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serves
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venerdì 9 agosto 2013
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pessimo film!!
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Ecco Sorrentino di nuovo alla carica. Questa volta si è munito di dotte citazioni e sentendosi un pò Fellini ci ha raccontato le grandi verità di Roma, o meglio di una Italia decadente. Il film è scritto malissimo, è girato ancor peggio, recitato come possono gli ultimi rimasugli di arte italiana. Da vergognarsi in sala, ma non perché parli male dell' Italia, ma perché non è all'altezza di farlo, ma ha tutti i mezzi economici per poterlo fare, ovvero sputa proprio nel piatto in cui mangia, un piatto offetogli dalla sagra del banale....Le recenzioni all'estero lo prendono per quello che è, un mediocre regista italiano.
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Ecco Sorrentino di nuovo alla carica. Questa volta si è munito di dotte citazioni e sentendosi un pò Fellini ci ha raccontato le grandi verità di Roma, o meglio di una Italia decadente. Il film è scritto malissimo, è girato ancor peggio, recitato come possono gli ultimi rimasugli di arte italiana. Da vergognarsi in sala, ma non perché parli male dell' Italia, ma perché non è all'altezza di farlo, ma ha tutti i mezzi economici per poterlo fare, ovvero sputa proprio nel piatto in cui mangia, un piatto offetogli dalla sagra del banale....Le recenzioni all'estero lo prendono per quello che è, un mediocre regista italiano...ma in Italia invece, proprio quelle persone che lui vorrebbe raccontare senza riuscirci, lo portano sul palmo della mano. Chi sputa nel piatto in cui mangia, avrà sempre un piatto pieno da finire...
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(di dbmassi)
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ilmengoli
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venerdì 26 luglio 2013
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la grande bellezza (2013)
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"Allo stesso modo altri diviene misantropo e ha avversione e antipatia per i suoi simili. Oh! davvero, non c’è sventura più grande di questa antipatia per ogni discussione. E l’uno e l’altro morbo, misologia e misantropia, sorgono in noi dalla medesima fonte. La misantropia si infiltra in noi [...] quando le delusioni si rinnovano frequenti, e proprio per opera di chi vorremmo amico intimo e fedele, si finisce, dopo tante delusioni, con un odio generale, ritenendo che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di buono. [...] Chi tratta una medesima questione con argomenti in favore e con argomenti contrari finisce per esser convinto d’una sua straordinaria sapienza.
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"Allo stesso modo altri diviene misantropo e ha avversione e antipatia per i suoi simili. Oh! davvero, non c’è sventura più grande di questa antipatia per ogni discussione. E l’uno e l’altro morbo, misologia e misantropia, sorgono in noi dalla medesima fonte. La misantropia si infiltra in noi [...] quando le delusioni si rinnovano frequenti, e proprio per opera di chi vorremmo amico intimo e fedele, si finisce, dopo tante delusioni, con un odio generale, ritenendo che assolutamente non ci sia in nessuno nulla di buono. [...] Chi tratta una medesima questione con argomenti in favore e con argomenti contrari finisce per esser convinto d’una sua straordinaria sapienza. Crede d’aver osservato lui solo che nessun fatto è sincero e stabile, che nessun ragionamento nemmeno, nulla di nulla; ma che tutte le cose, precisamente come nell’Euripo, in su e in già si volgono, e giammai in nessun istante, in nessuna occasione, hanno posa".
La misantropia, socraticamente parlando, è un vero e proprio morbo che ti porta all'odio e all'infelicità perpetua nel rapporto con altri, con tuoi simili, uomini. Ed è proprio questo il motivo di debosciaggine di Jep Gambardella, padre di una decaduta e degenerata mondanità romana, il quale, con una raffinata risposta in seguito a un rimprovero di misoginia, dice "Io non sono misogino. Sono misantropo". È vero. Il personaggio del film di Sorrentino è un uomo estremamente solo, non fiducioso nella gente di cui si circonda ogni sera per riempire il vuoto della sua vita.
