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flaw54
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domenica 26 maggio 2013
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A parte un Servillo strepitoso mi piacerebbe sapere che cosa Sorrentino voleva trasmetterci attraverso quest' opera se non banalità travestite da film impegnato attraverso estetici silenzi e filosofiche riflessioni. Incomprensibile e piuttosto sgradevole la parte dedicata alla chiesa con una discutibile ironia verso personaggi facilmente identificabili.
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jacopo b98
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domenica 26 maggio 2013
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un servillo magistrale ed un film bellissimo
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Gep Gambardella (Servillo) è un giornalista, ha sessantacinque anni e vive a Roma. Personalità influente e di grande fascino, conosciuto da tutti per le sue sfarzose feste e per un libro da alcuni considerato un capolavoro, da altri un’opera mediocre. Pian piano, passeggiando solo o in compagnia in una città vuota e bellissima comprenderà quanto la sua vita sia vuota ed inutile. Sesto film del geniale Sorrentino, forse il migliore dopo Il divo (2008), scritto dal regista con Umberto Contarello. È la storia apparentemente felice, raccontata con toni da commedia italiana, di un uomo triste e malinconico, incarnato da un Servillo magistrale, in quella che forse è la sua migliore interpretazione.
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Gep Gambardella (Servillo) è un giornalista, ha sessantacinque anni e vive a Roma. Personalità influente e di grande fascino, conosciuto da tutti per le sue sfarzose feste e per un libro da alcuni considerato un capolavoro, da altri un’opera mediocre. Pian piano, passeggiando solo o in compagnia in una città vuota e bellissima comprenderà quanto la sua vita sia vuota ed inutile. Sesto film del geniale Sorrentino, forse il migliore dopo Il divo (2008), scritto dal regista con Umberto Contarello. È la storia apparentemente felice, raccontata con toni da commedia italiana, di un uomo triste e malinconico, incarnato da un Servillo magistrale, in quella che forse è la sua migliore interpretazione. È quindi un film apparentemente calmo e disteso, eppure di grande tristezza e malinconia. La Roma di Sorrentino è bella? Sì, è la più bella Roma mai vista al cinema, ripresa dal regista con inquadrature grandiose, che testimoniano il suo strepitoso talento nella scelta delle inquadrature: fa vedere una fontana vera, e sembra che stia facendo vedere un set da milioni di dollari. È quindi un film grandioso e bellissimo, ma in fondo solo fittizio: il titolo iniziale dove appare? Lontano, dietro le case, un titolo che riporta ad una bellezza assoluta ed inafferrabile. Ma è una grande bellezza o una grande bruttezza? Questa è la domanda di un film complesso, lungo (fin troppo?) ed ambizioso, che racconta di una Roma malata e in fondo così infelice, mascherata dietro un’ombra invalicabile di bellezza e perbenismo. Così appare la grande bellezza di cui parla Sorrentino, che si prende due ore e mezzo per raccontarcelo, realizzando un film dilatato, peraltro giustamente, con alcuni momenti di reale incanto: Servillo che passeggia per le strade, solo e profondamente infelice, accompagnato solo dalla sua sconfitta voce narrante, che descrive un personaggio solo apparentemente semplice: alle feste, in società ride, beve, si ubriaca, fa sesso, ma quando è solo riflette, pensa e soffre: unico a rendersi conto del fallimento di un sogno, un italian dream folle e sciocco. E poi c’è il personaggio, bellissimo e ben interpretato, di Verdone, deluso da Roma, come dice a Gep nel finale. Merita i complimenti anche la Ferilli, che delinea un personaggio non scontato e piuttosto interessante. Splendida fotografia di Luca Bigazzi, strepitosa colonna sonora di Lele Marchitelli, che abbina brani di musica classica a canzoni moderne. Tre cameo importanti: Lillo De Gregorio, Fanny Ardant e Antonello Venditti
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[+] un eccellente esercizio di stile
(di amedex)
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mario rutigliano
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domenica 26 maggio 2013
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la fotografia del cinema risorge con sorrentino
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Un capolavoretto. Ieri sera ho conosciuto la fotografia, nel parco di un convento scorto tra i cunicoli della vecchia capitale.
