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Ultimo aggiornamento martedì 14 giugno 2022
Il regista Baz Luhrmann si dedica alla vita della grande rockstar Elvis Presley. Il film ha ottenuto 8 candidature a Premi Oscar, 1 candidatura a David di Donatello, 3 candidature e vinto un premio ai Golden Globes, 8 candidature e vinto 4 BAFTA, 7 candidature e vinto un premio ai Critics Choice Award, 1 candidatura a SAG Awards, ha vinto un premio ai CDG Awards, 1 candidatura a Producers Guild, Il film è stato premiato a AFI Awards, In Italia al Box Office Elvis ha incassato 3,3 milioni di euro .
CONSIGLIATO SÌ
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Nascita, crescita, apoteosi e inizio di declino di Elvis Aaron Presley, il mito di più generazioni, vengono raccontati e riletti dal punto di vista del suo manager di tutta una vita: il Colonnello Tom Parker. È lui che accompagna, con voce narrante e presenza in scena, la dirompente ascesa di un'icona assoluta della musica e del costume mentre si impegna, apertamente ma anche in segretezza, per condizionarne la vita con il fine di salvaguardare la propria.
Baz Luhrmann fin da ragazzino che viveva nel Nuovo Galles del Sud in Australia, aveva il desiderio di incontrare Elvis. Presley. La sua morte aveva reso impossibile quel sogno. Il cinema ora gli ha consentito di farlo divenire trasposta realtà.
Se non ci fossero state esigenze di immediata riconoscibilità e di sintesi comunicativa questo film avrebbe potuto tranquillamente intitolarsi "Elvis, io e voi". Perché il punto di vista narrativo sin da subito è quello di un mistificatore per eccellenza, quell'Andreas Cornelis van Kuijk che pretendeva di essere americano e si faceva chiamare Tom Parker. È l'uomo che condizionerà la vita di Elvis anche in modo molto pesante ma che non rinuncerà, nel corso del film, a chiamare a complice e, in alcuni casi, a correo il pubblico cioè coloro che hanno amato e adorato "The Pelvis".
È nell'intreccio di queste tre dramatis personae che si sviluppa lo split screen di una vita con la quale il cinema di Luhrmann raggiunge il suo punto più alto realizzando un appuntamento a cui il suo stile non poteva sottrarsi. Perché il suo spettacolarizzare ciò che già di per sé ha tutti gli elementi dell'entertainment raggiunge qui la massima potenza liberandosi dalla gabbia del manierismo. È la vita stessa della star, che con il passare dei decenni conserva intatto il suo carisma, che gli ha offerto la partitura visiva che va a declinare utilizzando tutta la tecnologia attualmente disponibile ma non avendo mai neppure una singola inquadratura fine a se stessa.
Tutto ciò grazie anche a due interpretazione che definire magistrali è dir poco. Di Tom Hanks si credeva di conoscere tutto dal punto di vista del repertorio professionale ma il suo Colonnello Parker aggiunge una pietra miliare alla sua filmografia. Lo si osservi quando, indossate sul corpo debordante le vesti del padre putativo generoso, guarda da sotto in su quella che ritiene essere la sua sempre manipolabile creatura. Nei suoi occhi, più che nell'espressione della sua bocca, si legge tutta la malignità di quegli gnomi che in alcune fiabe solo apparentemente stanno dalla parte del Bene.
Ma è il trentunenne Austin Butler che rappresenta la grande sorpresa. Con una filmografia non travolgente alle spalle riesce a battere i pur validi Rami Malek di Bohemian Rhapsody e Taron Egerton di Rocketman. Il motivo? Butler non interpreta Elvis. È Elvis. Chi avrà modo di vedere anche la versione originale potrà verificarlo sequenza dopo sequenza, inflessione vocale dopo inflessione vocale. La sua è un'adesione totale alla persona e al personaggio permettendo così a Luhrmann non solo di narrarne il percorso professionale ma di leggerlo anche su un ancor più complesso piano storico e sociale.
Visto dall'Australia Presley diviene simbolo di due fondamentali elementi molto made in USA. Se da un lato quel 'voi' viene utilizzato per leggere la creazione di un mito da parte di un pubblico che lo avverte come proprio e al contempo lo adora mentre lo divora (e potremmo dire di aver già visto trattare questo topos, con uno stile paragonabile, solo dal cinema di Oliver Stone) c'è un altro aspetto che ritorna insistentemente e che va ben oltre la celebrazione rutilante di un mito. Si tratta del tema dell'integrazione attraverso la musica.
