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mauriziomirone
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sabato 25 maggio 2013
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vince la grande bellezza
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Le immagini di Roma monumentale, sospesa, potente, opulenta, cosparsi in tutto il film, appaiono come pezzi di un sogno o di un incubo che non lascia il sonno tranquillo. Solo lungo la bellissima sequenza finale, sulla quale scorrono i titoli di coda, si ha la sensazione di un risveglio che riconcilia con la realtà.
Quasi tutti i personaggi, per lo più sopra le righe, non hanno altra idea che fare mostra di sé. Ci si ancora a quelli più umani, lo scrittore di teatro, la spogliarellista, la domestica, che sembrano prigionieri di una vita che probabilmente non avrebbero scelto, ma che, se ti include, è attraente, ma irrisolta. Pochissimi sono i contatti con la vita reale, la vita media, e questo mantiene tutta la storia in una dimensione onirica.
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Le immagini di Roma monumentale, sospesa, potente, opulenta, cosparsi in tutto il film, appaiono come pezzi di un sogno o di un incubo che non lascia il sonno tranquillo. Solo lungo la bellissima sequenza finale, sulla quale scorrono i titoli di coda, si ha la sensazione di un risveglio che riconcilia con la realtà.
Quasi tutti i personaggi, per lo più sopra le righe, non hanno altra idea che fare mostra di sé. Ci si ancora a quelli più umani, lo scrittore di teatro, la spogliarellista, la domestica, che sembrano prigionieri di una vita che probabilmente non avrebbero scelto, ma che, se ti include, è attraente, ma irrisolta. Pochissimi sono i contatti con la vita reale, la vita media, e questo mantiene tutta la storia in una dimensione onirica. Il sogno risulta chiaro, limpido, a tratti bellissimo, nonostante l'aridità e l'immaturità dei volenterosi ospiti.
Il protagonista che sembra, insieme alla editrice, il personaggio più consapevole, resta comunque prigioniero delle sue ambizioni giovanili. Probabilmente la sua abilità nello scrivere il suo unico romanzo è stata troppo facilmente superata dalla sua ambizione di una vita marcatamente pubblica, seppure chiusa nei confini di Roma. Questo rende la sua storia, con le sue feste, le cene, gli spettacoli, sorprendentemente mediocri e stridenti con la grandezza della città. Lui sembra averne contezza, ma non trova in sé le energie, la concentrazione e la voglia di uscirne. Questo labirinto sembra risolversi solo con l'incontro finale con la "santa", ma forse è ormai troppo tardi.
La forza genuina dell'uomo in più è lontana. Non ci sono le sorprendenti conseguenze dell'amore. Per ora vince la scena la grande bellezza.
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uppercut
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venerdì 24 maggio 2013
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le conseguenze del disamore
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La grande bellezza è un film disorientante al di là delle sue stesse intenzioni. Com'è possibile che il regista de L'amico di famiglia, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, si sia smarrito in un racconto così trasandato là dove avrebbe dovuto risultare sontuoso (la scrittura filmica) e così alambiccato là dove avrebbe dovuto incidere con la velocità di una katana (la scrittura dei dialoghi)? sembra davvero che rispetto alle prove precedenti sia improvvisamente venuto a mancare un elemento fondamentale della squadra. Ma chi? Bigazzi c'è (anche se mortificato da un montaggio davvero infelice), Servillo pure (anche se costretto a un'espressività ormai consumata).
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La grande bellezza è un film disorientante al di là delle sue stesse intenzioni. Com'è possibile che il regista de L'amico di famiglia, uno dei migliori film italiani degli ultimi anni, si sia smarrito in un racconto così trasandato là dove avrebbe dovuto risultare sontuoso (la scrittura filmica) e così alambiccato là dove avrebbe dovuto incidere con la velocità di una katana (la scrittura dei dialoghi)? sembra davvero che rispetto alle prove precedenti sia improvvisamente venuto a mancare un elemento fondamentale della squadra. Ma chi? Bigazzi c'è (anche se mortificato da un montaggio davvero infelice), Servillo pure (anche se costretto a un'espressività ormai consumata)... Che sia mancato l'ingrediente principale? l'amore per qualcuno o per qualcosa. Fosse anche il più respingente abitante della terra... Mah. Alla fine l'impressione è quella di assistere è un teatrino al quadrato (come non ci bastasse quello quotidiano...) che non fa ridere né piangere. Solo guardare l'orologio. Con gli attoroni de Roma che si divertono (almeno loro) a giocare ai Protagonisti de noantri. Con tutto il rispetto per Altman. Pazienza. Un giro a vuoto ci può sempre stare. Dicono sia la prima conseguenza del disamore.