É una Roma svilita dalla bassezza dei suoi osservatori ma pur sempre ricercata nell'arte che fu.
Persino la mondanità smisurata appare fiacca e noiosa. É l'involuzione putrefatta dell'età del jazz, in un punto di non ritorno.
Ma anche questo é reale.
É la Roma che cederebbe le mura al cavallo di Troia.
La classicità sfigurata dall'alcool scolpirebbe un Bernini su un blocco di coca. Le pulsioni dell'arte sono passioni demoniache, intrise di una sacralità corrotta, clericale.
La decadenza romana non é un concetto d'architettura moderna ma pura moralità in putrefazione.
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Un capolavoretto. Ieri sera ho conosciuto la fotografia, nel parco di un convento scorto tra i cunicoli della vecchia capitale.
É una Roma svilita dalla bassezza dei suoi osservatori ma pur sempre ricercata nell'arte che fu.
Persino la mondanità smisurata appare fiacca e noiosa. É l'involuzione putrefatta dell'età del jazz, in un punto di non ritorno.
Ma anche questo é reale.
É la Roma che cederebbe le mura al cavallo di Troia.
La classicità sfigurata dall'alcool scolpirebbe un Bernini su un blocco di coca. Le pulsioni dell'arte sono passioni demoniache, intrise di una sacralità corrotta, clericale.
La decadenza romana non é un concetto d'architettura moderna ma pura moralità in putrefazione.
Tutto ciò che é in rovina marcisce sui divanetti del sexy bar. Non vi sono limiti a questo spettacolo. Non esiste il rischio del "tutto esaurito".
É una Roma che teme i suoi romani.
La diversità é il vocabolario forbito della piccola élite schiava delle buone maniere e serva di un ego smisurato.
Rasentare la banalità é il rischio che nessuno più é disposto a correre. Così, definire se stessi é conciarsi al meglio per l'ultimo carnevale.
Ieri sera ho visto una grande bellezza. Ho ritrovato la fotografia italiana mentre mi raccontava d'essersi persa tra i cunicoli della vecchia capitale.
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immanuel brest
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domenica 26 maggio 2013
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roma, mai così "tremendamente" bella
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E' difficile, violento oserei dire, affermare che Roma sia solo "bella" nelle immagini di Sorrentino. Roma, vera protagonista indiscussa di questa pellicola, appare prepotentemente unica, di un'unicità mostruosa, deviata, decisamente sublime. La fauna che la popola, quasi vampiresca nel suo rifuggire la luce impietosa di un sole onnipresente, lotta disperatamente per sfuggire alla morte e alla ricerca di un senso della vita, brancolando nel buio rumoroso costellato da festini e vernissage improbabili. In questi rifugi patinati, ambiti ed esclusivi, in questi attualissimi sabba, si consuma l'esistenza di creature nella maggior parte dei casi "orrende" - agli occhi dello spettatore perbenista - eppure fragili, disincantate, lucide: in una parola VERE.