Quell'Elvis ragazzino che passa dallo spiare i canti e i balli afro proibiti alla chiesa dove quella stessa anima black si esprime negli inni e nei balli dedicati al Signore tornerà a far memoria di sé nel corso del film trovando nella lucida malignità di Parker l'esigenza di far ritornare 'bianco' quel ragazzo che ha animo e atteggiamenti che per l'America conservatrice incitano alla lussuria e alla perversione. Termini, questi, che nascondono la profonda irritazione nei confronti di chi non nasconde e non vuole nascondere la sua artistica ed intima adesione a un'integrazione che quell'America non voleva e ancora oggi, seppure in parte, non vuole.
Non è necessario possedere tutti i dischi di Elvis né essere stati in pellegrinaggio a Graceland a Memphis per apprezzare questo film. È sufficiente poter accettare l'idea che il cinema possa essere grande intrattenimento e spettacolo senza rinunciare a far pensare. Elvis di Luhrmann lo è.
Austin Butler è un 28enne che si è fatto conoscere nel ruolo di Derek nella serie Disney Channel Hannah Montana ed è stato scelto da autori importanti come Jarmusch (I morti non muoiono) e Tarantino (C'era una volta a... Hollywood, dove non sfigura al fianco di mostri sacri come Brad Pitt e Leonardo DiCaprio). Ebbene Austin è stato scelto per dare corpo e volto a Elvis Presley. Nel cast anche Tom Hanks, nella parte di Tom Parker, il manager olandese che organizzò la carriera di Presley, tutelandolo anche da amico. Sono scarse le notizie trapelate, ma sembra che il focus sarà sui decenni fondamentali del fenomeno, gli anni sessanta e settanta.
Credo che nessun artista sia stato più raccontato di Elvis. La massa è troppo grande, dunque occorre fare delle scelte e fissare dei punti fermi. Perché Presley è stato proprio tutto, un inventore, un modello, un ribelle, naturalmente un mito.
Il suo abbrivio, l'eredità, le modalità, la traiettoria non hanno avuto soluzione di continuità. Presley è non è mai assente. Giusto una citazione: credo che in Mahmood, con la sua canzone, Soldi, a Sanremo, ci fosse qualcosa di Elvis. Dunque non occorre riavvolgere il nastro e tornare a tempi lontani, quando gli emuli si chiamavano Celentano, Bobby Solo e Little Toni. In Francia Johnny Halliday e in Inghilterra Billy Fury.
Sopra dicevo "decenni fondamentali", in realtà ancora più decisivi sono stati gli anni cinquanta. Quando il cantante è esploso, quando "rock" era roba nuova e rivoluzionaria, che fece anche delle vittime, illustri. Improvvisamente gente Bing Crosby, Perry Como, Dean Martin, lo stesso Sinatra erano sorpassati. Elvis, con quei suoi movimenti del bacino e delle gambe, in jeans, umiliava la staticità di cantanti che, in abito elegante, spesso in smoking, muovevano solo le mani.
Negli anni sessanta di Presley prevale il cinema. La Metro-Goldwyn-Mayer gli fece un contratto importante. L'idea era quella di rinverdire la stagione dell'epoca precedente, quella di Gene Kelly e Fred Astaire, quando il musical si era accreditato come l'unica vera forma d'arte tutta americana, con qualità altissima, con titoli come Un americano a Parigi, Cantando sotto la pioggia e Sette spose per sette fratelli. Quando il musical aveva persino toccato Shakespeare, rifacendo testi "seri" come 'La bisbetica domata' e 'Romeo e Giulietta'. Quei fasti non furono rinverditi, ma Elvis fece il suo. Nei suoi musical non occorrevano plot particolari, bastava che cantasse. E certo valeva la sua presenza, come nell' "Idolo di Acapulco", dove bello e atletico, si tuffava dagli scogli subito dopo avere sedotto la bellissima con una canzone.
È doveroso contestualizzare la nascita artistica di Presley, che cominciò nel 1954 quando aveva 19 anni. Viveva nella cittadina di Tupelo, contea di Lee, Mississippi. Luogo decentrato, ma dalle metropoli delle coste, soprattutto da New York arrivava l'onda potente delle rivoluzioni di quel decennio, che toccavano tutte le discipline, dalla pittura, al jazz e nella musica pop. La gente si incontrava nei night, nei loft e nelle strade. Un mondo composito e ricco, una bella miscela alternativa che si imponeva. E poi attori del metodo, ballerini, pubblicitari, architetti, fotografi, stilisti, scrittori naturalmente. E tanto altro. Tutto. Broadway splendeva di luce abbagliante, con proposte diverse: dai musical di Porter e Berlin, ai drammi di Williams, Inge e Miller.
