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roxy79
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sabato 8 giugno 2013
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sparuti incostanti sprazzi di bellezza
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Questo di Sorrentino è un film senza ombra di dubbio ambizioso, ma che, a mio modestissimo avviso, ha raggiunto a pieno il proprio seducente obiettivo, conducendo lo spettatore a soffermarsi sulle differenti reazioni dell'essere umano a una esistenza che spesso non perdona o non si lascia perdonare.
Il Jep di Tony Servillo è un personaggio che si fa amare per la sua lucidità nell'esaminare ciò che lo circonda, per la sua capacità di non tenere fede ai suoi stessi schemi cinici (come avviene nel momento in cui, contro ogni regola convenzionale, nell'episodio del funerale si lascia andare a lacrime vere e inaspettate), e per il coraggio che mostra nel far proprio l'insegnamento dell'importanza delle radici.
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Questo di Sorrentino è un film senza ombra di dubbio ambizioso, ma che, a mio modestissimo avviso, ha raggiunto a pieno il proprio seducente obiettivo, conducendo lo spettatore a soffermarsi sulle differenti reazioni dell'essere umano a una esistenza che spesso non perdona o non si lascia perdonare.
Il Jep di Tony Servillo è un personaggio che si fa amare per la sua lucidità nell'esaminare ciò che lo circonda, per la sua capacità di non tenere fede ai suoi stessi schemi cinici (come avviene nel momento in cui, contro ogni regola convenzionale, nell'episodio del funerale si lascia andare a lacrime vere e inaspettate), e per il coraggio che mostra nel far proprio l'insegnamento dell'importanza delle radici.
Fuori e intorno si staglia una Roma incantata, che osserva e a volte sembra ammonire le maschere grottesche e deformate da cocaina e botox, ma che rimane lì, ad offrire il proprio cielo a voli di improbabili fenicotteri di grande bellezza.
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cloris86
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sabato 8 giugno 2013
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ma per favore...
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Ma per favore signori... la verità è che neanche sorrentino sa cosa voleva raccontare con questo film. Purtroppo qui in Italia se diventi una moda intellettuale più nessuno ha il coraggio di dire che hai fatto un film senza senso, perchè c'è subito l'intellettuale modaoiolo di turno pronto a dirti che sei tu che non l'hai capito.
Io ho capito che il cinema è emozione, racconto e deve far riflettere, e questo film non sfiora nulla di tutto ciò. E' noioso e senza senso. Pessimo e deludente.
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carlo.anselmi
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sabato 8 giugno 2013
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qui di grande c'è solo una cosa...
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Ho visto il film ieri sera e quando sono uscito dal cinema è stata una liberazione. Se non sono uscito dalla sala prima degli interminabili 150 minuti è perché il mio anziano padre, poverino, si era addormentato. beato lui. Non si è perso niente. Non so davvero da dove escano tutte queste buone recensioni del pubblico sul vostro sito. Quello che posso dire è che le mie considerazioni sono state condivise anche dagli spettatori coi quali ho avuto modo di confrontarmi all'ucita del cinema e che, disgraziatamente, come me hanno deciso di sepndere i loro euro e il loro tempo per questo film. Molti spettatori erano della mia generazione. Questo film, ci dicevamo, è ua scopiazzatura dello stile felliniano.
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Ho visto il film ieri sera e quando sono uscito dal cinema è stata una liberazione. Se non sono uscito dalla sala prima degli interminabili 150 minuti è perché il mio anziano padre, poverino, si era addormentato. beato lui. Non si è perso niente. Non so davvero da dove escano tutte queste buone recensioni del pubblico sul vostro sito. Quello che posso dire è che le mie considerazioni sono state condivise anche dagli spettatori coi quali ho avuto modo di confrontarmi all'ucita del cinema e che, disgraziatamente, come me hanno deciso di sepndere i loro euro e il loro tempo per questo film. Molti spettatori erano della mia generazione. Questo film, ci dicevamo, è ua scopiazzatura dello stile felliniano. Ma se lo stile barocco del maestro riminese aveva un senso, in Sorrentino è solo furba esibizione di stile. Uno stile che rivela una disarmante povertà d'ispirazione (per riprendere una battuta di 8 1/2). Volteggi della macchina da presa davvero inutili e irritanti. E scopiazzati sono anche gli improbabuili dialoghi, presi da aforismi famosi, e che il regista mette tirannicamente in bocca ai personaggi. Sono dialoghi insopportabilmente letterari. La gente non parla così!!! Ma questo regista la sente la gente parlare?! mah! Mi meraviglio che un attore di talento come Servillo non glielo abbia fatto notare. Ed in questo ha anche lui una responsabilità nella scarsa riuscita del film. Più che un film sembra un montaggio di pubblicità patinate. Ma questo purtroppo non era uno spot televisivo (150 minuti!!!) ed è probabilmente per questo che non ha l'ampio respiro di un film. Io vado sempre al cinema. e sostengo con piacere il cinema italiano. Ma dopo aver visto la grande bellezza, mi spiace dirlo, l'unica cosa grande è la presunzione del regista. Un citico straniero, parlando di Sorrentino, mi pare abbia colto nel segno: "un tacchino che si crede un pavone".