"La grande bellezza" è un glorioso affresco della città eterna, della Roma Caput Mundi, colta in una mondanità degradata, ormai lontana dalla raffinatezza e splendore che un tempo ne caratterizzavano l'essenza. Il film, come dichiarato dal regista stesso, segue le orme dello strepitoso La dolce vita di Fellini, attuando, però, un processo del tutto opposto rispetto a quello felliniano. Infatti, mentre ne La dolce vita vengono esaltati i valori e la grandiosità della Roma anni '60, qui a essere messa in luce è la decadenza della moderna mondanità romana, che si affida interamente al possesso di successo, potere, fama e gloria, deludente, meschina e ingannatrice , a discapito di profondità spirituale e morale. E l'emblema del film in merito a ciò è rappresentato dalla figura fisicamente sformata di Serena Grandi, come sottolineato anche nel film.
Ma la vera grande bellezza de "La grande bellezza" sono le favolose immagini e fotografie barocche, che ne rievocano la magica atmosfera. Il tutto è condito da un'ottima scelta sonora, che spazia da musica house e contemporanea (usata per le futili e false feste) a quella classico-corale (utilizzata invece per accompagnare le magnificenti sculture, architetture,strutture di Roma).
La regia di Paolo Sorrentino è magistrale, grazie a inquadrature e riprese mozzafiato e incredibile analisi visivo-introspettiva dei vari personaggi. Dopo, a mio giudizio, il bellissimo This must be the place, il talentuoso regista italiano realizza un altro grande film, molto profondo e particolare, unico nella sua specialità e speciale nella sua unicità.
Anche i personaggi sono singolari. Oltre al misantropo Jep, affascinato ma al tempo stesso disgustato da questa sua eccessiva vita mondana, ci sono il deluso e fallito Romano, interpretato da un Carlo Verdone più drammatico del solito, la nuda e sexy spogliarellista Ramona (Sabrina Ferilli), il "sofista" Lello Cava (Carlo Buccirosso), la nana filosofa Dadina (Giovanna Vignola), l'egocentrico e privo di risposte cardinal Bellucci (Roberto Herlitzka) e infine La Santa, ultracentenaria totalmente devota a Dio, povera nella vita e non nelle vane parole con cui tutti cercano di ostentare freneticamente il proprio ego insoddisfabile.
La filosofia del film è tanto evidente quanto profonda: la vita è un trucco, e quello che conta non è l'apparire, o una qualsiasi altra futile illusione materiale, ma la grande bellezza è da ricercarsi dentro di noi, nella nostra anima, immortale ma imprigionata dal corpo.
"La grande bellezza" è uno splendido dipinto barocco, ricco di colori e fotografie geniali, impreziosite da colonne sonore multiformi ed interpretazioni sublimi, in particolare quella di Toni Servillo, perfetto come sempre. Sicuramente uno dei migliori film dell'anno, per intensità, forza comunicativa e spirituale moralità. Ringraziamo e applaudiamo Paolo Sorrentino, unico regista, assieme a Matteo Garrone, in grado di valorizzare l'industria del cinema d'autore italiano, altrimenti affossato da infantili scemenze.
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[+] un film da rivedere
(di alex2044)
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omero sala
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martedì 23 luglio 2013
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viaggio al termine della notte
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Si esce dalla sala con la sensazione ubriaca di aver assistito ad un esercizio di stile accumulatorio e debordante, barocco-partenopeo, sconnesso e ogni tanto surreale, pretenziosamente disorganico ed esagerato, troppo saturo, troppo intenso, troppo tutto.
Ma poi ci si pensa e nasce il sospetto che sia il troppo, appunto, (ed il vuoto) a costituire l’essenza del film.
Jep Gambardella (Toni Servillo) è un ex-romanziere che come Salinger vive di rendita per un successo giovanile che lo ha immesso nel giro della “bella” società romana, piccolo-borghese e pseudo-intellettuale.
Ha però sessantacinque anni suonati e si ritrova stanco e disincantato a consumare giornate assurde, bazzicando una cinica microsocietà di ex come lui (o quasi ex) che tamponano le diverse decadenze con la smania d’esserci, camuffano il vuoto sotto le maschere avvizzite di se stessi, esorcizzano l’anonimato come la morte, si eccitano di eccentricità quotidiane, si alimentano bulimicamente di voglie consunte, escogitano consuetudini per fuggire la noia delle consuetudini, costruiscono occasioni per uscire e fingono di vivere per non vedere la devastazione che dentro li disgrega, fra feste freacks con trenini cafonal e sniffo, vernissage radical chic e cene in piedi, escort e madri teresedicalcutta, shopping compulsivi e funerali eccentrici, celebrazioni della subcultura e allucinazioni èlitarie, in un cicaleccio continuo, maligno e inconcludente, inutilmente caustico.