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dakrua
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venerdì 24 maggio 2013
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i giorni che restano saranno giudici più saggi
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'Cercavo la grande bellezza e non l'ho trovata', ecco perché Jep Gambardella - un immenso Toni Servillo - non ha scritto un secondo romanzo. Non è quindi Roma, come si potrebbe erroneamente pensare grazie alla preziosa fotografia, alla squisita declinazione che Sorrentino dirige con la maestria cui ha abituato il suo pubblico. Un film-caleidoscopio, caratterizzato da una non trama che pure avvince e interessa. Quel che Sorrentino fa, anzitutto, è collocarsi in un tempo della storia, letteraria - non solo filmica-, dove la dissoluzione della trama produce emozioni e significato. Difficile non andare a 'Le Onde' di Virgina Woolf, guardando il film di Sorrentino; difficile non sentirsi sospesi, fluidi.
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'Cercavo la grande bellezza e non l'ho trovata', ecco perché Jep Gambardella - un immenso Toni Servillo - non ha scritto un secondo romanzo. Non è quindi Roma, come si potrebbe erroneamente pensare grazie alla preziosa fotografia, alla squisita declinazione che Sorrentino dirige con la maestria cui ha abituato il suo pubblico. Un film-caleidoscopio, caratterizzato da una non trama che pure avvince e interessa. Quel che Sorrentino fa, anzitutto, è collocarsi in un tempo della storia, letteraria - non solo filmica-, dove la dissoluzione della trama produce emozioni e significato. Difficile non andare a 'Le Onde' di Virgina Woolf, guardando il film di Sorrentino; difficile non sentirsi sospesi, fluidi. Non riesce a essere un film di denuncia di un Paese allo sfascio, che si gloria delle proprie macerie, perché ammaliato, perduto nelle incantevoli riprese. Alcune hanno per destino di rimanere nella memoria visiva per sempre: non si potranno più dimenticare. Ma qual è la grande bellezza, dunque, se non è Roma? E' la consolazione salvifica che la bellezza offre, un ampliamento della vita nell'amore. Ecco perché nel tedio della vita di Jep Gambardella si inseriscono incastonate scene di abbacinante felicità, di scorrere innocente e puro, quasi a suggerire un'emanazione del divino nella vita dell'uomo. Emanazione che diviene presenza nello stormo di fenicotteri fermi sul terrazzo di Jep in una notte d'estate. Un film che chiede idealità, quello di Sorrentino, traducendola in capacità/bisogno di amare per collocarsi nel punto esatto della vita in cui si vorrebbe essere. I limiti ci sono e non di poco conto. Il più grave è la difficoltà, l'incertezza che Sorrentino prova ad andare in profondità: ammaliato di superfici, artista di raffinata educazione e di godibilissima espressione, fatica a cercare e costruire spessore nei propri personaggi, col risultato di rendere di malagevole lettura la complessità dell'articolazione della studiata regia. Ci sarà tempo per i giorni, gli anni che restano, che saranno giudici più saggi. Sorrentino è già un (giovane) grande regista: ma vogliamo da lui quel qualcosa in più che certamente può dare.
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uppercut
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venerdì 24 maggio 2013
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la grande delusione
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Paolo, perché l'hai fatto? attendevo questo film da mesi, mi aspettavo il riscatto del cinema italiano in un'annata catastrofica... risultato: ho insultato chi me l'aveva consigliato. Pessimo (e questa è la cosa che mi ha fatto più male) anche dal punto di vista tecnico-espressivo a partire dalla prima scena montata come uno spot di TeleSalerno e invece esibita con la spocchia di chi crede di donarci La dolce vita 2. Mamma mia! che Roma e i romani sono quello che sono forse lo avevamo già un po' intuito, o no? Bisognava scomodare un crane di 20 metri per farcelo capire? Unica nota positiva in una serata rovinata dal mio regista italiano preferito: l'ottima recensione di Dario Zonta.