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iolanda la carrubba
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venerdì 7 giugno 2013
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la grande bellezza perduta
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La macchina da presa plana su Roma, lenta e pacata scende sulla vita accompagnata da un coro di voci femminili materne e calde, in sorvolo sulla bellezza tutta turistica della città, talmente prorompente da provocare un infarto al giapponese che la fotografa felice, pare, di morire tra le sue rovine.
D’un tratto tutto apparentemente ruota intorno a dei ritratti caricaturali, bozzetti viventi, goffi individui senz’anima, vittime dell’insoddisfazione che si nutre di monotonia, forme di vita circensi di questo circo triste da -La strada- dove manca solo –Zampanò- pronto a rompere le catene della noia restandone invece imprigionato.
Mentre la regia continua a regalarci magici stilemi “griffati Sorrentino” la festa procede in questa odierna tribù felliniana dove tutto si è ancora più degradato, anche lei Serena Grandi, ex soubrette che esce clownesca dalla torta ma che in –La bella confusine- (titolo poi sostituito da 8/2) sarebbe stata costretta a
–salire al piano di sopra-.
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La macchina da presa plana su Roma, lenta e pacata scende sulla vita accompagnata da un coro di voci femminili materne e calde, in sorvolo sulla bellezza tutta turistica della città, talmente prorompente da provocare un infarto al giapponese che la fotografa felice, pare, di morire tra le sue rovine.
D’un tratto tutto apparentemente ruota intorno a dei ritratti caricaturali, bozzetti viventi, goffi individui senz’anima, vittime dell’insoddisfazione che si nutre di monotonia, forme di vita circensi di questo circo triste da -La strada- dove manca solo –Zampanò- pronto a rompere le catene della noia restandone invece imprigionato.
Mentre la regia continua a regalarci magici stilemi “griffati Sorrentino” la festa procede in questa odierna tribù felliniana dove tutto si è ancora più degradato, anche lei Serena Grandi, ex soubrette che esce clownesca dalla torta ma che in –La bella confusine- (titolo poi sostituito da 8/2) sarebbe stata costretta a
–salire al piano di sopra-.
Anche qui, come nel miglior Fellini, c’è Roma, le sue fontane, le sue chiese, le sue strade e le prostitute ed ancora movida, così in questa bizzarra ode a Federico e alla più alta letteratura, tutto si velocizza per incastrarsi tra flash-back di lui Jap (Toni Servillo che in questo film riesce ancor più ad affascinare ed incantare con la sua forte presenza attoriale e sensoriale così alta, così maschia e tanto sensibile) ora ex rampollo che a 65 anni dichiarati (almeno 70 dimostrati) avvicinandosi all’ingresso dell’altro mondo, ha timori e rancori, così chiede un esorcismo come fosse un passaggio in macchina a questo cardinale che superficialmente pensa soprattutto a cucinare ogni cosa, anche le radici di cui la Santa si nutre, e ricorda sempre lui Jep, quel bacio mancato in quel momento con la luna piena la stessa de -La voce della luna- in questo carosello caotico de -La dolce vita- di -Giulietta degli spiriti- ed ancora
-Amarcord-. Così il grande rimpianto diventa bellezza:
-… che si fugge tuttavia/ chi vuol essere lieto sia/ del doman non v’è certezza…-
Colto e malinconico con qualche instabilità, questo film ricostruisce luoghi comuni grazie anche alla forte azione critica, veicolo di una denuncia in sordina che riesce a comunicare una – sensazione di irrisolvibile – come lo stesso Sorrentino dirà in una sua intervista, un irrisolvibile dunque indossato da questi personaggi moraviani stanchi e nevrotici, eppur in cerca di senso (se mai esso da qualche parte sia).