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Si esce dalla sala con la sensazione ubriaca di aver assistito ad un esercizio di stile accumulatorio e debordante, barocco-partenopeo, sconnesso e ogni tanto surreale, pretenziosamente disorganico ed esagerato, troppo saturo, troppo intenso, troppo tutto.
Ma poi ci si pensa e nasce il sospetto che sia il troppo, appunto, (ed il vuoto) a costituire l’essenza del film.
Jep Gambardella (Toni Servillo) è un ex-romanziere che come Salinger vive di rendita per un successo giovanile che lo ha immesso nel giro della “bella” società romana, piccolo-borghese e pseudo-intellettuale.
Ha però sessantacinque anni suonati e si ritrova stanco e disincantato a consumare giornate assurde, bazzicando una cinica microsocietà di ex come lui (o quasi ex) che tamponano le diverse decadenze con la smania d’esserci, camuffano il vuoto sotto le maschere avvizzite di se stessi, esorcizzano l’anonimato come la morte, si eccitano di eccentricità quotidiane, si alimentano bulimicamente di voglie consunte, escogitano consuetudini per fuggire la noia delle consuetudini, costruiscono occasioni per uscire e fingono di vivere per non vedere la devastazione che dentro li disgrega, fra feste freacks con trenini cafonal e sniffo, vernissage radical chic e cene in piedi, escort e madri teresedicalcutta, shopping compulsivi e funerali eccentrici, celebrazioni della subcultura e allucinazioni èlitarie, in un cicaleccio continuo, maligno e inconcludente, inutilmente caustico.
Ai margini di questo universo alla deriva spuntano, rare e marginali, figure quasi “normali” (Ferilli e Verdone, per esempio), capaci di residue emozioni, che nella loro candida ingenuità appaiono però patetiche quanto gli schizzati che le circondano.
Jep è vagamente consapevole della sua incompiutezza e del declino: per sopravvivere alla disperazione dell’innegabile vecchiezza e dell’impossibile rigenerazione si rifugia nella nostalgia di un flashback adolescente; sa – innanzitutto – che non ha più nulla da scrivere; e sa che per scampare non gli basta quell’eccitazione frenetica che fa durare gli altri (e che lui disprezza senza saperne prendere le distanze): per questo si lascia intridere da un sordo sconforto, attraversa i luoghi dell’inutilità con in corpo una rabbia stanca e non resiste (residuo di coscienza?) all’insopprimibile voglia di scoprire le carte, svelare i trucchi, rompere gli specchi, scoperchiare il fetore degli altri forse anche per annusare masochisticamente il proprio.
Continua a far parte di quel “fracico” mondo, ma si lava la coscienza comportandosi da osservatore esterno, infelice ed annoiato; e si fa entomologo distratto che stuzzica le sue vittime con bisturi ed elettrodi, senza cautele o reticenze, solo per vederne le reazioni, o forse per controllarne la residua vitalità, non certo per trasferire in loro la sua esclusiva ed escludente consapevolezza o per tentare improbabili redenzioni.
La macchina da presa, quando inquadra le persone (o, meglio, i personaggi) è assalita dalla frenesia di invadere visi disfatti e corpi artefatti, di smascherare derive e meschinità, di scrutare vacuità vertiginose e beceraggini; l’obiettivo intrappola i bipedi come topi nel labirinto, colleziona casi patologici come un manuale di psichiatria, fa trapelare il senso di morte; quando invece esplora gli spazi, ricerca lo struggente incanto di angoli nascosti, tramonti immensi e fascinosi, palazzi e chiese, fontane e giardini che fanno da contraltare con la loro “grande bellezza” al brulicume osceno dei parassiti.
Sorrentino insegue in questo film ispirazioni ed ascendenze nobili sia letterarie che cinematografiche.
Fra le pieghe del film si intravvede l’infelice Leopardi col suo sentimento del nulla, Flaubert (per lo stile dispersivo “che fa parlar le cose” ed il tema dello svanire dei sogni), Sartre con la sua ossessione di incompiutezza (“L’essere e il nulla”), Camus per il senso dell’assurdo che incombe e la condizione di alienazione; ed infine il disperato Céline, espressamente citato (“Viaggio al termine delle notte” sarebbe stato un magnifico titolo per questo penoso e magnifico film).