La televisione si stava espandendo con mezzi cospicui, per contrastarla il cinema evolveva qualità e spettacolo. Ed è probabile che Elvis non fosse consapevole delle prime teatrali o delle uscite dei romanzi di Faulkner o Mailer, ma quel sortilegio che tutto stava cambiando, quella smania di creare, non c'è dubbio che arrivasse a lui. E poi c'è l'altra faccia della medaglia: l'America, così entusiasta e ricettiva, era pronta per accogliere qualcosa di nuovo, il rock. Era pronta per Elvis Presley.
E veniamo agli anni Settanta, che sono quelli del declino. I video ce lo hanno mostrato tante volte, negli studi o ai concerti, appesantito, affaticato, con quei suoi costumi esagerati, col sudore che pareva sprizzare dallo schermo. E poi è morto. Quel 16 agosto del settantasette.
La vita e la musica di Elvis Presley viste attraverso la relazione con l’enigmatico manager, il colonnello Tom Parker. La trama approfondisce le complesse dinamiche tra i due nell’arco di oltre venti anni, quando Presley raggiunse un livello di celebrità senza precedenti; mentre sullo sfondo un panorama culturale in evoluzione e la perdita dell’innocenza di una nazione segnata [...] Vai alla recensione »
.....sicché secondo Zappoli questo filmaccione dovrebbe far pensare ? E a cosa, di grazia ? Forse a "quando finirá sto polpettone"? Sarebbe stato meglio trasformarlo, allungando ulteriormente il brodo, in una miniserie Netflix. Quella è la giusta collocazione di un bioptic/documentario che non ha nulla da offrire al di fuori di una sontuosa e ricca produzione. [...] Vai alla recensione »
La storia del re del rock'nroll attraverso le parole suadenti del colonnello Parker. Un film che si beve tutto d'un fiato, colorato e musicale. Come tutti i biopic ha il limite della trasposizione. Avrei preferito fosse sviluppato meglio il carattere e la vita di Elvis, mi è sembrato mancasse qualcosa. Ultima canzone dei titoli di coda cantata dai Maneskin. Non è poco.
La domanda da farsi è: può un film racchiudere un mito ? Secondo me è raro che succeda, ed in questo caso, dove si sta parlando della vita del King, del Re del Rock N' Roll, è difficile dare una risposta a questa domanda, nonostante l'entusiasmo unanime della critica. Le premesse ci sono tutte: una storia di riscatto, un vero "American Dream", il protagonista [...] Vai alla recensione »
Anche co-produttore co-sceneggiatore e co-autore del soggetto,Luhrmann narra la storia di uno degli artisti più iconici e rivoluzionari di sempre ma dalla parte di chi ne fu contemporaneamente creatore e implacabile sfruttatore(e forse come affermato da molti la causa della sua scomparsa prematura).Prevedibilmente kitsch e sfarzoso nel mettere in scena acesa e caduta del mito,il film azzecca [...] Vai alla recensione »
Dopo i successi di Bohemian Rhapsody e di Rocketman era giusto che il grande cinema dedicasse un film di cassetta all’uomo a partire dal quale tutto ha avuto inizio. E Baz Luhrmann seguendo le regole di Hollywood con un bel film, attraverso la voce fuori campo del Colonello Tom Parker, interpretato dal solito ottimo Tom Hanks, propone la storia del mito di Memphis.
Elvis- Baz Luhrmann 2022- Giomo891 Elvis Presley è l’iconica leggenda che ha contribuito a definire una nuova era della musica, diventando noto come “il Re del Rock and Roll”. Il cantante contribuì a rendere popolare il sound rockabilly, che combinava il country con l’R&B e il blues della cultura nera per creare una musica che cambiò [...] Vai alla recensione »
Un film candidato all’Oscar. Il film del regista australiano Baz Luhrann non è ancora uscito negli USA, ma si può scommettere che sarà un grande successo: per il suo stile glitter e rutilante, per il suo montaggio estremamente dinamico, caleidoscopico, accompagnato da una colonna sonora tendenzialmente sopra le righe, di grande effetto spettacolare (quando non stordisce), e per il messaggio politically [...] Vai alla recensione »
Quel ragazzo, Austin Butler, realizza un prodigio che riesce a pochi. Penso alle creature della Portman, di Kristen Stewart: ci s'impadronisce di un personaggio che "conosciamo", lo si rimonta, lo si plasma, gli si dà un soffio di vita propria ed ecco, confezionato, il fantasma che crediamo essere quello che da sempre si agita nella nostra povera testa.
Baz Luhrmann fa ancora centro. Una storia intessuta di umana debolezza di un mito che fa i conti con le difficoltà del tempo, con la famiglia antica e nuova, con il suo plasmatore artistico commerciale Parker. La vita pennellata di un mito della musica narrata attraverso il suo despota opportunista pigmalione che sembra ricalcare l'orma di Salieri/Mozart in Amadeus.