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E' difficile, violento oserei dire, affermare che Roma sia solo "bella" nelle immagini di Sorrentino. Roma, vera protagonista indiscussa di questa pellicola, appare prepotentemente unica, di un'unicità mostruosa, deviata, decisamente sublime. La fauna che la popola, quasi vampiresca nel suo rifuggire la luce impietosa di un sole onnipresente, lotta disperatamente per sfuggire alla morte e alla ricerca di un senso della vita, brancolando nel buio rumoroso costellato da festini e vernissage improbabili. In questi rifugi patinati, ambiti ed esclusivi, in questi attualissimi sabba, si consuma l'esistenza di creature nella maggior parte dei casi "orrende" - agli occhi dello spettatore perbenista - eppure fragili, disincantate, lucide: in una parola VERE. Perché è una verità indigesta quella che Sorrentino ci sbatte in faccia continuamente attraverso le immagini di questo film intenso e solo apparentemente algido. Jep Gambardella (Tony Servillo) è la guida suprema che ci porta per mano in questa giungla spietata e affascinante. Un dracula letteralmente romantico, che ha rinunciato a dio - perché la "morale" è la divinità incarnata che fa da sfondo alla Storia - e ha accettato le regole di questa vita al massacro, abiurando alla ricerca interiore, all'analisi "superiore" della realtà e sposandone appieno l'intrinseca prosaicità. Un dracula che custodisce nel profondo il ricordo dell'unico amore mai assaporato e inesorabilmente perso. Jep succhia la vita da vittime inconsapevoli e tutt'altro che innocenti (se innocente può mai essere l'umanità ai suoi stessi occhi), ma giusto quanto basta per sopravvivere ancora per una notte - emblematico, a tal proposito, l'episodio che vede la partecipazione di Isabella Ferrari. Jep è un parvenu che ha costruito il proprio successo su una gloria effimera (il suo unico romanzo giovanile), ma che spicca fra i suoi simili perché emancipato, consapevole. La salvezza, la redenzione, fanno capolino per un attimo; la loro è un'epifania improvvisa quanto involontaria, che non lascia traccia nell'esistenza del nostro. E allora, nuda e cruda, appare Ramona (la verace Sabrina Ferilli), col suo volo di falena moribonda. La morte, quella vera e non l'uscita si scena, fa capolino per ricordare a tutti il loro inesorabile destino, ma viene anch'essa fagocitata e inscatolata nel solito rituale esorcistico che è la festa. Jep è l'ambita incarnazione dell'Everyman dell'Italia di oggi, un posto in cui non c'è spazio per i deboli, per coloro che manifestano la propria fragilità spudoratamente o la nascondono disperatamente sotto spessi strati di ipocrisia.
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tiberiano
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domenica 26 maggio 2013
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servillo, tra fellini e petronio
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Evidenti sono le influenze di Fellini (la Dolce Vita, Roma e Otto e mezzo), sono cambiati i tempi però. Non è la Roma degli anni d'oro di Cinecittà, via Veneto non è il ritrovo dei divi stranieri in 'vacanze romane'; si intravede solo il gradito cameo di una pallida Fanny Ardant, che vaga di notte per una via Veneto quasi deserta.
I paparazzi non ci sono più; nell'era digitale, vige l'autoscatto narcisista e autoreferenziale, con foto ritratto raccolte a centinaia. E la Roma dei preti e delle suore, che Fellini rappresentava con bonaria ironia, qui viene dipinta con disincanto, del tutto svuotata da ogni spiritualità.
Viene quasi da chiedersi, dopo averlo visto, cosa sia (e dove sia) nel film 'La Grande Bellezza'.
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Evidenti sono le influenze di Fellini (la Dolce Vita, Roma e Otto e mezzo), sono cambiati i tempi però. Non è la Roma degli anni d'oro di Cinecittà, via Veneto non è il ritrovo dei divi stranieri in 'vacanze romane'; si intravede solo il gradito cameo di una pallida Fanny Ardant, che vaga di notte per una via Veneto quasi deserta.
I paparazzi non ci sono più; nell'era digitale, vige l'autoscatto narcisista e autoreferenziale, con foto ritratto raccolte a centinaia. E la Roma dei preti e delle suore, che Fellini rappresentava con bonaria ironia, qui viene dipinta con disincanto, del tutto svuotata da ogni spiritualità.
Viene quasi da chiedersi, dopo averlo visto, cosa sia (e dove sia) nel film 'La Grande Bellezza'. E' tutta (e soltanto ?) nei palazzi rinascimentali, nella chiese barocche e nei ruderi imperiali ?
Certo, non nell'arte, proposta con tanta cialtroneria da una performance nuda e masochista tra i ruderi di un antico acquedotto e da una 'creazione estemporanea' fatta con decine di secchi di vernice da parte di una ragazzina apparentemente in delirio (artistico ? mah !).
Non nella chirurgia plastica, che nell'era dell'apparenza pare il rimedio principe per rinverdire la propria personalità.
