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Venezia 80, un concorso rappresentativo del cinema contemporaneo. Grande spazio all’Italia

Sei registi italiani in concorso, il ritorno di David Fincher, Sofia Coppola, Michael Mann, Bradley Cooper e tanti altri per un evento che continua a coniugare star e nuove scoperte.
di Paola Casella

martedì 25 luglio 2023 - Mostra di Venezia

Non sarà una Mostra autarchica ma largamente rappresentativa del cinema contemporaneo”, asserisce Alberto Barbera, Direttore artistico della Mostra del cinema di Venezia giunta quest’anno alla sua 80esima edizione e dunque si mostra rassicurante, ma prende anche subito il toro per le corna: “L’ultima settimana è stata turbolenta, dato l’annuncio dello sciopero di attori e sceneggiatori che ha colto tutti di sorpresa, anche noi che eravamo al consolidamento di un programma già concluso. Ma l’impatto dello sciopero, che ha buone ragioni condivisibili, sulla Mostra è modesto: l’unico film perso è quello d’apertura (Challengers di Luca Guadagnino, ndr), rimandato all’aprile 2024. Tutti gli altri film americani invitati sono stati confermati e saranno presenti nel programma della Mostra. Mancherà ovviamente qualche star, poiché gli attori in sciopero che hanno partecipato a produzioni degli studios o delle piattaforme non saranno presenti, ma ci saranno tutti quelli che hanno lavorato in produzioni totalmente indipendenti: e sono molti”.

Dunque un red carpet meno nutrito, a fronte di una selezione di concorso che promette fuochi d’artificio: “23 titoli, un numero che qualcuno mi rimprovera, ma non sono stato capace di rinunciare a nessuno”, si schernisce Barbera (che più volte farà captatio benevolentiae sula scelta di alcuni titoli presenti alla Mostra dicendo “ci direte se abbiamo sbagliato”) Molti anche i film fiume, altra scelta per cui Barbera fa già mea culpa, e tema ricorrente l’adolescenza come momento emblematico di formazione.
 

GLI ITALIANI IN CONCORSO

I film italiani in concorso, come già si mormorava, sono ben sei: a cominciare dal film di apertura Comandante di Edoardo De Angelis, cui Barbera dedica poche parole, limitandosi a definirlo “un grande sforzo produttivo con un grande cast”; l’annunciatissimo Io capitano di Matteo Garrone, “odissea contemporanea di due ragazzi africani che partono da Dakar spinti dal sogno di raggiungere l’Europa e invece conosceranno l’orrore dei centri di detenzione e i pericoli dell’attraversamento del Mediterraneo con una carretta del mare”, un film con cui Garrone, secondo Barbera, “rinuncia a barocchismo stilistico e visivo per affidarsi ad una narrazione semplice e diretta assumendo il punto di vista dei protagonisti”; Finalmente l’alba di Saverio Costanzo che torna al cinema dopo L’amica geniale (guarda la video recensione) facendo “il secondo più importante investimento produttivo del cinema italiano di quest’anno”, con un cast internazionale capitanato da Lily James nei panni di una giovane popolana “catapultata un giorno e una notte nella Cinecittà dell’epoca, ricostruita con notevole maestria, un mondo affascinante ma cinico e crudele


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Finalmente l’alba è il viaggio lungo una notte di una ragazza che, nella Cinecittà degli anni 50, diventa la protagonista di ore per lei memorabili che da ragazza la trasformeranno in donna.

Si prosegue con Lubo di Giorgio Diritti, di cui Barbera confessa di non essere “un grande fan: ma questa volta mi ha convinto” con il suo film fiume della durata di tre ore di “una dele tre etnie di gitani nella Svizzera degli anni Trenta perseguitati in Germania dai nazisti ma anche dagli svizzeri”. All’epoca, ricorda Barbera, c’era un programma semigovernativo che autorizzava il rapimenti dei bambini gitani per estirpare il problema de nomadismo dalla Svizzera e affidarli a famiglie svizzere che li trattavano come piccoli schiavi”; Enea di Pietro Castellitto, che Barbera ritiene essere “più ambizioso del suo film d’esordio” ma che vanta “i temi ricorrenti del suo cinema, raccontando l’incursione priva di regole nel maelstrom di una Roma popolata da famiglie problematiche, trafficanti di droga e discotecari collusi con la mafia” e si esprime nel “nuovo linguaggio nel quale i giovani possono riconoscersi”; e infine Adagio di Stefano Sollima con Favino e Servillo, che secondo Barbera potrà essere il punto di svolta per cementare la reputazione del regista come autore, e che racconta “una Roma distopica circondata da incendi che incombono sulla capitale e un film cattedrale eretto a celebrare il rito funerario dei personaggi e temi che hanno fatto di Romanzo criminale e Suburra le due serie che conosciamo”.