Un film che racconta la vita e la carriera, dai primi passi fino al tramonto, di una delle più grandi star della musica di tutti i tempi; ottima trama, magistralmente diretto e interpretato (non è certo facile reinterpretare il carisma di un personaggio di questo calibro), ti prende e ti tiene incollato alla poltrona fino alla fine, emozionando e senza mai cadere nel banale, raccontando, [...] Vai alla recensione »
L'Elvis di Buz Luhrmann non vuole essere storicamente accurato né addomesticato ai canoni del genere biopic. Il regista utilizza piuttosto le sue caratteristiche stilistiche per dar vita alla sua idea di Elvis, un supereroe della musica imprigionato in una gabbia dorata. Tra sfarzo, eccessi e virtuosismi, il film si svela come un'esperienza visiva unica, capace di emozionare e colpire [...] Vai alla recensione »
Ciao a tutti Avevo dimenticato !.... ma il film mi ha ricordato Elvis Presley. Lo vidi da razzina la prima volta in TV 68 nello special e poi nello spettacolo dalle Haway . Trovo che il film di Luhrman sia stato un capolavoro ... certo che per ampliare alcuni passaggi della vita di Elvis il film sarebbe durato almeno 6 ore. Comunque 8 candidature all'Oscar e nemmeno uno vinto .
Raramente il buon Baz riesce a deludere (personalmente ne sono incantato sin da Ballroom), qui riesce a confermarsi e regalarci un tripudio di colori e musica e effetti, tutto sapientemente amalgamato così come il suo passato da deejay gli ha insegnato... TUTTAVIA, nonostante i primi 5 minuti da scuola di cinema (e musica), é un film che corre troppo e rallenta ingiustificatamente nell'ultima mezz'ora, [...] Vai alla recensione »
Merita , merita di essere visto , Il Colonello , nulla dire , l'interpretazione e' fantastica degna del grande Tom,. Difficile riproporre un mito , è vero, ma credo che gli attori abbiano espresso il vero senso della storia con un coinvolgimento incisivo , è un film emozionante e commovente , piacevole e scorrevole , non è mai semplice trasmettere [...] Vai alla recensione »
Premetto che non sono riuscito, pur con tutta la buona volontà , a seguirlo fino alla fine. Difficile esprimere un giudizio del tutto negativo su un film che ha talmente entusiasmato il pubblico e la critica ( almeno così mi pare di aver capito....). Diamo due asterischi, quindi. Delusione Tom Hanks-produttore: forse l'eccessivo trucco lo ha reso una maschera amimica e incapace di [...] Vai alla recensione »
....cantava il canadese Neil Young uscendo fuori dal blu, per concludere poi che il rock'n roll non morirà mai, aderendo lui pure, nonostante tutto, a quella che un altro eroe eponimo citato nella stessa canzone chiamava la grande truffa del rock and roll.Tutto bello per le groupies urlanti e per noi fatui fruitori del prodotto musicale, bello anche per chi sta sul palco ( per divertirsi [...] Vai alla recensione »
Che il cinema di Baz Luhrmann fosse spettacolare, lo sapevamo già. Anche nel raccontare le storie più semplici. Pellicole come Romeo + Giulietta, Moulin Rouge o Il Grande Gatsby hanno lasciato il segno nell'immaginario collettivo. Ma con la presente pellicola ha raggiunto un livello superiore.Raccontare la vita di un personaggio famoso non è mai facile: cosa tralasciare? Cosa approfondire? Per non [...] Vai alla recensione »
Chissà, ci sarà ancora da dire qualcosa sul Re del Rock’n’Roll? A 45 anni dalla sua morte, e svariate iterazioni del suo biopic con interpretazioni dei vari Kurt Russell, Jonathan Rhys Meyers, Michael Shannon, ecc. la risposta appare ardua. Ci prova il redivivo Baz Luhrmann, dopo anni in sordina. Il regista di Romeo + Juliet e Moulin Rouge offre il suo tocco, [...] Vai alla recensione »
Era ora che realizzasero un biopic del piu' grande artista musicale che sia mai esistito. che emoziona ancora oggi nel vederlo nei video che fortunatamente sono in Youtube. senza nulla togliere ai vari Freddy Mercury,o Elton Jonh e via discorrendo Elvis era come un Dio Greco.Unico e irrangingibile.
