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gufetta76
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martedì 4 giugno 2013
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un treno che non porta da nessuna parte
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Immenso Servillo
La vacuità spiattellata sul grande schermo.Davvero un treno che non porta da nessuna parte(citazionedal film). Una fotografia meravigliosa che da sola ti racconta mille storie romane. Musica sublime... Quanto ci piace questo Jep Gambardella...quanto ci piace Toni Servillo, un vero mattatore. Chi ha mai detto che il cinema deve solo dilettare? Garbatamente Sorrentino ci lascia con l'amaro in bocca sognando una bellissima, ma anche oscura Roma.
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mickey97
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martedì 4 giugno 2013
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pessima ricerca di una bellezza purtroppo umiliata
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Paolo Sorrentino va alla ricerca della vera bellezza che alberga nella vita di tutti i giorni, ma in vero, non si rende conto di quanto l'impresa che si concretizza nel scovare ciò che rende bella la vita sia difficoltosa, infatti ciò che ne deriva da questa ricerca è una terribile confusione narrativa, con protagonista Toni Servillo, la cui stupida ambizione è divenire il re dei mondani. Qual'è la vera bellezza della vita? Per me, la famiglia che di per sè incarna il bene più prezioso, chi ti fa stare bene come ad esempio un amico, e non il denaro che chi lo possiede è del tutto inconsapevole del degrado della propria vita.
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Paolo Sorrentino va alla ricerca della vera bellezza che alberga nella vita di tutti i giorni, ma in vero, non si rende conto di quanto l'impresa che si concretizza nel scovare ciò che rende bella la vita sia difficoltosa, infatti ciò che ne deriva da questa ricerca è una terribile confusione narrativa, con protagonista Toni Servillo, la cui stupida ambizione è divenire il re dei mondani. Qual'è la vera bellezza della vita? Per me, la famiglia che di per sè incarna il bene più prezioso, chi ti fa stare bene come ad esempio un amico, e non il denaro che chi lo possiede è del tutto inconsapevole del degrado della propria vita. Con questo film non si sa a cosa Sorrentino alludesse, ma appare più che palese una mancanza di idee tale che non si riesce a comprendere la vera bellezza della vita secondo Sorrentino. Quest'ultimo così, si rivela incapace al momento della comunicazione mentre lo spettatore cerca disperatamente di trovare nel bel mezzo del drammatico disordine non solo narrativo ma persino ideologico, la risposta a questo difficile enigma, reso ancora più complicato dalle feste a tutto volume a ritmo di " a far l'amore comincia tu " che appunto contribuiscono a rendere più difficili le cose, quindi: Qual'è la grande bellezza? In cosa è presente? Nelle feste, nei familiari o in ben altro? Sorrentino non riesce proprio a farmelo capire. Inoltre, la comprensione di questo importante messaggio non può realizzarsi per via di una inverosimile noia, che ha portato me medesimo a tenere gli occhi semi chiusi ( mi stavo letteralmente per addormentare, e per provare io questo effetto... ce ne vuole... questo significa che il film è mediocre in tutti i sensi. Un'altra cosa che non sono riuscito a capire è stata la funzionalità dei personaggi, a partire dalla stessa Ferilli, il cui ruolo è completamente inutile e sacrificato, però fa sì che nella narrazzione figuri una gravissima elissi che viene espressa con la sua morte improvvisa nonostante lei abbia dichiarato il bisogno di farsi curare. Dopo una ferilli decisamente inutile e sottotono, è il turno dell'amico Carlo Verdone, la cui passione, da sempre rappresentata dal teatro, finisce per renderlo insoddisfatto e lascia amaramente Roma secondo una delusione che la città gli ha preserbato.... ????!!! Altra elissi ingiustificata che non trova alcuna risposta. Dulcis in fundo, suor Maria si nutre delle radici delle piante e alla domanda di un Servillo curioso inerente a questo tipo di alimentazione, risponde: le mangio perchè le radici sono importanti ( ma che c...o significa ??!?!? ). Il film è solo una serie di interrogativi, non chiarisce niente e lascia tutto in sospeso oltre lo spettatore che esce dalla sala pervaso da domande per le quali non si è trovata una risposta. Peccato, Sorrentino si è lasciato scappare un'importante occasione e ciò che ne rimane di questo prodotto con grande rammarico, è la mediocrità che dall'inizio alla fine lo ha dominato.
