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Bernardo Bertolucci

Bernardo Bertolucci è un attore italiano, regista, produttore, scrittore, sceneggiatore, assistente alla regia, è nato il 16 marzo 1941 a Parma (Italia) ed è morto il 26 novembre 2018 all'età di 77 anni a Roma (Italia).
Nel 2012 ha ricevuto il efa premio alla carriera al European Film Awards. Dal 1973 al 2012 Bernardo Bertolucci ha vinto 10 premi: David di Donatello (1988), European Film Awards (2012), Festival di Venezia (2007), Golden Globes (1988), Nastri d'Argento (1973, 1988), Premio Oscar (1988).

Cineasta comunista

A cura di Fabio Secchi Frau

Grandi storie d'amore impossibili. Come quella della giovane Maria Schneider e di un ingrassato Marlon Brando che, su un pavimento di parquet rosso in un appartamento parigino di rue Jules Verne, si ritrovano sfiniti dopo aver fatto sesso in Ultimo tango a Parigi. Lui ha ancora l'impermeabile addosso, lei non indossa più le mutandine e guarda il soffitto avvolta nella sua pelliccia bianca. O come quella della civettuola e superficiale Stefania Sandrelli che non sa, non vede, non capisce, che il marito Jean-Louis Trintignant, sempre con lo sguardo basso, sempre così riservato, è forse la peggiore incarnazione della banalità del Male e dell'ambizione al potere in Il conformista. Ma c'è anche quella illecita, carnale e calda di John Malkovich che possiede il corpo ambrato di Amina Annabi in Il tè nel deserto, nella luce soffusa di un'Africa mortale. E aggiungiamoci anche il difficile rapporto di Liv Tyler con se stessa in Io ballo da sola, che sebbene sorrida con uno scialle sulle spalle mentre il vento la colpisce, è in lotta con ciò che la circonda e alla ricerca di una dimensione nella quale saprà essere amata.
Per tingere storie del genere ci vuole un mito del cinema. Per affrescarle sullo sfondo spesso contradditorio, ma non meno affascinante, del comunismo (italiano, francese, cinese) ci voleva lui: Bernardo Bertolucci. L'unico che poteva descrivere un mondo ancora ricco di sorprese. Un regista in nero, più che in rosso, vista la drammaticità delle storie che narra, capace di evocare con la stessa forza angeli e demoni, tenerezza e terrore, commuovendo poveri e potenti che combattono, si tormentano, vivono in ambienti e dimensioni temporali precise (nonostante la vertigine della cronologia li sconquassi) che fanno i conti con il proletariato, la borghesia di provincia, il '68, il fascismo, la lotta di classe, la droga, il terrorismo, l'immigrazione dall'Africa, il sesso fine a sé, il cinema.
Oggetto insolito per il panorama cinematografico italiano, è uno degli autori meno prevedibili e più manichei. Il suo nome viene associato inevitabilmente allo scandalo, ma se si va a scavare oltre quelle immagini così forti, se si punta alla sostanza, si scopre che le sue sceneggiature prendono forza dall'ideologia di Karl Marx, dalla dottrina psicanalitica di Sigmund Freud e dalle melodie di Giuseppe Verdi, il tutto contaminato dalla Nouvelle Vague di Jean-Luc Godard e dal manierismo del cinema hollywoodiano.
È un comunista puro e lucente, non pretenzioso, che fa della contraddizione dei tempi la sua essenza e la proietta nei suoi personaggi intimiditi e spaventati da quel senso di impotenza che li travolge. Bertolucci parla alla cinepresa e con lei cerca di capire come si parte e come arrivare a un concetto. A percorso finito, si trova davanti a un altro gioiello della sua filmografia che diventa a tutti gli effetti una melodia che varia di aggiunta in aggiunta. Come uomo, si innamora dei suoi attori. Maschi o femmine che siano, anche se fra tutti i più grandi batticuori artistici sono per Alida Valli, Dominique Sanda e Stefania Sandrelli, tre icone lanciate dal suo cinema e per questo scelte spesso. Con loro, con la fotografia di Vittorio Storaro, con il dolly (che nessuno sa usare meglio di lui) e con le sue storie, è stato celebrato dal mondo (nove Oscar per L'ultimo imperatore) come un autore politico e sociale che osserva impietoso i valori e i sentimenti messi in crisi. È, senza alcun dubbio, il più grande cineasta italiano vivente (anche se poco profilico) e il più famoso al mondo che, per poter esprimere il proprio affetto nei confronti del cinema e dello spettatore, deve prima dominarli, quasi far loro male.