Fra gli autori di cinema a cui Sorrentino si ispira, anche con esplicite citazioni, troviamo Scola (quello de La terrazza che galleggia come il Titanic prima di essere inghiottita dagli abissi, quello che sa scorticare come nessun altro la vacuità degli intellettuali), ma troviamo soprattutto il Fellini – quello de La dolce vita e di Roma – parafrasato nel protagonista (Jep è un Marcello, ancora più vecchio e stanco, più annoiato e disgustato), replicato nel clima di decadenza (qui ai limiti della putrefazione), richiamato nelle inquadrature e nel montaggio, riecheggiato nella galleria dei personaggi bislacchi e grotteschi (suorine, cardinali insignificantemente emaciati, femmine pingui) ed in alcune scene onirico-paradigmatiche (mostri marini, sculture gigantesche, apparizioni di irreali giraffe e inquietanti trampolieri, peregrinazioni notturne).
Una scena paradigmatica: quella estenuante della repellente sfilata dei visi prolassati davanti al chirurgo estetico che impugna la siringa di tossina botulinica, come in un horror di serie b.
Una figura sublime: quella onnipresente e defilata del poeta, ombroso e taciturno.
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rescart
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domenica 21 luglio 2013
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tanto fumo e poco arrosto
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A dodici anni dal suo esordio alla regia cinematografica con “L’uomo in più”, Paolo Sorrentino ripropone per la terza volta Tony Servillo come suo attore protagonista preferito. Questa volta è nei panni di un maturo intellettuale oriundo campano, cui Roma ha spalancato le porte dei suoi palazzi mettendolo al centro della sua vita notturna, che è il cuore pulsante e forse l’industria più redditizia della capitale. Per fare la sua personale breccia di porta Pia, Jep Gambardella un libro ha dovuto scriverlo, uno solo, che è stato letto anche dalla ultracentenaria suora in odore di santità. Sarà lei, insieme al collega interpretato da Verdone, a ricordargli l’importanza delle radici. La collaudata accoppiata Servillo-Bucirosso aveva funzionato alla grande ne “il Divo”, dove il mingherlino compare di Servillo faceva le parti di un politico democristiano, che di nome fa Cirino.
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A dodici anni dal suo esordio alla regia cinematografica con “L’uomo in più”, Paolo Sorrentino ripropone per la terza volta Tony Servillo come suo attore protagonista preferito. Questa volta è nei panni di un maturo intellettuale oriundo campano, cui Roma ha spalancato le porte dei suoi palazzi mettendolo al centro della sua vita notturna, che è il cuore pulsante e forse l’industria più redditizia della capitale. Per fare la sua personale breccia di porta Pia, Jep Gambardella un libro ha dovuto scriverlo, uno solo, che è stato letto anche dalla ultracentenaria suora in odore di santità. Sarà lei, insieme al collega interpretato da Verdone, a ricordargli l’importanza delle radici. La collaudata accoppiata Servillo-Bucirosso aveva funzionato alla grande ne “il Divo”, dove il mingherlino compare di Servillo faceva le parti di un politico democristiano, che di nome fa Cirino. Quel Pomicino che ultimamente è sempre più di frequente invitato nei talk show televisivi, in uno dei quali recentemente è stato anche elogiato dal coetaneo Mughini, che lo ha definito un gigante rispetto agli attuali politici italiani. Con la Dc è finito anche il coprifuoco e sono caduti alcuni tabù, ma sempre in nome di una santità ora riconosciuta in vita, perché non è più tempo delle sante bambine. Anche la santità ormai si è dovuta adeguare all’invecchiamento della società. Chissà che nell’elenco dei beati ci si un posto anche per il vecchio cardinale appassionato di culinaria. Di certo non c’è posto per artiste più apprezzate dal pubblico e meno dalla critica, che non sa riconoscerne le “vibrazioni” extrasensoriali. Ma in un altro libro dei santi, scritto più a nord, potrebbe trovare posto una milanese aspirante fotografa, sedotta e poi abbandonata dal re delle feste romane, che con l’ispirazione ha perso anche la voglia di fare qualcosa solo per compiacere il prossimo. Salvo che si tratti di compiacere ai suoi istinti e al suo tabagismo. Spicca su tutti il cameo della Ferilli, qui incaricata del ruolo della vittima predestinata, del capro espiatorio. E’ forse lei in questo film, a differenza di altri dello stesso regista, l’unico ruolo cui far corrispondere una personaggio reale, quello di Moana Pozzi? Ma probabilmente il vero messaggio di Sorrentino in questo film è che per scrivere libri, come d’altronde per fare film, non basta la parlantina e nemmeno la presenza di scena. Per quello basta saper accendere una sigaretta con eleganza. Per scrivere ci vogliono le palle.