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arpwave
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martedì 4 giugno 2013
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amaro, cinico, estremo... troppo lungo ...
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Amaro, cinico, estremo. Troppo lungo con momenti di pura noia.
Il clou non è la Santa ma il cappellino Colmar della
"artista con vibrazioni".
Da vedere.
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ennas
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martedì 4 giugno 2013
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un treno per la città eterna
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E’ “l’apparato umano” il soggetto di questo film non solo la Roma gaudente e corrotta della dolce vita. La scelta di Roma come genius loci è funzionale ad un lavoro ambizioso. Roma è il palcoscenico per eccellenza per un film come questo: le splendide riprese della città, con i suoi panorami abbacinanti, i suoi monumenti e reperti sparsi per ogni dove, la Roma notturna delle sue vie celebri, le visioni oniriche dalle terrazze affacciate su antichità favolose, i suoi angoli e scorci stupendi regalati allo sguardo del nottambulo, (nel film Jep Gambardella) che rincasa al mattino, quando tutto dorme…Roma è tutto questo ma non solo : è una città, una capitale, su cui i riflettori e le telecamere sono perennemente accesi, per ragioni politiche, religiose, storiche, artistiche, mondane…Roma possiede al quadrato tutti gli ingredienti della “scena” e il film “La grande bellezza” rende visivamente con impareggiabile maestria questo carattere della città.
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E’ “l’apparato umano” il soggetto di questo film non solo la Roma gaudente e corrotta della dolce vita. La scelta di Roma come genius loci è funzionale ad un lavoro ambizioso. Roma è il palcoscenico per eccellenza per un film come questo: le splendide riprese della città, con i suoi panorami abbacinanti, i suoi monumenti e reperti sparsi per ogni dove, la Roma notturna delle sue vie celebri, le visioni oniriche dalle terrazze affacciate su antichità favolose, i suoi angoli e scorci stupendi regalati allo sguardo del nottambulo, (nel film Jep Gambardella) che rincasa al mattino, quando tutto dorme…Roma è tutto questo ma non solo : è una città, una capitale, su cui i riflettori e le telecamere sono perennemente accesi, per ragioni politiche, religiose, storiche, artistiche, mondane…Roma possiede al quadrato tutti gli ingredienti della “scena” e il film “La grande bellezza” rende visivamente con impareggiabile maestria questo carattere della città.
Una delle scene iniziali del film ci mostra un turista che stramazza al suolo dopo lo scatto di una foto: non “la sindrome di Stendhal” , la confusione dell’io di fronte alla bellezza dell’arte ma la sincope fulminante, epilogo definitivo di un febbrile cogli l’attimo. A rimarcare l’aspetto fuggevole del tempo, l’apparato umano che il film dispiega fin dall’inizio è percorso da una frenesia che sovrasta le martellanti musiche dei balli. Verso questa varia umanità lo sguardo del regista è feroce: “la società dello spettacolo” dove l’apparire, il mettersi in mostra è l’imperativo categorico, l’esibizionismo sconfina nel grottesco. Ciò che conta è l’esibirsi in modo spettacolare, non importa se ridicolo, scandaloso o patetico. Trionfa il burlesque, il trasformismo, la parodia.
Jep Gambardella non è un perdente: anche se ha scritto un solo libro ha avuto generosamente ciò che cercava, ( non volevo solo essere il re delle feste mondane – dice- ma avere il potere di farle fallire). Per questo può permettersi il disincanto, l’ironia, e la messa a nudo delle pecche altrui.