Eccezionale Carlo Verdone che riesce a sdoganare il dejà-vous a volte artificioso, cucitogli addosso, per reinventare un odierno ed attempato ragazzotto che cerca applausi e approvazioni per poi far ritorno alla terra madre.
Immancabile –er cuppolone- con il cameo di dubbio significato di Antonello Venditti e poi la romanità involgarita e depressa da questa soffocante calma piatta enfatizzata dalla Ferillona che ostenta un romanaccio da spot pubblicitario, mentre vederla passeggiare tra le mura di una Roma segreta e privata è voler profanare il tempio dove Sorrentino consegna le chiavi in mano al suo popolo/pubblico.
Per un momento ancora si assapora Fellini con un omaggio ancor più folle, ancor più onirico dove al posto della Nannarella che sorridente dice:
-A Federì ma vattene a dormì-
c’è l’incanto dell’incontro con Fanny Ardant che sussurra elegante un semplice:
-Bonne nuit.-
La sceneggiatura continua ad esplorare a volte implodendo, viaggia ed invade confini e ritmi fino a percorrere direzioni diverse, storie diverse di un film da gustare con una tranquillità fanciullesca come suggerisce la bravissima Giovanna Vignola nel ruolo di Anna La Rosa direttrice del giornale dove lavora Jep. In una riunione calda e conviviale gli domanda materna:
-Ti è piaciuto il minestrone Geppino?-
lui emozionato risponde:
-era tanto tempo che qualcuno non mi chiamava più così!-
lei conclude:
-i veri amici ogni tanto hanno l’obbligo di farci tornare bambini!-
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andreadivi78
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venerdì 7 giugno 2013
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la grande bruttezza..
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Sorrentino, oltre a creare un film inutile ha avuto anche la presunzione di accostarsi a un genio del 900 come Fellini, scopiazzandolo malamente come farebbe uno studentello brocco col primo della classe. La sua estetica vuota e inutile nn ha motivo di esistere. E questa volta il suo amico Servillo nn l'ha salvato; il problema è che questo filmetto è un pericoloso specchio per le allodole, perchè piace; la gente viene abbagliata dai suoi inutili virtuosismi e l'Italietta del cinema grida al capolavoro e fa paragoni con il "Maestro". E questo è pericoloso. Sorrentino è il re dei mediocri. Forse il regista più sopravvalutato che abbiamo avuto.
[+] la grande italia
(di robert1948)
[ - ] la grande italia
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boffese
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giovedì 6 giugno 2013
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bellezza romana
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La grande bellezza e' il film del ritorno in patria di Paolo Sorrentino dopo la parentesi americana di This must be the place.
Firma una pellicola raffinata e di grande classe , che fotografa la decadenza contemporanea del popolo italiano, tramite le gesta del 65enne Jep Gambardella , giornalista , ma soprattutto capo branco dei mondani e punto di riferimento del popolo delle notti romane .
Intorno al personaggio principale interpretato da uno strepitoso Servillo , Sorrentino come spesso ha fatto , fa ruotare una moltitudine di personaggi realistici ma allo stesso tempo esagerati portati quasi al grottesco .
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La grande bellezza e' il film del ritorno in patria di Paolo Sorrentino dopo la parentesi americana di This must be the place.
Firma una pellicola raffinata e di grande classe , che fotografa la decadenza contemporanea del popolo italiano, tramite le gesta del 65enne Jep Gambardella , giornalista , ma soprattutto capo branco dei mondani e punto di riferimento del popolo delle notti romane .
Intorno al personaggio principale interpretato da uno strepitoso Servillo , Sorrentino come spesso ha fatto , fa ruotare una moltitudine di personaggi realistici ma allo stesso tempo esagerati portati quasi al grottesco .
Alcuni riuscitissimi come il cardinale (Herlitzka),che anziche' ascoltare i fedeli parla solo di cucina ; Ramona (una splendida Ferilli) spogliarellista fuori eta' ; Dadina (Giovanna Vignola) la capo redattrice nana , Stefania (Galatea Renzi) la radical-chic e il ragazzo disturbato (Luca Marinelli).
Altri meno ,come Orietta (Isabella Ferrari) ricca milanese esibizionista , Lello (Buccirosso) donnaiolo con la parlantina e Romano (Verdone ) scrittore teatrale in crisi lavorativa e sentimentale.