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ennebi
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martedì 16 luglio 2013
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onirico pasoliniano
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in questo film ho visto uno stile narrativo che riprende fellini nella regia onirica e pasolini nei dialoghi e nei pensieri (tipo il corvo di "uccellacci e uccellini")contenuti nel film. la grande bellezza, attraverso il grandissimo servillo,mette in contrapposizione la finzione imperante nella mondanità romana (ma non tipicamente e solamente romana) e la crudelissima verità del vissuto dei protagonisti.
una grande boccata di aria fresca per i neuroni di chi ogni tanto si smarrisce, o si sente stordito da tanta confusione e menzogna spacciata per verità nazionale, quando spesso altro non è che un grande intrattenimento collettivo per nascondere il nulla che governa la nostra prospettiva (collettiva, nazionale ma anche privata).
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in questo film ho visto uno stile narrativo che riprende fellini nella regia onirica e pasolini nei dialoghi e nei pensieri (tipo il corvo di "uccellacci e uccellini")contenuti nel film. la grande bellezza, attraverso il grandissimo servillo,mette in contrapposizione la finzione imperante nella mondanità romana (ma non tipicamente e solamente romana) e la crudelissima verità del vissuto dei protagonisti.
una grande boccata di aria fresca per i neuroni di chi ogni tanto si smarrisce, o si sente stordito da tanta confusione e menzogna spacciata per verità nazionale, quando spesso altro non è che un grande intrattenimento collettivo per nascondere il nulla che governa la nostra prospettiva (collettiva, nazionale ma anche privata).
indimenticabile, da oscar, il cambiamento dell'espressione del protagonista, jep gambardella (servillo), quando apprende la notizia della morte di una persona per lui cara.
cosiglio di vederlo prima che esca dal circuito cinematografico perchè la seconda protagonista assoluta del film è la bellezza delle riprese di una roma che nessuno ha mai potuto vedere con quella luce, ed è una bellezza che va ammirata sul grande schermo.
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antrace
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lunedì 15 luglio 2013
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raccontare il vuoto
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Quando ho visto la folla lasciare la sala senza brusii, dopo un tiepido cenno di applauso, ho capito che eravamo rimasti tutti sospesi nel vuoto del film , dubbiosi fra l'encomio ed il rigetto impulsivo . Sorrentino si conferma un regista cupo ,che scrive con stile, esprimendo ombre e paure .Qui dà voce ad un intellettuale della sua terra, che si dedica anima e corpo alla vita mondana ed effimera della capitale, mentore e critico severo di una cerchia di amici danarosi ma spiantati , giunti senza gioie ad un'età considerevole .Gambardella vive quotidianamente con le battute rassegnate, e le vane aspirazioni artistiche di un ambiente corroso dal tempo e dalle delusioni .
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Quando ho visto la folla lasciare la sala senza brusii, dopo un tiepido cenno di applauso, ho capito che eravamo rimasti tutti sospesi nel vuoto del film , dubbiosi fra l'encomio ed il rigetto impulsivo . Sorrentino si conferma un regista cupo ,che scrive con stile, esprimendo ombre e paure .Qui dà voce ad un intellettuale della sua terra, che si dedica anima e corpo alla vita mondana ed effimera della capitale, mentore e critico severo di una cerchia di amici danarosi ma spiantati , giunti senza gioie ad un'età considerevole .Gambardella vive quotidianamente con le battute rassegnate, e le vane aspirazioni artistiche di un ambiente corroso dal tempo e dalle delusioni . Egli stesso è uno scrittore mancato ,che ha deciso di trascorrere il resto dei suoi giorni con signore vogliose e compagni bohemien . Se pone delle domande a se stesso, tenta di nascondere dietro il sorriso beffardo ed ironico lo smarrimento interiore . Il film ,in sintesi, è una digressione speculativa, un testo letterario esposto con immagini e suoni, un 'elegia amara del vuoto e della crisi del nostro tempo . Non mi pare che Sorrentino suggerisca risposte , nè che volutamente sottragga il suo personaggio alla descrizione desolata, quasi piatta della decadente realtà urbana romana . L'unico barlume di speranza, forse , proviene dal lontano richiamo ascetico di una suora centenaria , che fa fatica a raccogliere idee e parole , ma nel monito gutturale , torvo alle radici ed alla povertà , sembra dare un colpo mortale al tempio del nulla . E negli incontri estemporanei, improvvisati con le donne che raccoglie per strada ,Gambardella ha modo di apprezzare la sincerità di una spogliarellista , interpretata con misura e sagagcia da Sabrina Ferilli . Sapiente la recitazione di Servillo, a suo agio con i toni sapidi e dissacranti del nobile partenopeo .