Festeggia il suo sessantacinquesimo compleanno nella maniera mondana che coltiva da tempo ma qualcosa lo destabilizza :nostalgia, rimpianti? Nel vuoto di senso che lo circonda compare qualcosa che si fa pesante. “La morte ci cammina accanto” : questa frase Gambardella la pronuncia come una constatazione. L’apparire, il mostrarsi, l’esserci, cambiano di prospettiva
e succede che si può scoppiare in lacrime ad un funerale, come non si dovrebbe mai fare, perché si è costretti dalle circostanze a reggere simbolicamente la morte sulle spalle.
Cosa ha perduto Jep Gambardella? Il vedovo di un suo poetico amore di gioventù gli ricorda che la moglie ha amato lui, Jep, tutta la vita considerando il marito un buon compagno di percorso. La ragazza che riaffiora nei ricordi di Jep è stata sedotta per sempre dall’assenza e nell’apprenderlo , lui stesso subisce questo fascino. L’amore e la bellezza sono eterni? Sì sono eterni, ma non è eterno il tempo che ci è dato di viverli.
Uno spirito di “vanità delle vanità, tutto è vanità” percorre l’intero film : nel protagonista come negli altri personaggi e regala allo spettatore perle di grande cinema: ad es. l’artista performer (pube tinto di rosso con falce e martello) che vive di “vibrazioni” ma non sa dire cosa siano, la bambina angosciata che imbratta tele davanti ad un pubblico artefatto, il botox-party –catena di montaggio di chi lucra sulle debolezze altrui, il cardinale che tralascia ogni lessico dello spirito per parlare solo di cucina ( linguaggio oggi quanto mai canonico!), la santa, avara di parole che si ciba di radici – perché le radici sono importanti- dice a Jep, il mafioso che si dichiara vero rappresentante! sic! dell’Italia laboriosa, questi ed altri dettagli sono memorabili.
Una menzione speciale va all’ottimo lavoro degli attori: non solo Servillo ma anche gli attori non protagonisti danno vita ad un impegno corale di fantastica bravura. Merito anche loro, e dei curatori delle musiche, della fotografia che con il regista Sorrentino hanno dato vita ad un film di grande bellezza, da non perdere.
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ruggero
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lunedì 3 giugno 2013
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un grande film
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Grande cinema, poco da dire. Tutto da godere. Uno splendido Servillo, ottima la Ferilli.
E i riferimenti a Fellini qui non sono le solite scopiazzature ma semplicemente sentiti, riusciti omaggi.
La melanconia struggente della vita che la bellezza di Roma caput mundi non può riscattare. Tutto qui.
La descrizione del mondo vano delle feste capitoline è solo un pretesto per parlare di noi e del nostro destino già scritto.
Ci inchiniamo a un grande regista. Ce ne fossero.
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stenius
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lunedì 3 giugno 2013
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la grande schifezza
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Volevo andarmene molto prima della fine. Film lento, noioso e surreale. Non finiva più
[+] bello anche perchè surreale
(di starbuck)
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marco8
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lunedì 3 giugno 2013
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da vedere!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Grande, amarissimo film. Musiche e immagini di Roma da incanto. Servillo gigantesco. L'Italia di oggi per quella che è, ed è un ritratto sconvolgente. Assolutamente da vedere!!!!!
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fernet87
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lunedì 3 giugno 2013
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blasfemia e storia inconcludente
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un film per niente bello. donne nude senza motivo, richiami al mondo religioso decisamente inappropriati e una trama molto scarsa.
attori mediocri nella recitazione.
ambientazione bella, ma solo perche' Roma è un patrimonio universale.