Tecnicamente e' un film sontuoso , lo stile registico di Sorrentino si vede tutto , ma cio' che che manda in visibilio e' la fotografia raffinata ed elegante di Luca Bigazzi ,che riesce nell'impresa di far sembrare Roma ancora piu' bella di com'è realmente.
Bella anche la colonna sonora curata da Lele Marchitelli , bravo nel far coesistere la musica "cafona" festaiola , con pezzi di pregio di musica classica sacra.
L'unico neo del film , sta nella sceneggiatura , per certi versi buona , ma che non riesce mai a reggere il confronto con le immagini ,che per la maggior parte del tempo mozzano il fiato.
Non c'e' una narrazione vera e propria , il racconto talvolta e' disordinato e questo con la durata forse eccessiva del film , porta lo spettatore a non essere coinvolto e trasportato totalmente.
Personalmente , ritengo che sia un film che puo' anche spiazzare e non essere apprezzato dal grande pubblico , pero' e' un film che va visto da tutti , preche' parliamo del nostro miglior regista e perche' raramente in Italia esce un prodotto stilisticamente di questa portata.
Sono per questo molto disturbato dal fatto ,che alcuni esperti abbiano massacrato il film e di conseguenza il regista, ponendo critiche ridicole.
C'è chi parlava di scoppiazzatura Felliniana , altri che ponevano un confronto (secondo me inesistente) con The tree of life di Malick , quando poi gli stessi magari idolatrano (giustamente) Tarantino che fa incetta di grande cinema del passato.
Alcuni contestano il virtuosismo del regista e il fatto di creare scene surreali apparentemente a fini estetici .
Anche se fosse , che ci sarebbe di male, il cinema e' anche magia .
Altri s'interrogano su come uno scrittore con un solo libro di successo alle spalle , abbia la capacita' economica di avere una mega terrazza che si affaccia sul Colosseo .
Altri addirittura sull'esistenza o meno di una terrazza con vista sullo splendido Anfiteatro romano.
Beh , io penso che in Italia c'è la politica del disfattismo e se uno ha talento , e Sorrentino ha dimostrato di averne , la stampa e i benpensanti puntano a stroncarti , perche' in Italia se sei bravo diventi antipatico e presuntuoso.
Sorrentino e' uno dei pochi italiani dei giorni d'oggi , capace di farci conoscere nel mondo grazie al suo talento e di regalarci grandi pellicole come hanno fatto negli anni d'oro del cinema italiano maestri del calibro di Fellini , De Sica e Pasolini.
Credo che con La grande bellezza , abbia cercato il grande capolavoro , per certi versi c'è riuscito per altri l'ha solo sfiorato , anche perche' il suo grande capolavoro l'aveva gia' firmato ai tempi de Il Divo .
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ebeni
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giovedì 6 giugno 2013
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film di oggi e film di ieri
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Premetto che il film è sicuramente uno splendido documentario su Roma e le sue bellezze riprese con grande maestria ed efficacia e tale sarebbe stato se non fosse invece stato un film con tanto di attori e una trama,almeno presunta; è sicuramente uno spaccato su alcuni, direi ormai pochi spero , abitanti di Roma, privilegiati e decadenti; l'aria che si respira è quella di oggi, per questo il paragone con la "Dolce Vita" è difficile , perchè in quest'ultima c'era la tenerezza e la dolcezza dei personaggi felliniani strettamente correlata alla speranza nella vita e nel futuro che c'era negli anni 70, qui si percepisce la tristezza ed il disorientamento di oggi per un mondo che ci crolla addosso sempre di più in cui si è smarrita l'etica e la morale stessa dell vita ed allora si cerca di tornare indietro al paese di origine a cercare qualcosa che non c'è più dentro di noi; devo dire che, se questo Sorrentino vede oggi e voleva far vedere con il suo film, l'aria di tristezza e di squallore che lo pervade è fortissima e quindi è stato molto bravo.