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Paolo, perché l'hai fatto? attendevo questo film da mesi, mi aspettavo il riscatto del cinema italiano in un'annata catastrofica... risultato: ho insultato chi me l'aveva consigliato. Pessimo (e questa è la cosa che mi ha fatto più male) anche dal punto di vista tecnico-espressivo a partire dalla prima scena montata come uno spot di TeleSalerno e invece esibita con la spocchia di chi crede di donarci La dolce vita 2. Mamma mia! che Roma e i romani sono quello che sono forse lo avevamo già un po' intuito, o no? Bisognava scomodare un crane di 20 metri per farcelo capire? Unica nota positiva in una serata rovinata dal mio regista italiano preferito: l'ottima recensione di Dario Zonta. Mi ha fatto sentire meno sola. Sigh!
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angelo umana
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venerdì 24 maggio 2013
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società in disfacimento
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All’ammirazione di Roma silenziosa ed estasiata di un gruppo di turisti giapponesi, uno dei quali muore fotografando e col sorriso davanti a questa beltà (“vedi Napoli e poi muori” vale anche per Roma dunque) e alla sacralità del canto solenne di un coro femminile, si contrappongono le successive immagini di una festa “di grido” in una terrazza romana, sullo sfondo della pubblicità luminosa “Martini” (famosa terrazza essa stessa). Il padrone di casa e anfitrione è Jep (Servillo), navigato viveur e re della mondanità, uno che sembra aver visto tutto, disilluso e cinico, capace di organizzare eventi mondani ma, dice, soprattutto col potere di non darvi luogo.
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All’ammirazione di Roma silenziosa ed estasiata di un gruppo di turisti giapponesi, uno dei quali muore fotografando e col sorriso davanti a questa beltà (“vedi Napoli e poi muori” vale anche per Roma dunque) e alla sacralità del canto solenne di un coro femminile, si contrappongono le successive immagini di una festa “di grido” in una terrazza romana, sullo sfondo della pubblicità luminosa “Martini” (famosa terrazza essa stessa). Il padrone di casa e anfitrione è Jep (Servillo), navigato viveur e re della mondanità, uno che sembra aver visto tutto, disilluso e cinico, capace di organizzare eventi mondani ma, dice, soprattutto col potere di non darvi luogo. Ha 65 anni e ha scoperto che non deve perder tempo con le cose per cui non ha interesse; un uomo pieno di disincanto, domina quel “circo” ma allo stesso tempo lo disprezza. Il circo è di persone alla ricerca disperata di divertimento, di notorietà, che nei balli fanno “trenini che non vanno da nessuna parte”. La fauna che popola le feste sembra soprattutto carne, esibita e donata, di corpi anche belli oppure decrepiti, tutti sotto le luci diventano maschere grottesche, protese alla ricerca incolmabile del piacere e di piacere.
E’ chiaro che Jep è ormai distante da questo glamour che ha creato - “alla mia età una bella donna non è più abbastanza” - sembra cercare una spiritualità che il frastuono ha coperto, ma la vacuità del circo è evidente, l’insoddisfazione permanente della fauna umana che si esibisce, vuota di senso e di rapporti sinceri. Ha curiosità di una vita normale, lui che sorseggia brandy continuamente e va a dormire quando altri si svegliano; chiede a una coppia ordinaria “cosa fate stasera?” e sembra avere il desiderio di starsene a casa davanti alla televisione, come quei due. Una nuova amica 42enne di Jep ha le magnifiche fattezze della Ferilli, esibite in spogliarelli che le servono per curarsi da un male; lei dice “non sono portata per le cose belle”, ma l’umanità che ha attorno non ha nulla di bello o di meritevole, intorno c’è una decadenza che le bellezze di Roma o le magnifiche immagini (come un volo di aironi o le scie di aerei nel cielo azzurro) non possono redimere. “Vite devastate” ma anche depravate, inconsistenti, vite finte, rapporti inutili, volti disfatti in un Paese di “debosciati”, fanno pensare a quelle navi senza più governo che vagano alla deriva, con gli occupanti che, inconsapevoli, spendono il tempo come sempre.