L'incontro con Pasolini
Nato a Parma il 16 marzo 1941, Bernardo Bertolucci è il figlio del poeta Attilio Bertolucci e di Ninetta Giovanardi. Cresciuto assieme a suo fratello Giuseppe (anche lui regista cinematografico non meno bravo e noto autore teatrale), è il nipote del produttore cinematografico Giovanni Bertolucci.
Fin da piccolo respira aria di cinema in casa sua che, da adolescente, lo spingerà a realizzare cortometraggi in 16 mm come Morte di un maiale e La teleferica (1956-1957), girati nella casa di Casarola sull'Appenino emiliano. Decisiva per la sua carriera un'amicizia, quella con Pier Paolo Pasolini, presentatogli da suo padre quando il regista prenderà casa vicino alla loro.
Iscrittosi alla Facoltà di Letteratura Moderna dell'Università La Sapienza di Roma, abbandona gli studi per dedicarsi al cinema. Il primo lavoro (trovatogli dal produttore Cino Del Duca) è quello di assistente regista di Pasolini nella pellicola Accattone (1961) con Franco Citti e Adriana Asti (che sposerà); poi nel 1968, firma con Dario Argento e Sergio Leone il capolavoro del cinema C'era una volta il West (1968).

Il debutto: La commare secca
Nel 1962, con Tonino Guerra come produttore, realizza il suo primo lungometraggio La commare secca, su soggetto e sceneggiatura di Pasolini (che inizialmente avrebbe dovuto esserne regista). Il film narra, attraverso dei flash-back, l'indagine su un caso di omicidio nella periferia romana e che ha come vittima una prostituta. Una pellicola modesta e forse scontata, ma che è il primo passo per un cinema "diverso".

Prima della rivoluzione e Partner
Dopo essere stato montatore del documentario di Laura Betti Il silenzio è complicità (1976), firma la sua pellicola più vicina alla Nouvelle Vague (per eccesso di letterarietà poetica, per il preziosismo delle immagini sopra le righe, per la voce fuori campo, per il montaggio delle sequenze, per l'originalità delle inquadrature) Prima della rivoluzione (1964), crisi morale e sociale di un giovane borghese, dove si delinea per la prima volta il suo comunismo e la sua utopia politica.
Sempre seguendo il suo personale discorso esistenzialista arriva Partner (1968) con Stefania Sandrelli, tratto dal romanzo "Il sosia" di Fedor Dostoevskij, al quale si aggiunge l'episodio Agonia di Amore e rabbia (1969) firmato con Carlo Lizzani, Godard, Marco Bellocchio e Pasolini.

Il capolavoro: Il conformista
Il suo primo film di successo unanime di pubblico e critica fu il capolavoro Il conformista (1970), tratto dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia, dove impone ancora una volta la Sandrelli, e la affianca a Dominique Sanda, (scelta visto il costo troppo alto di Brigitte Bardot). Questa angosciosa parabola di una vita e di un'epoca sbagliata serve a Bertolucci per analizzare con uno stile personale il nauseabondo e sarcastico fascismo quotidiano, omaggiato da un Premio Interfilm e dal Premio Speciale dei Giornalisti, ma soprattutto da una candidatura all'Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.

La strategia del ragno
Parallelamente traspone sul grande schermo il racconto "Tema del traditore e dell'eroe" di Jorge Luis Borges con il titolo di La strategia del ragno (1970), con Alida Valli. L'opera è una delle più suggestive del cinema italiano grazie alla leggerezza della struttura narrativa poliziesca, nella quale si fonde il realismo padano e crepuscolare.

Lo scandaloso Ultimo tango a Parigi
Nel 1972 arriva il clamoroso successo di Ultimo tango a Parigi con un grande Marlon Brando e Maria Schneider in una delle più memorabili tragedie dello schermo. Il pubblico reagisce in maniera entusiastica (applausi interminabili) a questo lungimirante dramma erotico fra una giovane di vent'anni e un uomo di quaranta che scatenerà un ciclone di scandali, sequestri, polemiche e perfino condanne al rogo, ma che porterà nelle sale ben 14 milioni di spettatori (compresi quelli della riedizione del 1987 da Titanus, dopo la sentenza di oscenità del 17 febbraio). Il motivo è la vasta presenza di spudorati nudi frontali e una scena (la più scabrosa secondo alcuni) con un uso "improprio" del burro. Bertolucci viene condannato a 4 mesi per oscenità, ma la Storia del Cinema è cambiata ormai e, a confermarlo, arriva un Nastro d'Argento e una candidatura all'Oscar come miglior regista.

L'epico Novecento
Chi pensò che Bertolucci non avesse più niente da dire e avesse toccato l'apice del suo successo artistico (ancora lontano) con questa pellicola, si dovette ricredere, perché a incrementare la sua popolarità arrivò l'epico Novecento (1976) con un cast mostruoso (Robert De Niro, Gérard Depardieu, Sandrelli, Sanda, Valli, Burt Lancaster e tanti altri ancora). Una metafora di mezzo secolo, con cui il regista trasfigura un melodramma familiare italiano favoloso e talmente massiccio da essere diviso in due atti.

Il bisogno di film più intimi
Dopo tanta grandezza sente l'esigenza di farsi più intimo, di restringersi, e arriva La luna (1979), con Roberto Benigni, nel quale si affronta il tema della droga e dell'incesto e che gli permette di imporsi definitivamente come un regista che si ama o si odia. A completare questa necessità del piccolo arriva La tragedia di un uomo ridicolo (1981) con Ugo Tognazzi e Vittorio Caprioli, sul difficile rapporto fra genitori e figli affrontato a tratti con amarezza, con autoironia e con poesia.

