Pane amore e fantasia, e Pane amore e gelosia. Testimonial Gina Lollobrigida, inimitabile. Regista Comencini. Per il terzo capitolo del trittico, Pane amore e… la produzione decise per un’evoluzione. Affidò la regia a Dino Risi, ricorse allo schermo allargato e al colore spettacolare. E scelse Sophia, che era il modello decisamente diverso rispetto alla “Lollo”, che comunque avrebbe sempre mantenuto l’identità di quella serie. Ma Sophia si impose per appeal e aggressività. Nella sua filmografia quel titolo è sottolineato in rosso.
Volume De Sica-Mastroianni. E qui siamo davvero nella parte più alta del cinema italiano. Regista e partner perfetti per Sophia. I titoli: Ieri, oggi, domani: l’attrice in tre ruoli, di milanese, romana e napoletana. C’è Mastroianni. Il film si portò a casa l’Oscar e il Golden Globe. I sequestrati di Altona: una visione della Germania divisa. Con attori come Fredric March, Robert Wagner e Maximilian Shell. Il testo è di un gigante, Jean-Paul Sartre. Matrimonio all’italiana, classico vero del cinema italiano, di impianto teatrale, ispirato alla "Filumena Marturano" di Eduardo. Grande esercizio della coppia Loren-Mastroianni. Quanta qualità. I girasoli: Marcello e Sophia, innamorati, vengono divisi dalla guerra. Lui finisce in Russia. Nomination all’Oscar. Il viaggio, ultimo film di De Sica. Sophia, ammalata, compie un viaggio, che sarà l’ultimo, col suo compagno, Richard Burton. Anche qui l’ispirazione è potente, da Pirandello.
Ragionavo per una copertina di un libro sul cinema italiano. Le immagini subito evocate erano: Anita Ekberg nella fontana di Trevi (La dolce vita di Fellini); Gassman e Sordi militari nella “Grande guerra” di Monicelli; Gassman e Trintignant sull’Aurelia “supercompressa” del “Sorpasso” di Risi; Anna Magnani falciata dal tedesco nella Roma città aperta di Rossellini.
Ma poi ecco palesarsi Sophia nella “Ciociara”. Quell’immagine disperata di lei accasciata sulla strada dopo lo stupro suo e della figlia, è un fotogramma che tutto rappresenta: un’estetica magnifica e forte, un dolore terribile, la tragedia della guerra,
un’istantanea del nostro cinema quando eravamo i più bravi del mondo. E il talento di un Moravia. E poi lei, Sophia, attrice ambasciatrice nel nostro Paese. E non è finita, c’è anche qualcosa di americano “assoluto”, il premio Oscar. Cosa vuoi di più.