Premessa: amo il blues, il soul e il r & r, ovviamente un film del genere meritava la fantastica sala Energia a Melzo ( sicuramente la miglior sala in italia e una delle tre migliori al mondo). Baz Luhrmann è un regista iconico, con qualche scivolone perdonabile (Il grande Gatsby E Moulin rouge) ma con , ora tre capolavori assoluti della settima arte: Romeo + Giulietta, Australia ed ora [...] Vai alla recensione »
Incarnare Elvis significa misurarsi con un’immagine insuperabile fissata più di ogni altra negli occhi e nella memoria collettiva. Significa fare i conti con l’iconografia che ha prodotto, una messe inesauribile di copie, imitazioni, parodie, citazioni, deliri finzionali, che rendono praticamente impossibile sgombrare il campo per raggiungere l’originale e offrirgli l’ennesima reincarnazione. Baz Luhrmann lo sa bene e si vede. Sa che Elvis era perfetto, così perfetto da rendere impossibile guardare altrove. Austin Butler, il suo (magnetico) interprete, non lo è. O almeno non è Elvis come non lo è nessuno dei sosia in pellegrinaggio a Graceland. Un problema insormontabile per un biopic in cui Luhrmann vede un’opportunità isterica e grandiosa, prendere o lasciare.
La nota d’intenzione è data dalla prima ora energica del film che abbatte le convenzioni del genere (rise and fall) a colpi di split screen, sequenze animate e frenesia stordente, per raccontare non la vita e l’impresa di un uomo ma per far sentire fisicamente allo spettatore di oggi cosa fu veramente Elvis per il pubblico degli anni Cinquanta. Gambe divaricate, corpo incandescente che si impennava e si liberava, liberava tutti, attivando da solo l’analogia suggestiva tra rock e ‘canaglieria’ (Il delinquente del rock and roll, 1957). Attraverso Elvis, l’America (inerte e puritana) sospettava per la prima volta un legame diretto tra la carica libidica della musica e la contestazione sociale. Quella sua maniera di ballare e di occupare lo spazio, gli valsero la prigione e un successo scandaloso. Who cares? Era arte, era moda, era rock.
Per questa ragione, nella sequenza che muta il ragazzo di Tupelo in fenomeno da palcoscenico, Luhrmann carica il trucco e veste il suo eroe di un rosa sgargiante. Di seta vestito, Butler non assomiglia certo al Presley del 1954 ma è esattamente così che il pubblico doveva vederlo e percepirlo. Un dio sceso in terra “a miracol mostrare”. Baz Luhrmann costruisce allora il suo film intorno a questa idea di perfezione divina, un partito preso e una scommessa estetica che gli permettono tutto: scorciatoie biografiche e musicali, approssimazioni storiche e politiche, che faranno arrabbiare gli specialisti, e poi slanci d’amore incontrollabili verso il suo soggetto, reazioni orgasmiche e un catalogo di aneddoti.
Tutto è al servizio di un pop-up euforico, un primo atto chic e choc, che restituisce a EP la statura persa a furia di caricature. Elvis non trascende il genere ma cerca un’altra forma partendo dal miracolo della perfezione, un miracolo religioso suggerisce l’autore mostrando un Elvis bambino trasfigurato come un giovane profeta alla ricerca di dio in una chiesa nera. Quella chiamata passa per un corpo mai in grado di controllarsi, di decidere per sé, è lo spirito musicale e vocale a imporsi e a possederlo per sempre sul palcoscenico. E su quel palcoscenico Elvis accettava di essere il veicolo di una rivoluzione culturale, americana e poi universale. Impossibile per Butler ‘essere’ Elvis, farsi corpo sciamanico, non c’è lezione di danza che tenga davanti a una vocazione divina. Basta guardare le immagini originali, Elvis non sembra sapere cosa stia facendo, il suo interprete sì. Austin Butler recita Elvis e nessuno gliene vuole perché è il primo a esserne consapevole. Lo dichiara in ogni intervista rilasciata.
Ma poi accade qualcosa, il film cambia di senso e di colore, vira al nero, e l’attore ‘raggiunge’ Elvis sul palco di Las Vegas. Dall’apparizione di un dio si passa alla sua gestione, al suo commercio, alla svendita del suo miracolo. Se il cristianesimo fu un’invenzione’ di San Paolo, la ‘elvis-exploitation’ fu l’invenzione del colonello Parker, apostolo autoproclamato e rapace, che rese profano il sacro, il rocker un artista di varietà, il Re un martire, ballando sulle sue vestigia e sotto una pioggia di gadget e ‘santini’ che ne perpetuassero il culto, vivo o morto.