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Premetto che il film è sicuramente uno splendido documentario su Roma e le sue bellezze riprese con grande maestria ed efficacia e tale sarebbe stato se non fosse invece stato un film con tanto di attori e una trama,almeno presunta; è sicuramente uno spaccato su alcuni, direi ormai pochi spero , abitanti di Roma, privilegiati e decadenti; l'aria che si respira è quella di oggi, per questo il paragone con la "Dolce Vita" è difficile , perchè in quest'ultima c'era la tenerezza e la dolcezza dei personaggi felliniani strettamente correlata alla speranza nella vita e nel futuro che c'era negli anni 70, qui si percepisce la tristezza ed il disorientamento di oggi per un mondo che ci crolla addosso sempre di più in cui si è smarrita l'etica e la morale stessa dell vita ed allora si cerca di tornare indietro al paese di origine a cercare qualcosa che non c'è più dentro di noi; devo dire che, se questo Sorrentino vede oggi e voleva far vedere con il suo film, l'aria di tristezza e di squallore che lo pervade è fortissima e quindi è stato molto bravo. Toni Servillo è un grande attore e lo è sempre di più ma come spesso succede finisce con il recitare sempre meglio se stesso; personalmente preferivo di più il Servillo del " Le conseguenze dell'amore" occulto ragioniere affiliato alla mafia, che tutti i mercoledì alle 10.00 si faceva una bella pera di eroina e che riusciva ancora inspiegabilmente nel suo contesto allucinante ed assurdo ad innammorarsi, a differenza del Servillo de "la Grande Bellezza" ingabbiato nella sua aridità e nella sua rassegnazione
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rohmer82
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mercoledì 5 giugno 2013
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la grande bruttezza
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Ho visto un'infinità di film nella mia vita, capolavori e non, ma la delusione che ho avuto con questo "film" è immensa!! I grandi registi della storia hanno avuto la fortuna di non vederlo! Mi fà rabbia sentire i miei amici, uscendo dal cinema, affermare "non pensavo che si potesse fare ancora oggi un film così bello". "Una lotte da leoni 3" in confronto si può tranquillamente considerare il capolavoro della storia del cinema. Credo che questo film non aiuterà il cinema italiano, già in forte difficoltà, a risollevarsi. Spero che i futuri registi troveranno l'ispirazione da altre pellicole.
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pepito1948
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mercoledì 5 giugno 2013
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le maschere di sorrentino
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A primo impatto, è difficile sottrarsi al richiamo dei precedenti illustri cui in qualche modo il film si aggancia. Ovvio il rimando al cinema di Fellini, che con il suo stile espressivo ed il modo personale di rappresentare e staffilare la realtà ha influenzato gran parte del cinema successivo, in Italia come all'estero. Anche qui i personaggi principali o di contorno sono maschere, non dipinte o incipriate ma in carne ed ossa, comunque rappresentative di tipologie (o patologie) umane. La maschera di Servillo, solcata da rughe mobili e plastiche come gommapiuma che da sole dispiegano un’incredibile varianza espressiva (sotto cui alligna una multiforme perrsonalità), ne è un esempio.
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A primo impatto, è difficile sottrarsi al richiamo dei precedenti illustri cui in qualche modo il film si aggancia. Ovvio il rimando al cinema di Fellini, che con il suo stile espressivo ed il modo personale di rappresentare e staffilare la realtà ha influenzato gran parte del cinema successivo, in Italia come all'estero. Anche qui i personaggi principali o di contorno sono maschere, non dipinte o incipriate ma in carne ed ossa, comunque rappresentative di tipologie (o patologie) umane. La maschera di Servillo, solcata da rughe mobili e plastiche come gommapiuma che da sole dispiegano un’incredibile varianza espressiva (sotto cui alligna una multiforme perrsonalità), ne è un esempio. Detto questo, c'è una differenza profonda tra la denuncia felliniana di La dolce vita (e Roma) e quella di Sorrentino: la prima è fortemente "localizzata" su Roma, sulla borghesia frivola del jet set e dei paparazzi che scorazzano per Via Veneto, la statua di Cristo che atterra in pieno San Pietro, la Vamp bella ma volatile che valorizza con le sue forme la magia di Fontana di Trevi. Inimmaginabile ambientare altrove quelle storie partorite dalla mente del grande Federico. Per Sorrentino Roma è il grande palcoscenico in cui far muovere i suoi personaggi, scelta per dare corpo ad un esempio difficilmente sostituibile di Grande Bellezza; ma il racconto di per sè ha una validità che trascende la specifica ambientazione.