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graziano.nanetti
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domenica 14 luglio 2013
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finalmente un vero film italiano!
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Jep Gambardella è un raffinato dandy che vive all'insegna del divertimento smodato tra una festa e l'altra, circondato da una fauna umana molto pittoresca, barocca, trasgressiva e decadente. Dopo aver scritto un libro in giovane età, non riesce più ad avere l'ispirazione per produrne un altro, e si trascina malinconicamente nella bellissima Roma tra diverse avventure umane, sprecando tempo tra una sigaretta e l'altra. Solo alla fine riuscirà a riconciliarsi con la grande bellezza che risorge da un innocente ricordo di giovinezza, ricostruito piano piano nella sua mente distratta, e troverà così la giusta ispirazione.
La sceneggiatura non è proprio il punto forte di questo film: a parte alcuni dialoghi riusciti veramente bene, acuti, ironici e profondi fino alla disperazione intima, il resto del film è un susseguirsi di storie solo accennate e mai completamente sviluppate, come del resto lo è anche la vita del protagonista.
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Jep Gambardella è un raffinato dandy che vive all'insegna del divertimento smodato tra una festa e l'altra, circondato da una fauna umana molto pittoresca, barocca, trasgressiva e decadente. Dopo aver scritto un libro in giovane età, non riesce più ad avere l'ispirazione per produrne un altro, e si trascina malinconicamente nella bellissima Roma tra diverse avventure umane, sprecando tempo tra una sigaretta e l'altra. Solo alla fine riuscirà a riconciliarsi con la grande bellezza che risorge da un innocente ricordo di giovinezza, ricostruito piano piano nella sua mente distratta, e troverà così la giusta ispirazione.
La sceneggiatura non è proprio il punto forte di questo film: a parte alcuni dialoghi riusciti veramente bene, acuti, ironici e profondi fino alla disperazione intima, il resto del film è un susseguirsi di storie solo accennate e mai completamente sviluppate, come del resto lo è anche la vita del protagonista. Forse è l'effetto voluto dal regista che vuole rendere chiaro allo spettatore il senso di disagio e insoddisfazione che Jeb prova per la propria vita.
La scenografia è invece sublime, insuperabile: paesaggi romani stupendamente colorati, statue che paiono prendere vita, personaggi ritratti come solo un pittore potrebbe fare. Si susseguono scene che ricordano Fellini, con luci al neon, donne esageratamente brutte ed altre estremamente belle, seguite da scene all'esterno che ricordano quelle dei film di Pasolini.
Sicuramente un film che lascerà il segno nella storia del cinema italiano.
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giovanna
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sabato 13 luglio 2013
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sorrentino smentisce il principe miskin
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Sorrentino smentisce il principe Miškin e il dostoevskijano ”la bellezza salverà il mondo”.
Lo fa con l’originalità dei contenuti e la sontuosità delle immagini che gli sono propri, seguendo sorprendenti geometrie narrative in continua escheriana evoluzione, attraverso il monologo interiore di uno straordinario Toni Servillo, attorno ad una Roma in enigmatica apertura/chiusura
Jep Gambardella ha una magnifica terrazza, un guardaroba raffinatissimo, un libro di successo alle spalle, il mito della bellezza che persegue con testarda determinazione lungo gli argini del Tevere, nelle terrazze spettacolari, nei musei, nei parchi, nelle strade deserte, nelle discoteche affollate; a tu per tu con la cameriera la spogliarellista l’illusionista la bambina prodigio la santa di orrido fascino il prelato gourmet lo scrittore fallito le botox addict la Concordia.
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Sorrentino smentisce il principe Miškin e il dostoevskijano ”la bellezza salverà il mondo”.