Priscilla Beaulieu ha 14 anni quando incontra per la prima volta Elvis Presley, e la sua vita cambia per sempre. Proprio questo cambiamento radicale, che diventa una vera e propria costruzione di identità, è quello che vuole raccontare Sofia Coppola in Priscilla, scavando in una delle love story più celebri della storia per mostrarne il fondo nero, le ambiguità, le contraddizioni, la struggente impossibilit [...] Vai alla recensione »
Parola di Keith Richards: "Prima di Elvis il mondo era in bianco e nero. Poi è arrivato ed ecco un grandioso technicolor". Su questo assioma, va da sé, il parere del critico conta poco: non può che prenderne atto. Però sul fatto che dopo la precoce e drammatica morte il fenomeno sia proliferato all'inverosimile rendendo Presley un oggetto di culto, il cinema aveva ottime carte da giocare e in particolare [...] Vai alla recensione »
Probabilmente dalle parti di "Rumore" Elvis Presley non è molto amato. Questione di francobolli e autenticità varie. Paradossalmente, e basterebbe sfogliare i due tomi di Guralnick, Elvis è uno dei grandi sottovalutati della musica rock. Lo si dà per scontato. In tal senso il film di Baz Luhrman rischia davvero di mettere a posto le cose, con il suo potente ritratto oscillante fra il melò di Vincente [...] Vai alla recensione »
La vita e la musica di Elvis Presley osservate attraverso il prisma della sua complicata relazione con l'enigmatico manager, il Colonnello Tom Parker, e della relazione con la moglie Priscilla. Dall'ascesa alla caduta. Lontano dall'idea del classico biopic, Baz Luhrmann racconta il re del rock&roll per fotografare anche l'America e la sua perdita d'innocenza attraverso tre decadi, dagli anni Cinquanta [...] Vai alla recensione »
Esagerato. Eccessivo. Smisurato. Caotico. Estremo. Sono questi alcuni degli aggettivi più ricorrenti nelle recensioni e nelle analisi relative a Elvis, il film che il regista australiano Baz Luhrmann (Moulin Rouge, Il grande Gatsby) ha dedicato alla vita e al mito di Elvis Presley. Un quotidiano francese è arrivato perfino a definire il film "uno tsunami rococò".
Da quando Scorsese ha detto che film di supereroi non sono cinema ma parchi a tema, siamo tentati di applicare la battuta agli innumerevoli tentativi di resuscitare le icone del Novecento. La formula però diventa ancora più azzeccata se, come nel caso di Elvis Presley, il parco a tema (cioè Graceland) esiste davvero. Perché fare un film su Elvis the Pelvis se il suo mito è stato già sfruttato in ogni [...] Vai alla recensione »
Sono come la luce e l'ombra, il protagonista e l'antagonista di Elvis (Australia e Usa, 2022, 159'). Si sarebbe tentati di dire che la luce è Elvis Presley (Austin Butler) e un'ombra quasi diabolica Andreas Cornelis van Kuijk, alias Colonnello Parker (Tom Hanks), il suo agente. Ma Baz Luhrmann e i suoi cosceneggiatori Sam Bromell, Craig Pearce e Jeremy Doner costruiscono il racconto ora illuminando [...] Vai alla recensione »
Elvis, il biopic su Elvis Presley presentato in anteprima mondiale alla scorsa edizione del Festival di Cannes, è nei cinema pronto a far vibrare col suo ricchissimo spettacolo visivo e sonoro. Il film con protagonista Austin Butler è infatti un'opera che per due ore e mezza vede in scena soprattutto l'estro registico di Baz Luhrmann, già artefice di cult come "Romeo+Giulietta", "Moulin Rouge" e "Il [...] Vai alla recensione »
Il regista è Baz Luhrmann, col suo stile, il suo gusto dell'eccesso, il rifiuto di un momento di pausa, di approfondimento, di anti-spettacolo. Da "Moulin Rouge" a oggi, i suoi film sono medley ininterrotti, capriole della cinepresa, partite infuocate di ping pong di montaggio: prendere o lasciare. "Elvis" non fa eccezione. Però "Il grande Gatsby" ci aveva lasciato esausti, col bicchiere vuoto in mano [...] Vai alla recensione »
Adorato, bandito, arruolato, trasformato in stella del cinema, rinato come rockstar e, infine, ingabbiato a Las Vegas. Elvis è passato attraverso tutto questo, ammaliando le folle con la propria fisicità inquieta e catturando gli animi con guizzi rivoluzionari, mentre la sua voce suadente ma anche graffiante, si faceva testimone di una società dagli equilibri fragili, ancora impaludata nel segregazionismo [...] Vai alla recensione »
Rock'n'roll, sex, drugs. E' l'avvertimento in calce alla recensione del New York Times: oltre a ricordare se un film è vietato, dettaglia i motivi del divieto. Per "Elvis" è il minimo sindacale, passaggi obbligati per chiunque tenti un biopic. Baz Luhrmann non è il tipo di regista che gode con Elvis Presley disfatto negli ultimi anni (morì nel 1977).