I GRANDI RITORNI

Si va da Stephane Brizé, al suo decimo film (non tutti presentati al Lido) con Hors Saison, che secondo Barbera “abbandona la sua comfort zone a sfondo sociale” per affrontare la storia di una coppia (Guillaume Canet e Alba Rohrwacher) che si ritrova dopo 15 anni dalla separazione, lui ex attore di grande successo, lei pianista che vive in paesino isolato al bordo del Mare del Nord e non ha mai superato il trauma della loro separazione”; a Bradley Cooper che dopo la sua prima regia, A Star Is Born (guarda la video recensione), torna al Lido (ma questa volta in concorso) con Maestro, “biografia di un genio musicale come Leonard Bernstein cui a Cooper (che lo interpreta) interessa l’aspetto del rapporto con la moglie amatissima, intrepretata da Carey Mulligan; Priscilla di Sofia Coppola, già Leone d’oro per Somewhere, “che tenta di raccontare la vera e tormentata storia della giovanissima sposa di Elvis Presley: da segnalare che è una coproduzione italiana di The apartment con l’American Zoetrope” di papà Francis; The Killer, un thriller tratto da una graphic novel francese che David Fincher sognava da tempo di portare sullo schermo prodotto da Netflix: “Fincher non tornava alla Mostra dai tempi di Fight Club, non accolto benissimo a Venezia ma poi diventato cult movie”; Memory dell’onnipresente Michel Franco con Jessica Chastain, ambientato a New York che “rielabora con fantasia straordinaria e sfarzo visivo i  temi tipici del cinema gotico.


Maestro diretto, prodotto, scritto e interpretato da Bradley Cooper arriverà prossimamente su Netflix.

Povere creature! di Yorgos Lanthimos vede invece protagonista Emma Stone, mai così scatenata, nel ruolo di una Frankenstein al femminile riportata in vita da uno scienziato pazzo interpretato da Willem Dafoe che sfugge al suo creatore con un meschino avvocato (Mark Ruffalo) e fa un viaggio attraverso capitali europee spinta da una grande voracità sessuale: una boccata d’ossigeno rispetto al perbenismo soffocante del cinema contemporaneo”; El Conde di Pablo Larrain, “un duro attacco politico al Cile che non è stato capace di chiudere i conti col passato non avendo mandato a processo il dittatore e i suoi accoliti”. E infine Michael Mann con l’attesissimo Ferrari, “concentrato sugli anni cruciali della crisi della scuderia  e del tragico incidente che metterà fine alla corsa della Millle Miglia. Sullo sfondo, la crisi coniugale tra Ferrari e la moglie, crisi che ha risvolti anche imprenditoriali e professionali”, chiosa Barbera che aggiunge: “Raramente un regista straniero è riuscito a ricreare con altrettanta precisione il clima italiano di quegli anni”.


LE NEW ENTRY

Fra questi figurano nomi altisonanti ed esordienti assoluti. Fra i primi Luc Besson con Dogman, dalla “trama sorprendente, monumento a un attore australiano come Caleb Landry Jones in una performance destinata a rimanere memorabile”; Bertrand Bonello con La bête interpretato da Lea Seydoux e George MacKay e “molto liberamente ispirato a racconti Henry James ambientato in futuro prossimo in cui le emozioni sono diventate una minaccia”; la regista afroamericana Ava DuVernay con Origin, “tratto da un libro della scrittrice premio Pulitzer americana Isabel Wilkerson, il saggio più venduto negli Stati uniti, che ha cambiato l’approccio al discorso sul razzismo nella società americana”; Ryusuke Hamaguchi con il nuovo film dopo il successo di Drive my car, Evil does not exist, che “dura un’ora e 46, e racconta una società di Tokyo che vuole costruire camping di lusso in villaggio di montagna mettendo a rischio l’equilibrio ambientale e si scontra con la popolazione locale”;

Agnieszka Holland con The Green Border, “girato quasi in clandestinità, e capirete perchè: ha un soggetto inviso al governo polacco che esplora la drammatica e poco nota vicenda degli immigrati clandestini illusi dalle autorità bielorusse di poter entrare in Europa attraverso il confine polacco, sottoponendosi invece ad un’altalena tragica e drammatica; e Fien Troch che torna al Lido con Holly, dopo aver vinto la sezione Orizzonti nel 2016. Un film ancora più maturo sul disagio adolescenziale di una ragazzina dotata di uno strano potere speciale, un lavoro che gioca in maniera intelligente con codici del cinema dell’orrore, ma in fondo è un film d’amore”; Nikolaj Arcel, il regista danese già vincitore dell’Orso d’oro a Berlino e candidato all’Oscar con Royal affair, che qui presenta Bastarden con Mads Mikkelsen nei panni di un ex ufficiale che vuole colonizzare le terre desolate dello Yukland, all’epoca popolate solo da rom e banditi.


Bastarden ha come protagonista un Mads Mikkelsen nei panni di un colonizzatore.

Fra gli esordienti Malgorzata Szumowska/Michal Englert con Woman of , “anch’esso non gradito al regime polacco in quanto storia autentica di un uomo transessuale che si sposa e poi scopre di essere nel profondo una donna, ma fa il grande passo solo molto tardi nella vita, in uno dei paesi più transfobici dell’Europa; un film che privilegia i sentimenti di chi vuole vedere riconosciuto il diritto di essere ciò che si è, il cui protagonista è effettivamente transessuale”; Timm Kröger con Die Theorie Von Allem, che “crea un immaginario puramente cinematografico citando, fra gli altri, Welles, Fassbinder, Siodmak, Hitchcock e il B-movie italiano anni ’70: un incubo gotico e un melodramma metafisico intriso di fantascienza, del quale non si capisce tutto - ma è talmente affasciante!”;


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