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fabiana dantinelli
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lunedì 3 giugno 2013
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il gatsby partenopeo naturalizzato capitolino
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Non ha vinto niente a Cannes, ma ha sbancato al botteghino e come poteva d’altra parte questo film amaro e narciso di Sorrentino, non risultare gradito al grande pubblico? Una Roma viziosa e decadente con i suoi fasti opulenti e volgarotti, che pure non smettono di stregare dopo millenni, un giornalista cinico e sferzante che pare la versione invecchiata di Marcello ne La Dolce Vita e poi uno stuolo di attori dai volti noti, che tuttavia sembrano confondersi nella folla cafon-chic di dagospiana memoria. Queste le carte vincenti de La grande bellezza, una pellicola che vuole omaggiare la capitale senza nasconderne gli aspetti più grotteschi e osceni, perché Roma “fa perdere tempo”, non ti lascia immaginare, né tantomeno scrivere, come forse vorrebbe la parte ancora incontaminata di Jep Gambardella, un Toni Servillo sempre grandissimo, qui novello Gatsby da terrazza romana.
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Non ha vinto niente a Cannes, ma ha sbancato al botteghino e come poteva d’altra parte questo film amaro e narciso di Sorrentino, non risultare gradito al grande pubblico? Una Roma viziosa e decadente con i suoi fasti opulenti e volgarotti, che pure non smettono di stregare dopo millenni, un giornalista cinico e sferzante che pare la versione invecchiata di Marcello ne La Dolce Vita e poi uno stuolo di attori dai volti noti, che tuttavia sembrano confondersi nella folla cafon-chic di dagospiana memoria. Queste le carte vincenti de La grande bellezza, una pellicola che vuole omaggiare la capitale senza nasconderne gli aspetti più grotteschi e osceni, perché Roma “fa perdere tempo”, non ti lascia immaginare, né tantomeno scrivere, come forse vorrebbe la parte ancora incontaminata di Jep Gambardella, un Toni Servillo sempre grandissimo, qui novello Gatsby da terrazza romana. E allora che sia festa, incontro, voyeurismo esacerbato, mentre tutto intorno scorre lo scenario stregante di questa capitale del vizio e dell’arte, dove ogni cosa sembra sempre estrema, eppure così accattivante, perfino quando banale. Così il personaggio di Verdone, scrittore fallito ma ancora genuino, o Lorena, la soubrette sfatta e rifatta che veste i panni assolutamente credibili di Serena Grandi, senza dimenticare l’imprenditore lascivo e la ricca casalinga annoiata. Non manca nessuna delle tipiche macchiette da party mondano, forse questa la pecca di Sorrentino, che dopo un incipit folgorante si lascia prendere la mano e “sfa”, permettendosi perfino la Sabrinona-stripper fairlady inverosimilmente inerme nelle braccia del Jep-Pigmalione. Trasuda citazioni, volute o meno, questa pellicola della Indigo-Medusa-Pathè, realizzata fra l’altro con la collaborazione di France 2 Cinéma, la versione francese della Rai ed in ultimo il personaggio di Jep, così perfettamente cosciente di sé stesso e del mondo, con un unico mai bissato romanzo di successo alle spalle, scivola via, senza lasciarci null’altro, se non l’eco discotecaro dell’ultimo rendezvous capitolino, mentre il nostro beneamato Servillo si allontana in completo scuro sul lungotevere alle prime luci dell’alba. Ottima la fotografia, buona la sceneggiatura, perfetto il montaggio, ma si poteva fare di più, o forse meno.
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starbuck
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lunedì 3 giugno 2013
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la grande bellezza ovvero il cinema di sorrentino
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Sorrentino fa parte di quella benedetta categoria di artisti che usano il cinema come strumento per esprimere la propria arte esattamente come farebbero un pittore o un poeta. La sua opera diventa il contenitore della visione che l'autore ha della realtà attraverso l'uso di strumenti estetici di eccezionale valore. Per l'occasione Roma rispolvera la sua veste da basso impero, caricando sulle sue stanche spalle millenarie la decadenza morale di un intero paese, di un'intera società, di un intero mondo. In questa cornice Sorrentino sembra ancora una volta parlarci di se, della sua esperienza individuale, attraverso la quale ci regala un lucido drammatico e commuovente spaccato della realtà. Jap Gambardella, il protagonista, figura intorno alla quale ruota tutto il film, non sembra in fondo essere reale al pari dei personaggi che lo circondano, appare più come una figura simbolica, una sorta di narratore ma anche un alter ego che l'autore adopera per raccontare se stesso.