Baz Luhrmann con Austin Butler, Tom Hanks, Olivia DeJonge. Usa.La biografia di Elvis si accende nel tripudio di uno spettacolo fragoroso grazie all'occhio stratosferico di Baz Luhrmann, il regista più in sintonia coi nostri tempi veloci e avidi di emozioni. Narrato dal torvo impresario Tom Hanks (bravissimo), il kolossal sulla vita di Presley restituisce il corpo e l'anima del rock con montaggio frenetico [...] Vai alla recensione »
Così come Alan Partridge ha detto che il suo album preferito dei Beatles è The best of Beatles, così Baz Luhrman ci ha regalato un film costruito su quello che immagina essere il meglio di Elvis Presley. Più che un film sembra quasi un trailer di 159 minuti di un film intitolato Elvis. Montaggio implacabile, freneticamente appariscente, epico e al tempo stesso trascurabile, senza variazioni di ritmo. [...] Vai alla recensione »
"Because I'm evil, my middle name is misery" (Perchè sono malvagio, il mio secondo nome è sofferenza). Così cantava Elvis Presley: ma il cattivo era un altro. Il suo storico manager, pigmalione della più grande rockstar di tutti i tempi: quel Colonnello Tom Parker che tenne in pugno Presley per la sua intera carriera, abusandone psicologicamente e, soprattutto, finanziariamente.
Il sogno e la tragedia americana sintetizzati in un unico uomo, diventato però simbolo di un modo d'avanguardia nel concepire il rapporto col pubblico e fare spettacolo. Elvis Presley, "The Pelvis", è stato tutto: attore, musicista, performer, attore, icona, per altri e intere generazioni. Più di un uomo, un concetto, una filosofia. Un'artista trascinante e modernissimo, la risposta eccitante a quella [...] Vai alla recensione »
La leggenda di Elvis Presley rivive sullo schermo nel bel film "Elvis" di Baz Luhrmann (due oscar e tre golden globes nel 2001 per "Moulin rouge" con Nicole Kidman e Ewan McGregor). La dimensione intima dell'artista e- merge di più nel finale ma in questo biopic c'è il clima dell'epoca, il rapporto di Elvis coi genitori, l'amore per Priscilla e, al centro del racconto, la collaborazione col "Colonnello [...] Vai alla recensione »
Poco più che ventenne, da poco giunta a Milano e oppressa dalla mancanza di amici e di luce in una città (allora sì) sempre sotto la pioggia o nella nebbia, incontrai un'amica dei miei genitori che mi prese sotto la sua ala protettiva. La seconda volta che la vidi, in sequenza, mi trascinò prima a pranzo da Taveggia, poi da un lussuoso parrucchiere in Via Gesù, al quale intimò, fra le altre cose, di [...] Vai alla recensione »
Come se ci trovassimo ad assistere ad un rutilante, caotico trailer di un film in divenire, l'Elvis di Baz Luhrmann si presenta fin dall'incipit sotto le spoglie di un circo altmaniano attraversato da fantasmi, rimorsi, eccessi, momenti epici e struggenti sulla messa in scena della costruzione di un'identità tra pubblico e privato, rappresentazione ed essenza, destrutturata fino al collasso.
«Senza di me non ci sarebbe Elvis!». Lo urla all'inizio del film, da una stanza d'ospedale, il manager Colonnello Tom Parker interpretato da un Tom Hanks seppellito sotto chili di make-up. È lui il narratore, troppo invadente, di Elvis di Buz Luhrmann, vorticoso biografico con slanci da musical sulla vita del padre del rock'n'roll diretto dal regista di Moulin Rouge! (2001).
Come si «costruisce» un mito musicale è la sottotrama che attraversa Elvis, ennesimo film su un grande della musica - in passato monografie avevano inquadrato i Queen, Elton John, Dalida, Blaze Foley, Edith Piaf, Johnny Cash, Nico, Ray Charles e l'elenco potrebbe tranquillamente continuare -con l'attenzione, tutt'altro che disinteressata al loro prestigioso repertorio.
Raccontare la storia di Elvis Presley significa mettere in scena il meglio e il peggio della società dello spettacolo. Una società, basata sul capitale, sul lavoro che lo produce e sul consumo che lo alimenta, che arriva a capitalizzare anche il tempo non dedicato al lavoro spingendo i lavoratori a consumare spettacoli che a loro volta producono lavoro e capitale.
«I personaggi, la loro evoluzione, le loro poste in gioco? Non ci importa. Usciamo da questo tsunami rococò con l'impressione di non aver trattenuto nulla, non aver visto nulla, non aver sentito nulla. Come se avessimo appena visto il primo blockbuster di un nuovo mondo. Che non siamo sicuri di voler vivere». Termina così la recensione di "Libération" dedicata a Elvis.