Un film monumentale, dei monumenti di cui è ricca Roma e dei magnifici palazzi, ma anche dei numerosissimi personaggi che lo arricchiscono e che sembrano rappresentare la nostra società, dove “per farsi prendere sul serio, bisogna prendersi sul serio”, pratica molto diffusa nella nostra realtà di “popolo di intervistati”. Il vuoto e l’apparenza come stile di vita o come fede, che però non appaga le ansie. Il misterioso vicino di casa di Jep, occupa l’appartamento con terrazza sopra di lui, si scopre che è un latitante e si definisce “uno che porta avanti il Paese”, che sarà anche vero a modo suo, in un Paese in rovina. C’è il cardinale (Herlitzka), in odore di papato, che salvo la veste non ha differenze dagli invitati di questa insulsa società, dove anche lui cerca gaudio magno. Una decrepita e improbabile “santa” è invitata a una cena da Jep per raccogliere fondi per i poveri, è la 104enne suor Maria, che si dice viva in un paese africano e che dorme per terra, percorre in ginocchio con dolori indicibili la “scala santa” e vien da chiedersi a cosa possano servire i voti e le penitenze della religione ad una umanità che non vuole saperne. Jep, che è pure giornalista, vorrebbe intervistarla ma la santa gli dice che “la povertà non si racconta, si vive”. Un ciarlatano inocula botulino ai famosi che, in attesa del loro turno, letteralmente popolano il suo loft, a 700 euro al colpo.
Un parterre de rois di attori che si rendono benissimo verosimiglianti alla realtà che Sorrentino descrive, magnifiche interpretazioni di ognuno con Servillo, Verdone e Ferilli che sono i personaggi più vicini ad una forma introspettiva, umana, con l’apparizione sporadica (e inspiegabile) di Venditti e perfino di “madame Fannie Ardant”, figure che appaiono una notte di sfuggita. La “santa” chiede a Jep perché non ha scritto più libri dopo l’unico famoso che produsse molti anni prima: lui risponde che cercava “la grande bellezza” ma non l’ha trovata, e questa è una verità incontrovertibile guardando cosa lo attornia, un ambiente che lui stesso ha inseguito. Il suo bisogno di ritrovarsi sembra farsi strada quando rivede le sue radici, il mare e il ricordo della ragazza che conobbe a 18 anni. Un Sorrentino geniale, come sempre.
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arcadia88
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venerdì 24 maggio 2013
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disicanto
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Una Roma frivola, ridicola, superficiale e allo stesso tempo meravigliosa, superba, soave. Un film bellissimo! Dialoghi e monologhi meravigliosi. A tratti delle lezioni e regole di vita. Un cast di attori eccezionale così come una produzione (regista, direttore della fotrografia, scenografa, musico ect) fantastica. Toni Servillo è sicuramente quel quid in più. Un leone da videocamera. Una capacità di coinvolgere e una bravura sopra le righe. Film consigliatissimo!
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iuras
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venerdì 24 maggio 2013
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roma eterna
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Il film si articola e si svolge su due quadri che si mischiano e si sovrappongono per mettere in risalto i diversi valori o disvalori. Il primo: la rappresentazione del mondo dei cosiddetti salotti bene, degli intellettuali o pseudo, dei trasgressori, degli uomini di potere , dei faccendieri e relativi infiltrati, sentimenti ben resi dalla mimica di un perfetto Servillo nel principale personaggio di Jep Gambardella , che vive ancora in tale mondo malgrado non lo soddisfi più ; ormai, dice lo stesso, non ho più tempo per fare quello che non mi piace fare. Il secondo : la rappresentazione di Roma nei suoi valori architettonici e capolavori artistici più nascosti (non solo cioè monumenti e strutture della antica Roma ma anche palazzi della vecchia nobiltà con i suoi interni , quadri , statue e arredi capolavoro ), rappresentazione che costituisce un giusto, felice ed erudito contraltare alla Roma delle chiassose osterie nelle strade e dei panni appesi ad una corda ad asciugare al piano terra di una casa popolare del film di Woody Allen.
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Il film si articola e si svolge su due quadri che si mischiano e si sovrappongono per mettere in risalto i diversi valori o disvalori. Il primo: la rappresentazione del mondo dei cosiddetti salotti bene, degli intellettuali o pseudo, dei trasgressori, degli uomini di potere , dei faccendieri e relativi infiltrati, sentimenti ben resi dalla mimica di un perfetto Servillo nel principale personaggio di Jep Gambardella , che vive ancora in tale mondo malgrado non lo soddisfi più ; ormai, dice lo stesso, non ho più tempo per fare quello che non mi piace fare. Il secondo : la rappresentazione di Roma nei suoi valori architettonici e capolavori artistici più nascosti (non solo cioè monumenti e strutture della antica Roma ma anche palazzi della vecchia nobiltà con i suoi interni , quadri , statue e arredi capolavoro ), rappresentazione che costituisce un giusto, felice ed erudito contraltare alla Roma delle chiassose osterie nelle strade e dei panni appesi ad una corda ad asciugare al piano terra di una casa popolare del film di Woody Allen.