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Sorrentino fa parte di quella benedetta categoria di artisti che usano il cinema come strumento per esprimere la propria arte esattamente come farebbero un pittore o un poeta. La sua opera diventa il contenitore della visione che l'autore ha della realtà attraverso l'uso di strumenti estetici di eccezionale valore. Per l'occasione Roma rispolvera la sua veste da basso impero, caricando sulle sue stanche spalle millenarie la decadenza morale di un intero paese, di un'intera società, di un intero mondo. In questa cornice Sorrentino sembra ancora una volta parlarci di se, della sua esperienza individuale, attraverso la quale ci regala un lucido drammatico e commuovente spaccato della realtà. Jap Gambardella, il protagonista, figura intorno alla quale ruota tutto il film, non sembra in fondo essere reale al pari dei personaggi che lo circondano, appare più come una figura simbolica, una sorta di narratore ma anche un alter ego che l'autore adopera per raccontare se stesso. Ma cos'è che lo rende così diverso, così particolare? Già quello spiccato accento napoletano conservato anche dopo 40 anni di permaneneza a Roma lo rende sospetto; inoltre, Jap è completamente privo di ipocrisia e volgarità, solo un leggero velo di elagante snobismo lo accomuna alle sue fraquentazioni; egli possiede la determinazione necessaria a smascherare l'umanita spudoratamente snob, decadente e corrotta con la quale ha condiviso, peraltro primeggiando, gran parte della sua vita senza rimanerne veramente contaminato. Jap arriva a Roma in giovane età, è sensibile, intelligente; scrive un romanzo di successo poi rimane inesorabilmente invischiato nella mondanità nella quale sguazza felicemente per 40 anni grazie al suo talento culturale divenendone l'indiscusso dominatore. Tuttavia non riuscirà più a scrivere un secondo romanzo, fatto che lascia un retrogusto di imcompiuto alla sua esistenza. Ora Jap si barcamena da un evento mondano all'altro,da una donna all'altra senza più slancio, sopraffatto dalla noia; fa Il giornalista e il critico d'arte con un disincantato cinismo. Indimenticabile la scena dell'artista d'avanguardia umiliata da un'intervista di Jap che in si presenta in pubblico nuda con il pube tinto di rosso con una falce e martello scolpita e che va a battere violentemente la testa contro una specie di menir per poi gridare al pubblico "io non vi amo". Jap si lascia intenerire dal personaggio interpretato da Sabrina Ferilli, Sorrentino lascia sapientemente alla Ferilli la sua ben nota romanità un pò volgarotta addolcendola con una vena di ingenua tristezza, gli riserva un tragico destino che contribuirà ad accentuare il "distacco" di Jap. Anche Carlo Verdone veste panni inconsueti: a sottrarlo parzialmente alla sua inconfondibile maschera ironica sono due sottili baffetti e la grande delusione per una città che prometteve molto e che ora lo vede, deluso e amareggiato, tornare "al paese" privando della sua presenza sinceramente amica il sempre più solo Jap. Roma in realtà mostra poco di se: qualche prestigioso attico; Via Veneto la notte così deversa da quella raccontata da Fellini; il Lungo Tevere e qualche paesaggio la mattina presto. Poco altro. Forse l'autore vuole solo incuriosirci, invitarci a scoprirla nonostante l'impietoso spaccato umano che il fim ci racconta. Ma sono il ricordo e la nostalgia del primo amore, consumato in gioventù sulla scogliera di un azzurro mare del sud a redistribuire le certe: forse Jap scriverà finalmente un altro romanzo.
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