Nove premi Oscar per L'ultimo imperatore
Negli anni Ottanta arriva il kolossal, la punta di diamante della sua carriera: L'ultimo imperatore (1987), con Peter O'Toole diretto in Cina con una straordinaria potenza visiva. Tratto dall'autobiografia "From Emperor to Citizen - The Autobiography of Aisin-Gioro Pu Yi" di Henry Pu-yi, il regista parmese racconta la solitaria storia dell'ultimo imperatore cinese, costretto a passare dalla prigionia reale e nobile della Città Proibita a quella dell'esilio forzato a Pechino. L'ultimo imperatore si guadagna ben nove Oscar, fra cui quelle per la migliore sceneggiatura non originale e quella per il miglior regista, e fa anche incetta di BAFTA, César, David di Donatello, Golden Globe, European Award e Nastri d'Argento.

Carnalità contro spiritualità
Dopo una tale fatica si concede a piccoli progetti corali come 12 autori per 12 città (1990) con Michelangelo Antonioni, suo fratello Giuseppe Bertolucci, Mauro Bolognini, Alberto Lattuada, Carlo Lizzani, Mario Monicelli, Ermanno Olmi, Gillo Pontecorvo, Francesco Rosi, Mario Soldati, Franco Zeffirelli e Lina Wertmüller, raccontando la sua Bologna. Ma si dedica anche a Il tè nel deserto (1990) con John Malkovich, uscendone ricco di nuove forme, sensazioni, pulsioni, tristezze e fragilità. La storia di una coppia che si perde in un viaggio in Africa dove incontrerà carnalità e morte si contrappone a quella piena di spiritualismo, cultura e sofisticatezza intellettuale del Piccolo Buddha (1993).

I film dedicati ai giovani
Dopo tre anni torna alla carica con Io ballo da sola (1996) con Stefania Sandrelli, educazione sentimentale di una ragazza americana alle prese con la propria sessualità. Ma non gli basta, vuole andare ancora più a fondo e costruire un nuovo dramma da camera: arriva L'assedio (1998), tratto da un racconto di James Lasdun, dove il fascino del confronto elementare fra uomo e donna è costretto a sopravvivere e bruciare in uno spazio delimitato, oltre il quale ci sono altre vite, altre responsabilità, altre realtà. Un meccanismo che si ritrova anche in The Dreamers - I sognatori (2003), all'interno del quale il ménage a trois di tre giovani ragazzi francesi nel pieno del '68 diventa un modo per dichiarare amore eterno al cinema, erudito o meno.
I suoi ultimi tre film sono quelli che ogni giovane dovrebbe vedere almeno una volta nella propria vita. Il primo insegna una nuova concezione per vivere se stessi durante l'adolescenza, quando le scelte fondamentali sono ancora da compiere e si ha la necessità di esperienze che devono andare oltre l'influenza ambientale ed essere solo ed esclusivamente personali. Il secondo offre allo spettatore più giovane l'apertura mentale necessaria perché non si faccia resistenza di fronte al prossimo, ma lo si accolga in tutti i suoi bisogni, desideri e pulsioni. E il terzo è senza alcun dubbio un manifesto della libertà sessuale, mentale e spirituale.
A distanza di diversi anni presenterà a Cannes Io e te, tratto da un romanzo di Niccolò Ammaniti.

I documentari
Non meno interessanti sono i suoi documentari, partoriti principalmente intorno agli anni Sessanta come Il canale (1966) e La via del petrolio (1967), ma anche La salute è malata (1971) e l'accorato L'addio a Enrico Berlinguer (1984).

Onori
Leone d'oro alla carriera al Festival di Venezia, ha ricevuto una Palma d'oro onoraria a Cannes nel 2011.

Vita privata
Marito di Adriana Asti (conosciuta sul set di Accattone), sposerà, dopo il divorzio da questa, la regista e sceneggiatrice Claire Peploe. Dopo una lunga malattia si è spento a Roma nel novembre del 2018.

Ultimi film

Documentario, (Italia - 2020), 105 min.

Focus

INCONTRI
venerdì 18 maggio 2018
Marianna Cappi

Ci sono film di cui si ha un ricordo mitico, idealizzato, confuso in una nebbia sentimentale. Poi, quando ci si ritrova a rivederli molto tempo dopo la prima romantica volta, la loro realtà è sbiadita, non eguaglia nemmeno lontanamente l'intensità del ricordo, talvolta persino la nega. Ma non è questo il caso di Ultimo tango a Parigi, il film che Bertolucci girò a 31 anni, nel 1972, e che ora torna in sala, forte di un superbo restauro visivo e sonoro, finalmente in lingua originale, a ricordare la sua straordinaria bellezza e a dimostrare la sua immutata potenza

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