La linea narrativa (difficile parlare di una storia vera e propria) si snoda su due piani, ovviamente collegati: quello statico del contesto, immobile nella sua zoologia umana anaffettiva, vuota, senza colori interiori, senza obiettivi che non siano quello di fare gruppo per alimentarsi reciprocamente di una verbosità (o di silenzi-assensi) inconcludente; l'altro è il percorso dinamico di Jep Gambardella, 65enne tardivamente in procinto di voltare l’angolo della sua vita. Vita vissuta in mezzo ai "senza": senza scossoni, gratifiche evolutive, arricchimenti che vadano oltre il potere "di partecipare alle feste per farle fallire". Vita che diventa nuovo percorso di ricerca di uno stimolo per ritrovare il bandolo di una matassa interrotta anni prima, quando, dopo aver scritto un solo libro senza successo dal titolo significativo (L'apparato umano, che sottende una visione limitata alla mera fisicità dell'uomo), Jep si è fatto monarca senza rivali delle notti romane festaiole e spensierate (nel senso di prive di ogni pensiero significativo), annegando nel vuoto pieno solo di "apparati umani" in movimenti senza senso, marionette di se stessi condannate ad una eterna ripetizione rituale.
Jep si disvela per un grande, perchè sa di essere un “vuoto” diverso dagli altri in quanto consapevole di esserlo ed in fondo, avendo sperimentato il “pieno”, non accetta di continuare ad essere vuoto per sempre. Così non si limita a fare passivamente gruppo, ma si misura con gli altri denigrando attraverso il fioretto o la spada coloro in cui vede la propria immagine riflessa: affonda i colpi non tanto verso gli uomini del contesto, irrilevanti (come il performer che non sa come definire le proprie vibrazioni) o silenti (come il poeta, assorto e assente) o indolenti anche nel fare sfoggio di vacuità, ma verso le donne che –mettendosi comunque in gioco- preferiscono ostentare il proprio poco di buono nascondendo il tanto di non edificante: l'attacco alla donna del Partito è uno dei momenti più violenti e trainanti dell'intero film. Ma Jep, lungi dall’essere misogino, sa distinguere le donne di valore, che rispetta e stima: sono quelle fuori dal coro, fuori dalla Terrazza, le "diverse", come la sua direttrice editoriale, nana, non sensuale ma affabile, intelligente e volitiva, la colf sudamericana, lontana dalle depravazioni e dall'amoralità degli ospiti festanti, e soprattutto la spogliarellista popolana e ruspante, bellissima e sensuale ma triste e sola, con cui Jep instaura un rapporto di padre-figlia, ignorando il suo terribile segreto fino al momento della sua scomparsa.
Jep sa di essere un attore, più grande degli altri, ma resta una maschera, e come lui sa smascherare i più cani, così qualcuno più abile di lui potrebbe fare altrettanto nei suoi confronti; è il prestigiatore (o la sua vittima) che, tra i ruderi (umani) può far scomparire la giraffa (che è anche un microfono per i recitanti). Per questo, per darsi un'essenza credibile ed incancellabile, per uscire dal recinto dei mediocri e debordare verso l'”altrove”, non può accontentarsi della Grande Bellezza della sua città, splendida, ineguagliabile nei suoi colori, ma irrimediabilmente inquinata dalle chiazze stinte ed indelebili della pochezza umana. La delusione lo induce ad inseguire un'altra Grande Bellezza, quella che lo ha illuminato e segnato in gioventù e che l'ha abbandonato senza dire perchè (e neanche il suo successivo compagno e marito gliel'ha saputo spiegare). Solo un viaggio a ritroso può ridargli quella sensazione; il passato non può tornare come esperienza , ma può restituire i suoi sapori. E tornando a quei sapori, alla percezione a tutto campo della Grande Bellezza di quella ragazza che si spoglia in tutta la sua incontaminata soavità, Jep ritroverà il senso di una nuova vita vuota di vuoto e piena di orizzonti più lontani. E forse riprenderà a scrivere qualcosa su una realtà umana che travalichi i suoi "apparati" e spazi in una dimensione non solo fisica ma pervasa anche di sana ultramaterialità; quella spiritualità che invano ha cercato di cavare dal vacuo cardinale tutto preso dai piaceri della gola.