Lo fa con l’originalità dei contenuti e la sontuosità delle immagini che gli sono propri, seguendo sorprendenti geometrie narrative in continua escheriana evoluzione, attraverso il monologo interiore di uno straordinario Toni Servillo, attorno ad una Roma in enigmatica apertura/chiusura
Jep Gambardella ha una magnifica terrazza, un guardaroba raffinatissimo, un libro di successo alle spalle, il mito della bellezza che persegue con testarda determinazione lungo gli argini del Tevere, nelle terrazze spettacolari, nei musei, nei parchi, nelle strade deserte, nelle discoteche affollate; a tu per tu con la cameriera la spogliarellista l’illusionista la bambina prodigio la santa di orrido fascino il prelato gourmet lo scrittore fallito le botox addict la Concordia.
Osservare Roma da una terrazza privilegiata affacciata sul Colosseo non esorcizza il male di vivere del protagonista e del suo sgangherato milieu e non rende più lieve la considerazione sulla corrotta degenerazione del presente dominata da una sempre presente cartellonistica commerciale.
Si comincia con immagini e musica, che predispongono e spingono oltre la centralità dell’io verso spazi immateriali, per approdare alla sudaticcia eccitazione del turista giapponese, colto da sindrome di Stendhal davanti al fascino inestinguibile della Città, enigmatica nella sua (in)accessibilità, quasi ”porta11, rue Larrey” di Marcel Duchamp.
Su questo ingannevole palcoscenico si muove con suprema eleganza, disincanto, ciniche osservazioni, sgangherate frequentazioni, inaspettate tenerezze, malinconie insopprimibili, Jep Gambardella, stakanovista mondano alla ricerca di un’armonia irraggiunta, che porta dritta al fallimento.
Assorbito dal vortice della mondanità, Gambardella, esteta ormai 65enne, zigzagando con il suo carico cultural-emotivo all’interno del paradigma narrativo del film, tra sacro e profano, capisce tutto, pronuncia verità inesorabili, giudizi taglienti, crea e distrugge personaggi, essendo ad un tempo antitetico e funzionale al mondo in cui vive, con lucido disincanto ma insormontabile dipendenza.
Marcello Rubini insegna.
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mericol
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venerdì 5 luglio 2013
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bellezza e illusioni
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All’inizio(ma proprio all’inizio) resti perplesso. Balli scatenati, svenimenti,esibizioni. Ti chiedi:dove vuole arrivare Sorrentino?possibile che presenti una storia senza un senso,almeno apparente?
Poi la storia gradualmente si amplia,lentamente, ma progressivamente,con un crescendo che si può definire “rossiniano”.
La prima svolta è con la comparsa del protagonista,Jepp Gambardella(T. Servillo) scrittore e giornalista .Ha scritto solo un libro a 20 anni e poi non più.
Poi il dialogo con Stefane, durante il quale il cinico,ironico ,freddo Jepp esprime il suo pensiero, la differenza tra l’apparire e l’essere.
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All’inizio(ma proprio all’inizio) resti perplesso. Balli scatenati, svenimenti,esibizioni. Ti chiedi:dove vuole arrivare Sorrentino?possibile che presenti una storia senza un senso,almeno apparente?
Poi la storia gradualmente si amplia,lentamente, ma progressivamente,con un crescendo che si può definire “rossiniano”.
La prima svolta è con la comparsa del protagonista,Jepp Gambardella(T. Servillo) scrittore e giornalista .Ha scritto solo un libro a 20 anni e poi non più.
Poi il dialogo con Stefane, durante il quale il cinico,ironico ,freddo Jepp esprime il suo pensiero, la differenza tra l’apparire e l’essere.
Per proseguire,scena cruciale nell’approfondimento delle storia e del significato del film,con la descrizione e lo svolgimento di un funerale, con un rituale ripetitivo, con scene da rappresentazione teatrale che riducono la cerimonia a mera forma,a discapito del sentimento.
In una splendida città,Roma,dove si cerca la grande bellezza, ma la bellezza non si trova. L’ambiente medio=borghese romano,quello intellettuale(o pseudo),quello ecclesiastico. Tutti coinvolti in una atmosfera del vivere in superficie.
In questo senso e verso questo significato va il magnifico finale. Jepp Gambardella non ha scritto nessun libro dopo il primo e unico, perché sperava in una grande bellezza(della vita, non di Roma) che non ha trovato. Gioie,dolori,illusioni,speranze,tutte coperte da un continuo interminabile bla-bla-bla, come aveva suggerito l’inizio del film,senza che in quel momento iniziale si potesse intuire. Memorabile,come al solito,l’interpretazione di T. Servillo.