Chi va al cinema a vedere Elvis aspettandosi le cose semplici si espone al rischio di una profonda delusione. Ma d'altronde, chi va al cinema a vedere Elvis aspettandosi le cose semplici? Non c'è proprio nulla di ordinario nella vita e nella morte di Elvis Aron Presley (1935 - 1977) tranne la banalità della considerazione. Qualunque sia l'angolazione - la detonazione rock & roll? lo shock pelvico? [...] Vai alla recensione »
The Show Must Go On e tutto quel che segue. Vivono in una gabbia dorata le divinità pagane di Baz Luhrmann, lentamente consumate dal loro stesso bagliore e da persone che vivono e si nutrono dei loro riflessi. Satine di Moulin Rouge!, Jay Gatsby de Il grande Gatsby e adesso il Re del rock & roll nello sfavillante biopic Elvis, fuori concorso sulla Croisette.
Un caleidoscopio di gioielli vorticanti annuncia il titolo cubitale, e non lascia alcun dubbio sul marchio che Luhrmann imporrà a vita, morte e miracoli del Re: la cifra dell'eccesso barocco del regista australiano si sposa perfettamente con la dimensione della leggenda. Ogni fase della carriera ha l'afflato epico e kitsch di un racconto tra il supereroico e il mitologico: l'ispirazione ai ritmi afroamerica [...] Vai alla recensione »
E se a vincere la Palma d'oro di Cannes 75 fosse l'ultimo film in concorso, come accadde nel 1999 per "Rosetta", degli allora oscuri fratelli Dardenne? Il ventunesimo in corsa è "Un petit frère" di Léonor Serraille, regista donna (che di questi tempi non guasta) e saga familiare di ivoriani immigrati in Francia. Avrebbe le carte in regola per un Palmarès di respiro politico e sociale.
Nel documentario di Ethan Coen dedicato a Jerry Lee Lewis proiettato qui a Cannes nei giorni scorsi a un certo punto passa un filmato d'archivio in cui un giornalista chiede a Lewis perché secondo lui soltanto Elvis sia diventato Elvis. La risposta tranchant del cantante è: «perché ha avuto un bravo manager!». Ecco, volendo semplificare il biopic di Luhrmann è una lunga digressione su questo punto. [...] Vai alla recensione »
«Perché Elvis è diventato "Elvis"? Perché aveva un grande manager che lo trattava come una scimmia in gabbia». Questo scambio, tra il giornalista Bryan Gumbel e Jerry Lee Lewis nel documentario di Ethan Coen Jerry Lee Lewis: Trouble in Mind (a Cannes Classics) è la storia di Elvis. Baz Luhrmann torna a Cannes (dove il suo esordio, Ballroom - Gara di ballo, aveva fatto furore a mezzanotte nel 1992; [...] Vai alla recensione »
Al consueto luna park di Luhrmann, Elvis finisce nella centrifuga inesausta di un film barocco, che non lascia tempo di pensare e forse anche di guardare, schiacciato dentro un montaggio affannoso, dove la vita del primo vero divo della storia del rock'n'roll è patologicamente innervata dalla frenesia spettacolare di dominare folle e palcoscenico. Notevole Austin Butler e al solito straordinario Tom [...] Vai alla recensione »
"Senza di me Elvis non sarebbe mai esistito". La voce-off del colonnello Parker di Tom Hanks ricrea la sua immagine del celebre cantante statunitense. Può essere la visione dominante, ma invece è una delle tante che s'incrocia con il nuovo strabordante, incontrollato, fiammante nuovo film di Baz Luhrmann realizzato a nove anni da Il grande Gatsby. È il film della vita del cineasta australiano? Forse [...] Vai alla recensione »
Elvis, il ritorno alla regia dell'australiano Baz Luhrmann nove anni dopo Il grande Gatsby, diventerà un film imprescindibile per tre categori eumane. Categoria numero 1: i fan di Elvis Presley, e fin qui tutto ok. Categoria numero 2: i montatori, perché il lavoro di montaggio che trabocca dai 159 minuti di proiezione è ubriacante. Nessuna inquadratura dura più di 2-3 secondi, le trovate visive si [...] Vai alla recensione »
Come carpire l'essenza del Re? Come portare sullo schermo la leggenda di Elvis Presley? Nel 1979 ci aveva provato John Carpenter con Elvis, il re del rock, dove il protagonista era Kurt Russel. Nacque un sodalizio, forse senza quell'incontro non avremmo mai visto 1997: Fuga da New York. Russel aveva conosciuto Elvis quando aveva dodici anni, sul set di Bionde, rosse, brune.