Certo non è nell'umanità dei personaggi, la Grande Bellezza: tutti ricchi, beceri e compiaciutamente irrigiditi nella loro ipocrisia e cafonaggine, ritraggono una Roma da rotocalco, tutta gossip e snobismo: ostentazione di beni e contatti importanti, ma con un vuoto inquietante di ideali, valori e perfino emozioni.
Viene alla mente la cena di Trimalcione del Satyricon, dove i tanti nuovi ricchi, volgari ed incolti, dissertano del nulla mentre l'impero inizia la sua parabola discendente.
C'è il lusso pacchiano, che però è altra cosa rispetto alla bellezza.
Verdone interpreta (senza lode e senza infamia) un provinciale e ingenuo aspirante scrittore che non arriva a sfondare, non avendo la spregiudicatezza adeguate per sapersi muoversi in quel mondo anaffettivo; l'ammettere il proprio fallimento potrebbe comunque rivelarsi la sua salvezza.
Servillo vaga per una città notturna, suggestiva, come un novello Petronio dalla battuta tagliente e intelligente, tra la corte dei miracoli gaudente che frequenta la sua terrazza. Ha scelto di vivere e partecipare a quel mondo festaiolo, vanitoso e fondamentalmente amorale, di cui è osservatore, ma anche protagonista amorale (non immorale, però !). Giunto alla soglia dei sessantacinque anni, si pone ancora degli interrogativi non risolti, delle domande in attesa di una risposta.
Gli unici personaggi positivi e con una umanità reale, sono tre donne:
- una nana, il suo superiore e consigliera, che si è saputa realizzare professionalmente, ha saputo accettare la vita con intelligenza, ironia ed una insospettabile saggezza.
- una Ferilli che sa interpretare una spogliarellista ruspante e disincantata (anche lei !), ma che però sa ancora meravigliarsi, emozionarsi, scoprire la bellezza dei palazzi romani e commuoversi per il funerale di un ragazzo che neppure conosceva personalmente.
- una vecchissima suora che ricorda (parecchio) da vicino Madre Teresa di Calcutta, che darà al protagonista un messaggio rivelatore, anche questo di disarmante semplicità. Sia pure con la parentesi surreale di un prodigio (con l'ausilio di effetti speciali digitali).
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(di paolo t.)
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bigfish
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domenica 26 maggio 2013
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grande cinema italiano
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Un grande film che mi riconcilia con il cinema italiano. Un affresco freddo e spietato ma poderoso e avvincente.Cinema VERO!
Finalmente Fellini e i Taviani hanno un degno erede.
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ludwigzaller
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domenica 26 maggio 2013
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genio o cretino?
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Un gruppo di ultrasessantenni romani, giornalisti, scrittori televisivi, gente semplicemente ricca e annoiata, in una sorta di caricatura delle cene proustiane dai Verdurin e dai Guermantes, si riunisce presso un attico romano. Per misteriose e insondabili ragioni sono convinti di formare una élite, il giornalista Gambardella si crede un dandy e si veste come tale, pensa di dominare i salotti come fosse un epigono di D'Annunzio, ma le conversazioni che si ascoltano chez Gambardella sono le stesse di un qualsiasi gruppo di amici agée, qualcuno sposato con figli, qualche altro single. Dopo trenta e passa anni vissuti così Gambardella è sfiorato dal dubbio di non aver combinato nulla. È già qualcosa ma forse poteva pensarci prima.