Questo è il miglior aspetto e pregio del film da cui peraltro prende il titolo.
Iuras 938
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luca tessarin
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venerdì 24 maggio 2013
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roma si eleva sulla degradante mondanità
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Che cosa dire di Roma che non sia già stato detto della Perfezione? Sorrentino ci illustra, in due ore di riprese, le antiche bellezze della città magica, e lo fa con stile ed eleganza, utilizzando un rilassante connubio immagine-suono che conduce lo spettatore in una dimensione senza tempo. Tutto è curato meticolosamente per giungere ai sensi del pubblico in maniera virtuosa, dal pigolio degli uccelli allo scroscio dell’acqua in una fontanella di periferia. A tratti la città sembra essere sola, disabitata, quasi finta, così lontana e distaccata da tutta la frenesia e il caos dei giorni nostri.
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Che cosa dire di Roma che non sia già stato detto della Perfezione? Sorrentino ci illustra, in due ore di riprese, le antiche bellezze della città magica, e lo fa con stile ed eleganza, utilizzando un rilassante connubio immagine-suono che conduce lo spettatore in una dimensione senza tempo. Tutto è curato meticolosamente per giungere ai sensi del pubblico in maniera virtuosa, dal pigolio degli uccelli allo scroscio dell’acqua in una fontanella di periferia. A tratti la città sembra essere sola, disabitata, quasi finta, così lontana e distaccata da tutta la frenesia e il caos dei giorni nostri. Ma Roma (come del resto qualsiasi altro luogo di questo Mondo) non è sola: a Roma qualcuno ci vive, e così ecco spuntare la figura di Jep Gambardella, un saccente tuttologo che ha passato la vita rinchiuso in una campana di finta felicità, libero (ma solo in apparenza) di fare quello che gli pare, appagato a tal punto da rientrare a casa a notte fonda per non dover lottare con l’orribile noia del mattino dopo. Jep nasconde la sua monotonia dietro una maschera di giovinezza che non c’è più, ricoprendo le sue angosce con grottesche feste sulla terrazza di casa, condivise con gli (stessi e patetici) amici di sempre: gente simile a lui, esteriormente raggiante ma interiormente sola e affranta. E così, fra le gelide mura di quel palazzo che scruta il colosseo, improvvisano inutili trenini sceneggiatori falliti, scrittrici di mezza età che negano anche a sé stesse l’evidenza di una carriera fatta aprendo le gambe, cardinali borghesi, spogliarelliste depresse e industriali annoiati. Jep, dall’alto della sua viscerale oratoria, dirige quell’avvilita orchestra prossima all’epilogo, consapevole di essere l’unico in grado di farlo e di essere egli stesso parte integrante di essa.
Ha sempre cercato la grande bellezza Jep, e forse l’aveva anche trovata, tanti anni prima, su una spiaggetta incontaminata. Le si era manifestata nei panni di una ragazza dolcissima, una storiella di gioventù, che egli aveva cacciato in qualche androne profondo della sua mente, dimenticandola per 40 anni. E solo adesso, guardando nello specchietto retrovisore della sua vita, l’ha scorta tra i fumi della noiosa mondanità. Ma ormai è passata, e indietro non si torna.
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marcoromano
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venerdì 24 maggio 2013
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la grande delusione
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ha ragione d'agostino di dagospia. più che la grande bellezza dovrebbe chiamarsi la grande delusione.
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la noia
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venerdì 24 maggio 2013
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la bellezza salverà il mondo
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Flaubert voleva scrivere un libro sul nulla e non ci è riuscito(o almeno pensava di non esserci riuscito).
Sorrentino ha resentato il Nulla e ce l'ha mostrato scoprendo il telo sul nascosto di ognuno di noi, un ottimo specchio, dove ogni persona sfugge pur di non rimirarsi.
I personaggi senza coscienza, fino allo strenuo attaccati ai loro menzogneri ideali: la vacuità umana al cospetto del tempo e della Storia che rende eterna solo " la Grande e astratta Bellezza.
Forse c'è salvezza nella scrittura, nei ricordi e nella bellezza che per dirla alla Dostoevskij, salverà il mondo.
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