(mericol venerdì 5/7/2013)
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lunedì 1 luglio 2013
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anime nude difronte alla grande bellezza
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Anime nude, quelle raccontate sul grande schermo ne “La grande bellezza”. Sentimenti ed emozioni che riecheggiano, con tutta loro potenza, negli occhi, sul volto e nelle movenze corporee di chi dà voce e vita all’ultimo film di Paolo Sorrentino. “Bellezze” esibite, festose danze, in un tripudio di eccessi che dominano i salotti della Roma “bene” di cui Jep Gambardella, interpretato egregiamente da Toni Servillo, è il miglior rappresentante, per sua ambizione e per collettiva attribuzione. Giornalista e critico teatrale, scrittore di un’ unica opera prima, “L’apparato umano”, Jep osserva cinicamente gli artefatti, le “costruzioni” rappresentate in natura, l’artista che si scaglia con la testa contro un muro, ispirata da una “vibrazione” , la scrittrice intellettuale comunista, sua amica, che esibisce con vanto le sue conquiste professionali e private, frutto però di menzogne, ipocrisie e favoritismi.
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Anime nude, quelle raccontate sul grande schermo ne “La grande bellezza”. Sentimenti ed emozioni che riecheggiano, con tutta loro potenza, negli occhi, sul volto e nelle movenze corporee di chi dà voce e vita all’ultimo film di Paolo Sorrentino. “Bellezze” esibite, festose danze, in un tripudio di eccessi che dominano i salotti della Roma “bene” di cui Jep Gambardella, interpretato egregiamente da Toni Servillo, è il miglior rappresentante, per sua ambizione e per collettiva attribuzione. Giornalista e critico teatrale, scrittore di un’ unica opera prima, “L’apparato umano”, Jep osserva cinicamente gli artefatti, le “costruzioni” rappresentate in natura, l’artista che si scaglia con la testa contro un muro, ispirata da una “vibrazione” , la scrittrice intellettuale comunista, sua amica, che esibisce con vanto le sue conquiste professionali e private, frutto però di menzogne, ipocrisie e favoritismi. Jep guarda la vita con cinismo e disincanto, con malinconia e profonda nostalgia. La sua vita, come quella degli amici che lo circondano, è fatta di tanti stupidi e inutili orpelli e di ricercata superficialità. La “grande bellezza” però è ancora capace di emozionare gli animi sensibili. Accade a Jep, dinanzi a un muro di foto, messe in sequenza, rappresentanti l’evoluzione naturale delle cose, il ciclo della vita ed un’immagine chiara che si legge in ogni minima parte del volto di Toni Servillo, stupito, incantato, straordinariamente emozionato e, al tempo stesso, devastato. La “grande bellezza” è nella genuinità di una spogliarellista, interpretata da Sabrina Ferilli, per la quale è in serbo un triste destino ed è nella santa centenaria che, più di ogni altro, simboleggia l’essenza della vita. La sua forza spirituale e la sua grande vocazione rendono possibile la sua stessa esistenza nel mondo, i suoi sacrifici, resi ancora più espliciti dalla sua scalata fatta in ginocchio in segno di penitenza dinanzi a Dio, riportano parallelamente all’incontro di Jep con il suo primo grande amore, la prima bellezza, pura e travolgente dopo la quale ogni sogno, compreso quello di scrivere un altro romanzo, è rimasto fermo, statico, senza movimento, senza ambizione. Jep ritrova con l’annuncio della morte del suo primo amore, la perdita delle persone a lui vicine, i piccoli sprazzi di luce e umana bellezza, la voglia di tornare ad emozionarsi e guardare con stupore le meraviglie che lo circondano, le piccole cose, che rendono uniche, indimenticabili e straordinariamente intense ed emozionanti le esperienze della vita umana. Nonostante viga una figura femminile stereotipata e tutta italiana, per cui la donna è o una santa da venerare o è una prostituta o è una donna intelligente ma frigida, e per questo condannata al tradimento, il film ha una grande forza espressiva, dovuta ai dialoghi pungenti, alla scelta proverbiale delle riprese che fanno del tutto una vera opera d’arte, e al cast di attori di grande livello, ognuno calato nel ruolo che più gli compete. Ogni scena è curata nei minimi dettagli e sulla forza delle parole e delle emozioni.
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