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Un gruppo di ultrasessantenni romani, giornalisti, scrittori televisivi, gente semplicemente ricca e annoiata, in una sorta di caricatura delle cene proustiane dai Verdurin e dai Guermantes, si riunisce presso un attico romano. Per misteriose e insondabili ragioni sono convinti di formare una élite, il giornalista Gambardella si crede un dandy e si veste come tale, pensa di dominare i salotti come fosse un epigono di D'Annunzio, ma le conversazioni che si ascoltano chez Gambardella sono le stesse di un qualsiasi gruppo di amici agée, qualcuno sposato con figli, qualche altro single. Dopo trenta e passa anni vissuti così Gambardella è sfiorato dal dubbio di non aver combinato nulla. È già qualcosa ma forse poteva pensarci prima. Ma lo sanno di essere stupidi? Lo sa il regista? Il patto letterario tra autore e spettatore sembra in realtà supporre che Gambardella sia un genio incompreso. E così le bellissime immagini e la straordinaria fotografia sono ancora una volta, in Sorrentino, al servizio di una sceneggiatura modesta. Sorrentino dovrebbe fare come Hitchicock e Kubrick, che i film se li facevano scrivere da altri. Lui ha avuto un solo grande sceneggiatore al suo servizio e per di più gratis: Giulio Andreotti.
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piodecimo
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domenica 26 maggio 2013
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grande delusione
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La tentazione è forte: quella di usare le parole del rag, Fantozzi alla visione della "Corazzata Potemkin", ma mi asterrò dal farlo.
Non voglio neanche penalizzare il film con un giudizio che fa media: Voto N.C.
Una grande delusione, salvo solo le immagini di una Roma sempre splendida.
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marylene
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sabato 25 maggio 2013
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per me si va....
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Il film ha una sua valenza positiva, l’originalità, la bravura di Servillo, le inquadrature di una Roma che da tempo non veniva fotografata in modo così suggestivo da renderla quasi sublime nella sua imponente bellezza, e ancora le riflessioni “filosofiche” del protagonista, spettatore ormai disincantato di un’umanità che si crogiola nella finzione, tentando di nascondere un vuoto culturale e di valori abissale.
Specchio dei nostri tempi? Certo, ma qui regna un pessimismo che annienta.
Un barlume di speranza? La consapevolezza del protagonista, che lo porterà a scuotersi da quel dolente torpore e a trovare nuova linfa per scrivere un altro libro.
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Il film ha una sua valenza positiva, l’originalità, la bravura di Servillo, le inquadrature di una Roma che da tempo non veniva fotografata in modo così suggestivo da renderla quasi sublime nella sua imponente bellezza, e ancora le riflessioni “filosofiche” del protagonista, spettatore ormai disincantato di un’umanità che si crogiola nella finzione, tentando di nascondere un vuoto culturale e di valori abissale.
Specchio dei nostri tempi? Certo, ma qui regna un pessimismo che annienta.
Un barlume di speranza? La consapevolezza del protagonista, che lo porterà a scuotersi da quel dolente torpore e a trovare nuova linfa per scrivere un altro libro.
E poi Roma, coi suoi monumenti, le sue terrazze, i suoi palazzi antichi ancora intatti, stupenda, maestosa, eterna, la cui grande bellezza non viene minimamente intaccata da tutte queste miserie umane anzi, è come se questo estremo decadentismo del sentimento esaltasse ancora di più la sua potenza.
Detto questo, il film è un po’ troppo lento, un po’ troppo lungo e a tratti noioso.
Ci sono sfumature felliniane ma come dice Sorrentino, “La dolce vita” è un capolavoro, il mio è solo un film”.
Mi fa piacere che ne sia consapevole.
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ioana roman
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sabato 25 maggio 2013
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io ho participat a filmo di sorrentini e bello
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IO HO PARTICIPAT LA COREGRAFIE E COSI LOSO CHE E UN FILM MOLTO INTERESANT PER QUALI CONOSCE ROMA E TUTTA LA ISTORIA E UN FILM DOVE SI PUO IMPARARE TANTI COSA.EXEMPLU ROMA COME ERA UNA VOLTA E POI LEGI DELLA CHIESA CON LE SUORE DI FRANCESCHINE.SI IO IN FILM ERO UNA SUORA DI FRANCESCHINI CON ALTRE 2 DONE.CUNOSCO PAOLO SORENTINI E UN UOMO MULTO CALMO E DECISO E DILIGENTE MIA PECIUTO TANTO COME LAVORO.LUI NON FERISCE CON LE PAROLE CATIVE NESUNO ANCHI SI CE QUALCUNO DIFICIL. IOANA ROMAN
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(di krista867)
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