Sorrentino dimostra ancora una volta di essere un grande regista, cioè un grande facitore di immagini, a tratti un grande poeta, e, sulla scia del suo penultimo film "americano", padroneggia alla perfezione i passaggi dal realismo mondano al surrealismo, al simbolismo, al funambolismo significante, facendo volteggiare la macchina da presa nelle più diverse angolazioni; come se ci ricordasse che la realtà ha molte facce e molti punti di vista. La sua denuncia talvolta usa l'accetta, sempre elegante ed affilata, tal altra il bisturi dell'ironia, della satira raffinata; in ogni caso rifugge dalla banalità. Dà corpo ad un apologo sulla rassegnazione di una società opulenta –fatta di chi pure avrebbe la possibilità di non affogarvi- che riesce ad imbruttire con la propria mediocrità tutto ciò che, in natura o per mano umana, offre spunto di nobilitazione e si denuda di qualsiasi potenzialità di riscatto. Ma l'uomo non trascina con sè nel mare omologante l'ntera umanità, e dai suoi bassifondi emerge sempre qualcuno disposto a non accontentarsi del suo niente per tentare la risalita.
E' un film perfetto La Grande Bellezza? No, non lo è. Qualcuno ha detto non a torto che è un po' troppo estetizzante, compiacente, ma lo stesso Sorrentino ammette il suo narcisismo, laddove ci fa vedere Jep che scorre assorto la serie di fotoritratti affiancati, uno per ciascun giorno di vita, messi in mostra dal fotografo-artista: come dire che tutti gli artisti sono narcisisti, se consapevoli del credito che offre loro il proprio estro una volta messo a disposizione del pubblico.
Inoltre la parte finale pecca di eccessiva lunghezza, e soprattutto abbonda di inutilità, con alcuni elementi narrativi ( la vecchia santa e l’invasione delle gru) superflui ed un po' fragili; ma resta comunque un’opera di alto livello artistico che si presta a riflessioni che vanno oltre le gozzoviglie e la stupidità umana, qui spalmata un po' su tutti i ceti (a differenza di quella socialmente circoscritta nella Dolce vita o nel recente Grande Gatsby). E soprattutto è un film che vibra di un pensiero profondo, e rivela l’impostazione letteraria di un autore che è diventato anche uno scrittore di successo.
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maria f.
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mercoledì 5 giugno 2013
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evviva i buoni film!
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Paolo Sorrentino ha centrato in pieno il bersaglio del mio cuore.
Mostrandoci una città fatata, magica, soave che rivela proprio nelle ore più quiete le sue grazie, la sua seduzione, ci fa riflettere quanto sia importante vivere la nostra vita non facendoci distrarre dagli orpelli, dagli inganni. Tutti noi continuamente siamo adescati, insidiati da mille fascini, incanti e senza intuirne il pericolo, o in alcuni casi volontariamente, scegliamo di vivere una vita alla ricerca della “grande bellezza”ignorando che questo lungo e lento cammino possiamo solo perseguirlo, forse, coltivando e affinando la nostra parte spirituale, che a sua volta deve essere accompagnata per mano, nutrita, aggiungendo tessera dopo tessera come se fosse un puzzle, incastrando tassello dopo tassello come se si trattasse di una preziosa ceramica.
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Paolo Sorrentino ha centrato in pieno il bersaglio del mio cuore.
Mostrandoci una città fatata, magica, soave che rivela proprio nelle ore più quiete le sue grazie, la sua seduzione, ci fa riflettere quanto sia importante vivere la nostra vita non facendoci distrarre dagli orpelli, dagli inganni. Tutti noi continuamente siamo adescati, insidiati da mille fascini, incanti e senza intuirne il pericolo, o in alcuni casi volontariamente, scegliamo di vivere una vita alla ricerca della “grande bellezza”ignorando che questo lungo e lento cammino possiamo solo perseguirlo, forse, coltivando e affinando la nostra parte spirituale, che a sua volta deve essere accompagnata per mano, nutrita, aggiungendo tessera dopo tessera come se fosse un puzzle, incastrando tassello dopo tassello come se si trattasse di una preziosa ceramica.
Sorrentino ci offre un quadro ricchissimo della popolazione danarosa e no che cerca la sua fetta di felicità affidandosi ad approfittatori, ciarlatani e riempiendo la propria esistenza di paccottiglia, ciarpame, una vita fatta di feste chiassose, grossolane, sballi, commistione d’idee e di argomenti, ricerca continua di emozioni appaganti.
Ognuno orientato soprattutto a riempire dei vuoti di sentimenti e tutti lontani dal chiedersi quale sia il senso della vita, quale funzione ciascuno di noi ha in questo passaggio terreno.
Così non ci si accorge che la vita trascorre e che,non coltivandola, abbiamo dilapidato la nostra vera ricchezza: i nostri talenti.
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